Cosa sta succedendo alle lingue elfiche?

Edouard KloczkoRiceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo sullo stato degli studi linguistici delle lingue elfiche, scritto da Edouard Kloczko. L’autore, nato a L’viv (Leopoli) in Ucraina il 22 agosto 1963, è un linguista, traduttore e saggista. Ex-allievo dell’EPHE (École pratique des hautes études) e diplomato presso l’INALCO (Institut national des langues et civilisations orientales), tra le sue opere più importanti vanno ricordati i due libri sulle lingue artificiali di J.R.R. Tolkien. Kloczko è anche il fondatore della Facoltà di studi elfici che è stata attiva dal 1985 al 1993. «Mi sono avvicinato al mondo della Terra di Mezzo nel 1978», ricorda il linguista sul suo sito web: «Nel 2008 ho pubblicato L’Encyclopédie des Elfes (per la casa editrice Pré aux Clercs) e nel 2010 Le Monde Magique de Tolkien (per la casa editrice Auzou)». In Italia conosciamo i suoi libri grazie a Tre Editori, che ha pubblicato nel 2002 i due primi (e attualmente unici) volumi della sua “Enciclopedia illustrata della Terra di Mezzo”: : Lingue elfiche. Quenya e Lindarin e Lingue degli Hobbit, dei Nani e degli Orchi. Frutto di una ricerca durata diversi anni, i volumi comprendono storie, dizionari, grammatiche, immagini e mappe sulle diverse lingue attraverso le Ere della Terra di Mezzo, non si tratta di semplici idiomi ‘inventati’ ma di vere e proprie comunità linguistiche da scoprire. «Le mie due opere enciclopediche su linguaggi immaginari di Tolkien», spiega il linguista, «sono stati pubblicati rispettivamente nel 1995 e nel 2002». Proprio come un Richard F. Burton, famoso esploratore inglese, scopritore dei Grandi Laghi in Africa e traduttore di molte opere (tra cui Le Mille e una Notte e il Kama Sutra) Kloczko esplora la complessità dei popoli, terre e lingue immaginarie la Terra di Mezzo per raccogliere le sue storie fantastiche. Edouard Kloczko lezioni«Cerco di condividere e comprendere meglio la cultura e la storia degli Hobbit, ma anche dei Quendi e dei Khazâd, cioè gli Elfi e i Nani in Tolkien». L’ultima sua fatica è Le Haut-Elfique pour les débutants (L’Alto Elfico per principianti), il libro più completo attualmente disponibile sul Quenya, una delle due lingue principali parlate dagli Elfi nelle opere di Tolkien. Buona lettura!

Cosa sta succedendo alle lingue elfiche?

Legolas e Aragorn dal film di Jackson

I dialoghi «elfici» dei film non seguono le regole delle lingue elfiche di Tolkien.

Molti lettori dei romanzi di J.R.R. Tolkien sono affascinati dalle lingue elfiche e questo è ancora più vero per gli spettatori dei filmoni di Peter Jackson. Ascoltare le lingue elfiche è stata per loro una novità. Durante la sua vita, però, Tolkien pubblicò poco sulle lingue che immaginava, le lingue costruite: quenya, sindarin, khuzdul. Non un dizionario né una grammatica, che sono essenziali per imparare una lingua.

The Road Goes Ever OnTolkien pubblicò solamente due testi che spiegano qualcosa delle sue lingue elfiche: nel 1955, le Appendici E e F al Signore degli Anelli e nel 1967 una nota in The Road Goes Ever On. E questo è tutto! Nessuna grammatica, nessun dizionario. Ma dagli anni Sessanta i fan hanno preteso di capire e persino di parlare queste lingue. Hanno inventato nomi elfici e scritto poesie elfiche. Ma questo è assolutamente impossibile con le poche parole e frasi pubblicate e senza libri di grammatica. Pensate sarebbe possibile scrivere un poema in latino avendo a disposizione solo due poesie latine e nessuna grammatica latina? Certo, potreste scrivere un testo, ma non sarà in latino. Eppure, è stato facile per questi fan scrivere qualcosa sulle lingue elfiche, perché non è come con il latino, non c’è alcun insegnante di elfico che ha potuto contraddirli, a parte me. Ma cosa può fare una sola persona contro così tanti fan? Perché queste persone fingono di conoscere queste lingue (sindarin e quenya)? Perché non hanno mai detto la verità? Non saprei dirlo. Eppure sono così tanti i fan che hanno preso la brutta abitudine di scrivere qualsiasi cosa per divertimento facendo passare l’idea che le lingue elfiche non avessero regole specifiche.

Poche persone sanno che quarant’anni fa erano state rese pubbliche solo 2000 parole e nomi elfici (quenya e sindarin). Oggi (2018) ne conosciamo 20 volte di più e abbiamo ora a disposizione centinaia di frasi elfiche autentiche che sono scritte/inventate da Tolkien stesso. Egli sviluppò più di dieci lingue elfiche.

Parma Eldalamberon 11

La copertina di Parma Eldalamberon n° 11, contenente grammatica e dizionario del linguaggio goldogrin di J.R.R. Tolkien.

Christopher Tolkien pubblicò nella H.O.M.E. (1983-1996) elenchi di parole elfiche inventate da suo padre e testi in elfico, e anche quattro testi sociolinguistici: Lammas (1985 H.O.M.E. V), Quendi and Eldar – Essekenta Eldarinwa (1994 H.O.M.E. XI), The Shibolleth of Fëanor (1996 H.O.M.E. XII) e Dangeth Pengolodh (1996 H.O.M.E. XII). Ma J.R.R. Tolkien ha anche scritto centinaia di pagine su lingue e scritture elfiche che Christopher Tolkien ha deciso di non pubblicare mai. Fino alla fine del ventesimo secolo nessun testo di Tolkien spiegava le regole della grammatica delle lingue elfiche. La prima grammatica pubblicata nel 1995 riguardava il linguaggio goldogrin: i·Lam na·Ngoldathon. Questa grammatica (10 pagine) è molto interessante. Ma molto stranamente nessun appassionato di Tolkien (io li chiamo «Tolkiendili») parla del linguaggio goldogrin. Ôni cailthi mabir gleni nan·hirilion. «Baciò le mani sottili delle signore.» Inglese: He kissed the slender hands of the ladies. Eppure questa lingua è bella. Ma forse c’è una spiegazione. Anzi, due!

  • il Lam na·Ngoldathon è stato pubblicato solo in Parma Eldalamberon 11 (PE:11), non nella H.O.M.E. È una rivista specialistica difficile da ottenere (1). Inoltre, nessun sito web presenta la lingua gnomica (se cercate attentamente potrete trovare alcuni articoli) e neanche un libro.
  • le idee di Tolkien sulla grammatica delle sue lingue sono complesse.

È vero che Tolkien non ha mai composto un grande trattato grammaticale, né un grande dizionario per chi volesse apprendere le sue lingue. In realtà, ne ha composti molti più di uno! Tolkien, infatti, ha scritto molti trattati grammaticali e anche voci di vocabolario e lettere esplicative ai fan che descrivono tutti gli aspetti delle sue lingue elfiche, come fa normalmente un linguista in un articolo accademico e non come un insegnante con i suoi allievi. Per fare solo alcuni esempi:

1. Phonologically nouns dissyllabic in the nominative singular but syncopating and remaining dissyllabic even after addition of the flexions would be expected, but in the present “classical” Goldogrin (the dialect of I·band a gwentin laithi [The Book of Lost Tales]) they have become leveled out. Archaic forms found earlier are celeb [“silver”] genitive celba. (PE:11, p. 15)

2. Assimilation was regularly carried out and maintained in Quenya. The oldest assimilation was probably that of ñ to labials and dentals; ñ thus becoming m, or n in Common Eldarin was preserved as a nasal. (PE:19, p. 98)

3. The interjectional form as in Quenya þá, aþa may (as probably in case of , etc.) have been original and a verb later developed from it; but more probably aþa, þá developed from a verbal-stem before the pronominal elements were affixed as inflexions. (PE:22, p. 166)

4. It is believed by some loremasters that in Ancient Quenya and even early Parmaquesta the coincidence of stress and pitch had not yet been fully achieved. Syllables, that had under the previous system borne the main accent, still, on this view, retained a high tone, after the main stress had been removed from them, even if it now fell on an adjacent (usually preceding) syllable. This is held to account for the preservation of long vowels (in Ancient Quenya and classical Parmaquesta) in syllables no longer stressed, notably in final inflexional endings. But this retention can be otherwise explained. (PE:19, p. 98)

5. Change of the sundóma inside the canta constituted a distinct base. But as in the case of simple consonant variation, etymological (semantic) connexion can sometimes be observed between distinct but similarly formed bases. (PE:18, p. 94)

6. [In Quenya] the gerund is also usually employed when the second verb though not the subject of the first is not the direct object; e.g. when it requires substantival declension. The infinitive cannot be declined. The gerund cannot take pronominal affixes. Ni-utúlie nyariello ve atarella “I have just come from talking with your father.” Ni-la nyára pa matie “I am not talking about eating.” If this gerund required pronominal objects or subjects, two methods were open to use: (A) the most usual especially in long or complex expressions to convert the whole expression into clause with ha (the subjective form of the objective sa). “Old Túro’s eating all the bread was a nuisance to us.” Yára Túro mante ilqua masta ha mé-ne umahtale. Cf. the objective, me-láner fasta sa yára Túro, [“we were not pleased that old Túro”,] etc. (B) In less complex cases the subject of a gerund could, as in English, be put into the genitive: Túro matie masta. “Turo’s eating bread”; etta matie masta, “his eating bread”. The objects followed the gerund. If pronominal they could been clitic (if quite unemphatic) but not agglutinated. Etta matie the ye úmahta, “His eating it is a nuisance.” The inflexional forms [of the possessive determiners] are never used since these were purely possessive; matietta would (if anything) mean “a kind of eating, or style of eating, peculiar to him”. (PE:22, p. 119)

Parma Eldalamberon 17

Ecco un testo di Tolkien che descrive la complessa grammatica delle lingue elfiche. Un quadro completo delle coniugazioni (per tutte le persone) all’aoristo dei verbi «crescere, sviluppare» (grow) e «fare, realizzare» (do, make) in sindarin (a sinistra) e in quenya (a destra). All’estrema destra, ci sono i suffissi determinanti possessivi del quenya: mio (mia), tuo, suo, ecc. Nella parte inferiore della pagina, un disegno di Tolkien presenta i dialetti del sindarin.

7. Old Sindarin retained -m- in spelling. The spirantalizing [of m] > > v was not universal, nor anywhere achieved until after the arrival of the Noldor (never achieved in North Sindarin nor among the Noldor if Fëanorian). Similarly in oldest Sindarin mp, nt, nc were preserved. In North Sindarin they became universally mf, nth, ñch at same time as lt, lp, lc and rt and etc. > lth, lf, lch. The normal development in North Sindarin was then to restopping when final > mp, nc, lt but nth, lf, lch, rth, rf, rch remained spirantal, medial nch > ^ch [viz. n was lost with compensatory lengthening of the preceding vowel]. Later again nth > nt finally. As in Sindarin generally m, n tended to be lost before another consonant, [Common Eldarin] *kamprū > *kamfrū > [Old Sindarin] cáfru [“flea”]. In Ossiriandic, in West [Sindarin] and South Sindarin changes proceeded as in North Sindarin as far as mph, nth, ñch. Then lt, mp, nt, nc were restopped finally. Medially lth, mph, nth, ñch though for long without change of spelling [in Sindarin] became long voiceless l, m, n, ñ. English transcription lh, mh, nh, ngh. In late Beleriandic Sindarin these became voiced ll, mm (m), nn, ñg unless followed still by a stressed syllable. (PE:17, p. 131)

Se non avete studiato linguistica (e la lingua inglese), non sarete in grado di dare molto senso a queste spiegazioni di Tolkien sulle lingue quenya, sindarin e goldogrin. E molti di voi potrebbero chiedersi perché non hanno mai sentito parlare del sindarin occidentale, di quello meridionale, e così poco del sindarin del nord. L’appassionato medio di Tolkien non è un esperto linguista. La maggior parte di voi non passerà del tempo a cercare di capire questi testi e non li leggerà mai per intero. Sono troppo tecnici. È per questo che i fan tendono a inventare le proprie parole e regole molto semplici per i tanti e diversi neo-quenya o neo-sindarin che si trovano in internet. I fan non seguono le regole immaginate da Tolkien. Non le capiscono. È per questo che non citano i suddetti testi nelle loro «grammatiche elfiche».

Scrivere un libro sulle lingue costruite da Tolkien o avere un sito dedicato a queste lingue non trasforma automaticamente un appassionato in un erudito, ma solo in uno scrittore. Voi (ed io) potete scrivere cose sbagliate sulle lingue elfiche e molto facilmente. È un argomento complesso. Studiare la linguistica non è un compito facile. Leggere le grammatiche e le spiegazioni di Tolkien richiede molto tempo.

Ora analizziamo meglio alcuni degli errori.

Potete imparare molte cose strane in Wikibook-Quenya, come ad esempio: «Words that in the nominative end on -sse don’t have a locative case, when a locative would be needed they use the preposition mi». Questa è una regola falsa, inventata, che non esiste in quenya. Come posso affermarlo? Perché Tolkien ha fornito una forma locativa, lassesse, per la parola quenya nominativa lasse «foglia» (PE:21 p. 6, 47, 53, e Vinyar Tengwar n° 6 (VT:6)). Quindi sì, Wikibook-Quenya sbaglia e non solo su questa regola. Quasi tutto ciò che riguarda il quenya è sbagliato in questo Wikibook. Chi ha scritto questo libretto? Non lo so. L’autore è anonimo. Ma molti appassionati lo usano pensando che sia affidabile, come ad esempio qui (2). Le persone che scrivono cattive grammatiche elfiche cercheranno di persuadere i propri allievi a usare le loro regole, senza far sapere che le hanno inventate loro e non stanno citando veramente dagli scritti di Tolkien. Non una singola citazione delle grammatiche scritte da Tolkien può essere trovata in questo Wikibook. I fan scrivono: «Il sindarin è così», «Il quenya è così». Loro ripeteranno insistentemente: «È meglio usare…», «Io raccomando…». Essi costruiscono le proprie grammatiche prescrittive pseudo-elfiche personali perché non capiscono o anche perché neanche sanno che esistono le grammatiche elfiche scritte da Tolkien.

E se l’autore di Wikibook lo avesse fatto perché non gli piace lassesse? In effetti, la parola lassesse con così tante s può risultare un po’ pesante. Non preoccupatevi: Tolkien ha scritto che si può anche usare la forma secondaria ‽lasseste (3). Tolkien è generoso (e anche gli Elfi). Il Professore offre delle scelte.

Un altro esempio. Helge Fauskanger ha scritto sulla sua grammatica del quenya: «In the case of nouns ending in a consonant, general principles suggest that an e may be inserted between the noun and the possessive ending, e.g. nat “thing”, *natelya “your thing”. (The use of e as a connecting vowel is attested before case endings, e.g. Elendilenna “to Elendil”.) In the plural, the plural ending -i may serve to separate noun and ending, e.g. nati “things”, *natilyar “your things” — but here an additional plural ending -r must appear after the suffix; cf. the next paragraph. There are some indications that the ending -nya “my” always prefers i as its connecting vowel, even in the singular, as in Anarinya “my Sun” in LR:72 (Anar “Sun”). Hence e.g. *natinya “my thing”.»

Quali sono le «regole generali» (general principles) di cui scrive Helge Fauskanger? Queste regole generali non esistono nelle lingue elfiche. Questo è solo un caso di generalizzazione affrettata. Cos’è? È generalizzare le regole della grammatica in un modo da renderle più semplici e logiche, ignorando però l’esistenza delle forme differenti. La generalizzazione affrettata è un errore di logica. Perché è sbagliato generalizzare con le regole grammaticali elfiche? È come se voi in latino, sapendo come si declina la parola rosa, voleste declinare allo stesso modo la parola deus. La stessa cosa accade in quenya, non è perché sapete come si declina lasse «foglio», potete declinare anche «mano». Non è possibile generalizzare per il latino, figuriamoci per il quenya. Questa lingua non è una lingua artificiale regolare, come lo è ad esempio l’esperanto. Il quenya invece ha, proprio come il latino e le lingue greche, molte regole grammaticali complicate e soprattutto molte eccezioni a queste regole. È questo il modo in cui Tolkien concepì il quenya e tutte le sue lingue elfiche: come se fossero delle lingue naturali.

Ne volete un esempio? Helge Fauskanger ha scritto: «In the plural, the plural ending -i may serve to separate noun and ending, e.g. nati “things”, *natilyar “your thing”».

The Return of the KingInfatti, una simile forma si può trovare in una sola occorrenza in tutto il corpus pubblicato: in hildinyar «i miei eredi» (inglese my heirs nel Signore degli Anelli). Non sappiamo però come dire al singolare «mio erede, mio successore». Forse qualcuno di voi penserà che possa essere hildinya? Non è così semplice: hildinya [sic] per «my heirs» appare nel testo in tengwar disegnato dallo stesso Tolkien sulla sopracopertina de Il Ritorno del Re (Hammond e Scull, J. R. R. Tolkien: Artist and Illustrator, London: HarperCollins, 1998, p. 184, fig. 182). Possiamo, allora, capire che considerava hildinya fosse anche una forma plurale. Così, a meno che voi non abbiate studiato attentamente tutto il corpus dei termini in quenya, leggendo quella frase di Fauskanger voi sarete portarti a pensare che si tratta di una vera regola della grammatica quenya e anche che essa sia probabilmente tratta da qualche grammatica scritta da Tolkien. Eppure, non è questo il caso. Troviamo poi ataremma «nostro padre» (VT:43, p. 13) e mélamarimma «nostra casa; nostra patria» (4). Quindi sia i che e erano usate per il singolare. Perché? Non lo sappiamo. E non possiamo scoprire il motivo con una deduzione logica. Non c’è logica nei linguaggi naturali. Tolkien ha mutuato questo principio anche per le sue lingue. Ma Tolkien aveva una spiegazione per questo duplice uso delle vocali. Dobbiamo essere pazienti e aspettare la pubblicazione dei testi ancora inediti e le grammatiche scritte da lui, non lanciare i dadi e inventare una spiegazione. Quando Fauskanger scrive may serve dovrebbe essere inteso con la frase I have decided, «io ho deciso che sia così». Helge Fauskanger cancella le difficoltà della lingua quenya e inventa nuove regole, senza specificarlo.

Allora, ecco che l’idea di Helge Fauskanger che il plurale di nat possa essere soltanto nati è una semplificazione. La parola nat aveva, infatti, due temi di declinazione: natt- e nat- (PE:15:78). Così il plurale-1 era in quenya finale probabilmente nati e natti. Nella prima, seconda e terza fase del quenya (1910-1949), il plurale di nat divenne natsi e non **nati (come si vede in PE:15, p. 78). Helge Fauskanger non ne parla. Eppure questa scelta che può sembrare strana, non è una fantasia di Tolkien. La desinenza plurale -ti era proibita in quenya (del prima, seconda e terza fase), proprio come nella lingua finnica, e si trasformava in -tsi o -si (5). Questa regola è stata poi rimossa nella fase finale del quenya (circa 1949-1973). È per questo che troviamo in quenya della terza fase maite, pl. maisi «abile, qualificato, destro» (inglese handy, skilled, H.O.M.E. V, The Lost Road, Etymologies, p. 373), ma nel quenya della fase finale pl. maiti in Eldar ataformaiti, «gli Elfi sono/erano ambidestri» (VT:49, p. 7-8).

Le grammatiche di Helge Fauskanger (quenya e sindarin) non descrivono le regole elfiche di Tolkien in modo corretto.

Ma questo è dovuto al fatto che le lingue di Tolkien sono complicate! Tolkien ha scritto che un verbo regolare ha 694 forme verbali (PE:22, p. 110). Sì, quasi 700 forme per ogni verbo! Quindi, se volete imparare le lingue elfiche, dovete ricordarle tutte. Sono cose troppo difficili per alcune persone, mentre altri preferiscono inventare regole facili.

Nella vita reale è semplice. Se non seguite le regole della grammatica italiana non state scrivendo o parlando in italiano. Se non seguite le regole di Tolkien non state scrivendo il suo elfico! Chiunque visiti i siti web dedicati alle lingue elfiche (Eldalië, Quenya.101, Ardalambion, ecc.) o legga i libri ad esse dedicate (quelli di David Salo, Ruth S. Noel, Pesch, Comastri, ecc.) cercando di apprendere il quenya o il sindarin, sarà sconcertato dalla schiera delle tante regole grammaticali diverse e contrastanti. Questi siti e questi libri non sono mai d’accordo tra loro. Perché?

Middle-earth Adventure Book

Un modulo del gioco di ruolo M.E.R.P. (pubblicato 1989) che presenta le lingue elfiche (quenya e sindarin) è pieno di errori, con false regole grammaticali.

Perché ogni autore ha inventato le proprie regole. Lo stesso assunto vale per l’elfico usato nei film di Peter Jakson e i nomi, le parole e le frasi usate nei manuali di gioco di ruolo (RPG) adattati al mondo della Terra di Mezzo, come M.E.R.P. e The One Ring. Non è possibile studiare o imparare le lingue elfiche di Tolkien usando quei siti, libri, film e giochi. Nei film non sentite l’elfico di Tolkien, eccetto quei pochi casi in cui gli attori citato espressamente frasi scritte dell’autore inglese. Non è il sindarin che ascoltate quando Enya canta Aníron. Roma Ryan che ha scritto la canzone non può averla tradotta dall’inglese al sindarin semplicemente perché non ha mai imparato questa lingua. Roma Ryan non conosce nemmeno le regole grammaticali del sindarin. Come posso dirlo con certezza? Perché non c’è ancora una grammatica del sindarin su cui studiare! È stato pubblicato molto poco delle regole grammaticali del sindarin (al 2018) (6). E poi, tenetelo bene a mente, il sindarin ha anche molti dialetti. Ad esempio, il sindarin usato a Imladris era particolare, perché molto influenzato dal quenya. Ce lo dice lo stesso Tolkien: «The language is sindarin, but of a variety used by the High Elves (of which kind were most of the Elves in Rivendell), marked in high style and verse by the influence of Quenya, which had been originally their normal tongue» (The Road Goes Ever On, p. 71).

Se alcuni appassionati non vogliono studiare le grammatiche scritte da Tolkien, altri pretendono che l’elfico sia una strana entità fluida, una massa molto complicata di regole in continuo cambiamento, troppo difficile per essere completamente capite, per non parlare di usarle. Quest’ultima è anche l’opinione di Carl F. Hostetter, che si può leggere nel saggio Elvish as She Is Spoke. Non sono d’accordo con lui: non è impossibile usare le lingue elfiche di Tolkien. Bisogna solo tenere presente che la logopoeia di Tolkien è cambiata nel corso del tempo, dividendola in periodi o fasi per capire il suo lavoro (si può leggere il mio articolo «An External History of the Elvish Languages» Mythprint vol. 48, nº9, September 2011, pp. 8-9).

Tolkien non completò il sindarin, potete leggere su un’altro di questi libri:
A Fan’s Guide to Neo-sindarin di Fiona Jallings (p. 8, inglese Tolkien didn’t finish Sindarin). Questa affermazione non ha senso e si basa solo sull’immaginazione della sua autrice. Ci sono centinaia di manoscritti inediti. E comunque nessuna descrizione scritta di un linguaggio naturale potrà mai essere chiamata completa.
Quest’affermazione è il pretesto per diventare un sostituto di Tolkien: dal momento che lui non ha finito, lo farò io. Se il quenya o il sindarin non fossero stati non finiti e incompleti, difficilmente avremmo potuto chiamarli «lingue» (7). E qualsiasi studio serio dei loro vocabolari e delle loro grammatiche sarebbe piuttosto inutile. Tolkien scrisse una descrizione delle regole grammaticali per il quenya e il sindarin. L’autore scrisse centinaia di pagine sulla fonologia delle lingue elfiche, sulla loro morfologia e sulla sintassi. Purtroppo, la maggior parte della grammatica sindarin è ancora inedita. Come lo sappiamo? Un esempio ne è questo commento di Arden Smith in Vinyar Tengwar: «‘Quenya C’ contains a two-page text on the mutation of initial consonants in sindarin, typed on the back of Alien & Unwin waste paper from Jan.-Feb. 1968» (VT:47, p. 19). Smith ha accesso a tutti i manoscritti inediti sulle lingue elfiche scritte da Tolkien (ci sono centinaia di pagine contenute in sette scatoloni (8)). Anche se alcuni testi e poesie in sindarin sono stati pubblicati, le due pagine citate da Smith, menzionate nel 2005, ad oggi (2018) non sono ancora state pubblicate. Tolkien scrisse moltissimo sulle regole grammaticali del sindarin, di cui purtroppo abbiamo solo qualche indizio. Come quest’altra citazione: «If Celebrimbor had wished to make himself perfectly clear to anyone who knew sindarin, he would have written pedo beth mellon ‘say the word (peth) mellon’» (VT:44, p. 26). La frase è tratta da un lungo testo inedito dedicato alla grammatica del sindarin e alla famosa frase scritta sulle Porte di Moria. E anche questo scritto da C. Gilson: «Tolkien would give a great deal of thought to the question of Sindarin lenition, with extensive, often very rough tables and notes on the various phonetic developments in the history of this language. The consideration of existing examples with or without lenition of m or its internal change to v, both published and in the “Silmarillion” and related writings, led to full consider­ation of the history of Sindarin as spoken in Beleriand, and its dialects.» (PE:17, p. 5). Tutti questi testi di Tolkien sono oggi (2018) ancora inediti, purtroppo. Quindi, spero mi crederete quando scrivo che Tolkien ha descritto le molte regole grammaticali del sindarin. È il lavoro generale sulle lingue elfiche che Tolkien lasciò incompleto, come è accaduto per il Silmarillion. Tolkien si perse nel definire i dettagli (9). C. Tolkien scrisse nel 1982 che suo padre cambiò spesso idea sulle lingue elfiche, che è quasi impossibile capire i suoi scritti: «Some early phonological description does exist for Qenya, but this became through later alterations and substitutions such a baffling muddle (while the material is in any case intrinsically extremely complex) that I have been unable to make use of it» (H.O.M.E. I, The Book of Lost Tales I, p. 247). Non sono d’accordo con Christopher Tolkien su questo argomento. La prima descrizione grammaticale di suo padre fu pubblicata interamente soltanto nel 1992 (PE:12). Per un linguista e chi ha le sue conoscenze capire questo testo è piuttosto facile. Noi come aspiranti parlanti elfico dobbiamo affrontare delle scelte tra le molte regole che Tolkien costruì su un periodo molto lungo di tempo. Questo è il motivo per cui io ho diviso la sua logopoeia in fasi o stadi. Se proverete a comprendere un testo elfico scritto da Tolkien negli anni Sessanta usando le regole grammaticali da lui concepite negli anni Venti, sicuramente non riuscirete a comprendere quel testo e commetterete molti errori.

Il numero totale di vocaboli pubblicati in quenya fino a oggi non è enorme come un linguaggio naturale, ma neanche minimo: circa 6000 lessemi nel 2018. Se si tiene conto di tutte le forme flesse pubblicate (10), allora il numero di parole in quenya fino a circa 10.000. Il sindarin è più difficile da contare, perché bisogna tenere conto anche di goldogrin e noldorin. Se sommiamo le parole di queste lingue, tutte ispirate sulla lingua gallese, si possono oggi raggiungere i 7000 lessemi. In queste lingue, però, i nomi ha diverse forme mutate, come ad esempio duilin «rondine», i·dhuilin «la rondine», plurale i·nuiliniath «le rondini» (PE:13, p. 120). Ricordate il casato della Rondine di Gondolin, sotto il signore Duilin?

Il quenya della ultima fase (circa 1949-1973) concettuale possiede più casi del latino, ma meno della lingua finnica. La coniugazione verbale è piuttosto regolare. Il quenya è una lingua molto flessa (11). Come il latino? Non esattamente. In questo tipo di lingue, le parole mostrano i legami grammaticali in maniera morfologica: esse di solito hanno più di un morfema, ma — diversamente dalle lingue agglutinanti — non c’è alcuna corrispondenza uno a uno tra questi morfemi e la sequenza lineare dei morfi. In lingue come il latino, il greco e l’arabo, le forme flesse delle parole possono rappresentare diverse opposizioni morfologiche: ad esempio, in latino amo è una parola che rappresenta simultaneamente il tempo, la forma attiva, la prima persona singolare e l’indicativo. Questa fusione di proprietà ha portato questi linguaggi a essere chiamati fusivi. Il quenya non è una lingua fusiva, ma è agglutinante, che significa che le parole hanno una sequenza lineare di elementi distinti e ognuna delle parti grammaticali è rappresentata da un proprio elemento facilmente distinguibile (per esempio q. falma-li-nna-r tradotto letteralmente da Tolkien in inglese «foaming waves-many-upon-plural», onde spumeggianti-molte-sopra-plurale). Come sempre in simili classificazioni, le categorie non sono chiare: lingue differenti mostreranno la tendenza all’inflessione a un livello maggiore o minore. Le lingue con il maggior grado di agglutinazione includono il turco, il giapponese e il finnico.

Se volete studiare l’elfico e provare a usare le lingue di Tolkien dovreste pensare bene a qual è il vostro obiettivo, che può essere uno di questi due:

  • voglio capire lo scopo e le lingue di Tolkien;
  • voglio seguire una strada personale, creando un nuovo linguaggio costruito

E una volta che vi siete decisi, vi prego rimanete nel vostro ambito e non mischiate le cose!

Resta un ultimo problema di cui parlare, i nomi «elfici». I nomi che la gente si inventa. Ovviamente ognuno ha il diritto di inventarsi ciò che vuole e moltissima gente tenta di inventarsi degli antroponimi (nomi propri di persone) «elfici» perché li trovano belli. Siccome l’arte della creazione dei nomi elfici (quenya essecarme, letteralmente «name-making») è complicata, io suggerisco ai Tolkiendili di scegliersi un nome tra quelli che Tolkien ha inventato. Ce n’è a sufficienza per tutti. Il vero problema è quando dei fan inventano dei nomi e sostengono che sia elfico autentico. Quindi nella vita reale voi potete inventare un nome proprio italiano ed utilizzarlo? No, ovviamente. E io nemmeno, non posso inventare dei nomi francesi. O, cosa ancora più bizzarra, tradurre un antroponimo. È impossibile tradurre un nome proprio di persona, perché non è una cosa (come mela, sedia), ma un’etichetta per designare un essere unico. In Europa, i nomi propri non hanno alcun senso (in altre ragioni del mondo è differente). In Europa, i nomi propri hanno un’etimologia. Un tempo, 1000 anni fa o più, essi erano composti di parole. Al giorno d’oggi, io non sono Guardiano della prosperità. In Italia io non dico « Ciao mi chiamo Guardiano della prosperità ». Rischio di far ridere e soprattutto nessuno comprenderà che mi chiamo Édouard. L’antroponimo antico inglese Ēadweard (« prosperity-guard » in inglese moderno, (12)) è stato adattato ai suoni delle lingue d’Europa e non tradotto: in francese Édouard, in italiano Edoardo, ecc.

No, incollare delle parole elfiche insieme non creerà un nuovo antroponimo. Anche trasformare un nome proprio inventato da Tolkien non creerà un nuovo nome proprio elfico, ma un’orribile barbarie.

Spesso i fan distorcono l’intenzione di Tolkien, dando l’impressione che ciascun nome proprio che egli ha immaginato possieda un unico significato, e che questo sia sicuro. Tolkien, che voleva copiare la realtà, sapeva che l’onomastica è molto complessa. Spesso non si sa l’etimologia di un nome proprio reale. Ce ne sono diverse. Quindi Tolkien faceva attenzione a non affermare nulla con certezza riguardo all’etimologia dei nomi propri. Per esempio, egli scrive: «Makalaure of uncertain meaning. Usually interpreted (and said to have been a ‘prophetic’ mother-name) as ‘forging gold’,» (H.O.M.E. XII, The Peoples of Middle-earth, p. 353). Comprendete perché è sempre necessario citare le fonti? Tolkien non spiegò come tradurre gli antroponimi italiani in quenya o sindarin, ma lui scrisse molto su come gli Elfi inventavano i propri nomi (qui Elfi = Tolkien). Ecco un estratto:

  • «The most frequent types of anessi [added-names] were naturally adjectives: tall, high, grey, golden, fair, wise, etc.: alone or combined or personalized by addition of -ō, -mō, -rō, etc. (for males), -ē, -lē, -mē, etc. (for females); possessive compounds such as Q. Singollo; S. Erchamon (Q. Erekambo) “Onehand(ed)”; Q. Malaphinde [Malafinde] “Goldilocks”, etc.; and the words made with -ndīl, or the similar -ndūr, which originally meant ‘attend, tend’, as in Ithildur, Isildur, or Valandur. The mere names of things, such as ‘hill’, ‘river’, ‘tree’, and especially of unique things, as ‘sun’, were not used, at any rate without differentiation: Aldar, Orontor, and the like: for that would imply some kind of total equation or identity. An Elf (or Man) would not be called Anar ‘Sun’ even to depict great glory or radiant vigour.» (PE:21, p. 86)

Come potete constatare leggendo questa spiegazione tecnica di Tolkien, i veri antroponimi elfici non hanno che molto poco in comune con quelli veri in generale, e quindi quelli italiani. I fan non traducono, loro inventano, immaginano. C’era solo Tolkien che poteva tradurre. Così egli ha tradotto il suo cognome in quenya: Arcastar (Arkastar). Ma per il momento non conosciamo l’etimologia di questo nome. Io penso di non di sbagliare nel dire che J.R.R. Tolkien ha scritto una nota su questo argomento, ma ahimè essa non è stata pubblicata.

Da un lato spiegare il lavoro di Tolkien e dall’altro dire: «Noi fan inventiamo, noi non traduciamo. Non sappiamo come si fa. I nostri nomi elfici non sono in quenya o in sindarin. È solo per divertimento». Elencare in questo modo degli antroponimi elfici senza spiegare, fingendo di seguire le regole di Tolkien senza mai citarle crea una grande confusione.

Penso che dopo aver letto quanto scritto, ora sappiate bene che il quenya e il sindarin di Tolkien sono lingue, delle lingue a sé stanti. Esse hanno una storia inventata da Tolkien molto ricca e un’evoluzione nel corso del tempo (diacronia). Poiché sono lingue, esse hanno regole, come tutte le lingue storico-naturali, e quindi si può sbagliare se non si seguono le regole. È solo seguendo le regole grammaticali di Tolkien che si evitano errori e si possono comporre testi in quenya o in sindarin. Sebbene siano state pubblicate pochissime regole per il sindarin, ci sono molte delle regole per il quenya (ma non tutte). Per capire le lingue elfiche, apprenderle e usarle, bisogna dedicarci tempo e studiare.

Leggiamo in vari scrittori (Drout, Pesch) e su internet che esistono lingue neo-elfiche: il neo-quenya e il neo-sindarin. Ma non è esatto, le lingue neo-elfiche non esistono o piuttosto non sono lingue. Scrivere: Something wure mi expectatione [sic] non fa sì che chi lo ha scritto sia il creatore di un linguaggio neo-inglese, e neanche scrivere: Alaghioru saranno alboro dormirenene [sic] vi faranno divenire il creatore di una nuova lingua neo-italiana. Per creare un neo-linguaggio bisogna prima di tutto essere un linguista, conoscere bene le regole di una lingua elfica di Tolkien e da lì costruire una nuova lingua elfica. Che lavoro! Coloro che costruiscono quello che chiamano neo-sindarin e neo-quenya solo raramente citano le grammatiche di Tolkien e quasi mai spiegano quel che fanno (per esempio, cambio questa cosa scritta da Tolkien, perché ho inventato una certa nuova regola). Ciò che costruiscono non sono lingue. Essi deformano a piacere il poco di ciò che capiscono della logopoeia di Tolkien. Per i film di Peter Jackson, David Salo ha inventato Hannon le. Non esiste alcuna parola hannon nel corpus pubblicato del sindarin, né qualcosa del genere. Questa espressione non è basata su alcuna regola del sindarin, ma su una decisione arbitraria di Salo. È una pura invenzione. Quando David Salo inventa
tolo dan nan galad
e afferma che significa «come back to the light» (ritorna alla luce) in sindarn, si sbaglia. Il verbo sindarin tradotto da Tolkien «return, go back, come back» (ritornare, fare ritorno, tornare) è dan-tol- > dandol-, letteralmente back come (PE:17, p. 166). La lingua sindarin non ha la stessa sintassi né le stesse regole di formazione delle parole dell’inglese. Alcuni fan del film diranno che è neo-sindarin. Io dico che è senza senso. L’uso sgrammaticato di una lingua non crea un nuovo linguaggio, nella migliore delle ipotesi può dare adito a un codice della lingua di partenza, nel peggiore a una curiosa bizzarria incomprensibile.

Molti di coloro che compongono testi neo-elfici non sono realmente interessati a J.R.R. Tolkien o alle vere lingue elfiche. Vanno solo di fretta. Per loro, il professore era un po’ confusionario. Pretendono di essere in grado di migliorare il suo lavoro. È uno strano atteggiamento, non credete?

Doriath - Kimberly80, DeviantartGli studenti seri delle lingue elfiche si trovano davanti un compito piuttosto difficile, trovare la loro strada in questo labirinto. Ripeto, non ho nulla contro le persone che vogliono costruire le proprie lingue. Ma quello che sta succedendo è molto diverso. I fan pensano di non avere regole da seguire e nessun limite a cui fermarsi. Questi fan preferiscono inventare le loro regole e hanno completamente dimenticato Tolkien, ma fingono il contrario. Credetemi quando dico che gli studi seri delle lingue elfiche sono in difficoltà! I siti e i libri sulle lingue elfiche di Tolkien non hanno solo qualche errore, ma sono pieni di errori e interpretazioni errate. Nel mio lavoro cerco di capire l’elfico come una creazione di Tolkien. E ricordate, il punto importante è che le lingue elfiche non sono un miscuglio informe. Una lingua non funziona secondo le opinioni, come si vorrebbe, ma seguendo regole rigorose e molto precise. Le lingue elfiche sono state pazientemente costruite da J.R.R. Tolkien. Alcune persone distruggono la sua opera, per ignoranza o di proposito. Io preferisco seguire le regole di Tolkien. Ma se non volete, va bene. Non c’è nessun problema. Siete pregati di inventare il vostro codice o anche una lingua nuova. Può essere divertente. Facendolo, potreste persino imparare una o due cose. Ma per favore, non chiamate la vostra invenzione quenya o sindarin.

So, let’s go Elvish! En avant pour l’elfique! Iniziamo a studiare e parlare le lingue elfiche di Tolkien!

Edouard Kloczko

Simboli:
‽ = parola che ho dedotto da una regola conosciuta di Tolkien;
** = parola errata, impossibile o scritta male;
[ ]= il mio commento, o spiegazione, o nota.

Note:

1. La prima edizione di Parma Eldalamberon n° 11 fu di (!) 60 copie. Contiene alcuni errori tipografici corretti solo nella nuova edizione del 2008. Ma attualmente anche questa edizione di PE è esaurita e non ottenibile, come tutti i numeri di PE, eccetto il n° 21 e 22.

2. Luca Timponelli ha scritto: «Inoltre Kloczko esclude arbitrariamente dal corpus dei test i Quenya le traduzioni di Tolkien di Pater Noster e Ave Maria, giustificando questa scelta con il doversi calare all’interno del mondo della Terra di Mezzo, nel quale certamente quelle preghiere non possono essere state recitate.» È ridicolo! Ecco cosa ho scritto nel mio libro Lingue Elfiche: «Tolkien ha composto numerosi altri testi in quenya, come una traduzione del Pater Noster e dell’Ave Maria. Ma sono ancora inedite e sfortunatamente non siamo in grado di poterle citare» (p. 149). Non ho mai pensato di escludere questi due testi molto importanti dai miei studi e corsi. È una diffamazione. Il mio libro è stato pubblicato nel 2002, ma soprattutto scritto nel 2001, prima della pubblicazione di questi testi in VT:43. Dubito comunque che Timponelli abbia letto il mio libro. Ma che altro aspettarsi da qualcuno che vuole insegnare senza prima studiare? Timponelli ha scritto: «Si presenta, a differenza dell’opera di Kloczko, con lo scopo di insegnare a usare una lingua, non di studiarla». Non una sola volta in questa grammatica si troverà una citazione diretta dai testi grammaticali di Tolkien. Potete capire facilmente perché questa grammatica è piena di errori. Timponelli ha torto quando scrive: «il Quenya viene anche indicato con il termine Parmalambë (“lingua letteraria”) e Tarquesta». Parmalambe e tarquesta sono due cose diverse, come spiega Tolkien: «Galadriel’s song is in Quenya Tarquesta, that is the ‘colloquial’ form of the language» (PE:17, p. 76). Parmalambe (o Parmaquesta) è la forma classica del quenya. Tolkien spiega: «Quenya is in its written form also called Parmaquesta, or ‘book-language’. This is the ‘Elf-latin’ and is retained in spelling and grammar even as it was of old. It is used still in Valinor and in Eressea for many kinds of writing: histories, legends, hymns, poems, and other lore» (PE:18, p. 75). È un po’ come quello che sta succedendo in Grecia tra demotico e katharèvousa. E ci sono regole diverse per questi due idiomi. Ad esempio, il verbo hyar- «fendere» (inglese cleave) ha due coniugazioni al passato hyande e hyarne. La forma hyarne è usata solo in tarquesta, come spiega Tolkien (PE:22, p. 102). In parmaquesta è necessario usare l’accusativo marcato, ovvero una forma di accusativo differente dal nominativo (n. lasse, a. lassé); ciò non avviene in tarquesta (n. & a. lasse). Una buona grammatica del quenya deve sempre fornire queste precisazioni. Le grammatiche delle lingue elfiche (quenya e sindarin) sul sito web www.eldalie.it sono piene di forme errate (declinazioni e coniugazioni), fantasticate o immaginate senza seguire in nessun modo le regole di Tolkien. Il perfetto di verbo hyar- è ahyárie (PE:22, p. 102) e non **aryárie. «Piegare, piegarsi» (inglese bend) se dice cauta- in quenya (PE:16, p. 100) e non caw- che significa «inchinare» (inglese bow, make obeisance, PE:12, p. 45; attenzione, abbiamo solo la forma coniugata kawin). Il verbo ser- «riposare» (inglese rest) coniugato al perfetto è esérie (PE:22, p. 102) e non **erérie, ecc.

3. « By-forms of ablative as –ldo and of inessive –ste, » (PE:16, p. 113). « Locative, adessive or inessive: –, with ‘fortified’ forms –ssē, -stē, » (PE:21, p. 79).

Aníron - testo4. « Our home, ‘home’ in its emotional uses as the place of one’s birth, or the familiar places from which one was separated by journeys of necessity, or driven out by war. » (PE:17, p. 109)

5. « Nouns ending in –te make plural in –tsi (-si after í, ú, consonant, or diphthong — but long vowel á, é, ó is shortened before ts), » (PE:21, p. 7).

6. La parola che Roma Ryan ha usato come titolo della sua canzone, Aníron, non appare nel corpus di vocaboli pubblicati. Si può trovare soltanto e aníra, che sono tradotte da Tolkien «egli desidera» (inglese he desires in Sauron Defeated, p. 129). E basta. Nessuno sa come coniugarlo, o che tipo di verbo sia. Sappiamo (PE:17, p. 132; vedere la pagina all’inizio del mio articolo) che in sindarin «io cresco» è galon, ma «io faccio» è cerin, non **ceron. Se si sa come coniugare un verbo elfico, ciò non significa che si sappia come coniugare tutti i verbi elfici. Questo è esattamente ciò che è la generalizzazione affrettata. Roma Ryan ha fabbricato Aníron solamente con la sua immaginazione e non seguendo le regole di coniugazione del sindarin, che né lei, né noi sappiamo.

7. Tutti i linguaggi naturali hanno: (1) un insieme finito di suoni; (2) unità sonore che si percepiscono come parole; (3) regole per abbinare insieme le parole in quelle che sono solitamente chiamate frasi e (4) strategie per usare le frasi in vari modi personali e sociali. Negare lo stato di una lingua al quenya o al sindarin sarebbe piuttosto imbarazzante sapendo che Tolkien ha scritto estesamente su tutti questi quattro componenti.

8. J.R.R. Tolkien ha lasciato gli scritti linguistici sulle sue lingue elfiche in 7 grandi scatole di documenti, e Christopher Tolkien si è in seguito riferito ad esse nominandole come Quenya A, B, fino a Quenya G per poterle identificare precisamente. Sì, non un paio di scatole, ma addirittura 7, miei mellyn (PE:22, p. 141).

9. Tolkien scrisse nella lettera n° 347, nel dicembre del 1972, meno di un anno prima della sua morte: « I am afraid it is unfair on linguistically minded readers not to provide them with more material. I should like to. But though I may leave behind me sufficiently ordered matter, at 81 I have no time. » The Letters of J.R.R. Tolkien, p. 427. Tolkien pensava di lasciare i suoi scritti linguistici sulle lingue elfiche in uno stato sufficientemente ordinato perché i futuri Tolkiendili potessero leggerli e comprenderli. È necessario attendere la pubblicazione di questi numerosi testi che è lungi dall’essere ancora finita; vedere nota 8.

10. Orome è un lessema. Conosciamo 19 forme declinate di nome Orome (o Oromë): Oromea, Oromen, Oromeo, Oroménen, Oromehta, Oromello, Oromexe, Oroméva, Oromendon, Oromexon, Oroment, Oromet, Oromeu, Oromémet, Oromehta, Oromehtau, Oromellut, Oromexet, Oroméli (PE:21, p. 41).

11. « highly inflected language like Quenya, » The Road Goes Ever On, p. 69. [12] A Dictionary of English Surnames di P. H. Reaney, 3a edizione di R. M. Wilson. Routledge: London e New York, 2006.

12. A Dictionary of English Surnames di P. H. Reaney, 3a edizione di R. M. Wilson. Routledge: London e New York, 2006.

Vorrei ringraziare Roberto Arduini e Valérie Morisi per il loro aiuto nel tradurre questo articolo in italiano. Ma tutti gli errori e le opinioni sono mie e sono vincolanti solo per me.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Ecco svelata l’arte di scrivere in Tengwar
– Leggi l’articolo Ecco perché l’elfico è meglio dell’Esperanto
– Leggi l’articolo A Bruxelles un corso per le lingue elfiche
– Leggi l’articolo Il 20 gennaio a Bologna il corso di lingue elfiche

LINK ESTERNI:
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– Vai al sito di Parma Eldalamberon
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– Vai al saggio Elvish as She Is Spoke
– Vai al Wikibook-Quenya
– Vai al Ardalambion.immaginario
– Vai al libro A Gateway to Sindarin di David Salo
– Vai al libro The Languages of Tolkien’s Middle-earth di Ruth S. Noel
– Vai al libro Das große Elbisch-Buch di Helmut W. Pesch
– Vai al libro Le lingue degli Elfi della Terra di Mezzo di Gianluca Comastri
– Vai al libro Essecenta di Roberto Fontana
– Vai al libro J. R. R. Tolkien Encyclopedia: Scholarship and Critical Assessment di Michael C. Drout

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3 Comments to “Cosa sta succedendo alle lingue elfiche?”

  1. Carl F. Hostetter ha detto:

    Edouard Kloczko [via his translator] writes:

    “Quest’ultima è anche l’opinione di Carl F. Hostetter, che si può leggere nel saggio Elvish as She Is Spoke. Non sono d’accordo con lui: non è impossibile usare le lingue elfiche di Tolkien.”

    I likewise don’t agree that “it is impossible to use Elvish”, and certainly that is _not_ what I say in “Elvish as She Is Spoke”. In fact, I make a very clear suggestion of just how Elvish could be used, despite the difficulties I detail in the essay.

  2. Carl F. Hostetter ha detto:

    “C’era solo Tolkien che poteva tradurre. Così egli ha tradotto il suo cognome in quenya: Arcastar (Arkastar). Ma per il momento non conosciamo l’etimologia di questo nome. Io penso di non di sbagliare nel dire che J.R.R. Tolkien ha scritto una nota su questo argomento, ma ahimè essa non è stata pubblicata.”

    If Edouard knows of the existence of any notes by Tolkien on this name, I should be very glad to learn where they are! I might even be able to arrange for their publication.

  3. Carl F. Hostetter ha detto:

    AND, to illustrate the truth of what I _actually_ said in “Elvish as She Is Spoke”, I invite both Edouard and ANYONE to translate his article into either Q(u)enya or Sindarin and to post it here; or for that matter to in any way counter what I have said in response. Either of which is pretty much the OPPOSITE of what I suggested for how Tolkien’s Elvish languages could ACTUALLY be used.

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