Diana Wynne Jones, Tolkien e la sindrome di Polly

Diana Wynne JonesÈ da poco scomparsa, Diana Wynne Jones, scrittrice per ragazzi inglese considerata tra le più importanti del Novecento. Fa parte di quel gruppo di di autrici americane e inglesi (Ursula K. Le Guin, Philippa Pearce, Susan Cooper, Natalie Babbitt) che, a partire dagli anni ’50, hanno ridefinito la letteratura fantastica per ragazzi, creando molti dei nuovi classici del genere. Jones, che ha scritto più di trenta romanzi, è conosciuta in Italia soprattutto per la saga di Chrestomanci (pubblicata da Salani) e ancor di più per la serie de Il Castello Errante di Howl (Kappa Edizioni), da cui il regista giapponese Hayao Miyazaki ha realizzato il film d’animazione nel 2004. L’autrice inglese ha vinto due dei maggiori premi letterari fantasy: nel 1999 il Karl Edward Wagner Award nel Regno Unito, premio assegnato dalla British Fantasy Society e la sezione per ragazzi del Mythopoeic Fantasy Award negli Usa, per due volte, nel 1996 per The Crown of Dalemark e nel 1999 per Dark Lord of Derkholm.

Qui ci piace ricordare come Diana Wynne Jones amasse i libri di J.R.R. Tolkien, essendo stata anche una sua studentessa. Dal 1953 al 1956, infatti, studiò letteratura inglese al St. Anne’s College di Oxford, dove assistette a una serie di lezioni pubbliche sia di C. S. Lewis, sia di Tolkien. Di entrambi aveva un ricordo vivo, riportato in diverse occasioni in interviste, nella sua autobiografia e in vari libri. «Il primo faceva il pienone in aule affollatissime, mentre il secondo mormorava a me e altri tre», raccontava. Jones scrisse un saggio sullo stile di Tolkien, The Shape of the Narrative in The Lord of the Rings, pubblicato nella raccolta Everard’s Ride e successivamente in J.R.R. Tolkien: This Far Land (in italiano si può leggere il saggio nel numero 23 di Minas Tirith). L’autrice ricorda: «Quando studiavo all’università seguii un ciclo di lezioni pubbliche che Tolkien tenne sulla narrazione, la sua forma e lo schema delle storie – o, almeno credo questo fosse l’argomento dato che Tolkien era pressoché incomprensibile quando parlava.
Evidentemente odiava tenere lezione e ho il sospetto che odiasse anche i propri pensieri. Ad ogni buon conto, egli, nel giro di due settimane, riuscì nell’intento di ridurre l’uditorio alla sottoscritta ed altri quattro ascoltatori. A dispetto dei suoi sforzi noi tenemmo duro. La sua maniera di procedere era la seguente: quando sembrava che potessimo sentire quello che diceva, era solito voltarsi e rivolgersi alla lavagna. In questo modo mi raggiungevano solo vaghi sentori di ciò di cui parlava, eppure, anche così, erano fin troppo affascinanti per poterli perdere. Tolkien cominciava con la più elementare delle storie possibili: un uomo (dal principe fino al boscaiolo) parte per un viaggio. Quindi, conferiva un obiettivo al viaggio, permettendoci di scoprire che la semplice trama picaresca si era sviluppata in una Cerca. Non sono ben sicura di cosa accadesse poi, ma so che, alla fine, stava discutendo il particolare adattamento del motivo della Cerca fatta da Geoffrey Chaucer nel Pardoner’s Tale [Il Racconto dell’Indulgenziere]».

JRR TolkienA parziale discolpa del professore per il suo comportamento, bisogna notare che le lezioni pubbliche al St. Anne’s College erano una delle mille incombenze di Tolkien come accademico, facendo egli parte del Consiglio di Facoltà di Lingua inglese, tenendo regolari lezioni (il 1953 è proprio l’anno dei corsi sul Pardoner’s Tale) e dovendo seguire come tutor per la laurea diversi studenti. Il 1953 è poi l’anno in cui Tolkien stata dando gli ultimi ritocchi al Signore degli Anelli. L’autore era comprensibilmente concentrato su quell’opera, oltre a dover presiedere sessioni d’esame e conferenze pubbliche. «Spero che i miei studenti abbiamo fatto tardi la sera, così da essere tanto confusi da non accorgersi delle gravi lacune del loro docente in materia di celtico», scrisse in una lettera poco prima della presentazione di Inglese e Gallese, pubblicata poi nel 1963.
Nella sua autobiografia Jones, poi, confessa: «Guardando indietro, sia Tolkien sia Lewis hanno avuto un’influenza enorme su di me, ma è difficile dire in che modo, tranne per il fatto che hanno avuto un’influenza anche su altri. Ho scoperto, poi, che quasi tutte le future scrittrici inglesi di libri per i ragazzi – come Penelope Lively, Jill Paton Walsh – erano a Oxford nello stesso periodo in cui ero io, ma raramente le ho incontrate e mai abbiamo parlato di fantasy insieme. Oxford era allora molto ostile alla letteratura fantastica. Guardando Lewis e Tolkien, tutti alzavano le sopracciglia e dicevano: “Sono pure studiosi eccellenti!”».

Diversi altri autori di libri per ragazzi hanno riconosciuto l’influenza diretta o indiretta di Tolkien sulle loro opere (per non parlare di autori come Stephen King, Ursula K. Le Guin e J.K. Rowling). Susan Cooper, scrittrice nota soprattutto per Il risveglio delle tenebre, saga fantasy ambientata nell’Inghilterra e nel Galles medievali e vincitrice di numerosi premi, conferma le parole di Diana Wynne Jones, anche sul fatto che nella città inglese universitaria per eccellenza in quegli anni la letteratura fantastica non era vista di buon occhio. Tolkien stesso non incoraggiava gli studenti in questo senso, ma i
corsi di studi in inglese erano influenzati della propensione del professore a trattare quel tipo di argomenti mitologici che cementarono la preferenza verso il mito e il genere fantastico già presenti in questi autori.

Libro Fire and HemlockNell’eccellente fantasy, per nulla “tolkieniano”, Fire and Hemlock, una rivisitazione in chiave moderna della ballata di “Tam Lin” da parte di Jones (1984), l’eroina Polly scopre Il Signore degli Anelli all’età, sembra, di circa quattordici anni e lo legge tutto per quattro volte di seguito. Subito dopo scrive una storia d’avventura su se stessa e la figura del suo mentore/padre: «È l’avventura di Tan Coul e Hero e di come si misero alla ricerca dell’Obah Cypt nelle Grotte del Giudizio…». Dopo Il Signore degli Anelli, a Polly era molto chiaro che l’Obah Cypt era realmente un anello molto pericoloso e doveva essere distrutto: «Hero lo fece, con grande coraggio». Inviò il manoscritto al suo mentore, Tarn Lynn, ma lui rispose soltanto: “No, non è un anello. Lo hai rubato da Tolkien, devi usare le tue idee”». Questo brano è emblematico e Diana Jones ha riportato nel suo libro un fenomeno culturale all’opera dagli anni ’50: la Terra-di-mezzo è un universo così potente che molti lettori – come si può anche vedere dall’enorme quantità della “fan fiction” che si può trovare su internet – sentono l’immediato bisogno di raccontare la propria storia in essa o al suo fianco, in un mondo parallelo. In Meditations on Middle-earth, una raccolta di riflessioni su Tolkien a cura di Karen Haber e scritta da molti dei più importanti scrittori contemporanei di fantasy e fantascienza (George R.R. Martin, Raymond Feist, Poul Anderson, Michael Swanwick, Esther M. Friesner, Harry Turtledove, Terry Pratchett, Robin Hobb, Ursula K. Le Guin, Diane Duane, Douglas A. Anderson, Orson Scott Card, Charles De Lint, Lisa Goldstein, Glenn Hurdling, Terri Windling), questa “sindrome di Polly” è confermata ripetutamente dagli autori stessi.

In Tolkien, Autore del Secolo (Simonelli Editore), Tom Shippey suggerisce che in alcuni casi – in molti dei casi come quello dell’eroina di Diana Wynne Jones – le parole e le immagini di Tolkien sono state apprese così presto e così profondamente, presumibilmente con la lettura compulsiva e ripetuta dei suoi libri, che esse sono state interiorizzate e ora sono proprietà personale piuttosto che debito letterario. Il fenomeno era abbastanza comune nei secoli in cui l’epica, le saghe e le ballate erano trasmesse oralmente in formule o in versi; gli ascoltatori passivi di una tradizione si univano immediatamente ai suoi estensori attivi, divenendo a loro volta diffusori di poemi. È un cosa strana, ma non del tutto disprezzabile da vedere oggi, in quest’epoca in cui domina l’autorevolezza del singolo individuo e la difesa dei diritti d’autore.

Peter Gilliver, Jeremy Marshall ed Edmund Weiner in The Ring of Words hanno dimostrato come l’uso frequente della parola “confusticate” (forma meno usata per “
confondere”) nei libri della serie dei Chrestomanci sia sicuramente un prestito di Diana Wynne Jones da Tolkien. La stessa cosa accade ad altre scrittrici di lingua inglese (ad esempio, a Jan Siegel, pseudonimo di Amanda Hemingway e alla canadese Alison Baird) per altre parole del professore di Oxford. Se pensiamo a quel che ha detto Jones nella sua autobiografia, forse è questo il modo in cui Tolkien ha esercitato la sua influenza sulle scrittrici inglesi del Dopoguerra. E non solo: perché, come concludono Gilliver, Marshall e Weiner, «in sintesi, nella lingua inglese è iniziato il processo di assimilazione del patrimonio lessicale usato da Tolkien nelle sue opere».

Roberto Arduini




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3 Comments to “Diana Wynne Jones, Tolkien e la sindrome di Polly

  1. Giacomo ha detto:

    In quest’ottica — idee che passano, sedimentano, si fossilizzano ecc. — credo che possa essere interessante, di Diana Wynne Jones, The Tough Guide To Fantasyland, una sorta di mappatura di questi elementi. (Non l’ho letto, solo trovato segnalato.)

    Saluti
    Giacomo

  2. BoB ha detto:

    Dal quel che so, The Tough Guide To Fantasyland, fu scritto proprio come reazione a chi pubblicava “guide turistiche” con intentite per così dire “realistici”. Diana Wynne Jones reagì a questa tendenza strampalata con una sua guida che prendeva per i fondelli tutti i luoghi comuni sul fantasy, dentro e fuori il mondo dei fan.

    Ciao!
    BoB

  3. Norbert ha detto:

    Una guida “smitizzante” con umorismo?
    Bella idea!

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