Cosa sta succedendo alle lingue elfiche?

Edouard KloczkoRiceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo sullo stato degli studi linguistici delle lingue elfiche, scritto da Edouard Kloczko. L’autore, nato a L’viv (Leopoli) in Ucraina il 22 agosto 1963, è un linguista, traduttore e saggista. Ex-allievo dell’EPHE (École pratique des hautes études) e diplomato presso l’INALCO (Institut national des langues et civilisations orientales), tra le sue opere più importanti vanno ricordati i due libri sulle lingue artificiali di J.R.R. Tolkien. Kloczko è anche il fondatore della Facoltà di studi elfici che è stata attiva dal 1985 al 1993. «Mi sono avvicinato al mondo della Terra di Mezzo nel 1978», ricorda il linguista sul suo sito web: «Nel 2008 ho pubblicato L’Encyclopédie des Elfes (per la casa editrice Pré aux Clercs) e nel 2010 Le Monde Magique de Tolkien (per la casa editrice Auzou)». In Italia conosciamo i suoi libri grazie a Tre Editori, che ha pubblicato nel 2002 i due primi (e attualmente unici) volumi della sua “Enciclopedia illustrata della Terra di Mezzo”: : Lingue elfiche. Quenya e Lindarin e Lingue degli Hobbit, dei Nani e degli Orchi. Frutto di una ricerca durata diversi anni, i volumi comprendono storie, dizionari, grammatiche, immagini e mappe sulle diverse lingue attraverso le Ere della Terra di Mezzo, non si tratta di semplici idiomi ‘inventati’ ma di vere e proprie comunità linguistiche da scoprire. «Le mie due opere enciclopediche su linguaggi immaginari di Tolkien», spiega il linguista, «sono stati pubblicati rispettivamente nel 1995 e nel 2002». Proprio come un Richard F. Burton, famoso esploratore inglese, scopritore dei Grandi Laghi in Africa e traduttore di molte opere (tra cui Le Mille e una Notte e il Kama Sutra) Kloczko esplora la complessità dei popoli, terre e lingue immaginarie la Terra di Mezzo per raccogliere le sue storie fantastiche. Edouard Kloczko lezioni«Cerco di condividere e comprendere meglio la cultura e la storia degli Hobbit, ma anche dei Quendi e dei Khazâd, cioè gli Elfi e i Nani in Tolkien». L’ultima sua fatica è Le Haut-Elfique pour les débutants (L’Alto Elfico per principianti), il libro più completo attualmente disponibile sul Quenya, una delle due lingue principali parlate dagli Elfi nelle opere di Tolkien. Buona lettura!

Cosa sta succedendo alle lingue elfiche?

Legolas e Aragorn dal film di Jackson
I dialoghi «elfici» dei film non seguono le regole delle lingue elfiche di Tolkien.
Molti lettori dei romanzi di J.R.R. Tolkien sono affascinati dalle lingue elfiche e questo è ancora più vero per gli spettatori dei filmoni di Peter Jackson. Ascoltare le lingue elfiche è stata per loro una novità. Durante la sua vita, però, Tolkien pubblicò poco sulle lingue che immaginava, le lingue costruite: quenya, sindarin, khuzdul. Non un dizionario né una grammatica, che sono essenziali per imparare una lingua.

The Road Goes Ever OnTolkien pubblicò solamente due testi che spiegano qualcosa delle sue lingue elfiche: nel 1955, le Appendici E e F al Signore degli Anelli e nel 1967 una nota in The Road Goes Ever On. E questo è tutto! Nessuna grammatica, nessun dizionario. Ma dagli anni Sessanta i fan hanno preteso di capire e persino di parlare queste lingue. Hanno inventato nomi elfici e scritto poesie elfiche. Ma questo è assolutamente impossibile con le poche parole e frasi pubblicate e senza libri di grammatica. Pensate sarebbe possibile scrivere un poema in latino avendo a disposizione solo due poesie latine e nessuna grammatica latina? Certo, potreste scrivere un testo, ma non sarà in latino. Eppure, è stato facile per questi fan scrivere qualcosa sulle lingue elfiche, perché non è come con il latino, non c’è alcun insegnante di elfico che ha potuto contraddirli, a parte me. Ma cosa può fare una sola persona contro così tanti fan? Perché queste persone fingono di conoscere queste lingue (sindarin e quenya)? Perché non hanno mai detto la verità? Non saprei dirlo. Eppure sono così tanti i fan che hanno preso la brutta abitudine di scrivere qualsiasi cosa per divertimento facendo passare l’idea che le lingue elfiche non avessero regole specifiche.

Poche persone sanno che quarant’anni fa erano state rese pubbliche solo 2000 parole e nomi elfici (quenya e sindarin). Oggi (2018) ne conosciamo 20 volte di più e abbiamo ora a disposizione centinaia di frasi elfiche autentiche che sono scritte/inventate da Tolkien stesso. Egli sviluppò più di dieci lingue elfiche.

Parma Eldalamberon 11
La copertina di Parma Eldalamberon n° 11, contenente grammatica e dizionario del linguaggio goldogrin di J.R.R. Tolkien.
Christopher Tolkien pubblicò nella H.O.M.E. (1983-1996) elenchi di parole elfiche inventate da suo padre e testi in elfico, e anche quattro testi sociolinguistici: Lammas (1985 H.O.M.E. V), Quendi and Eldar – Essekenta Eldarinwa (1994 H.O.M.E. XI), The Shibolleth of Fëanor (1996 H.O.M.E. XII) e Dangeth Pengolodh (1996 H.O.M.E. XII). Ma J.R.R. Tolkien ha anche scritto centinaia di pagine su lingue e scritture elfiche che Christopher Tolkien ha deciso di non pubblicare mai. Fino alla fine del ventesimo secolo nessun testo di Tolkien spiegava le regole della grammatica delle lingue elfiche. La prima grammatica pubblicata nel 1995 riguardava il linguaggio goldogrin: i·Lam na·Ngoldathon. Questa grammatica (10 pagine) è molto interessante. Ma molto stranamente nessun appassionato di Tolkien (io li chiamo «Tolkiendili») parla del linguaggio goldogrin. Ôni cailthi mabir gleni nan·hirilion. «Baciò le mani sottili delle signore.» Inglese: He kissed the slender hands of the ladies. Eppure questa lingua è bella. Ma forse c’è una spiegazione. Anzi, due!

  • il Lam na·Ngoldathon è stato pubblicato solo in Parma Eldalamberon 11 (PE:11), non nella H.O.M.E. È una rivista specialistica difficile da ottenere (1). Inoltre, nessun sito web presenta la lingua gnomica (se cercate attentamente potrete trovare alcuni articoli) e neanche un libro.
  • le idee di Tolkien sulla grammatica delle sue lingue sono complesse.

È vero che Tolkien non ha mai composto un grande trattato grammaticale, né un grande dizionario per chi volesse apprendere le sue lingue. In realtà, ne ha composti molti più di uno! Tolkien, infatti, ha scritto molti trattati grammaticali e anche voci di vocabolario e lettere esplicative ai fan che descrivono tutti gli aspetti delle sue lingue elfiche, come fa normalmente un linguista in un articolo accademico e non come un insegnante con i suoi allievi. Per fare solo alcuni esempi:

1. Phonologically nouns dissyllabic in the nominative singular but syncopating and remaining dissyllabic even after addition of the flexions would be expected, but in the present “classical” Goldogrin (the dialect of I·band a gwentin laithi [The Book of Lost Tales]) they have become leveled out. Archaic forms found earlier are celeb [“silver”] genitive celba. (PE:11, p. 15)

2. Assimilation was regularly carried out and maintained in Quenya. The oldest assimilation was probably that of ñ to labials and dentals; ñ thus becoming m, or n in Common Eldarin was preserved as a nasal. (PE:19, p. 98)

3. The interjectional form as in Quenya þá, aþa may (as probably in case of , etc.) have been original and a verb later developed from it; but more probably aþa, þá developed from a verbal-stem before the pronominal elements were affixed as inflexions. (PE:22, p. 166)

4. It is believed by some loremasters that in Ancient Quenya and even early Parmaquesta the coincidence of stress and pitch had not yet been fully achieved. Syllables, that had under the previous system borne the main accent, still, on this view, retained a high tone, after the main stress had been removed from them, even if it now fell on an adjacent (usually preceding) syllable. This is held to account for the preservation of long vowels (in Ancient Quenya and classical Parmaquesta) in syllables no longer stressed, notably in final inflexional endings. But this retention can be otherwise explained. (PE:19, p. 98)

5. Change of the sundóma inside the canta constituted a distinct base. But as in the case of simple consonant variation, etymological (semantic) connexion can sometimes be observed between distinct but similarly formed bases. (PE:18, p. 94)

6. [In Quenya] the gerund is also usually employed when the second verb though not the subject of the first is not the direct object; e.g. when it requires substantival declension. The infinitive cannot be declined. The gerund cannot take pronominal affixes. Ni-utúlie nyariello ve atarella “I have just come from talking with your father.” Ni-la nyára pa matie “I am not talking about eating.” If this gerund required pronominal objects or subjects, two methods were open to use: (A) the most usual especially in long or complex expressions to convert the whole expression into clause with ha (the subjective form of the objective sa). “Old Túro’s eating all the bread was a nuisance to us.” Yára Túro mante ilqua masta ha mé-ne umahtale. Cf. the objective, me-láner fasta sa yára Túro, [“we were not pleased that old Túro”,] etc. (B) In less complex cases the subject of a gerund could, as in English, be put into the genitive: Túro matie masta. “Turo’s eating bread”; etta matie masta, “his eating bread”. The objects followed the gerund. If pronominal they could been clitic (if quite unemphatic) but not agglutinated. Etta matie the ye úmahta, “His eating it is a nuisance.” The inflexional forms [of the possessive determiners] are never used since these were purely possessive; matietta would (if anything) mean “a kind of eating, or style of eating, peculiar to him”. (PE:22, p. 119)

Parma Eldalamberon 17
Ecco un testo di Tolkien che descrive la complessa grammatica delle lingue elfiche. Un quadro completo delle coniugazioni (per tutte le persone) all’aoristo dei verbi «crescere, sviluppare» (grow) e «fare, realizzare» (do, make) in sindarin (a sinistra) e in quenya (a destra). All’estrema destra, ci sono i suffissi determinanti possessivi del quenya: mio (mia), tuo, suo, ecc. Nella parte inferiore della pagina, un disegno di Tolkien presenta i dialetti del sindarin.
7. Old Sindarin retained -m- in spelling. The spirantalizing [of m] > > v was not universal, nor anywhere achieved until after the arrival of the Noldor (never achieved in North Sindarin nor among the Noldor if Fëanorian). Similarly in oldest Sindarin mp, nt, nc were preserved. In North Sindarin they became universally mf, nth, ñch at same time as lt, lp, lc and rt and etc. > lth, lf, lch. The normal development in North Sindarin was then to restopping when final > mp, nc, lt but nth, lf, lch, rth, rf, rch remained spirantal, medial nch > ^ch [viz. n was lost with compensatory lengthening of the preceding vowel]. Later again nth > nt finally. As in Sindarin generally m, n tended to be lost before another consonant, [Common Eldarin] *kamprū > *kamfrū > [Old Sindarin] cáfru [“flea”]. In Ossiriandic, in West [Sindarin] and South Sindarin changes proceeded as in North Sindarin as far as mph, nth, ñch. Then lt, mp, nt, nc were restopped finally. Medially lth, mph, nth, ñch though for long without change of spelling [in Sindarin] became long voiceless l, m, n, ñ. English transcription lh, mh, nh, ngh. In late Beleriandic Sindarin these became voiced ll, mm (m), nn, ñg unless followed still by a stressed syllable. (PE:17, p. 131)

Se non avete studiato linguistica (e la lingua inglese), non sarete in grado di dare molto senso a queste spiegazioni di Tolkien sulle lingue quenya, sindarin e goldogrin. E molti di voi potrebbero chiedersi perché non hanno mai sentito parlare del sindarin occidentale, di quello meridionale, e così poco del sindarin del nord. L’appassionato medio di Tolkien non è un esperto linguista. La maggior parte di voi non passerà del tempo a cercare di capire questi testi e non li leggerà mai per intero. Sono troppo tecnici. È per questo che i fan tendono a inventare le proprie parole e regole molto semplici per i tanti e diversi neo-quenya o neo-sindarin che si trovano in internet. I fan non seguono le regole immaginate da Tolkien. Non le capiscono. È per questo che non citano i suddetti testi nelle loro «grammatiche elfiche».

Scrivere un libro sulle lingue costruite da Tolkien o avere un sito dedicato a queste lingue non trasforma automaticamente un appassionato in un erudito, ma solo in uno scrittore. Voi (ed io) potete scrivere cose sbagliate sulle lingue elfiche e molto facilmente. È un argomento complesso. Studiare la linguistica non è un compito facile. Leggere le grammatiche e le spiegazioni di Tolkien richiede molto tempo.

Ora analizziamo meglio alcuni degli errori.

Potete imparare molte cose strane in Wikibook-Quenya, come ad esempio: «Words that in the nominative end on -sse don’t have a locative case, when a locative would be needed they use the preposition mi». Questa è una regola falsa, inventata, che non esiste in quenya. Come posso affermarlo? Perché Tolkien ha fornito una forma locativa, lassesse, per la parola quenya nominativa lasse «foglia» (PE:21 p. 6, 47, 53, e Vinyar Tengwar n° 6 (VT:6)). Quindi sì, Wikibook-Quenya sbaglia e non solo su questa regola. Quasi tutto ciò che riguarda il quenya è sbagliato in questo Wikibook. Chi ha scritto questo libretto? Non lo so. L’autore è anonimo. Ma molti appassionati lo usano pensando che sia affidabile, come ad esempio qui (2). Le persone che scrivono cattive grammatiche elfiche cercheranno di persuadere i propri allievi a usare le loro regole, senza far sapere che le hanno inventate loro e non stanno citando veramente dagli scritti di Tolkien. Non una singola citazione delle grammatiche scritte da Tolkien può essere trovata in questo Wikibook. I fan scrivono: «Il sindarin è così», «Il quenya è così». Loro ripeteranno insistentemente: «È meglio usare…», «Io raccomando…». Essi costruiscono le proprie grammatiche prescrittive pseudo-elfiche personali perché non capiscono o anche perché neanche sanno che esistono le grammatiche elfiche scritte da Tolkien.

E se l’autore di Wikibook lo avesse fatto perché non gli piace lassesse? In effetti, la parola lassesse con così tante s può risultare un po’ pesante. Non preoccupatevi: Tolkien ha scritto che si può anche usare la forma secondaria ‽lasseste (3). Tolkien è generoso (e anche gli Elfi). Il Professore offre delle scelte.

Un altro esempio. Helge Fauskanger ha scritto sulla sua grammatica del quenya: «In the case of nouns ending in a consonant, general principles suggest that an e may be inserted between the noun and the possessive ending, e.g. nat “thing”, *natelya “your thing”. (The use of e as a connecting vowel is attested before case endings, e.g. Elendilenna “to Elendil”.) In the plural, the plural ending -i may serve to separate noun and ending, e.g. nati “things”, *natilyar “your things” — but here an additional plural ending -r must appear after the suffix; cf. the next paragraph. There are some indications that the ending -nya “my” always prefers i as its connecting vowel, even in the singular, as in Anarinya “my Sun” in LR:72 (Anar “Sun”). Hence e.g. *natinya “my thing”.»

Quali sono le «regole generali» (general principles) di cui scrive Helge Fauskanger? Queste regole generali non esistono nelle lingue elfiche. Questo è solo un caso di generalizzazione affrettata. Cos’è? È generalizzare le regole della grammatica in un modo da renderle più semplici e logiche, ignorando però l’esistenza delle forme differenti. La generalizzazione affrettata è un errore di logica. Perché è sbagliato generalizzare con le regole grammaticali elfiche? È come se voi in latino, sapendo come si declina la parola rosa, voleste declinare allo stesso modo la parola deus. La stessa cosa accade in quenya, non è perché sapete come si declina lasse «foglio», potete declinare anche «mano». Non è possibile generalizzare per il latino, figuriamoci per il quenya. Questa lingua non è una lingua artificiale regolare, come lo è ad esempio l’esperanto. Il quenya invece ha, proprio come il latino e le lingue greche, molte regole grammaticali complicate e soprattutto molte eccezioni a queste regole. È questo il modo in cui Tolkien concepì il quenya e tutte le sue lingue elfiche: come se fossero delle lingue naturali.

Ne volete un esempio? Helge Fauskanger ha scritto: «In the plural, the plural ending -i may serve to separate noun and ending, e.g. nati “things”, *natilyar “your thing”».

The Return of the KingInfatti, una simile forma si può trovare in una sola occorrenza in tutto il corpus pubblicato: in hildinyar «i miei eredi» (inglese my heirs nel Signore degli Anelli). Non sappiamo però come dire al singolare «mio erede, mio successore». Forse qualcuno di voi penserà che possa essere hildinya? Non è così semplice: hildinya [sic] per «my heirs» appare nel testo in tengwar disegnato dallo stesso Tolkien sulla sopracopertina de Il Ritorno del Re (Hammond e Scull, J. R. R. Tolkien: Artist and Illustrator, London: HarperCollins, 1998, p. 184, fig. 182). Possiamo, allora, capire che considerava hildinya fosse anche una forma plurale. Così, a meno che voi non abbiate studiato attentamente tutto il corpus dei termini in quenya, leggendo quella frase di Fauskanger voi sarete portarti a pensare che si tratta di una vera regola della grammatica quenya e anche che essa sia probabilmente tratta da qualche grammatica scritta da Tolkien. Eppure, non è questo il caso. Troviamo poi ataremma «nostro padre» (VT:43, p. 13) e mélamarimma «nostra casa; nostra patria» (4). Quindi sia i che e erano usate per il singolare. Perché? Non lo sappiamo. E non possiamo scoprire il motivo con una deduzione logica. Non c’è logica nei linguaggi naturali. Tolkien ha mutuato questo principio anche per le sue lingue. Ma Tolkien aveva una spiegazione per questo duplice uso delle vocali. Dobbiamo essere pazienti e aspettare la pubblicazione dei testi ancora inediti e le grammatiche scritte da lui, non lanciare i dadi e inventare una spiegazione. Quando Fauskanger scrive may serve dovrebbe essere inteso con la frase I have decided, «io ho deciso che sia così». Helge Fauskanger cancella le difficoltà della lingua quenya e inventa nuove regole, senza specificarlo.

Allora, ecco che l’idea di Helge Fauskanger che il plurale di nat possa essere soltanto nati è una semplificazione. La parola nat aveva, infatti, due temi di declinazione: natt- e nat- (PE:15:78). Così il plurale-1 era in quenya finale probabilmente nati e natti. Nella prima, seconda e terza fase del quenya (1910-1949), il plurale di nat divenne natsi e non **nati (come si vede in PE:15, p. 78). Helge Fauskanger non ne parla. Eppure questa scelta che può sembrare strana, non è una fantasia di Tolkien. La desinenza plurale -ti era proibita in quenya (del prima, seconda e terza fase), proprio come nella lingua finnica, e si trasformava in -tsi o -si (5). Questa regola è stata poi rimossa nella fase finale del quenya (circa 1949-1973). È per questo che troviamo in quenya della terza fase maite, pl. maisi «abile, qualificato, destro» (inglese handy, skilled, H.O.M.E. V, The Lost Road, Etymologies, p. 373), ma nel quenya della fase finale pl. maiti in Eldar ataformaiti, «gli Elfi sono/erano ambidestri» (VT:49, p. 7-8).

Le grammatiche di Helge Fauskanger (quenya e sindarin) non descrivono le regole elfiche di Tolkien in modo corretto.

Ma questo è dovuto al fatto che le lingue di Tolkien sono complicate! Tolkien ha scritto che un verbo regolare ha 694 forme verbali (PE:22, p. 110). Sì, quasi 700 forme per ogni verbo! Quindi, se volete imparare le lingue elfiche, dovete ricordarle tutte. Sono cose troppo difficili per alcune persone, mentre altri preferiscono inventare regole facili.

Nella vita reale è semplice. Se non seguite le regole della grammatica italiana non state scrivendo o parlando in italiano. Se non seguite le regole di Tolkien non state scrivendo il suo elfico! Chiunque visiti i siti web dedicati alle lingue elfiche (Eldalië, Quenya.101, Ardalambion, ecc.) o legga i libri ad esse dedicate (quelli di David Salo, Ruth S. Noel, Pesch, Comastri, ecc.) cercando di apprendere il quenya o il sindarin, sarà sconcertato dalla schiera delle tante regole grammaticali diverse e contrastanti. Questi siti e questi libri non sono mai d’accordo tra loro. Perché?

Middle-earth Adventure Book
Un modulo del gioco di ruolo M.E.R.P. (pubblicato 1989) che presenta le lingue elfiche (quenya e sindarin) è pieno di errori, con false regole grammaticali.
Perché ogni autore ha inventato le proprie regole. Lo stesso assunto vale per l’elfico usato nei film di Peter Jakson e i nomi, le parole e le frasi usate nei manuali di gioco di ruolo (RPG) adattati al mondo della Terra di Mezzo, come M.E.R.P. e The One Ring. Non è possibile studiare o imparare le lingue elfiche di Tolkien usando quei siti, libri, film e giochi. Nei film non sentite l’elfico di Tolkien, eccetto quei pochi casi in cui gli attori citato espressamente frasi scritte dell’autore inglese. Non è il sindarin che ascoltate quando Enya canta Aníron. Roma Ryan che ha scritto la canzone non può averla tradotta dall’inglese al sindarin semplicemente perché non ha mai imparato questa lingua. Roma Ryan non conosce nemmeno le regole grammaticali del sindarin. Come posso dirlo con certezza? Perché non c’è ancora una grammatica del sindarin su cui studiare! È stato pubblicato molto poco delle regole grammaticali del sindarin (al 2018) (6). E poi, tenetelo bene a mente, il sindarin ha anche molti dialetti. Ad esempio, il sindarin usato a Imladris era particolare, perché molto influenzato dal quenya. Ce lo dice lo stesso Tolkien: «The language is sindarin, but of a variety used by the High Elves (of which kind were most of the Elves in Rivendell), marked in high style and verse by the influence of Quenya, which had been originally their normal tongue» (The Road Goes Ever On, p. 71).

Se alcuni appassionati non vogliono studiare le grammatiche scritte da Tolkien, altri pretendono che l’elfico sia una strana entità fluida, una massa molto complicata di regole in continuo cambiamento, troppo difficile per essere completamente capite, per non parlare di usarle. Quest’ultima è anche l’opinione di Carl F. Hostetter, che si può leggere nel saggio Elvish as She Is Spoke. Non sono d’accordo con lui: non è impossibile usare le lingue elfiche di Tolkien. Bisogna solo tenere presente che la logopoeia di Tolkien è cambiata nel corso del tempo, dividendola in periodi o fasi per capire il suo lavoro (si può leggere il mio articolo «An External History of the Elvish Languages» Mythprint vol. 48, nº9, September 2011, pp. 8-9).

Tolkien non completò il sindarin, potete leggere su un’altro di questi libri:
A Fan’s Guide to Neo-sindarin di Fiona Jallings (p. 8, inglese Tolkien didn’t finish Sindarin). Questa affermazione non ha senso e si basa solo sull’immaginazione della sua autrice. Ci sono centinaia di manoscritti inediti. E comunque nessuna descrizione scritta di un linguaggio naturale potrà mai essere chiamata completa.
Quest’affermazione è il pretesto per diventare un sostituto di Tolkien: dal momento che lui non ha finito, lo farò io. Se il quenya o il sindarin non fossero stati non finiti e incompleti, difficilmente avremmo potuto chiamarli «lingue» (7). E qualsiasi studio serio dei loro vocabolari e delle loro grammatiche sarebbe piuttosto inutile. Tolkien scrisse una descrizione delle regole grammaticali per il quenya e il sindarin. L’autore scrisse centinaia di pagine sulla fonologia delle lingue elfiche, sulla loro morfologia e sulla sintassi. Purtroppo, la maggior parte della grammatica sindarin è ancora inedita. Come lo sappiamo? Un esempio ne è questo commento di Arden Smith in Vinyar Tengwar: «‘Quenya C’ contains a two-page text on the mutation of initial consonants in sindarin, typed on the back of Alien & Unwin waste paper from Jan.-Feb. 1968» (VT:47, p. 19). Smith ha accesso a tutti i manoscritti inediti sulle lingue elfiche scritte da Tolkien (ci sono centinaia di pagine contenute in sette scatoloni (8)). Anche se alcuni testi e poesie in sindarin sono stati pubblicati, le due pagine citate da Smith, menzionate nel 2005, ad oggi (2018) non sono ancora state pubblicate. Tolkien scrisse moltissimo sulle regole grammaticali del sindarin, di cui purtroppo abbiamo solo qualche indizio. Come quest’altra citazione: «If Celebrimbor had wished to make himself perfectly clear to anyone who knew sindarin, he would have written pedo beth mellon ‘say the word (peth) mellon’» (VT:44, p. 26). La frase è tratta da un lungo testo inedito dedicato alla grammatica del sindarin e alla famosa frase scritta sulle Porte di Moria. E anche questo scritto da C. Gilson: «Tolkien would give a great deal of thought to the question of Sindarin lenition, with extensive, often very rough tables and notes on the various phonetic developments in the history of this language. The consideration of existing examples with or without lenition of m or its internal change to v, both published and in the “Silmarillion” and related writings, led to full consider­ation of the history of Sindarin as spoken in Beleriand, and its dialects.» (PE:17, p. 5). Tutti questi testi di Tolkien sono oggi (2018) ancora inediti, purtroppo. Quindi, spero mi crederete quando scrivo che Tolkien ha descritto le molte regole grammaticali del sindarin. È il lavoro generale sulle lingue elfiche che Tolkien lasciò incompleto, come è accaduto per il Silmarillion. Tolkien si perse nel definire i dettagli (9). C. Tolkien scrisse nel 1982 che suo padre cambiò spesso idea sulle lingue elfiche, che è quasi impossibile capire i suoi scritti: «Some early phonological description does exist for Qenya, but this became through later alterations and substitutions such a baffling muddle (while the material is in any case intrinsically extremely complex) that I have been unable to make use of it» (H.O.M.E. I, The Book of Lost Tales I, p. 247). Non sono d’accordo con Christopher Tolkien su questo argomento. La prima descrizione grammaticale di suo padre fu pubblicata interamente soltanto nel 1992 (PE:12). Per un linguista e chi ha le sue conoscenze capire questo testo è piuttosto facile. Noi come aspiranti parlanti elfico dobbiamo affrontare delle scelte tra le molte regole che Tolkien costruì su un periodo molto lungo di tempo. Questo è il motivo per cui io ho diviso la sua logopoeia in fasi o stadi. Se proverete a comprendere un testo elfico scritto da Tolkien negli anni Sessanta usando le regole grammaticali da lui concepite negli anni Venti, sicuramente non riuscirete a comprendere quel testo e commetterete molti errori.

Il numero totale di vocaboli pubblicati in quenya fino a oggi non è enorme come un linguaggio naturale, ma neanche minimo: circa 6000 lessemi nel 2018. Se si tiene conto di tutte le forme flesse pubblicate (10), allora il numero di parole in quenya fino a circa 10.000. Il sindarin è più difficile da contare, perché bisogna tenere conto anche di goldogrin e noldorin. Se sommiamo le parole di queste lingue, tutte ispirate sulla lingua gallese, si possono oggi raggiungere i 7000 lessemi. In queste lingue, però, i nomi ha diverse forme mutate, come ad esempio duilin «rondine», i·dhuilin «la rondine», plurale i·nuiliniath «le rondini» (PE:13, p. 120). Ricordate il casato della Rondine di Gondolin, sotto il signore Duilin?

Il quenya della ultima fase (circa 1949-1973) concettuale possiede più casi del latino, ma meno della lingua finnica. La coniugazione verbale è piuttosto regolare. Il quenya è una lingua molto flessa (11). Come il latino? Non esattamente. In questo tipo di lingue, le parole mostrano i legami grammaticali in maniera morfologica: esse di solito hanno più di un morfema, ma — diversamente dalle lingue agglutinanti — non c’è alcuna corrispondenza uno a uno tra questi morfemi e la sequenza lineare dei morfi. In lingue come il latino, il greco e l’arabo, le forme flesse delle parole possono rappresentare diverse opposizioni morfologiche: ad esempio, in latino amo è una parola che rappresenta simultaneamente il tempo, la forma attiva, la prima persona singolare e l’indicativo. Questa fusione di proprietà ha portato questi linguaggi a essere chiamati fusivi. Il quenya non è una lingua fusiva, ma è agglutinante, che significa che le parole hanno una sequenza lineare di elementi distinti e ognuna delle parti grammaticali è rappresentata da un proprio elemento facilmente distinguibile (per esempio q. falma-li-nna-r tradotto letteralmente da Tolkien in inglese «foaming waves-many-upon-plural», onde spumeggianti-molte-sopra-plurale). Come sempre in simili classificazioni, le categorie non sono chiare: lingue differenti mostreranno la tendenza all’inflessione a un livello maggiore o minore. Le lingue con il maggior grado di agglutinazione includono il turco, il giapponese e il finnico.

Se volete studiare l’elfico e provare a usare le lingue di Tolkien dovreste pensare bene a qual è il vostro obiettivo, che può essere uno di questi due:

  • voglio capire lo scopo e le lingue di Tolkien;
  • voglio seguire una strada personale, creando un nuovo linguaggio costruito

E una volta che vi siete decisi, vi prego rimanete nel vostro ambito e non mischiate le cose!

Resta un ultimo problema di cui parlare, i nomi «elfici». I nomi che la gente si inventa. Ovviamente ognuno ha il diritto di inventarsi ciò che vuole e moltissima gente tenta di inventarsi degli antroponimi (nomi propri di persone) «elfici» perché li trovano belli. Siccome l’arte della creazione dei nomi elfici (quenya essecarme, letteralmente «name-making») è complicata, io suggerisco ai Tolkiendili di scegliersi un nome tra quelli che Tolkien ha inventato. Ce n’è a sufficienza per tutti. Il vero problema è quando dei fan inventano dei nomi e sostengono che sia elfico autentico. Quindi nella vita reale voi potete inventare un nome proprio italiano ed utilizzarlo? No, ovviamente. E io nemmeno, non posso inventare dei nomi francesi. O, cosa ancora più bizzarra, tradurre un antroponimo. È impossibile tradurre un nome proprio di persona, perché non è una cosa (come mela, sedia), ma un’etichetta per designare un essere unico. In Europa, i nomi propri non hanno alcun senso (in altre ragioni del mondo è differente). In Europa, i nomi propri hanno un’etimologia. Un tempo, 1000 anni fa o più, essi erano composti di parole. Al giorno d’oggi, io non sono Guardiano della prosperità. In Italia io non dico « Ciao mi chiamo Guardiano della prosperità ». Rischio di far ridere e soprattutto nessuno comprenderà che mi chiamo Édouard. L’antroponimo antico inglese Ēadweard (« prosperity-guard » in inglese moderno, (12)) è stato adattato ai suoni delle lingue d’Europa e non tradotto: in francese Édouard, in italiano Edoardo, ecc.

No, incollare delle parole elfiche insieme non creerà un nuovo antroponimo. Anche trasformare un nome proprio inventato da Tolkien non creerà un nuovo nome proprio elfico, ma un’orribile barbarie.

Spesso i fan distorcono l’intenzione di Tolkien, dando l’impressione che ciascun nome proprio che egli ha immaginato possieda un unico significato, e che questo sia sicuro. Tolkien, che voleva copiare la realtà, sapeva che l’onomastica è molto complessa. Spesso non si sa l’etimologia di un nome proprio reale. Ce ne sono diverse. Quindi Tolkien faceva attenzione a non affermare nulla con certezza riguardo all’etimologia dei nomi propri. Per esempio, egli scrive: «Makalaure of uncertain meaning. Usually interpreted (and said to have been a ‘prophetic’ mother-name) as ‘forging gold’,» (H.O.M.E. XII, The Peoples of Middle-earth, p. 353). Comprendete perché è sempre necessario citare le fonti? Tolkien non spiegò come tradurre gli antroponimi italiani in quenya o sindarin, ma lui scrisse molto su come gli Elfi inventavano i propri nomi (qui Elfi = Tolkien). Ecco un estratto:

  • «The most frequent types of anessi [added-names] were naturally adjectives: tall, high, grey, golden, fair, wise, etc.: alone or combined or personalized by addition of -ō, -mō, -rō, etc. (for males), -ē, -lē, -mē, etc. (for females); possessive compounds such as Q. Singollo; S. Erchamon (Q. Erekambo) “Onehand(ed)”; Q. Malaphinde [Malafinde] “Goldilocks”, etc.; and the words made with -ndīl, or the similar -ndūr, which originally meant ‘attend, tend’, as in Ithildur, Isildur, or Valandur. The mere names of things, such as ‘hill’, ‘river’, ‘tree’, and especially of unique things, as ‘sun’, were not used, at any rate without differentiation: Aldar, Orontor, and the like: for that would imply some kind of total equation or identity. An Elf (or Man) would not be called Anar ‘Sun’ even to depict great glory or radiant vigour.» (PE:21, p. 86)

Come potete constatare leggendo questa spiegazione tecnica di Tolkien, i veri antroponimi elfici non hanno che molto poco in comune con quelli veri in generale, e quindi quelli italiani. I fan non traducono, loro inventano, immaginano. C’era solo Tolkien che poteva tradurre. Così egli ha tradotto il suo cognome in quenya: Arcastar (Arkastar). Ma per il momento non conosciamo l’etimologia di questo nome. Io penso di non di sbagliare nel dire che J.R.R. Tolkien ha scritto una nota su questo argomento, ma ahimè essa non è stata pubblicata.

Da un lato spiegare il lavoro di Tolkien e dall’altro dire: «Noi fan inventiamo, noi non traduciamo. Non sappiamo come si fa. I nostri nomi elfici non sono in quenya o in sindarin. È solo per divertimento». Elencare in questo modo degli antroponimi elfici senza spiegare, fingendo di seguire le regole di Tolkien senza mai citarle crea una grande confusione.

Penso che dopo aver letto quanto scritto, ora sappiate bene che il quenya e il sindarin di Tolkien sono lingue, delle lingue a sé stanti. Esse hanno una storia inventata da Tolkien molto ricca e un’evoluzione nel corso del tempo (diacronia). Poiché sono lingue, esse hanno regole, come tutte le lingue storico-naturali, e quindi si può sbagliare se non si seguono le regole. È solo seguendo le regole grammaticali di Tolkien che si evitano errori e si possono comporre testi in quenya o in sindarin. Sebbene siano state pubblicate pochissime regole per il sindarin, ci sono molte delle regole per il quenya (ma non tutte). Per capire le lingue elfiche, apprenderle e usarle, bisogna dedicarci tempo e studiare.

Leggiamo in vari scrittori (Drout, Pesch) e su internet che esistono lingue neo-elfiche: il neo-quenya e il neo-sindarin. Ma non è esatto, le lingue neo-elfiche non esistono o piuttosto non sono lingue. Scrivere: Something wure mi expectatione [sic] non fa sì che chi lo ha scritto sia il creatore di un linguaggio neo-inglese, e neanche scrivere: Alaghioru saranno alboro dormirenene [sic] vi faranno divenire il creatore di una nuova lingua neo-italiana. Per creare un neo-linguaggio bisogna prima di tutto essere un linguista, conoscere bene le regole di una lingua elfica di Tolkien e da lì costruire una nuova lingua elfica. Che lavoro! Coloro che costruiscono quello che chiamano neo-sindarin e neo-quenya solo raramente citano le grammatiche di Tolkien e quasi mai spiegano quel che fanno (per esempio, cambio questa cosa scritta da Tolkien, perché ho inventato una certa nuova regola). Ciò che costruiscono non sono lingue. Essi deformano a piacere il poco di ciò che capiscono della logopoeia di Tolkien. Per i film di Peter Jackson, David Salo ha inventato Hannon le. Non esiste alcuna parola hannon nel corpus pubblicato del sindarin, né qualcosa del genere. Questa espressione non è basata su alcuna regola del sindarin, ma su una decisione arbitraria di Salo. È una pura invenzione. Quando David Salo inventa
tolo dan nan galad
e afferma che significa «come back to the light» (ritorna alla luce) in sindarn, si sbaglia. Il verbo sindarin tradotto da Tolkien «return, go back, come back» (ritornare, fare ritorno, tornare) è dan-tol- > dandol-, letteralmente back come (PE:17, p. 166). La lingua sindarin non ha la stessa sintassi né le stesse regole di formazione delle parole dell’inglese. Alcuni fan del film diranno che è neo-sindarin. Io dico che è senza senso. L’uso sgrammaticato di una lingua non crea un nuovo linguaggio, nella migliore delle ipotesi può dare adito a un codice della lingua di partenza, nel peggiore a una curiosa bizzarria incomprensibile.

Molti di coloro che compongono testi neo-elfici non sono realmente interessati a J.R.R. Tolkien o alle vere lingue elfiche. Vanno solo di fretta. Per loro, il professore era un po’ confusionario. Pretendono di essere in grado di migliorare il suo lavoro. È uno strano atteggiamento, non credete?

Doriath - Kimberly80, DeviantartGli studenti seri delle lingue elfiche si trovano davanti un compito piuttosto difficile, trovare la loro strada in questo labirinto. Ripeto, non ho nulla contro le persone che vogliono costruire le proprie lingue. Ma quello che sta succedendo è molto diverso. I fan pensano di non avere regole da seguire e nessun limite a cui fermarsi. Questi fan preferiscono inventare le loro regole e hanno completamente dimenticato Tolkien, ma fingono il contrario. Credetemi quando dico che gli studi seri delle lingue elfiche sono in difficoltà! I siti e i libri sulle lingue elfiche di Tolkien non hanno solo qualche errore, ma sono pieni di errori e interpretazioni errate. Nel mio lavoro cerco di capire l’elfico come una creazione di Tolkien. E ricordate, il punto importante è che le lingue elfiche non sono un miscuglio informe. Una lingua non funziona secondo le opinioni, come si vorrebbe, ma seguendo regole rigorose e molto precise. Le lingue elfiche sono state pazientemente costruite da J.R.R. Tolkien. Alcune persone distruggono la sua opera, per ignoranza o di proposito. Io preferisco seguire le regole di Tolkien. Ma se non volete, va bene. Non c’è nessun problema. Siete pregati di inventare il vostro codice o anche una lingua nuova. Può essere divertente. Facendolo, potreste persino imparare una o due cose. Ma per favore, non chiamate la vostra invenzione quenya o sindarin.

So, let’s go Elvish! En avant pour l’elfique! Iniziamo a studiare e parlare le lingue elfiche di Tolkien!

Edouard Kloczko

Simboli:
‽ = parola che ho dedotto da una regola conosciuta di Tolkien;
** = parola errata, impossibile o scritta male;
[ ]= il mio commento, o spiegazione, o nota.

Note:

1. La prima edizione di Parma Eldalamberon n° 11 fu di (!) 60 copie. Contiene alcuni errori tipografici corretti solo nella nuova edizione del 2008. Ma attualmente anche questa edizione di PE è esaurita e non ottenibile, come tutti i numeri di PE, eccetto il n° 21 e 22.

2. Luca Timponelli ha scritto: «Inoltre Kloczko esclude arbitrariamente dal corpus dei test i Quenya le traduzioni di Tolkien di Pater Noster e Ave Maria, giustificando questa scelta con il doversi calare all’interno del mondo della Terra di Mezzo, nel quale certamente quelle preghiere non possono essere state recitate.» È ridicolo! Ecco cosa ho scritto nel mio libro Lingue Elfiche: «Tolkien ha composto numerosi altri testi in quenya, come una traduzione del Pater Noster e dell’Ave Maria. Ma sono ancora inedite e sfortunatamente non siamo in grado di poterle citare» (p. 149). Non ho mai pensato di escludere questi due testi molto importanti dai miei studi e corsi. È una diffamazione. Il mio libro è stato pubblicato nel 2002, ma soprattutto scritto nel 2001, prima della pubblicazione di questi testi in VT:43. Dubito comunque che Timponelli abbia letto il mio libro. Ma che altro aspettarsi da qualcuno che vuole insegnare senza prima studiare? Timponelli ha scritto: «Si presenta, a differenza dell’opera di Kloczko, con lo scopo di insegnare a usare una lingua, non di studiarla». Non una sola volta in questa grammatica si troverà una citazione diretta dai testi grammaticali di Tolkien. Potete capire facilmente perché questa grammatica è piena di errori. Timponelli ha torto quando scrive: «il Quenya viene anche indicato con il termine Parmalambë (“lingua letteraria”) e Tarquesta». Parmalambe e tarquesta sono due cose diverse, come spiega Tolkien: «Galadriel’s song is in Quenya Tarquesta, that is the ‘colloquial’ form of the language» (PE:17, p. 76). Parmalambe (o Parmaquesta) è la forma classica del quenya. Tolkien spiega: «Quenya is in its written form also called Parmaquesta, or ‘book-language’. This is the ‘Elf-latin’ and is retained in spelling and grammar even as it was of old. It is used still in Valinor and in Eressea for many kinds of writing: histories, legends, hymns, poems, and other lore» (PE:18, p. 75). È un po’ come quello che sta succedendo in Grecia tra demotico e katharèvousa. E ci sono regole diverse per questi due idiomi. Ad esempio, il verbo hyar- «fendere» (inglese cleave) ha due coniugazioni al passato hyande e hyarne. La forma hyarne è usata solo in tarquesta, come spiega Tolkien (PE:22, p. 102). In parmaquesta è necessario usare l’accusativo marcato, ovvero una forma di accusativo differente dal nominativo (n. lasse, a. lassé); ciò non avviene in tarquesta (n. & a. lasse). Una buona grammatica del quenya deve sempre fornire queste precisazioni. Le grammatiche delle lingue elfiche (quenya e sindarin) sul sito web www.eldalie.it sono piene di forme errate (declinazioni e coniugazioni), fantasticate o immaginate senza seguire in nessun modo le regole di Tolkien. Il perfetto di verbo hyar- è ahyárie (PE:22, p. 102) e non **aryárie. «Piegare, piegarsi» (inglese bend) se dice cauta- in quenya (PE:16, p. 100) e non caw- che significa «inchinare» (inglese bow, make obeisance, PE:12, p. 45; attenzione, abbiamo solo la forma coniugata kawin). Il verbo ser- «riposare» (inglese rest) coniugato al perfetto è esérie (PE:22, p. 102) e non **erérie, ecc.

3. « By-forms of ablative as –ldo and of inessive –ste, » (PE:16, p. 113). « Locative, adessive or inessive: –, with ‘fortified’ forms –ssē, -stē, » (PE:21, p. 79).

Aníron - testo4. « Our home, ‘home’ in its emotional uses as the place of one’s birth, or the familiar places from which one was separated by journeys of necessity, or driven out by war. » (PE:17, p. 109)

5. « Nouns ending in –te make plural in –tsi (-si after í, ú, consonant, or diphthong — but long vowel á, é, ó is shortened before ts), » (PE:21, p. 7).

6. La parola che Roma Ryan ha usato come titolo della sua canzone, Aníron, non appare nel corpus di vocaboli pubblicati. Si può trovare soltanto e aníra, che sono tradotte da Tolkien «egli desidera» (inglese he desires in Sauron Defeated, p. 129). E basta. Nessuno sa come coniugarlo, o che tipo di verbo sia. Sappiamo (PE:17, p. 132; vedere la pagina all’inizio del mio articolo) che in sindarin «io cresco» è galon, ma «io faccio» è cerin, non **ceron. Se si sa come coniugare un verbo elfico, ciò non significa che si sappia come coniugare tutti i verbi elfici. Questo è esattamente ciò che è la generalizzazione affrettata. Roma Ryan ha fabbricato Aníron solamente con la sua immaginazione e non seguendo le regole di coniugazione del sindarin, che né lei, né noi sappiamo.

7. Tutti i linguaggi naturali hanno: (1) un insieme finito di suoni; (2) unità sonore che si percepiscono come parole; (3) regole per abbinare insieme le parole in quelle che sono solitamente chiamate frasi e (4) strategie per usare le frasi in vari modi personali e sociali. Negare lo stato di una lingua al quenya o al sindarin sarebbe piuttosto imbarazzante sapendo che Tolkien ha scritto estesamente su tutti questi quattro componenti.

8. J.R.R. Tolkien ha lasciato gli scritti linguistici sulle sue lingue elfiche in 7 grandi scatole di documenti, e Christopher Tolkien si è in seguito riferito ad esse nominandole come Quenya A, B, fino a Quenya G per poterle identificare precisamente. Sì, non un paio di scatole, ma addirittura 7, miei mellyn (PE:22, p. 141).

9. Tolkien scrisse nella lettera n° 347, nel dicembre del 1972, meno di un anno prima della sua morte: « I am afraid it is unfair on linguistically minded readers not to provide them with more material. I should like to. But though I may leave behind me sufficiently ordered matter, at 81 I have no time. » The Letters of J.R.R. Tolkien, p. 427. Tolkien pensava di lasciare i suoi scritti linguistici sulle lingue elfiche in uno stato sufficientemente ordinato perché i futuri Tolkiendili potessero leggerli e comprenderli. È necessario attendere la pubblicazione di questi numerosi testi che è lungi dall’essere ancora finita; vedere nota 8.

10. Orome è un lessema. Conosciamo 19 forme declinate di nome Orome (o Oromë): Oromea, Oromen, Oromeo, Oroménen, Oromehta, Oromello, Oromexe, Oroméva, Oromendon, Oromexon, Oroment, Oromet, Oromeu, Oromémet, Oromehta, Oromehtau, Oromellut, Oromexet, Oroméli (PE:21, p. 41).

11. « highly inflected language like Quenya, » The Road Goes Ever On, p. 69. [12] A Dictionary of English Surnames di P. H. Reaney, 3a edizione di R. M. Wilson. Routledge: London e New York, 2006.

12. A Dictionary of English Surnames di P. H. Reaney, 3a edizione di R. M. Wilson. Routledge: London e New York, 2006.

Vorrei ringraziare Roberto Arduini e Valérie Morisi per il loro aiuto nel tradurre questo articolo in italiano. Ma tutti gli errori e le opinioni sono mie e sono vincolanti solo per me.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Ecco svelata l’arte di scrivere in Tengwar
– Leggi l’articolo Ecco perché l’elfico è meglio dell’Esperanto
– Leggi l’articolo A Bruxelles un corso per le lingue elfiche
– Leggi l’articolo Il 20 gennaio a Bologna il corso di lingue elfiche

LINK ESTERNI:
-Vai alla pagina facebook di Edouard Kloczko
– Vai al sito di Parma Eldalamberon
– Vai al sito science and fiction
– Vai al sito di Vinyar Tengwar
– Vai al sito di Quenya di Helge Fauskanger
– Vai al sito dell’associazione Eldalië
– Vai al sito Quenya.101
– Vai al sito di Ardalambion
– Vai al saggio Elvish as She Is Spoke
– Vai al Wikibook-Quenya
– Vai al Ardalambion.immaginario
– Vai al libro A Gateway to Sindarin di David Salo
– Vai al libro The Languages of Tolkien’s Middle-earth di Ruth S. Noel
– Vai al libro Das große Elbisch-Buch di Helmut W. Pesch
– Vai al libro Le lingue degli Elfi della Terra di Mezzo di Gianluca Comastri
– Vai al libro Essecenta di Roberto Fontana
– Vai al libro J. R. R. Tolkien Encyclopedia: Scholarship and Critical Assessment di Michael C. Drout

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Il Google russo ora traduce in Sindarin

Traduzione SindarinGli appassionati di J.R.R. Tolkien che conoscono il russo da qualche giorno hanno molte più possibilità di divertirsi con il sindarin. Yandex, cioè il motore di ricerca sul web più usato in Russia, ha infatti appena reso disponibile un servizio di traduzione online in sindarin, il grigio elfico, la lingua immaginaria creata dall’autore inglese, di cui molte frasi possono essere lette nel Signore degli Anelli. In realtà il servizio esisteva già, Yandex.Perevdochik, una sorta di Google Translator per la Russia, e il lancio della nuova funzione è stato fatto per celebrare il 124esimo anno della nascita dell’ideatore della Terra di Mezzo, il 3 gennaio del 1892. Yandex, nata come società nel 2000, è il motore di ricerca più popolare in Russia e il sito web più visitato, tanto da coinvogliare il 57,1% di tutto il traffico di ricerca all’interno della Federazione ed è molto usato anche in Ucraina, Kazakhstan, Bielorussia e Turchia.

Un’operazione di marketing?

Sede di Yandex a Mosca«Il nostro team ha studiato i manoscritti in questa lingua elfica scritti dall’autore inglese e ha tentato di ripristinare una delle più diffuse lingue della Terra di Mezzo usando la tecnologia di apprendimento automatico e la magia…», ha spiegato la società in un comunicato stampa. «Ora sarà possibile sapere come si dice in Sindarin, per esempio, “il mio tesoro” o “Non puoi passare”», si legge nel comunicato, che cita alcune tra le frasi più famose di personaggi come Gollum e Gandalf, rese celebri dalla saga cinematografica di Peter Jackson. «La nostra équipe è ancora alla ricerca di persone che parlano fluentemente il sindarin per migliorare la qualità della traduzione», ha concluso Yandex.
Libri: Lingue ElficheIl traduttore online può tradurre in Sindarin qualsiasi frase proveniente dalle 66 lingue gestite normalmente dal servizio di traduzione online, italiano compreso. Il traduttore russo usa l’alfabeto Tengwar, un sistema di scrittura sempre ideato da Tolkien per trascrivere questa lingua elfica. Il Sindarin è il primo linguaggio immaginario inserito da Yandex nel suo servizio di traduzione, che però comprende lingue regionali diffuse in Russia, come il tartaro. In precedenza, soltanto Google aveva aggiunto al suo traduttore il sistema “Aurebesh”, usato per rappresentare graficamente il linguaggio Galattico Base di “Guerre Stellari”. Era la strategia di Google per essere parte dell’uscita della nuova pellicola della saga. La decisione del Google russo sembra andare in questa direzione, cioè apparire una valida risorsa servizio per gli utenti russi.

Elfi e Hobbit in Russia

Book Tolkien LOTR One Volume Russian Azbuka Klassika 2002I libri di Tolkien sono diventati molto famosi in Russia solo negli anni Novanta, quando Il Signore degli Anelli è stato pubblicato ufficialmente per la prima volta a Mosca (1990). In precedenza, in realtà, circolavano non meno di dieci diverse traduzioni amatoriali che venivano diffuse in maniera clandestina tra gli appassionati. Il mondo dei fan Tolkien in Russia da quel momento è cresciuto rapidamente a partire dagli studenti dell’Università statale di Mosca. Ancora oggi in Russia e Kazakhstan, vivono comunità di neoelfi e neohobbit che organizzano grandi raduni in costume, a metà tra festa giovanile e protesta sociale su tematiche vagamente ecologiste, osteggiati e talora repressi dalle polizie locali. Tra i 143 milioni di russi rilevati dell’ultimo censimento ufficiale (2002) Signore degli Anelli in russoci sono alcune decine di migliaia di Antichi Romani, insieme a 600.000 Elfi e Hobbit e 150.000 Jedi. In base alla Costituzione della Federazione Russa «ogni cittadino ha il diritto di stabilire e dichiarare la propria nazionalità». Secondo il presidente dell’associazione “Terra di Mezzo di Tolkien”, Askar Dugambayev, in totale le persone che sentono di appartenere a nazionalità fantastiche sono circa un milione in Russia. Non stupisce quindi che Yandex guardi ora anche a questi potenziali nuovi utenti. Ma considerando che gli scritti di Tolkien non permettono di ricostruire interamente il linguaggio Sindarin e che molti manoscritti sono ancora inediti, questa operazione pubblicitaria potrebbe sollevare molte polemiche tra i linguisti.

 

LINK ESTERNI
– Vai al sito ufficiale di Yandex

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I Tolkien seminar a Lucca Comics 2014

Lucca Comics 2014Tutto pronto per la nuova edizione di Lucca Comics & Games, il Festival internazionale dedicato al fumetto, al gioco e all’illustrazione, che si terrà a Lucca dal 30 ottobre al 2 novembre. Ecco servito il nostro aperitivo in attesa del film Lo Hobbit – La Battaglie delle Cinque Armate, tratto dal romanzo di John Ronald Reuel Tolkien, terzo e ultimo capitolo della trilogia cinematografica firmata dal regista neozelandese Peter Jackson, già al timone della celebre saga del Signore degli Anelli. Quanti vorrebbero approfondire in maniera seria alcuni dei temi trattati dallo scrittore inglese? L’Associazione torna a Lucca Comics and Games 2014 portando i suoi seminari quest’anno dedicati ad alcuni temi espressamente richiesti dai lettori di Tolkien: «Sogni, lingue e mitologia nelle opere di J.R.R. Tolkien».

I giochi di ruolo e Tolkien

Frank MentzerAnche quest’anno a Lucca si festeggia un avvenimento importante nel mondo del gioco di ruolo: i 40 anni di Dungeons&Dragons. Correva infatti il 1974 quando Gary Gygax assemblava in casa sua, personalmente, le prime scatole di D&D, dando vita, assieme all’amico Dave Arneson, a un movimento inarrestabile giunto fino a oggi. Tra le Guest of Honor che costituiranno la punta dell’iceberg delle decine di ospiti del panorama games, quest’anno c’è anche Frank Mentzer, protagonista della rivoluzione di Dungeons & Dragons, che quest’anno sarà celebrato adeguatamente a Lucca Games 2014. Frank Mentzer è stato direttore creativo alla TSR negli anni ’80 ed è universalmente noto per aver revisionato le regole a del D&D base creando in cinque boxed set (Basic, Expert, Companion, Master ed Immortal) tradotti in 11 lingue e venduti in milioni di copie in tutto il mondo. Se Gary Gygax è il creatore di Dungeons&Dragons, Mentzer né è sicuramente il suo più noto divulgatore, anche per aver fondato nel 1980 la RPGA (Role Playing Game Association), un’associazione nata per promuovere il gioco di ruolo di qualità e favorire gli incontri tra giocatori. Per l’occasione, venerdì 31 ottobre, dalle 11 alle 13, Mentzer porterà agli Educational la sua conoscenza del Gioco di Ruolo in un incontro dal titolo Game Master Masterclass. Il Caso della Magia Scomparsa è stato il primo modulo d’avventura creato da Frank Mentzer: così Lucca Games e Wild Boar Edizioni lo presentano in tiratura limitata, Modulo D&D: la magia scomparsaarricchita da un articolo sulla storia di D&D, il gioco di ruolo all’origine di tutti i giochi di ruolo, e da un’illustrazione di Emanuele Manfredi. Ma i festeggiamenti continuano con un torneo imperdibile, che durerà per i quattro giorni di Lucca Comics & Games (30 ottobre-2 novembre), che corrisponderanno alle quattro scatole di Dungeons&Dragons: quella rossa, quella blu, quella verde e infine la nera. Ogni giorno un’avventura, legata da un unico fil rouge, ma ognuna giocabile separatamente, per rivivere tutte le emozioni legate a questo epico gioco.

I seminari

Seminari educational 2014Come ogni anno il festival di Lucca si prefigge lo scopo di offrire al suo pubblico, sempre più numeroso e affezionato (220mila le presenze della passata edizione), un palinsesto variegato di eventi e personalità unico nel suo genere. I seminari si prefiggono, infatti, l’obiettivo di approfondire alcuni aspetti delle opere dell’autore, anche su tematiche meno conosciute. Naturalmente i seminari di Lucca Games educational sono ad accesso gratuito: è sufficiente avere il biglietto dell’ingresso per il giorno dell’incontro. È però richiesta l’iscrizione inviando una e-mail a segreteria degli Educational. Ci si può iscrivere a un qualsiasi numero di seminari, ma non a seminari che si svolgono nello stesso orario. Leggere bene tutte le istruzioni per l’iscrizione nella pagine della sezione Educational. Ecco, qui di seguito, il programma dettagliato:

Il Silmarillion: ambarkantaSabato 1 novembre 2014 – ore 11,00-13,00 – I TEMPI REMOTI DEL SILMARILLION di Giampaolo Canzonieri (saggista e traduttore, è membro del Comitato scientifico che cura la collana “Tolkien e Dintorni” per la Casa Editrice Marietti 1820 e socio dell’Aist), presenta Roberto Arduini (giornalista, saggista, presidente dell’Associazione italiana studi Tolkieniani): un’illustrazione delle storie, dei fatti, delle tematiche e degli spunti di riflessione sottesi a quella parte dell’opera di Tolkien che tratta della cosiddetta “Prima Era” del Mondo. È la parte da lui stesso più amata, cui egli dedicò una vita intera senza mai aver la soddisfazione di vederla pubblicata, per ragioni dovute in parte anche al suo peculiare approccio allo scrivere. Si percorreranno le storie componenti la prima parte del Silmarillion pubblicato, da non confondere con Il Silmarillion concepito. Partendo dall’Ainulindalë, il racconto teologico/cosmogonico della Creazione, si proseguirà con il Valaquenta, il “Novero dei Valar”, e infine si accennerà al Quenta Silmarillion. Quest’ultima è la parte più corposa, che narra gli eventi della Prima Era cui nel Signore degli Anelli si accenna di frequente, in modo intenzionalmente vago, per creare quell’impressione di profondità che è una delle principali forze del romanzo. Non ci si limiterà a “raccontare” l’Opera, ma si cercherà di porre l’attenzione su una serie di aspetti e implicazioni che una semplice lettura, per quanto attenta, difficilmente può rivelare. | Per iscriverti a questo seminario vai qui

Tempo e J. W. DunneSabato 1 novembre 2014 – ore 16,30-18,30 – SOGNO, TEMPO E PROFEZIA IN J.R.R. TOLKIEN di Claudio Testi (filosofo, saggista, segretario dell’Istituto tomistico di studi filosofici), presenta Roberto Arduini (giornalista, saggista, presidente dell’Associazione italiana studi Tolkieniani): La prima parte del seminario sarà dedicata a un esame del clima culturale e delle principali fonti (letterarie e non solo) in cui e da cui si sviluppa la concezione del sogno presente nell’opera tolkieniana. Questa riflessione si intreccia in Tolkien con una particolare «filosofia del tempo»: per questo particolare attenzione sarà dedicata all’opera di John William Dunne Un esperimento con il tempo, che ha certamente influito sull’idea elfica del tempo, che ha nel soggiorno a Lorien la sua più bella manifestazione artistica. Ma sogno e tempo non possono essere trattati disgiuntamente dal tema della profezia e del fato: a questo sarà dedicata l’ultima parte del seminario, tesa a mostrare come in Tolkien la concezione del fato, non si può sovrapporre in maniera identica né all’idea pagana di destino né alla provvidenza cristiana. | Per iscriverti a questo seminario vai qui

Le tengwar e il sindarinDomenica 2 novembre 2014 – ore 14,00-16,00 – IL VIZIO SEGRETO DI TOLKIEN: UNA PASSIONE PER LE LINGUE di Roberto Arduini (giornalista, saggista, presidente dell’Associazione italiana studi Tolkieniani): Tolkien era un filologo e conosceva i meccanismi di funzionamento di molte lingue antiche e moderne. Non stupisce quindi che fosse in grado di idearne di nuove. Erano proprio le sue creazioni linguistiche a dargli continui spunti per le storie. «Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro – scrive Tolkien – è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero». Creare lingue era quello che Tolkien considerava il suo “vizio segreto”. Le regole per le variazioni sonore furono disegnate in modo che le lingue elfiche ebbero il genere di musicalità che Tolkien cercava: l’uno prossimo alla fonologia “finnica” (Quenya), l’altro molto simile al gallese (Sindarin). «Avrei preferito scrivere in elfico Il Signore degli Anelli!», ammette Tolkien, spiegando poi che «tranne che per alcuni frammenti nella Lingua Nera di Mordor [l’iscrizione sull’Anello, una frase pronunciata dagli orchi di Barad-dûr e la parola “Nazgûl”], un po’ di nomi e un grido di battaglia nella lingua dei Nani, questi sono quasi interamente elfici (Sindarin e Quenya)». Il seminario vuole illustrare la passione dello scrittore per le lingue e come maturò il suo gusto estetico. | Per iscriverti a questo seminario vai qui.

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“Soli verdi” di Verlyn Flieger: ecco la recensione

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Nuovo libro Verlyn FliegerMolti lettori ci hanno scritto chiedendoci informazioni più dettagliate sugli scritti di Verlyn Flieger. Ecco la recensione al suo ultimo libro, l’antologia che raccoglie i saggi degli ultimi 30 anni. Scritta da Douglas C. Kane, è apparsa su Mythprint n.49, nel luglio 2012, la rivista della Mythopoeic Society. La Traduzione è curata da Erin, che ringraziamo cordialmente. Buona lettura:
La pubblicazione dell’ultimo libro di Verlyn Flieger “Green Suns and Faërie: Essays on J.R.R. Tolkien” è un importante pietra miliare nel settore degli studi su Tolkien. Ho esitato a chiamarlo il libro più importante della Flieger, dopo tutto, ognuno dei suoi precedenti 3 libri sullo stesso argomento sono una lettura essenziale per chiunque sia interessato ad aumentare la comprensione del lavoro di Tolkien, ed il suo primo libro, Splintered Light (Schegge di luce), ha letteralmente rivoluzionato il settore. Tuttavia, Green Suns è certamente il lavoro più personale della Flieger, in quanto documenta lo sviluppo della sua lunga riflessione sul corpus di Tolkien, riflessione avvenuta nel corso di più di 30 anni. Questo lo rende, di per sé, un lavoro importante. Ciononostante, la maggior parte dei saggi contenuti in questo libro, sono stati pubblicati precedentemente ed in circostanze diverse. La domanda che mi è sorta quando, per la prima volta, ho sentito parlare di questo libro in attesa di pubblicazione era se il risultato sarebbe stato una serie di pezzi sconnessi o se, riportarli insieme, avrebbe creato un tutt’uno coerente. Sono lieto di comunicare che, in tal senso, il libro ha superato tutte le mie aspettative. Praticamente tutti i saggi (molti dei quali da me letti in precedenza) prendono un nuovo significato quando vengono considerati insieme ai loro vicini e nel contesto del tema principale del libro; come i singoli fiori che, già graziosi presi singolarmente, assumono nuovi e più profondi aspetti quando diventano parte di un giardino ben curato ed elegantemente coreografico. Verlyn FliegerIl tema prevalente è basato sui due termini che formano il titolo del libro – “Green Suns” e “Faerie” – entrambi sono stati presi dal saggio di Tolkien Sulle Fiabe (On Fairy-stories). Molti autori hanno descritto con successo il loro lavoro, come fatto anche da Tolkien in questo saggio (intende nel saggio On Fairy-Stories, N.d.T.) , e nessuno ha fatto un lavoro migliore della Flieger nell’interpretare ed espandere quella autoriflessione. Ciascuno dei saggi, in questo libro,
contribuisce in diversi modi alla comprensione del successo unico di Tolkien nel creare un mondo secondario fattibile e convincente che continua ad avere rilevanza nel mondo reale del ventunesimo secolo.

La prima parte

Indice libroIl libro è diviso in tre parti. La prima parte, Tolkien Sub-creator, si focalizza sul nocciolo della questione di come Tolkien abbia creato con successo i suoi mondi secondari. La seconda parte, Tolkien in Tradition, dà uno sguardo a come Tolkien prenda in prestito – e adatti – elementi di letteratura mitologica risalenti al Medioevo. La parte finale, Tolkien and His Century, si concentra nel mostrare la pertinenza della mitologia tolkieniana – con tutti i suoi elementi radicati nel passato – al suo tempo. Anche se i nuovi e i vecchi saggi sono mischiati all’interno delle tre parti del libro, c’è un filo conduttore che unisce queste differenti ma complementari sezioni ed è il tema secondario della continua crescita del ragionamento della Flieger sul lavoro di Tolkien. Il risultato è un’ affascinante viaggio nella mente di uno dei più grandi autori dei tempi moderni e della studiosa che, presumibilmente, è andata a fondo, più di chiunque altro, nell’esplorare il senso ed il valore del lavoro di questo autore. La prima parte, Tolkien Sub-creator, contiene otto saggi. Il saggio “Fantasy and Reality: J.R.R. Tolkien’s World and the Fairy-story Essay” (Fantasia e Realtà: il mondo di J.R.R. Tolkien e il saggio Sulle Fiabe) inizia in  modo abbastanza appropriato, perché va direttamente alla fonte facendo riferimento al saggio Sulle Fiabe e paragonandolo alla narrativa stessa di Tolkien. Come suggerito dal titolo, la Flieger discute sui vari modi in cui gli elementi di fantasia del mondo secondario di Tolkien siano ora profondamente radicati nella realtà.
NornePoi vi è uno dei saggi più importanti del libro, “The Music and the Task: Fate and Free Will in Middle-earth” (La musica ed la sfida: Il destino e il libero arbitrio nella Terra di Mezzo). Questo saggio fu prima presentato alla Mythcon 39 e suscitò un dibattito considerevole che si prolungò per gran parte della Mythcon. Più tardi fu pubblicato nella raccolta Tolkien Studies 6 e continuò ad essere così controverso che fu pubblicato anche un saggio contro di esso nell’edizione dell’anno successivo. La controversia fu generata dal fatto che Flieger abbia preso alla lettera le parole di Tolkien (pubblicate nel primo capitolo del Quenta Silmarillion, ma ora facenti parte dell’Ainulindale) quando dichiara che la musica degli Ainur descrive «il fato» di tutti gli abitanti di Arda tranne quello degli uomini, una dichiarazione che sussiste praticamente immutata per l’intera storia del Legendarium di Tolkien. Tuttavia, concentrandosi sul rifiuto delle incongruenze create dall’accettare questa dichiarazione, i critici perdono il punto centrale sollevato dalla Flieger: l’importante non è nel fatto nudo e crudo che gli uomini hanno il libero arbitrio e gli Elfi no (un’affermazione che assume un altro piccolo significato quando viene scritta nero su bianco). L’importanza è nella discussione delle ragioni per cui può sembrare un’apparente contraddizione. La Flieger fa notare che ci sono ragioni strategiche e personali, oltre a un io sub-creativo, ed è proprio quest’ultimo che riesce «a prevedere un meccanismo plausibile che aiuti il
cambiamento in un universo ordinato» (p. 36). La discussione, incentrata in particolar modo su quest’ultima  argomentazione sub-creativa, si espande su delle opinioni precedentemente esplorate dalla Flieger soprattutto nel libro Schegge di Luce, ed in qualche modo , rappresentano il culmine delle sue lunghe esplorazioni nel significato del lavoro di Tolkien.

Anello lettura libroAnche i saggi successivi sono importanti. “Tolkien and the Idea of the Book” (Tolkien e l’idea di libro), contributo della Flieger al volume Signore degli Anelli 1954 – 2004: Studio in onore di Richard D. Blackwelder, regalano un esempio concreto di come Tolkien prenda in prestito dal mondo reale per migliorare il suo mondo secondario, un prototipo di vita reale per il Libro Rosso delle Marche Occidentali. “Tolkien on Tolkien: On Fairy-stories, The Hobbit and The Lord of the Rings” pubblicato qui per la prima volta (sebbene presentato alla Tolkien Conference del 2005 di Birmingham), esplora l’idea che Tolkien «usava gli errori che comprese di aver fatto nello Hobbit, per sviluppare ed articolare nell’On Fairy-stories una teoria fantastica e sub-creativa che conseguentemente mise in pratica nella stesura de Il Signore degli Anelli» (p. 54), un concetto ancora discusso dalla Flieger e da Doug Anderson nella loro introduzione all’edizione estesa di Tolkien On Fairy-stories.
“When is a Fairy Story a Faërie Story?” (Quando una favola diventa una storia di fate?) lasciamo il Legendarium della Terra di Mezzo e invece discutiamo della storia tolkieniana più pura che riguarda le Faerie: Il Fabbro di Wootton Major (di gran lunga il romanzo breve di Tolkien da me favorito). "Fairy Tales" di Mary Gow (1851-1929)“The Footsteps of Aelfwine” (Sulle orme di Aelfwine), ristampato dal volume Tolkien’s Legendarium, la collezione determinante di saggi sulla History of the Middel-earth, che la Flieger ha redatto con Carl Hostetter. Questo saggio ripercorre il ruolo che la figura archetipica «dell’elfo amico» gioca nei romanzi di Tolkien sia nel legendarium della Terra di Mezzo sia al di là. “The Curious Incident of the Dream at the Barrow: Memory and Reincarnation in Middle-earth” (L’incidente curioso del sogno nel tumulo: memoria e reincarnazione nella Terra di Mezzo) è un altro saggio che per la prima volta apparve nel quarto volume dei Tolkien Studies. In questo saggio la Flieger esamina minuziosamente un singolo avvenimento tratto da Il Signore degli Anelli: il sogno avuto nel tumulo da Meriadoc Brandybuck nel quale rivive la morte di un uomo proveniente dall’antico mondo di Cardolan, come anche l’esplorazione da parte di Tolkien della reincarnazione applicata poi agli elfi, e la storia di viaggio nel suo tempo nel The Notion Club Papers. Questo documento, saggio, prende un nuovo significato quando lo si accosta al precendente “The Music and the Task”, soprattutto la parte che analizza gli sforzi di Tolkien di distanziare la sua opera mitopoetica dalla fede cattolica. L’ultimo saggio di questa parte, “Whose Myth Is It” (Di chi è il mito), originariamente apparve nel 1997 a un evento dell’Arda Symposium al Second Northern Tolkien Festival di Oslo, e fu riadattato per far parte dell’ultimo libro della Flieger,
Interrupted Music. Questo è un altro caso di come un saggio prenda un nuovo significato nel contesto della raccolta in cui si trova, che si concentra sul successo sub-creativo del mondo secondario di Tolkien, ma a cui si aggiunge una nuova e diversa colorazione nella parte in cui si analizza l’uso dei diversi punti di vista.

La seconda parte

"Riddles in the Dark" di Michael BilottaLa seconda parte, “Tolkien in Tradition” (Tolkien nella tradizione), è la più lunga delle tre parti con dieci saggi che coprono 122 pagine. Nel primo saggio, “Tolkien’s Wild Men from Medieval to Modern” (Gli uomini selvaggi di Tolkien, dal Medioevo all’epoca moderna), la Flieger fornisce alcuni esempi dell’uso da parte di Tolkien di una «figura tradizionale nel romanzo e nella storia medievale : quella che fugge dalla società e che cammina al margine della civiltà conosciuto anche come Wild Man (l’uomo selvaggio)» (p. 113). Questo saggio fornisce un primo esempio dell’abilità della Flieger di pensare fuori dagli schemi. Gli esempi da lei citati sono sempre più eccentrici. Inizia con l’esempio più ovvio, Ghân-Buri-Ghân. Quello seguente è Aragorn e Turin, entrambi acquisiscono senso con una breve considerazione, da fare anche con Gollum, il quarto esempio. Ma chi, sano di mente, potrebbe mai pensare di includere il gentil hobbit Frodo Baggins come esempio dell’uso di Tolkien della tradizionale figura del Wild Man? Non fa solo questo la Flieger, ma usa questi esempi per dimostrare come Tolkien riesca a tessere in maniera egregia un motivo tradizionale nel suo mondo secondario, usando così un’alta dose di creatività nel proprio ragionamento. In “Tolkien and the Matter of Britain” (Tolkien e la Materia di Britannia), la Flieger affronta l’influenza della mito britannico per eccellenza – quello di Artù – sulla creazione della mitologia di Tolkien. Dopo, in “Frodo and Aragorn: The Concept of the Hero” (Frodo e Aragorn: il concetto di eroe), il saggio più vecchio del libro, datato 1981, contrappone i modi discordanti con cui Tolkien inserisce «archetipi epici e favolistici» (p. 113) medievali nella sua storia moderna. Nel “Bilbo’s Neck Riddle” (L’indovinello “salva-collo” di Bilbo) la Flieger fornisce ancora un altro esempio di come Lo Hobbit, apparentemente una semplice favola per bambini, abbia un risvolto più profondo. In questo saggio ci dimostra come l’ultimo indovinello di Bilbo a Gollum – che appare, sia a Gollum sia al lettore moderno, più semplice di un vero indovinello – sia a tutti gli effetti un tipico neck riddle (che in italiano suonerebbe come “indovinello per aver salva la vita”, N.d.T.) essendo «meno fittizio ma più facente parte del mondo della mitologia scandinava» (p. 162).
Libro: "Smith of Wootton Major"In “Allegory versus Bounce” la Flieger ritorna a Il Fabbro di Wootton Major, questa volta come parte di un dibattito con l’altro decano degli studi su Tolkien, Tom Shippey, circa la natura allegorica di quel racconto. È una gioia vedere questi due luminari degli studi su Tolkien scambiarsi idee differenti sullo stesso soggetto. E con chi sono d’accordo? È sorprendentemente facile rispondere a questa domanda: ma con entrambi!!!
I seguenti due saggi affrontano il tema dell’influenza della mitologia finlandese su Tolkien. Il primo è “A Mythology for Finland: Tolkien and Lönnrot as Mythmakers” (una mitologia per la Finlandia: Tolkien e Lönnrot creatori di miti) nel quale la Flieger parla di come Tolkien sia stato influenzato in giovane età dall’esempio di Elias Lönnrot, il redattore del Kalevala finlandese, di lui dissero: «un uomo solo, che procedendo a tutta velocità, ha creato per noi un’eredità culturale (p. 181). Certamente la differenza è stata che Tolkien scrisse l’intero corpo di lavoro raccogliendolo lentamente e non procedendo a tutta velocità. Il secondo saggio è “Tolkien, Kalevala, and The Story of Kullervo” (Tolkien, il Kalevala e The Story of Kullervo) il saggio più recente del libro presentato qui per la prima volta. Questo saggio vede «crescere il lavoro (della Flieger) insieme al manoscritto della storia» (p. X), che fu pubblicato nei Tolkien Studies 8. Il racconto, scritto tra il 1912 e il 1914, fu il primo tentativo di Tolkien di fare proprio il Kalevala, che ebbe una profonda influenza sul Legendarium di Tolkien, particolarmente sulla storia di Turin. Questo saggio ci fornisce una visione preziosa di come questo primo tentativo sia stato «un passo importante nella strada tortuosa che porta dall’imitazione all’invenzione» (p. 201).
"Il Rimorso di Kullervo" di Akseli Gallén-KallelaLa Flieger in “Brittany and Wales in Middle-earth” (Britannia e Galles nella Terra di Mezzo) si concentra sull’influenza celtica in due aspetti del lavoro di Tolkien. Precisamente esamina quanto Tolkien abbia preso in prestito dalla Britannia per trattare l’«altro mondo» (o Faërie come lo chiamava Tolkien), come anche l’influenza gallese sulla creazione della lingua inventata da Tolkien, il Sindarin. In “The Green Knight, the Green Man, and Treebeard: Scholarship and Invention in Tolkien’s Fiction” (il Cavaliere Verde, il Green Man e Barbalbero: studio e invenzione nel romanzo di Tolkien), la Flieger ci dà un esempio – nella figura del personaggio di Barbalbero – di come «il punto di intersezione tra immaginazione e studio è stata la miccia che ha fatto accendere la sua creatività. Il risultato nel Signore degli Anelli è un lavoro profondamente radicato nella tradizione medievale e allo stesso tempo creato in un modo totalmente fresco e originale» (p. 211). L’ultimo saggio di questa parte, “Missing Person”, tratta il fatto che, malgrado nel suo romanzo vi sia un’ovvia influenza giudeo-cristiana (e in particolar modo quel profondo senso di fede cattolica di Tolkien), non c’è Cristo nel suo mondo mitologico, e nessun riferimento manifesto alla religione o a pratiche religiose. Questo saggio che risale al 1986, è un altro esempio di come il saggio assuma un significato migliore nel contesto di questo libro. Si possono tracciare delle linee che uniscono la crescita del pensiero della Flieger attraverso gli anni quando si legge questo pezzo insieme con “The Music and the Task”.

La terza parte

Convegno "Tolkien e la filosofia": Verlyn FliegerLa terza parte è la più corta con solo sette saggi che coprono 71 pagine. “A Cautionary Tale: Tolkien’s Mythology for England” (una storia ammonitrice: la mitologia tolkieniana per l’Inghilterra), scritto nel 2003 appena l’interesse per i film di Peter Jackson sul Signore degli Anelli
cominciò ad esaurirsi e l’aumento delle analisi critiche del lavoro di Tolkien, che sembravano accompagnarle, fosse comprovato. Riguarda il famoso equivoco tolkieniano, in cui si dice che abbia cercato di creare una mitologia per l’Inghilterra (quello che disse veramente è che cercò di creare una mitologia dedicata all’Inghilterra, anche se la Flieger dice che c’è «poca differenza qualitativa tra le due frasi» [p. 314, n1]). Mentre la Flieger ci mostra che la mitologia tolkieniana dipinge un quadro di «una cultura in declino divisa dal dissenso e spaccata dalle fazioni, una società eternamente in guerra con sé stessa» (p- 238). In “The Mind, The Tongue, and the Tale” (la mente, la lingua e il racconto), altro nuovo saggio che fu presentato in una forma piuttosto diversa alla conferenza di Modena del 2010 su Tolkien e la Filosofia, la Flieger ci fornisce numerosi esempi della filosofia del linguaggio di Tolkien, oltre che a rivisitare l’influenza della teoria di dizione poetica su Tolkien di Owen Barfield (discussa a lungo in Schegge di luce) e quella del romanticismo tedesco del diciannovesimo secolo. A questo è seguito “A Post-modern Medievalist” (un medievalista post-moderno) che come suggerito dal titolo ci mostra che, malgrado il fatto che il Signore degli Anelli evochi una sensibilità medievale, Tolkien, in effetti impieghi con successo un numero di concetti letterari post moderni e che, in definitiva, egli è «un autore essenzialmente moderno che ha usato tutti gli strumenti dell’autore e le tecniche disponibili da qualsiasi periodo – scrivendo a, per, e rivolgendosi a qualsiasi tipo di lettore, del suo tempo e del futuro, che possa apprezzare la sua storia».
“Taking the Part of Trees: Eco-conflict in Middle-earth” (Dalla parte degli alberi: il conflitto ecologico nella Terra di Mezzo), che è stato precedentemente pubblicato nel 2000 nel libro di Clark e Timmons J.R.R. Tolkien and His Literary Resonances, è stato per molto tempo il mio favorito, per questo mi ha fatto piacere vederlo in questa collezione. Ci fornisce un altro buon esempio dell’abilità della Flieger di forare il velo della sub-creazione di Tolkien. La Flieger ci descrive il ritratto selvaggio e contradditorio dipinto da Tolkien degli alberi e delle foreste nel Signore degli Anelli e in altri racconti. Ad esempio mette a confronto la sregolatezza e il pericolo insito nella vecchia foresta e nella foresta di Fangorn con la tranquillità di Lothlorien. In questo modo traccia il significato del successo della sub–creazione di Tolkien. A causa della grande credibilità, della «densa realtà» del mondo creato da Tolkien, è sempre stato considerato, e lo sarà sempre, a un livello superiore rispetto a molti autori. Chiediamo a un romanzo che sia coerente, cosa che facciamo raramente nella vita reale e anche pretendendola non l’avremmo questa coerenza. Noi chiediamo specificatamente a Tolkien che la sua sub-creazione (inteso come sotto universo n.d.T.) – così vivido e convincente che molti lettori vorrebbero viverci – viva seguendo le sue regole, quando la meraviglia sta’ nel fatto che sia riuscito a realizzare tanta coerenza senza volerlo (p. 274). L’ironia è proprio in questo, questa incoerenza rende il «Mondo secondario» di Tolkien un riflesso, eccellente, del mondo reale. J.R.R. Tolkien soldato (1916)Entrambi gli ultimi due saggi indicano come le esperienze di vita reale di Tolkien e, particolarmente la guerra, abbiano influenzato il suo romanzo, specialmente il personaggio di Frodo Baggins. Il primo saggio “Gilson, Smith and Baggins” riflette sulla perdita di due membri della prima compagnia di Tolkien la TCBS,
nella prima Guerra Mondiale, e l’influenza che ebbe sugli scritti di Tolkien. Il secondo saggio “The Body in Question: The Unhealed Wounds of Frodo Baggins” (il corpo in discussione: le ferite non guarite di Frodo Baggins), un altro saggio che appare per la prima volta qui, «continua lungo le stesse linee però incentrando lo sguardo sul corpo dilaniato dalla guerra di Frodo» (p. 235). Nel saggio finale “A Distant Mirror: Tolkien and Jackson Through the Looking Glass” (Uno specchio distante: Tolkien e Jackson attraverso lo specchio), la Flieger compara il modo in cui Tolkien rispecchia le vecchie storie (come la coppa rubata a Smaug da Bilbo, storia presa dal Beowulf) con il modo in cui Jackson prenda deliberatamente in prestito dai precedenti film fantasy come Il mago di OZ e Guerre Stellari (anche quest’ultimo film prese spunto dalle storie di Tolkien).

Conclusioni

Beowulf manoscrittoVerlyn Flieger conclude l’antologia dicendo che in nulla come nel  Signore degli Anelli Tolkien ha dimostrato una forma più matura di «rispecchiamento» nel quale «le allusioni esteriori sono largamente sostituite da auto-riflessioni interiori molto di più che nella consapevolezza delle origini insite nel poema di Beowulf». Questa è la giusta conclusione al libro nella quale ci fornisce un vivido esempio del tipo di crescita avuta da Tolkien come scrittore da quando scrisse Lo Hobbit, attraverso le idee espresse nel Sulle Fiabe, alla maturazione definitiva riflessa nel  Signore degli Anelli come discusso nei primi saggi, particolarmente in “Tolkien on Tolkien”. Questi commenti piuttosto sbrigativi danno solo un suggerimento di che gioia sia leggere Green Suns and Faërie. Gli scritti della Flieger sono così chiari e così arguti, qualità difficili da trovare in un lavoro di tipo accademico. Non avrebbe avuto senso il tentativo di darsi delle arie per la sua erudizione, non ne avrebbe avuto motivo; la sua conoscenza del lavoro di Tolkien è fuor di dubbio profonda, così come l’apprezzamento appassionato del lavoro di Tolkien. Non mi viene in mente nessun altro complimento tranne quello che è impossibile leggere questo libro senza accrescere la propria conoscenza e l’amore per il lavoro di Tolkien.

Recensione a: Verlyn Flieger, Green Suns and Faerie: Essays on J.R.R. Tolkien,
Kent State University Press, 2012. xi + 331 pp., 24.95 dollari (ISBN 978-1-60635-094-2)

Autore della recensione: Douglas C. Kane, la recensione è apparsa sulla rivista Mythprint 49:6-7 (#359-360) nel giugno/luglio 2012. Tratta dal sito della Mythopoeic Society

Traduzione a cura di Erin
ARTICOLI PRECEDENTI:
La collezione di Verlyn

LINK ESTERNI:
– Vai al sito della casa editrice Kent State University Press
– Vai al sito della Mythopoeic Society
– Vai al sito (professionale) di Douglas C. Kane

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Le lingue di J.R.R. Tolkien. Esce Vinyar Tengwar 50

Logo Vinyar TengwarPer tutti gli appassionati di J.R.R. Tolkien che sono interessati ai suoi linguaggi inventati, una notizia molto gradita giunge da Carl F. Hostetter. Il cinquantesimo numero della rivista linguistica specializzata curata dalla Elvish Linguistic Fellowship (la Compagnia Linguistica Elfica, abbreviato E.L.F.), Vinyar Tengwar, è finalmente all’orizzonte! Per gli esperti di lingue tolkieniane la Elf è una vera e proprio istituzione, continua fonte primaria di perle linguistiche.

Esperti linguisti

pagina-manoscrittoLa Compagnia Linguistica Elfica è, infatti, uno gruppo d’interesse speciale della Mythopoeic Society, la Società tolkieniana Usa, volta allo studio sistematico dei linguaggi inventati da Tolkien. Fu fondata nel 1988 da Jorge Quiñónez, ma dal 1990 (dal numero 9 della rivista) è diretta da Hostetter, uno scienziato della Nasa. La Elf pubblica periodicamente due riviste: Vinyar Tengwar, edita da Hostetter, e Parma Eldalamberon, edita da Christopher Gilson; inoltre viene distribuito, sempre a intervalli irregolari, un giornale online, Tengwestië, curato da Hostetter assieme a Patrick H. Wynne. Insieme ad Arden R. Smith e Bill Welden, Hostetter, Gilson e Wynne formano il gruppo (da alcuni chiamati degli “Elfconners”) che fu incaricato nei primi anni Novanta dallo stesso Christopher Tolkien di occuparsi dello studio, dell’editing e della pubblicazione degli scritti di J.R.R. Tolkien che riguardano specificatamente i suoi linguaggi inventati. Molto di questo materiale inedito, tratto dagli archivi riservati della Tolkien Estate, è stato pubblicato su Parma Eldalamberon da partire dal numero 11 (ora sono giunti al numero 20) e su Vinyar Tengwar, soprattutto a partire dal numero 39.

Una rivista specialistica

Tolkien trasmissione elfiIl primo numero di Vinyar Tengwar fu pubblicato nel settembre 1988 è aveva una cadenza bimestrale fino al luglio 1994 (corrispondente al numero 36), in seguito a intervalli molto più irregolari, più o meno una volta l’anno. Ciò coincise proprio con la maggiore frequenza di pubblicazione di testi scritti da Tolkien stesso. Dal numero 39 del luglio 1998, la rivista si è dedicato principalmente all’edizione e all’analisi critica di tali testi. Molti dei documenti pubblicati sono menzionati nei volumi della History of Middle-earth, a cura di Christopher Tolkien, ma non erano stati pubblicati nella collezione a causa della loro natura specialistica. Negli ultimi numeri della rivista sono apparsi alcuni saggi
tolkieniani che, per la loro importanza, nel 2008 sono stati raccolti in un solo volume dalla casa editrice Marietti 1820. Il volume ha un titolo infelice, La trasmissione del pensiero e la numerazione degli Elfi, ma i contenuti sono di estremo interesse per per gli appassionati di Tolkien: Ósanwe-kenta. Indagine sulla comunicazione del pensiero,che risale agli anni 1959-60 (compariva anche sul sito di Eldalie, nella versione tradotta da Lorenzo Gammarelli), Note su Óre (1968 circa) e il saggio Mani, dita e numeri Eldarin, che è uno dei più importanti lavori “storico- filologici” scritti da Tolkien durante gli anni 1967-70.

Il numero 50 e i suoi contenuti

Copertina Vinyar TengwarEcco l’annuncio inviato da Carl F. Hostetter alla mailing list Lambengolmor: «Grazie a una lunga pausa di fine anno e alla diminuzione degli obblighi professionali, sono lieto di annunciare che la tanto attesa pubblicazione del numero 50 di Vinyar Tengwar è ormai prossima. Il presente numero contiene la mia presentazione e analisi del “Túrin Wrapper”, con una serie di tre testi inediti in Sindarin del 1950 (probabilmente all’inizio) che rientrano in quella che è chiamato il Ciclo di Túrin Turambar (la “Túrinssaga”). Spero di riuscire a completare il volume, stamparlo e spedirlo entro il primo marzo. Si prega di notare che d’ora in poi i numeri di Vinyar Tengwar saranno disponibili solo attraverso il servizio online di print-on-demand dell’editore Lulu, che attualmente pubblica anche i vari volumi rilegati della collezione The Collected Vinyar Tengwar. Una volta che il numero 50 sarà stato spedito agli abbonati, lo aggiungerò anche in quella serie, completando così il volume 5 di The Collected Vinyar Tengwar. Vi ringrazio molto per la vostra pazienza!». Si può aggiungere che il numero 50 è molto atteso anche alla luce dei precedenti volumi della rivista. I numeri dal 47 al 49 sono, infatti, di importanza capitale per la comprensione e lo studio del Quenya nella sua fase tarda, così come Tolkien lo concepiva negli ultimi anni (circa dal 1968 in poi). Gli ultimi numeri forniscono indirettamente anche una mole enorme di informazioni utili sul Sindarin e sul Telerin, da cui si intuisce anche che proprio su quest’ultima ed interessante lingua esistano molti altri documenti inediti. Ciò è evidente dal fatto che negli ultimi anni queste lingue raggiungono per Tolkien un’importanza e una maturazione molto vaste, essendo tutte e tre costantemente citate e paragonate in ogni saggio tardo.

– Il sito della E.L.F.
– Il sito di Vinyar Tengwar
– Il sito di Tengwestië

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A lezione di calligrafia: Tolkien creò l’alfabeto

Roberto FontanaDomani a Modena, all’interno del corso Con Lo Hobbit alla scoperta di Tolkien, da qui a fine febbraio prevede una lezione ogni martedì sera alle ore 21, presso la sede dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici (in via san Cataldo 97, Modena – tel: 059/821811), si volgerà un intervento dal tema: Le lingue nella Terra di Mezzo, con relatori Roberto Fontana e Gianluca Comastri, rispettivamente consigliere e presidente di Eldalie, un’associazione tolkieniana particolarmente dedita allo studio delle lingue elfiche. Sarà anche l’occasione per approfondire un aspetto poco noto delle lingue inventate dallo scrittore inglese: la creazione e lo sviluppo anche di una serie di alfabeti, anche se tecnicamente si tratta di un sistema di trascrizione dei principali Linguaggi della Terra di Mezzo! Proprio per capire meglio di cosa si tratta presentiamo un’intervista in esclusiva a uno dei relatori.

Un calligrafo per Tolkien

Fontana-Lezioni-calligrafia2Roberto Fontana è dal 2002 una presenza costante nel panorama web italiano di ispirazione tolkieniana: appassionato del Quenya, la lingua definita da Tolkien una sorta di “latino elfico”. La sua passione per i sistemi di scrittura elfici, ovvero la calligrafia Tengwar, lo ha portato a una interessante produzione di lavori calligrafici, sia in Tengwar che negli stili tradizionali, con l’uso di materiali vari, anche inusuali, tenendo vari corsi sulla calligrafia rivolti ai principianti. Ha partecipato alla traduzione di La trasmissione del pensiero e la numerazione degli Elfi di J. R. R. Tolkien (Marietti editore, 19 euro), pubblicato in Italia nel 2008. Nel 2009, per i tipi di Simonelli, ha pubblicato, assieme a Mauro Ghibaudo, Essecenta: i nomi della Terra di Mezzo, un’analisi etimologica comparata dei nomi propri italiani ed elfici, con traduzioni e corrispondenze nei due linguaggi. Nel 2012 ha pubblicato per la casa editrice Sogno Le preghiere della Terra di Mezzo, opera per cui ha trasposto in questa lingua alcune preghiere della tradizione cattolica e alcune canzoni natalizie.

Hai sempre scritto a mano, o è una passione nata in età adulta?
«Quando ero alle elementari ho dovuto usare per 2 anni penne
e calamaio… erano più le macchie che le lettere che scrivevo! In realtà ho scoperto la calligrafia tramite Tolkien: le prime esperienze sono arrivate utilizzando i font Tengwar nei programmi di scrittura elettronica, seguiti dai primi tentativi di scrittura a mano. Poi questa attività mi ha “preso” sempre di più, ho iniziato a comprare strumenti di scrittura sempre più professionali oppure originali e ho affinato la mia abilità nello scrivere in Tengwar. Parallelamente agli stili fantasy, ho iniziato anche a occuparmi di stili storici (gotico, onciale, cancelleresca), frequentando corsi presso maestri calligrafi, tanto che ora sono anche chiamato a insegnare calligrafia in vari corsi civici o presso associazioni».

Particolare dal Libro di KellsChe senso ha, in era digitale, fare calligrafia? Vi è un contrasto tra i due mondi?
«Molti mi chiedono che senso possa avere fare calligrafia al giorno d’oggi. A questa domanda rispondo, come molti altri miei colleghi calligrafi, che non per il successo e la presenza preponderante del computer dobbiamo smettere di scrivere, come non dobbiamo smettere di disegnare solo perché esiste la tavoletta grafica. La calligrafia è una forma di espressione connaturata in noi, è una pratica con la quale siamo più o meno familiari da quando ci hanno insegnato a leggere e scrivere. Tuttavia possiamo trasformare questa pratica in un’arte, perciò si parla di una disciplina, di un processo educativo, di una ricerca interiore che dagli esercizi più semplici ci porta a sviluppare una scrittura nostra e personale. Non c’è niente di più individuale della scrittura, persino nello scrivere certi stili formali, come quelli che ho elencato più sopra, ognuno di noi può mostrare una sua propria individualità. I motivi sono vari: pensiamo semplicemente al fatto che ognuno ha un suo ritmo di scrittura e che la velocità di esecuzione modifica l’aspetto dei segni. L’allenamento e la continua ricerca di miglioramento sono al tempo stesso propedeutici per il nostro gusto estetico e diretta conseguenza di questo: scrivendo a mano diventiamo tutti più coscienti del valore e delle qualità delle lettere che ci circondano. Posso portare come esempio paradigmatico Steve Jobs, che iniziò la propria avventura proprio con l’iscrizione a un corso di calligrafia presso il Reed College di Portland. Come ricorda Jay Elliot in Steve Jobs. L’uomo che ha inventato il futuro (Hoepli), colui che ha ideato l’iPhone e l’iPad scriveva nei suoi appunti da studente: “È la mano la parte del corpo che più di ogni altra risponde ai comandi del cervello. Se potessimo replicare la mano, avremmo realizzato un prodotto da urlo”».

La nuova attenzione per la bella scrittura e il ricorso a essa è quindi una risposta a un mondo sempre più informatizzato?
«Certo. La gente si è accorta che scrivere con il computer è sì facile e veloce, ma così facendo viene a mancare la trasmissione della propria personalità e originalità. Regalare a qualcuno una poesia scritta a mano in bella calligrafia è un bellissimo dono con il quale si trasmette il proprio pensiero e la propria manualità, è un dare completamente noi stessi all’altra persona».

A scuola non la si apprende più. Come mai?
«Un tempo, se volevi trovare un impiego in un ufficio o studio dovevi sapere scrivere bene a mano. Ora l’abilità necessaria è più che altro l’uso del computer. La scuola ha dovuto adattarsi alle esigenze lavorative, ma non per questo deve rinunciare a presentare la calligrafia dal punto di vista storico e artistico agli studenti. Parecchie scuole elementari e medie stanno offrendo corsi di calligrafia ai propri scolari e io
stesso sono stato invitato in varie scuole superiori a presentare le radici storiche delle calligrafie europee».

NamáriëQuando si pensa a un calligrafo, lo si immagina sepolto tra antichi volumi, immerso nella scrittura tra calamai e penne d’oca. Al più, con qualche pennino o una stilografica. Come lavori davvero?
«Di notte, quando a casa regna la tranquillità e non ho distrazione che mi possono indurre a fare degli errori, su un tavolo ben illuminato, con carte e pennini di tutti i tipi (uso anche i calami di bambù, o ance musicali fissate a stecche di legno) e inchiostri di tutti i colori. Sono molto importanti i bozzetti, con i quali puoi provare le combinazioni di stili, colori e dimensioni, per poi scegliere la soluzione che più si adatta alla propria intenzione originale».

La calligrafia è una forma d’arte o semplice decorazione?
«La calligrafia diventa una forma d’arte nel momento in cui non si limita a trasmettere messaggi scritti, ma tende a voler fissare su un supporto un’idea del bello. Basti pensare alle splendide realizzazione della calligrafia araba, che è essenzialmente una delle poche forme artistiche figurative concesse in questa religione, o all’arte miniaturistica dei codici europei».

Si può trasformare la propria passione in un vero lavoro? Come si diventa calligrafi di professione?
«Ecco, a questo non so rispondere con precisione. Io non sono un calligrafo di professione, ma solo un dilettante appassionato. La strada è comunque quella di seguire dei corsi di grafica e poi frequentare le lezioni di qualche maestro calligrafo. L’Associazione Calligrafica Italiana, di cui sono socio, è uno dei centri più attivi nella formazione dei nuovi calligrafi».

Nella calligrafia è importante l’aspetto, lo stile. Ma dove sta la sostanza?
«Secondo me la sostanza è la personalità che imprimi nelle lettere che scrivi, è la parte della tua anima che trasferisci nel segno sulla carta, è l’intenzione che lasci trasparire in ogni tratto di inchiostro».

Libro: La Numerazione degli Elfi e la trasmissione del pensieroCi spieghi meglio la calligrafia applicata alle lingue di Tolkien?
«Tolkien non ha solo inventato dei linguaggi usati dalle razze di cui ha popolato la il suo mondo secondario, ma ha anche provveduto a codificare diversi alfabeti e stili grafici. I più noti sono le Tengwar e le rune, ma esiste anche il Sarati, che vorrebbe essere la prima forma di scrittura adottata dagli elfi, forse ispirata dagli stessi Valar. Tornando alle Tengwar, che personalmente considero la forma di scrittura più artistica, esistono molteplici varianti: il modi òmatehtar Quenya e Sindarin, il modo quantasarmë del Beleriand, ognuno dei quali presenta varianti in base alla collocazione geografica e temporale. È uno studio realmente affascinante, almeno per me… E non dimentichiamoci anche la lingua e la scrittura “polare”, create da Tolkien per realizzare le splendide Lettere di Babbo Natale: una vera chicca da non perdere!»

Le Tengwar possono vivere anche slegate dalle lingue elfiche?
«Tolkien ci ha lasciato istruzione su come utilizzare le Tengwar anche per linguaggi reali; egli stesso le ha utilizzate
per scrivere in inglese. Pur non esistendo una codifica “ufficiale” per la scrittura dell’italiano, la maggior parte degli esperti nazionali di calligrafia elfica è arrivata a uno standard ormai ampiamente accettato circa la “traslitterazione” dell’italiano in Tengwar (non si può parlare di traduzione, in quanto la lingua non cambia). Ho svolto alcune “lezioni” di scrittura in Tengwar dell’italiano a degli studenti di scuole medie: ne sono stati entusiasti!»

A proposito del sistema di scrittura che hai adottato: hai lavorato da solo o con l’aiuto di un esperto?
«Va premesso che da anni collaboro con l’associazione Eldalie, di cui sono consigliere, e con la Società Tolkieniana Italiana. Ultimamente non mi sono limitato a riprodurre le forme stilistiche lasciateci da Tolkien, ma mi sono spinto a proporre uno stile Tengwar che associa le lettere tolkieniane alla cancelleresca italiana, stile che considero uno dei più belli fra quelli storici europei. Ne è risultato un Tengwar corsivo molto fluido e artistico, che ha ricevuto apprezzamenti e di cui vado particolarmente fiero».

e preghiere della Terra di MezzoLe tue conoscenze sono solo tecniche o anche linguistiche?
«Un appassionato come me di Tolkien non poteva ignorare la lingua elfica per eccellenza, il Quenya. Da poco è stato pubblicato il mio Le preghiere della Terra di Mezzo (Sogno ed.), dove non solo ho analizzato la traduzione in Quenya di alcune preghiere lasciateci da Tolkien, ma ho cercato di trasportarne in latino elfico molte altre, fra cui le traduzioni di “Tu scendi dalle stelle” e “Adeste fideles”” cantabili sulle rispettive musiche tradizionali. E naturalmente, poi le ho riprodotte in un manoscritto…»

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