Verlyn Flieger: «Ecco il Tolkien Oscuro»

Aotrou serbian editionL’attesa per la pubblicazione di opere non appartenenti al mondo narrativo tolkieniano è diventata, negli ultimi anni, consuetudine e appuntamento fisso per tutti gli appassionati del J.R.R. Tolkien filologo. Anche questo 2016 ci regala uno scritto, o per meglio definirlo esperimento stilistico, del Professore con l’uscita di The Lay of Aotrou and Itroun il prossimo 3 novembre per HarperCollins. Il volume, che riprende il poema pubblicato nel dicembre 1945 su «Welsh Review», sarà curato da Verlyn Flieger, che di seguito ha scritto in esclusiva per il sito dell’Associazione un articolo che presenta la storia.

The Lay of Aotrou and Itroun “Tolkien Oscuro”

«Un signore senza figli (Aotrou), in disperata attesa per un erede, si reca da una strega, una corrigan, per una pozione di fertilità che farà concepire sua moglie. Quando i due gemelli, un maschio e una femmina, nascono, la corrigan rivendica il suo compenso, ovvero che il signore “giaccia” (cioè, dorma) con lei. Il rifiuto scatena la minaccia della strega, che consiste nella morte dell’uomo entro tre giorni. Lui la sfida, ma morirà proprio come ella aveva predetto. La moglie dell’uomo poi morirà a causa del dolore, lasciando orfani i bambini generati dalla stregoneria.
Questa è, in breve, la trama di una delle storie oscure di J.R.R. Tolkien, The Lay of Aotrou and Itroun welsh review dec 1945(“Signore e Signora”), un poema di 506 versi sullo stile di un lai bretone. Il componimento era fino a ora disponibile solo come pezzo da collezione (se trovate e potete permettervi una copia dell’oggi defunto «Welsh Review»); in poche trascrizioni personali sul web; e nella relativamente recente edizione serba con testo a fronte. È da sperare che la prossima pubblicazione di HarperCollins – che include le prime bozze e le prove dei poemi “Corrigan” che Tolkien scrisse durante la preparazione – conceda a Aotrou and Itroun il suo posto legittimo nel corpus assieme a The Fall of Arthur, The Legend of Sigurd and Gudrun, e The Story of Kullervo come esempi dell’interesse dell’autore per i miti e le leggende nordeuropei.
Il Lai e i poemi “Corrigan” che l’hanno preceduto sono prodotti di un periodo, all’incirca della decade del 1920, quando Tolkien era impegnato a fondo con le lingue e i miti celtici. Tutti i poemi derivano da un singolo lavoro: la collezione bilingue (bretone e francese) di canzoni popolari di Theodore Claude Henri Hersart de la Villemarqué Barzaz-Breiz: Chants Populaire de la Bretagne, in origine pubblicato nel 1839 e ristampato nel 1840, 1845, 1846, e 1857. Tolkien possedeva l’edizione in due volumi del 1846, e la sua firma, John Reuel Tolkien, con la data di acquisto, 1922, sono scritte sul risguardo di ciascun volume. Ora sono alla Biblioteca della Facoltà di Inglese di Oxford.
Il mio sottotitolo per questo saggio, “Tolkien Oscuro”, è teso a puntare l’attenzione su due importanti aspetti di questo lavoro. La prima è la traiettoria emotiva e psicologica che portò Tolkien dal suo riadattamento originale della ballata di Villemarqué, “Aotrou Nann hag ar Gorrigan” (il Signor Nann e la Corrigan) attraverso revisioni sempre più inquietanti alla più lunga – e oscura – versione finale The Lay of Aotrou and Itrounche fu pubblicata nel «The Welsh Review». Le crescenti tenebre e la progressione verso il basso della storia di Tolkien comunicano di bozza in bozza in maniera chiara che il Lay of Aotrou and Itroun debbono solo il contorno generale alla fonte bretone, e che la principale aggiunta della trama, che rende Aotrou artefice della sua propria disgrazia, sia contributo da parte di Tolkien al racconto. La seconda cosa da notare (e derivante dalla prima) è il crudo pessimismo dell’ultima versione del poema, che dovrebbe indirizzare il nostro sguardo alla malefica minaccia che – escludendo le sue storie per bambini come Roverandom, o i suoi jeux d’esprit come Farmer Giles of Ham – pervade tutti i lavori pubblicati di Tolkien e forse è più evidente nella completa oscurità di Aotrou and Itroun.
La fonte bretone racconta di Lord Nann che, promettendo alla moglie un dono per un riuscito parto dei gemelli, condiscende al suo desiderio di carne di cervo cacciando nella foresta, dove un cervo bianco, un animale ultraterrano, lo conduce dalla Corrigan. Lui respinge il suo tentativo di seduzione, al che la strega lo minaccia di una morte improvvisa entro tre giorni.
Nonostante egli non faccia nulla di male, cade malato e muore entro i tre giorni previsti, così come nella versione tolkieniana. La moglie del signore perisce a causa del dolore, e dalle loro due tombe crescono due querce con due colombe bianche che volano alto verso il paradiso. Nel finale del poema tolkieniano, tuttavia, nessuna quercia germoglia dalle tombe e neppure alcuna colomba vola nel cielo. Tolkien, invece, introduce un sinistro disegno da parte del signore che cambia il tono dell’intero poema. Il suo Aotrou non è un innocente caduto inconsapevolmente in una rete di magia, ma un uomo deciso a realizzare il suo più grande desiderio con tutti i mezzi, giusti o sbagliati che siano. A differenza di Lord Nann, l’Aotrou di Tolkien prende una “pazza e mostruosa” decisione nel cercare l’aiuto soprannaturale della Corrigan per favorire il concepimento della moglie. Con questa azione egli mette in moto tutto ciò che segue – il tentativo di seduzione da parte della Corrigan, il rifiuto dell’uomo, l’implacabile vendetta della strega e la morte finale sia di Aotrou che della moglie.
In apparenza, il poema di Tolkien sembra essere un cautionary tale sui pericoli del trafficare Verlyn Flieger al Convegno "Tolkien e la Filosofia"con il mondo pagano. Si conclude con una preghiera che ci tiene lontani dalla tentazione fino a che raggiungiamo il Paradiso, dove regna “la vergine Maria, pura e immacolata”. L’opposizione tra Maria e la Corrigan può essere letta sia come struttura che tema, la vergine bilanciata contro la tentatrice, il cristianesimo bilanciato contro il paganesimo, con il signore a fare da volano tra questi. Ma a una lettura più attenta si rivelano alcune difficoltà riguardo a questo bilanciamento fra pagano e cristiano, in quanto la competizione risulta palesemente impari. La bilancia pende chiaramente verso la Corrigan, e la Corrigan è colei che alla fine prevale. Il cristianesimo sembra impotente dinnanzi al paganesimo; l’unica via per combattere la magia pagana è quella di sfuggirvi.
Una volta che Aotrou pone se stesso sotto il potere della Corrigan, è condannato. Egli accetta l’accordo non ben definito della Corrigan, col quale ella rinvia il compenso sino a quando la sua pozione abbia funzionato. Quando i bambini nascono, l’uomo rientra nella foresta per soddisfare il desiderio della moglie per un cervo “non presente nelle foreste terrene” che si accorda con la sua “inusuale brama” per la stessa specie. Qui Tolkien incrementa la tensione lasciando intendere che la “brama” sia del signore che della dama potrebbe esser stata architettata dalla Corrigan. Come nella fonte bretone, un cervo bianco conduce l’uomo diritto alla Corrigan, e, in effetti, questo potrebbe essere stata la fata in forma animale. Poi ella esige il suo compenso, ciò significa per lui lasciare la moglie e stare con la strega in “atto d’amore” o rapporto sessuale, “gioia più profonda di quanto provino i mortali”, o morire. Egli rifiuta di tradire la moglie, e sostiene che morirà “quando Iddio vorrà” e “nelle valorose guerre della Cristianità”. Nonostante il suo affidamento al cristianesimo, egli morirà quando vorrà la Corrigan, esattamente com’ella aveva predetto. Ci vorrebbe un sofista a sostenere che la sua morte architettata dalla stregoneria fosse per volontà di Dio.
Sebbene i tre distici finali siano un appello al Paradiso e alla vergine Maria, i cinquecento versi precedenti sono allacciati attraverso immagini tenebrose – caverne, ragnatele, pipistrelli, gatti cacciatori notturni con occhi a “cruna d’ago”. Vi sono colline “inabitate”, caverne “glaciali”, foreste “oscure e perigliose”, alberi “come ombre”, un tramonto quando “tutto il verde era grigio”. Alcuni dei versi più evocativi di Tolkien descrivono come, nel cercare la strega, il signore, “solo tra l’oscurità e la luce”, cavalca “nella bocca della notte”. Al contrario, le allusioni al cristianesimo – la confessione della dama dopo il parto, la consacrazione e i rintocchi delle campane, la salmodia mattutina dei preti – sembrano sensibilmente ed emotivamente meno cariche. L’introduzione della vergine Maria negli ultimi versi del poema è quasi un luogo comune, una morale appiccicata alla fine del racconto per contrastare la Corrigan. E non ha successo. Maria è “pura e immacolata”, ma la Corrigan è una figura molto più vivida, una volta strega, vecchia rugosa, e fata seducente; in modi diversi anziana e brutta o giovane e bella, ma regge sempre le fila: leggendo nella mente del signore, procurando la fiala con la pozione, sciogliendo i suoi lunghi capelli, esigendo il compenso. La reale controparte della Corrigan, sebbene crudelmente ironica, è Itroun, una del tutto innocente su qualsiasi misfatto, ignara dell’accordo del marito, riguardo alla pozione e al sotterfugio di cui è vittima, ignara della procreazione diabolica dei suoi bambini, ignara della ragione della morte del marito.
The Story of Kullervo di TolkienIn termini di atmosfera e contenuto emozionale, il raffronto può essere fatto tra Aotrou and Itroun e The Story of Kullervo, un adattamento di un antico mito e un altro convincente esempio di “Tolkien oscuro”. Tuttavia ci sono delle differenze tra i due: il Kullervo di Tolkien è condannato da circostanze esterne, tutta la sua vita spesa barcollando da un disastro all’altro, raggiungendo il suo punto più basso (e il climax della storia) nell’inconsapevole incesto con la sorella che non riconosce. L’Aotrou di Tolkien, in antitesi, si condanna da solo attraverso una decisione propria, cercando nella stregoneria l’aiuto per generare l’atteso erede. L’avventatezza e l’inconsapevole caduta di Kullervo richiamano quella di Edipo, il patto demoniaco di Aotrou deve non poco al Faust. Benché sia Kullervo che il signore facciano una brutta fine, possiamo provare un po’ di pietà per lo “sventurato” Kullervo come ninnolo del destino, uno che non ha mai avuto una possibilità. Tolkien non permette alcuna pietà per Aotrou, che mai si pente della sua azione, non abiura mai il suo peccato, non cerca assoluzione, ma semplicemente accetta il suo destino, certo nella convinzione che ci sono i bambini, “sani e forti”. Tuttavia Tolkien nega anche questa consolazione, in quanto il poema lascia incerta la sorte dei bambini: “se [enfasi mia] i loro bambini vissero… essi non lo videro”.
A dispetto di questo soggetto oscuro – o forse a causa di esso – Aotrou and Itroun si colloca per tecnica tra i migliori sforzi poetici di Tolkien. È emotivamente e artisticamente coerente dall’inizio alla fine, una curva prolungata di desiderio, tragico fato e disperazione. I versi sono, come Tolkien disse del Beowulf, “forgiati ad alta finitura”, e si può vedere il processo di rifinitura proseguire con le mosse di Tolkien da una bozza all’altra, risistemando e affinando le sfumature della sua storia. Così come le luci del palco di un teatro, la variazione con ripetizione nel segnale di ripresa, cambia l’atmosfera da oscura a luminosa per poi mutarla ancora, da inquietante a speranzosa a disperata, da sinistra determinazione a giubilo fino alle profondità del dolore. Con l’abilità di un direttore d’orchestra, Tolkien dirige il contenuto affettivo del suo racconto.
Vale la pena notare che la composizione di The Lay of Aotrou and Itroun era apparentemente coincidente con il lavoro di Tolkien su un altro lungo poema, The Lay of Leithian dalla sua mitologia su Beren e Lúthien, entrambi i lai sono prodotti dell’esplosione d’energia creativa di Tolkien durante gli anni Venti. Sebbene i due lai derivino da due mitologie molto differenti, in un certo senso sono incredibilmente simili. Entrambi incentrano la loro azione sull’oggetto soprannaturale, in Aotrou and Itroun la pozione di fertilità, nel Leithian sul Silmaril desiderato da Thingol e ottenuto a caro prezzo da Beren. Nemmeno l’oggetto sembra destinato a portare alcun duraturo beneficio a coloro che a lungo lo posseggono».

Verlyn Flieger
(traduzione di Stefano Giorgianni)
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