Intervista a R. Scott Bakker

Prince of Nothing trilogyCirca un anno fa è finalmente approdata nelle nostre librerie una saga ben conosciuta all’estero: ‘La Seconda Apocalisse’, a firma di Richard Scott Bakker, di cui Mondadori ha pubblicato in un unico volume la prima trilogia (Il principe di Nulla).

La storia, ambientata in una terra immaginaria chiamata Eärwa, dall’atmosfera vagamente bizantina e medio orientale, ha come filo conduttore una Guerra Santa scatenata per la riconquista della città sacra di Shimeh. Durante il conflitto si intrecciano i percorsi di personaggi come Kellhus, un monaco misterioso dotato di percezione e intelligenza sovraumane, il tormentato barbaro Cnaiür, e poi Achamian, uno stregone, la sua donna Esmenet, scaltra prostituta alla ricerca di riscatto sociale, e molti altri. Sullo sfondo aleggia una minaccia più grande di qualunque intrigo umano, il ritorno di un’entità malefica, il Non-Dio, che già una volta millenni prima ha messo in pericolo l’esistenza stessa del mondo.

Uno scarno riassunto come questo non rende tuttavia ragione alla ricchezza e alla qualità di questi romanzi, che rientrano nella speculative fiction, sfoggiando però una originalità espressiva e di contenuti che li affranca dagli stereotipi del genere… e come tolkieniani noi tutti sappiamo bene che ciò può accadere, ma non è così frequente.

Quindi ho deciso di essere breve, perché preferisco lasciar parlare il suo autore, da me contattato sull’onda della genuina meraviglia che questi libri mi hanno ispirato e che, dopo decenni passati a vagabondare in mondi fantastici letterari, non credevo che avrei più provato.

Richard Scott BakkerRichard Scott Bakker, canadese dell’Ontario, ha compiuto studi letterari ma ha competenze e pubblicazioni che spaziano dalla filosofia alle neuroscienze; più volte è stato nominato ai Locus Awards e, con i romanzi della Seconda Apocalisse, dall’inizio degli anni 2000 è diventato un punto di riferimento nel genere grimdark, anche se l’impronta filosofica e psicologica della sua narrazione ne rende difficile l’incasellamento. Bakker ha dichiarato più volte che tra gli autori che lo hanno maggiormente ispirato c’è proprio J.R.R. Tolkien e ha gentilmente acconsentito a rilasciare questa intervista, per la quale lo ringraziamo e che siamo felicissimi di pubblicare in esclusiva per l’AIST

(English version available here).

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La mia prima domanda riguarda la sua esperienza come lettore di Tolkien. Lei ha dichiarato che Tolkien è stato un autore importante nella sua formazione (insieme a Herbert e Howard), quindi le voglio chiedere quale delle sue opere l’ha colpita di più, e perché.

Ho avuto la mia prima esperienza genuinamente filosofica, nel vero senso del termine, a dieci anni, mentre leggevo La Compagnia dell’Anello… mi ritrovai lì nel salotto, con lo sguardo fisso davanti a me, mentre il sole filtrava attraverso le tende e d’improvviso pensai: ‘Che diavolo è questo?’ Forse aveva a che fare con il passaggio subitaneo tra l’essere completamente immerso nella lettura e il ritrovarsi, all’improvviso, semplicemente seduto lì a guardare la luce del sole.

Un’esperienza di vera e propria, assoluta meraviglia, la stessa che ha poi continuato a colpirmi, quando leggo Tolkien. Ormai mi è ben chiaro che il buon vecchio e geniale Professore stava ricablando la mia percezione. Uno scherzetto del tutto illegale, e senza alcun preavviso! Nulla ti avverte in anticipo che stai tenendo tra le mani una Bibbia.

Suppongo che questo sia l’effetto che fa la prima incursione nella Terra di Mezzo, per la maggior parte di noi! Per me non è stata un’esperienza ‘filosofica’, ma sicuramente altrettanto suggestiva e magica. Posso chiederle quale personaggio ed episodio l’hanno maggiormente colpita?

Grima RettilinguaA parte le cose più ovvie (Moria e il Fosso di Helm sono state tra le esperienze di lettura più intense della mia infanzia), devo dire che Grima Rettilingua mi ha sempre dato l’impressione di un personaggio con alle spalle una storia ancora tutta da sviluppare. Con lui, il linguaggio stesso diviene qualcosa di cancerogeno, che inquina fisicamente le menti. Sembrerebbe che il mondo stia attraversando una situazione simile, in un certo senso.

In realtà possiamo scorgere accenni di personaggi tolkieniani nelle storie e nelle personalità della sua saga. Per esempio, c’è qualcosa di Gandalf nei tratti dello stregone Achamian – saggio, di basso profilo, eppure capace di incantesimi letali; l’ascesa di Kellhus dall’oscurità fino alle vette del potere ci ricorda quella di Aragorn, e ci sono tracce di Boromir nell’atteggiamento arrogante e presuntuoso di Ikurei Conphas. Ma poi tutte le sue storie si dipanano in modo così platealmente diverso, lasciando poco o nessuno spazio a concetti tolkieniani come l’eucatastrofe o la redenzione. Ha scelto di rappresentare le storie di Eärwa in un modo così ‘dark’ e spietato spinto dal realismo narrativo oppure proprio per distanziarsi dallo spirito ‘consolatorio’ del fantasy di stampo tolkieniano? O per altre ragioni?

È difficile che quando uno scrive migliaia di parole abbia completo controllo sul significato dell’opera, figuriamoci quando se ne scrivono milioni. Io so che cosa avevo in mente quando ho iniziato, che cosa speravo di ottenere, e so che quegli intenti hanno a mano a mano acquisito una vita propria.

La cosa più strana è che ho sempre considerato ‘La Seconda Apocalisse’ un’opera di ‘fantascienza hard’, sia letteralmente che figurativamente.

Comunque, una cosa mi ha sempre innanzitutto colpito del Signore degli Anelli: il fatto che Tolkien avrebbe potuto benissimo finire sul rogo ai tempi di Torquemada. E questo perché Il Signore degli Anelli è più che mera rappresentazione fittizia, è una risposta, come la Bibbia. Nel senso che Tolkien è unico e inimitabile nel presentarci la versione fantasy di ‘fatti nudi e crudi’. L’autore aveva capito molto bene come i miti antichi intrecciassero ‘trame e brame’, come l’ontologia stessa del mondo tragga forma dai desideri umani, e si adoperò a costruire un mondo, usando tanta ispirazione e tanta cura dei dettagli da renderlo credibile. Tolkien aveva capito che la rappresentazione della meraviglia richiedeva innanzitutto che quella meraviglia fosse credibile.

Mappa di EärwaLa mia idea originale, nata quand’ero adolescente, era abbastanza meccanica: Eärwa doveva essere il negativo fotografico della Terra di Mezzo. L’idea era di prendere il realismo mitico di Tolkien, creare un mondo ontologicamente morale, popolandolo però di personaggi psicologicamente realistici. I mondi dogmatici sono mondi sciovinisti: che succede se ti trovi come donna in una realtà che davvero attribuisce maggior valore agli uomini? Un bel po’ di donne pensano tuttora di vivere in una realtà di questo tipo.

Ebbene, laddove nel Signore degli Anelli la quest è imperniata interamente sul trionfare (contro il Male), trovando certezze e redenzione, ne ‘La Seconda Apocalisse’ essa consiste nel far fronte al crollo progressivo di una certezza morale ereditata, nel cingere d’assedio Golgotterath [la fortezza dei malvagi, NdR], il luogo che incarna il crollo di ogni significato. E, sotto questo particolare aspetto, ho sempre considerato ‘La Seconda Apocalisse’ come pura fantascienza. Fin dall’inizio infatti ho visto Kellhus come il portatore di una super-intelligenza, e ho cercato di dimostrare come la sua mera presenza distrugga ogni possibilità di vera collaborazione e riduca tutto alla manipolazione.

Temo che anche noi dobbiamo fare i conti con lo ‘schianto dei significati’.

Sia Eärwa che la Terra di Mezzo basano la loro atmosfera su una profonda, lontana eppure vivida, prospettiva temporale. Tolkien allude ad essa nel Signore degli Anelli e poi ripercorre tutti gli eventi del passato in un altro volume, Il Silmarillion. Lei invece ha scelto una strada diversa: uno dei protagonisti, Achamian, fa parte del Mandato, una scuola di magia i cui membri, ogni notte, rivivono in sogno eventi cruciali accaduti miglia di anni prima. Attraverso questo espediente ingegnoso il lettore viene informato sulla storia antica e i suoi conflitti. Lei non pensa, però, che questo modo, criptico e frammentario, di rivelare il passato poco per volta possa creare confusione nel lettore?

Se lo penso? Lo so per certo! E la prima bozza era ancora peggio! Al college Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault erano due delle mie letture preferite, e volevo infondere qualcosa della pregnanza testuale e letteraria di Eco nel mio mondo (in traduzione inglese, quanto meno).

Comunque, diciamo che ho trasformato una maratona in una corsa a ostacoli.

E adesso passiamo alla descrizione delle creature non umane. A parte gli Uomini e i suoi particolarissimi Hobbit (che però, tecnicamente, sono Uomini), Tolkien parla di Elfi, Nani, Ent, Orchi, Troll e altri mostri o creature, e lo fa fondendo elementi dal folclore e dal mito con la sua personale creatività. Tuttavia, nessuna di queste creature è bizzarra, grottesca e inquietante come gli Sranc, i Nonuomini, o a maggior ragione, gli Inchoroi. Come fan del genere horror ho davvero una predilizione per gli Inchoroi e adoro il ‘motto’ “Noi siamo la razza della carne, siamo la razza che ama” riferito a esseri… non esattamente amabili. Da dove ha tratto ispirazione per creature così abominevoli?

Inchoroi; art by SpiralhorizonDa noi stessi. Anche se penso che il marxismo non abbia nemmeno lontanamente gli strumenti per spiegare il nostro frangente attuale, credo davvero che l’analisi dell’Illuminismo fatta da Adorno e Horkheimer riveli implicazioni molto inquietanti. Una volta che ‘Dio è morto’, vale a dire quando la religione non possiede più una credibilità sociale tale da far rispettare i valori tradizionali, allora o subentra il liberalismo o il conflitto. Nel primo caso rimane solo l’appetito, il bisogno di nutrirsi e fornicare, ad assicurare una sorta di collaborazione. Il puro e semplice consumo.

Gli Inchoroi sono ciò che noi diventiamo in una visione estrapolata e orrorifica di ciò, il nostro sistema attuale. L’umanità oltre lo scopo, al di là del bene e del male.

In pratica, il lettore medio di fantasy.

Veniamo a Kellhus e al potere di persuasione e manipolazione. Ciò che trovo originale in questo personaggio è il fatto che le sue capacità manipolative non sono un insieme di abilità misteriose (alla Obi-Wan Kenobi, tanto per dire) ma derivano dalla sua acuta percezione e dall’analisi razionale del comportamento e del passato altrui. Così, ogni volta in cui Kellhus piega le menti degli altri al suo volere, viene spiegato come ciò avviene, e questo è molto gratificante per il lettore. Nel Legendarium molti malvagi hanno una sorta di potere magnetico di persuasione, come il drago Glaurung o lo stregone Saruman. Eppure, Kellhus non è esattamente un villain… oppure sì? Senza troppi spoiler, qual è la funzione di questo personaggio così cruciale?

Ancora negli anni ’80 io e un mio amico ci siamo messi a calcolare quando, secondo la legge di Moore, i computer avrebbero avuto tanti transistor quanti sono i nostri neuroni. Secondo i nostri calcoli, nel 2016. Io ero anche un grandissimo fan di Herbert e, in quanto tale, terrorizzato dall’idea di un’AI superintelligente. Gli ultimi quarant’anni della mia vita sono stati una sorta di conto alla rovescia tecnologico. L’idea che Kellhus fosse tanto intelligente da divenire pericoloso era presente dall’inizio.

Ma è stato solo quando, nei primi anni Novanta, ho letto Metamagical Themas e Counsciousness explained [‘Coscienza. Che cosa è’ N.d.R.] che mi è venuta l’idea di Kellhus come ‘maestro di meme’, credo – e allora il concetto di ‘meme’ significava qualcosa di ben diverso dalle attuali prese in giro dozzinali sul web. Ancora una volta, l’idea originale era meccanica, rimpiazzare il personaggio dai grandi occhi innocenti con una super intelligenza machiavellica, ma divenne sempre più predominante nel corso degli anni ’90, mentre stavo scrivendo e riscrivendo Il Buio che precede.

Era più o meno il periodo in cui iniziai a individuare cortocircuiti ben chiari e definiti nelle flame-war che allora monopolizzavano l’interesse della rete. Mi resi conto che Internet non era né più né meno che un amplificatore di indignazione e uno strumento per razionalizzarla: lungi dal correggere i nostri preconcetti, li ingrandiva, addirittura li sfruttava. E allora un focus del mio interesse divenne il modo in cui Kellhus manda in cortocircuito le relazioni umane intorno a sé, manipola chi gli sta vicino, proprio grazie alla sua straordinaria intelligenza.

E infine mi posi l’antico quesito, su che cosa un’intelligenza divina farebbe se dovesse confrontarsi con il ritorno di un Signore Oscuro.

La sua rappresentazione dei personaggi femminili ha fatto sorgere delle controversie perché ce ne sono pochi, e in ruoli subordinati a quelli degli uomini – almeno nella prima trilogia. Per una strana coincidenza anche Tolkien è stato a torto accusato di misoginia, per lo stesso motivo (troppo pochi personaggi femminili nel Signore degli Anelli). Le è mai venuto in mente di creare un ‘Kellhus’ donna? O forse sarebbe stato davvero troppo potente, in questo caso? Si scherza!

Esmenet; art by Miriam BaldiIn realtà fui spinto dal mio primo editore a cambiare in donne diversi miei personaggi. Ancora una volta, avevo in mente fin dall’adolescenza questo schema: l’Orfanella, la Sgualdrina e la Strega… stereotipi da rovesciare proprio per evidenziare la follia ontologica del patriarcato.

Esmenet, in particolare, si scopre emancipata grazie a Kellhus. E allora la questione diventa: “Una verità morale dipende o no dalla moralità di chi la enuncia? Che cosa significa essere manipolati per mezzo della verità?”

Sono questioni di grande spessore, molto affascinanti, credo. Purtroppo, alcuni lettori sembrano considerare la rappresentazione delle traversie come una approvazione di quella crudeltà. Considerano le donne ingannate dal processo stesso di emancipazione.

Ma non posso spingermi oltre senza toccare questioni delicate.

I linguaggi sono una passione comune a molti creatori di mondi secondari. Certamente è stato il caso di Tolkien. A giudicare dal materiale nelle appendici e la cura da lei posta nell’inventare i nomi per i personaggi, i luoghi e le leggende di Eärwa, si potrebbe desumere che le lingue fittizie siano molto importanti anche nel suo caso. Qual è il ruolo dei linguaggi nella creazione della sua saga?

Mi ci sono applicato tantissimo, eppure i linguaggi sono sempre per me un argomento imbarazzante. Faccio del mio meglio. Ho un paio di nomi che potrei menzionare come degni della Terra di Mezzo. Ma non posso leggere Tolkien senza percepire la sua autentica padronanza delle radici linguistiche e della loro connessione con il mito. Io ne sono, al massimo, una pallida copia. Le connessioni della mia tavolozza di colori si basano su una gamma più filosofica.

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Nel ringraziare ancora Scott Bakker per la sua disponibilità, ricordiamo i titoli che compongono la saga della Seconda Apocalisse:

Il Principe di Nulla edito da MondadoriTrilogia The Prince of Nothing

1)  Il buio che precede, (“The Darkness That Comes Before”, 2003) pubblicato nel volume “Il principe di Nulla”, 2024, Mondadori.

2)  Il guerriero profeta, (The Warrior-Prophet, 2004) pubblicato nel volume “Il principe di Nulla”, 2024, Mondadori.

3)  Il pensiero dalle mille forme, (“The Thousandfold Thought”, 2006) pubblicato nel volume “Il principe di Nulla”, 2024, Mondadori.

Tetralogia The Aspect-Emperor

4)  The Judging Eye, 2009

5)  The White-Luck Warrior, 2011

6)  The Great Ordeal , 2016

7)  The Unholy Consult, 2017

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