Di questi tempi è meglio specificarlo prima. In quest’articolo si parlerà di Damien Hirst e della sua mostra a Venezia, aperta fino al 3 dicembre, la prima grande mostra personale a lui dedicata in Italia. Questo non vuole dire che ci piaccia la mostra, ci piaccia l’artista e lo vogliamo difendere. Lo scopo di quest’articolo è un altro: osservare come J.R.R. Tolkien faccia il suo ingresso, anche ufficialmente, nell’arte contemporanea. Ma per capire tutto questo bisogna fare una digressione sull’artista inglese. Sì, perché il ritorno di Hirst è trionfale, controverso, esagerato. L’artista vivente più celebre al mondo, o se non altro uno dei più quotati, ha scelto proprio Venezia per esporre
Treasures from the Wreck of the Unbelievable (“Tesori dal relitto dell’incredibile”): dieci anni di lavoro culminati in una mostra monumentale che occupa Punta della Dogana e Palazzo Grassi, le sedi veneziane della collezione del magnate francese François Pinault, con centinaia di sculture in bronzo, cristallo e marmo di Carrara impreziosite con pietre, ori, giade e malachite. E la mostra ha suscitato numerose polemiche.
