Ci lascia Michela Murgia, scrittrice appassionata di Tolkien

Scrittori: Michela MurgiaI molti necrologi usciti nei giorni scorsi per la prematura scomparsa della scrittrice Michela Murgia (1972-2023) hanno ripercorso le tappe della sua carriera di autrice e attivista culturale e politica. Sembra però che nessuno abbia ricordato la sua passione per Tolkien, che era ben nota. È giusto rimediare aggiungendo la nostra piccola voce a quelle che hanno compianto la sua morte, perché non sono molti gli scrittori e le scrittrici italiane che hanno dichiarato la propria ammirazione per l’opera del Professore. Il fandom tolkieniano ha perso una testimonial che, anche se non era un’accanita studiosa della materia, ha dato il suo contributo alla divulgazione di Tolkien presso il grande pubblico.

Michela Murgia

Michela-Murgia«Impazzisco per Il Signore degli Anelli di Tolkien. Lo leggo una volta all’anno. È una bibbia». È stata questa la confessione di Michela Murgia a un quotidiano nel 2010. La scrittrice sarda era una appassionata dello scrittore inglese e non ne faceva un mistero. Aveva una predilezione per gli Elfi di cui aveva studiato le lingue: «Adoro Tolkien, adoro gli Elfi e adoro l’elfico, che ho imparato in tutte le varianti e che ho talvolta usato in pubblico anche per cantare» [un esempio nel finale del video qui sotto!!!]… Il fantastico ha avuto anche un ruolo fondamentale nel suo avvicinarsi alla scrittura: «La mia palestra in scrittura l’ho fatto dal 2000 al 2007 dentro a una comunità virtuale di gioco online ispirata alle opere di Tolkien» [Extremelot], ha raccontato nel 2014 all’AIST. «Era una cosa molto lontana dai giochi 3D e dalla grafica cinematografica che già allora spopolavano. Non c’erano avatar di impressionante realismo come in World of Warcraft né trame chiuse dove le possibilità narrative, per quanto numerose, erano comunque limitate a quelle che il programmatore aveva previsto per lo sviluppo di quella vicenda, come avveniva in Final Fantasy. Extremelot Michela MurgiaNella fase finale della mia avventura online, quando ormai giocavo da sei anni, ho rinunciato al gioco attivo e mi sono dedicata a costruire le “quest”, le storie che dovevano giocare gli altri. Oggi raccontare è il mio mestiere, ma è con Tolkien che ho imparato che la narrazione è un gioco dove vinci solo se riesci a convincere il lettore a stare nella storia insieme a te fino alla fine». In un’altra occasione, il suo amore per Il Signore degli Anelli è stato lo spunto per scrivere un saggio. «Gli amici e le amiche conoscono questa mia debolezza e l’accettano, anche perché molti di loro la condividono. Così è accaduto che Chiara Valerio, tra i curatori del numero monografico di Nuovi Argomenti che esce in questi giorni in edicola, mi abbia detto: “Perché non affronti il tema della misericordia in Tolkien?”. Ho scritto dunque un piccolo saggio – che trovate nel link a fondo pagina, ma ovviamente anche sul sito della rivista, dove ce ne sono di altri interessantissimi – in cui affronto il tema della misericordia tolkeniana (che è misericordia cristologica) e spiego quali sono le razze che possono agirla e quelle che proprio non ci sono portate».
Michela MurgiaOggi vogliamo ricordarla linkando i post che il nostro sito web aveva dedicato ai suoi interventi su Tolkien, soprattutto l’audio dello speciale di Pantheon di Radio3 a cui l’AIST ha collaborato, in cui Michela parla delle figure femminili in Tolkien e il video di una bellissima conversazione con Chiara Valerio in cui Michela, da cattolica, mostra la sua competenza delle opere di Tolkien e dei film di Jackson: Tolkien e quegli stronzi degli Elfi. Si può anche scaricare e leggere il suo saggio sulla misericordia in Tolkien. Namárië
RIP.

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Esclusiva AIST: intervista a Cate Blanchett/Galadriel

Roma: red carpet ad AuditoriumCome sempre per amore dei suoi lettori l’AIST coglie ogni occasione per incontrare i protagonisti delle opere derivate o legate a J.R.R. Tolkien, soprattutto quando si tratta degli attori delle due trilogie di Peter Jackson! Questa volta il 19 ottobre abbiamo seguito la bellissima Cate Blanchett alla Festa del Cinema di Roma 2018 e siamo riusciti lungo l’arco della giornata a strapparle alcune risposte dedicate alla sua esperienza con Tolkien e le riprese dei film. Nella seconda giornata della Festa del Cinema, l’attrice premio oscar si è resa protagonista di due incontri.
Cate BlanchettIl primo è stato la conferenza stampa del film Il mistero della casa del tempo, regia di Eli Roth, in cui è in coppia con l’attore Jack Black. E dopo il red carpet, la sua giornata si è conclusa con l’incontro con il pubblico. L’attrice due volte premio Oscar è stata salutata con particolare calore da un pubblico giovane e per lo più femminile. Sorridente e con un’ironia mai sopra le righe e sempre in equilibrio con la sua eleganza, ha parlato di cinque dei film da lei interpretati: Bandits (2001), Diario di uno scandalo (2006), Io non sono qui (2007), Il curioso caso di Benjamin Button (2008), Carol (2015).

Due passioni: la magia e gli horror

Cate BlanchettIl mistero della casa del tempo racconta l’avventura, magica e misteriosa, di Lewis, un ragazzino di 10 anni che si trasferisce a vivere nella casa dell’eccentrico zio Jonathan, una casa che nasconde un mondo segreto ricco di magie, streghe e misteri. Presto, Lewis scoprirà che lo zio e la sua migliore amica (Mrs Zimmerman interpretata da lei) sono due potenti maghi che lo coinvolgeranno in una missione segreta: scoprire l’origine del ticchettio di un orologio nascosto da qualche parte nei muri di casa. Il fantasy thriller per famiglie è tratto dal romanzo per ragazzi del 1973 La pendola magica (in italiano anche La pendola stregata) di John Bellairs e uscirà nelle sale italiane dal 31 ottobre.
«Mi è piaciuta molto la sceneggiatura – ha detto Blanchett – perché il messaggio per i ragazzi è molto positivo. Non vuole fare sermoni, ma trasmette il messaggio che non devi farti sopraffare dalle etichette che ti mettono addosso, puoi reagire». A questo punto l’attrice australiana ha rivelato una passione segreta: sin da quando era bambina ama la «magia». Con voce e costumi di Mrs Zimmerman, la strega buona ha ripetuto che «la magia è dentro di noi». Interrogata sulla sua idea a riguardo, è sembrata sincera nel crederci con tutte le sue forze, naturali e soprannaturali: «Da sempre, dall’epoca degli sciamani, la magia ha a che fare con la trasformazione. Vuol dire cambiare il piombo in oro, non restare al proprio posto, dove siamo, ma sentire che possiamo evolvere, reagire, non lasciarci identificare, etichettare. Un messaggio gentile e importante. Per i ragazzi, per noi tutti».
Cate Blanchett«Il mistero della casa del tempo nasce dal desiderio di tornare ai tempi d’oro della casa di produzione Amblin, che ha realizzato tanti film per bambini e ragazzi che trasmettevano un senso di reale pericolo, con vera suspense. Pensi a titoli ormai classici come Poltergeist, Gremlins e ovviamente E.T. In anni recenti, l’idea del film per bambini è stata spesso “igienizzata”, semplificata. Allora, hanno chiamato come regista Eli Roth, che è un maestro dell’horror. Eli è regista e attore, una persona molto brillante e creativa. È figlio di uno psicoanalista freudiano: non stupisce che si sia dato all’horror! Ci siamo divertiti parecchio». L’attrice passa poi a raccontare le scelte che l’hanno portata ad accettare il ruolo della coprotagonista del film: «Ero ossessionata dall’horror, e lo sono ancora. Avrei potuto guardare film horror ogni giorno. Per questo ero interessata all’idea di lavorare con Eli Roth, e il fatto che il film contenesse specialmente contenuti per ragazzi mi attraeva ancora di più. Attraverso i miei figli vivo le loro paure, e questo mi ha aiutato a sentirmi ancor più parte del progetto».
A chi le ha chiesto come si sia preparata per interpretare l’eccentrica maga e se abbia attinto alla sua esperienza di madre adottiva (nel film il piccolo protagonista viene adottato da lei e dallo zio), l’attrice ha sorpreso tutti rivelando: Cate Blanchett«Contrariamente a quanto si crede, come attrice non penso a me quando creo un personaggio. Io sono annoiata da me stessa, non voglio portare la mia esperienza sullo schermo. Voglio portare l’esperienza di altri». E sulla reazione agli insuccessi, l’attrice ha regalato una splendida lezione: «Quando arrivi alla mia età e sei così fortunato da avere dei premi, capisci che ciò che ti rende indomito sono i fallimenti, non i successi. Non impari dal successo, è il fallimento che ti indica i varchi, le strade nuove da seguire, perché la vera sfida è rafforzarti, imparare ad avere coraggio, ma non perdere il cuore».

L’intervista

Cate BlanchettDopo 50 film e 20 opere teatrali, l’attrice australiana si sente ancora una persona fortunata. «Non avrei mai pensato di fare cinema, recitavo in teatro ed ero contenta recitando a Sydney nel Australian National Theatre, ma mi dicevano che dovevo sbrigarmi, a 25 anni, se volevo fare un film, perché ormai ero quasi vecchia». L’attrice ha raggiunto un buon successo di critica e pubblico nel 1998 con Elizabeth con cui ha ottenuto il Golden Globe come migliore attrice drammatica e una candidatura all’Oscar.
Come è riuscita a ottenere la parte nella trilogia del Signore degli Anelli?
«Tutto è iniziato un po’ per caso. La mia agenzia aveva fatto domanda per la parte di Galadriel e alla fine fui scelta come miglior candidata per quel ruolo. Però, Peter mi ha confessato che aveva in mente il mio nome come la più adatta per quella parte. Lui e Philippa Boynes avevano fatto una “lista dei desideri” per tutti protagonisti del film e per Galadriel avevano scritto il mio nome! In questo ha aiutato anche il fatto che voleva attori australiani e neozelandesi per molte delle parti, non solo i ruoli secondari ma anche alcuni dei principali».
Cate BlanchettÈ vero che lei era un’appassionata dell’opera prima ancora che partecipasse al casting?
«Devo confessare che non avevo letto il libro, ma conoscevo la storia. Soprattutto, io amavo le opere di Peter Jackson. I film che aveva realizzato erano tutta roba pazza di horror scioccante. Quando ho saputo che lui e la moglie Fran avevano aperto il casting mi sono buttata a capofitto in quell’opportunità. Perché Peter aveva qualcosa, come dire, un senso raffinato del brutto che era così appropriato per Tolkien, era così fatato e giovanile come regista che lo rendeva perfetto per quel grandioso progetto di realizzare tre film dai libri dello scrittore».
Cate BlanchettQuale sensazione ha avuto vestendo i panni di Galadriel?
«Quando ho terminato il prima sessione di riprese del Signore degli Anelli, ho pensato per la prima volta: “Wow, è incredibile, che esperienza stupenda!”. Sapevo ovviamente che le riprese del film sarebbero durate per altri 18 mesi e non avevo alcuna percezione di quel che sarebbe venuto dopo con l’uscita del film e il suo enorme successo, gli Oscar e la promozione in giro per il mondo. Prima del Signore degli Anelli non avevo mai fatto nulla con il blu screen, le protesi o cose simile. È stato come entrare in un videogioco per me. Era davvero un altro mondo. Ma, ad essere onesti, in fondo l’ho fatto soltanto per avere le orecchie a punta!».
Dica la verità, sta scherzando vero?
«Non scherzo! Una parte delle ragioni per cui ho interpretato il ruolo di Galadriel era proprio il fatto di poter indossare le orecchie a punta… ho sempre voluto avere le orecchie a punta. Pensavo che avrebbero funzionato davvero bene con la mia testa nuda! Ed è stato così, al punto che dopo Il Signore degli Anelli ho tenuto le mie orecchie da elfo e le ho fatte ricoprire di bronzo come un trofeo!».
Cate BlanchettÈ stato difficile immedesimarsi in un personaggio irreale come un elfo immortale?
«In un certo senso sì. Interpretare qualcuno di non umano è inizialmente sconcertante: non ci sono appigli per costruire il personaggio. Ma in sostanza i problemi tecnici che un attore deve affrontare nel ritrarre persone reali hanno qualcosa in comune con il ruolo di Galadriel: in fondo, si tratta di un personaggio con le sue paure e le sue debolezze. Dall’altra parte, le legioni degli appassionati del libro mi hanno aiutato, perché non solo sentono di sapere come Galadriel sia in quanto elfa, ma l’hanno fatta propria. Alla fine, è il modo naturale in cui lo fai in quel momento e penso che devi solo fare un respiro profondo e andare avanti. Per me è stato così!».
Ecco, il rapporto con i fan: interpretare Galadriel deve essere stato un’arma a doppio taglio. Alec Guinness odiava essere riconosciuto per strada dalla gente solo per l’attore che aveva interpretato Obi-Wan Kenobi…
«Sai, non ci ho mai pensato molto, soprattutto all’inizio. Volevo lavorare con Peter. Il ruolo era probabilmente secondario e le conseguenze dei film erano fuori dalla mia immaginazione. Riguardo ad Alec Guinness, ero una di quelle bambine per le quali Star Wars era la porta d’ingresso nel suo straordinario universo fatto di libri e film. In realtà, la mia notorietà oscilla molto. Dipende dal giorno. Posso incontrare una studentessa al supermercato che ha appena visto Il Signore degli Anelli e penso: “Wow, ho fatto parte di una favola epica che ha fatto conoscere a questa ragazza il romanzo di Tolkien!”. Quanto è importante? E quanto gratificante. D’altra parte, c’è l’intrusione dei media: a volte sei costretta a rispondere del fatto che per andare a una riunione hai preso un autobus! C’è stato un po’ di scalpore nei media su questo fatto – che ho preso un autobus! E penso: Dio quanto è stupido il mio lavoro».
Cate BlanchettMa ora che la polvere si è calmata, come pensa che la trilogia di Jackson si trovi nella storia del cinema?
«La polvere si deposita mai in questo mezzo? O, più precisamente, dovrebbe mai depositarsi? Non ho fretta perché si depositi su o attorno a me… Ma la trilogia è, anche dopo alcuni anni, un risultato notevolmente singolare. Il Signore degli Anelli era basato su un classico della letteratura, aveva un cast straordinario con persone come Ian McKellen e Christopher Lee e ha vinto 17 Oscar. È più difficile da respingere. In ogni caso, io non sono una di quelle persone che pensa che ogni suo lavoro rimodellerà l’universo. Faccio solo quello che mi piace fare. E finora sono stata fortunata».
Le riprese del Signore degli Anelli sono state notoriamente piene di episodi divertenti, con tutto il tempo passato in Nuova Zelanda…
«Le riprese del Signore degli Anelli di Peter Jackson in Nuova Zelanda sono state per molte persone un’esperienza totalizzante. Per me è stato molto elettrizzante lavorare, come ho detto, con Peter. Le riprese sono durate quasi un anno e mezzo [dall’11 ottobre 1999 al 22 dicembre 2000, ndr] e solo a giugno hanno iniziato a girare scene per il set di Lothlórien, in studio e per le esterne per la sequenza di addio della Compagnia. Io ho quindi girato tutto questo in tre settimane, circa mille anni fa… Beh, gli elfi vivono per molte migliaia di anni quindi probabilmente non è così lontano dalla verità! Ma è stata un’esperienza surreale per me perché giravano da così tanto tempo e avevano ancora molto lavoro da fare, mentre io sono entrata e uscita dal film molto velocemente».
Cate BlanchettDa quel giugno del 2000 è poi tornata a interpretare Galadriel 12 anni dopo, quando Jackson ha realizzato la trilogia de Lo Hobbit. Come si è sentita nel tornare a quel personaggio e quell’universo?
«Ero molto giovane quando ho interpretato Galadriel. Nel 2012 ero più matura come attrice; questo è il motivo che mi ha fatto venir voglia di interpretarla di nuovo. Peter mi ha chiamato e pensava che avrei potuto non accettare il ruolo. Gli ho detto: “Mi stai prendendo in giro? Certo che lo farò!” In realtà, ne Lo Hobbit penso che sia solo presente in un nota alla fine del libro, quindi il fatto che il regista abbia scritto alcune scene mi ha davvero entusiasmato. I miei figli già si lamentavano perché ero apparsa nella prima trilogia solo per 30 secondi! Comunque, spero di essermi evoluta, di essere un’attrice, una persona e una madre migliori. Professionalmente penso di essere molto più flessibile ora e più facile lavorare. So che Peter la pensava così!».
Cosa le ha dato il personaggio di Galadriel?
«Galadriel è un personaggio speciale per me, mitico e affascinante. È stato divertente interpretarlo nel Signore degli Anelli. Quando poi ho indossato di nuovo le orecchie da elfo, ho avuto questa meravigliosa sensazione di dejà vù. Non potevo smettere di ridere. Galadriel però è un personaggio molto importante: ha una su di sé un pericolo supplementare perché è già una portatrice di un anello e suppongo che se avesse preso l’Unico Anello avrebbe avuto il potenziale di trasformarsi anche lei nella forza malvagia di cui è fatto Sauron. Superata la prova, la regina degli Elfi sta passando il testimone agli Uomini. Gli Elfi se ne andranno e inizierà l’Era degli Uomini nella Terra di Mezzo. Tocca a loro adesso proteggere la Natura e i suoi valori. Penso che, in un certo modo, Tolkien stia sfidando anche i lettori e gli spettatori a rispondere alla domanda: “Tu cosa faresti con la Terra di Mezzo?”».
Cate BlanchettSi può concludere quindi che il libro sia un capolavoro?
«Certo, penso che sia particolare in questa periodo in cui tutti sono ossessionati dagli eroi, ma penso che quel che rende dei capolavori senza tempo Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit sia che tutti i protagonisti sono messi alla prova, tutti hanno un’evoluzione, tutti hanno una debolezza nascosta, anche i personaggi più nobili e buoni, anche la stessa regina degli Elfi. Hanno tutti la potenzialità di volgersi verso il Male e penso che sia sempre il rovescio della medaglia che rende qualcuno un eroe forte».

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Esclusiva AIST: intervista a Martin Freeman
– Leggi l’articolo L’AIST intervista Sam Gamgee/Sean Astin

LINK ESTERNI:
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Sentieri Tolkieniani, una festa che crescerà tanto

«Dite amici ed entrate». Sembra questa la frase migliore per commentare l’accoglienza a Sentieri Tolkieniani 2018, che si è tenuta nel castello di Osasco il 2 e 3 giugno. Sì, perché tutta l’organizzazione ha accolto letteralmente a braccia aperte la piccola delegazione dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, giunta da oltre 700 km di distanza per l’occasione. E la premura verso i soci si è vista nelle piccole cose, nelle continue attenzioni, nelle continue offerte di aiuto, nei regali e nei saluti finali. Insomma, ci siamo sentiti coccolati in quella che è una vera e propria festa tolkieniana, una «vera» Oxonmoot, di quelle che nel si vedevano dai tempi di Bassano del Grappa nel 2008 (con la parentesi delle manifestazioni tenute a Barletta). Ringraziamo quindi tutto lo staff di Sentieri Tolkieniani, Quarta Era, Radio Brea e la Compagnia dei Dúnedain (lo Smial tolkieniano di Torino) che ci hanno fatto sentire a come a casa nostra.

«La migliore edizione di sempre»

Cosa bellissima ed emozionante la conclusione della manifestazione, con il momento di commiato in cui il presidente di Sentieri Tolkieniani, Andrea Giliberto, ha riunito tutte le associazioni e i gruppi che hanno animato la due giorni di questo «Festival Fantasy e Medievale», in cui però Tolkien è il centro e il motore di tutte le attività. E proprio Giliberto, dando l’annuncio dei numeri record di quest’anno, ha rimarcato che «Sentieri Tolkieniani 2018 è la migliore edizione di sempre». E questo è dimostrato dalle tantissime persone sono venute a trovarci al nostro stand, che sono state gran parte delle 2400 persone che hanno attraversato il cancello del castello di Osasco.
Proprio il castello costruito dai signori di Pinerolo nel 1400 è stato la splendida cornice della manifestazione. Nella suggestiva corte dei cascinali, immersi in un grande parco abbellito da numerosi alberi secolari. Il parco si estende sul lato ovest del maniero e vi si accede con un maestoso arco dopo aver camminato in un meraviglioso giardino all’italiana con siepi in bosso. Sono ancora presenti attorno al castello resti di mura e di torrioni.
Ecco, al centro di tutto questo lo staff è riuscito a realizzare una piccola e perfetta Contea, come quella degli Hobbit, con tanto di percorso tematico in tutta la Terra di Mezzo che ha avuto il suo Gandalf nel professor Daniele Ormezzano, ottima guida nei numerosi tour per i visitatori che si sono svolti nei due giorni. Tutti i tour partivano dall’info point (denominato I Porti Grigi), un grande stand che accoglieva il pubblico appena entrato nel giardino. È stato questo uno dei punti nevralgici della manifestazione, luogo cardine per il coordinamento delle attività e punto di raccolta di tutto lo staff, tra cui spiccava l’efficiente Miriam Policastro. Da lì partiva il sentiero di sinistra che, costeggiando tutto il lato del parco, presentava in ordine l’area bambini (Casa Baggins) gestita al meglio dall’Associazione I Birichini, l’enorme area games (Osgiliath) animata ininterrottamente dalle associazioni ludiche La Pentola Del Drago, La Gilda del Grifone, Dimensione Arcana e la community online Sesso Droga e D&D. Qui erano presenti due ospiti d’eccezione, gli autori di giochi Umberto Pignatelli e Francesco Nepitello, che poi la domenica hanno tenuto una tavola rotonda e un workshop. Girando a destra dall’info point, invece, si entrava in un enorme campo erboso con al centro l’area esibizioni (I campi del Pelennor), dove tra gli altri l’artista Eleonora Burzio si è esibita in 5 danze tutte a tema Tolkien, tutte coreografate da lei: “Beren e Luthien”, “Danza di Tauriel con i pugnali-spada” , “L’inganno di Sauron”, “Anìron” e “Io ti penso amore”, quest’ultime due impersonando Elwing (tutte le danze si possono vedere sul profilo FB dell’artista). L’area era circondata dal palco concerti, dall’area ristoro (Il Puledro Impennato) che permetteva al pubblico di riposarsi all’ombra addirittura di Telperion e Laurelin, magici alla sera con le loro luci fredda e calda! A chiudere quel lato c’era l’area conferenze (Granburrone), allestita in maniera magistrale con un gazebo di forma ottagonale che ospitava la postazione di Radio Brea e quella dei relatori, fronteggiata da numerose file di sedie per il pubblico. Proprio qui stazionava tutto il gruppo che fa capo ad Andrea Gilby Giliberto, Silent BobManuel Marras, e in cui si sono alternati tutti i relatori, tra cui spiccavano Paolo Gulisano, Luisa Paglieri, Chiara Nejrotti, Barbara SanguinetiRenzo Caimotto e Matteo Coero Borga. Mentre sull’opposto lato lungo c’eravamo noi con altri stand associativi, il lato più lontano dal castello era dedicato al mercatino tematico (la Fiera di Brea), composto da più di 40 stand, accuratamente selezionati con opere artigianali molto particolari e di ogni tipo, che ha permesso al pubblico di avere un ricordo unico della manifestazione. Chiudeva l’enorme giardino, aldilà di tutto questo, l’area medievale (Breccia di Rohan): è stato il luogo in cui i molti gruppi e associazioni di rievocazione storica hanno allestito i propri campi medievali cimentandosi nella scherma medievale, tiro con l’arco, antichi mestieri, vedendo da vicino rapaci e cavalli grazie ai falconieri e ai cavalieri presenti. Per la prima volta, Sentieri Tolkieniani ha occupato alcune sale del Castello di Osasco per una mostra a tema fantasy-tolkieniano (la Sala del Palantír), il tutto curato dal nostro illustratore Emanuele Manfredi. Eran presenti le opere di ben sei autori, tra cui spiccavano di nomi di Fabio Porfidia e Lucia Simonis.
Tutto questo è stato Sentieri Tolkieniani, cui siamo felici di aver portato il nostro piccolo contributo. Una manifestazione che merita almeno dieci volte il pubblico che vi ha passato i due giorni. Una manifestazione che sicuramente li otterrà!

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Danza ballata e coreografata da Eleonora Burzio

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo A Osasco i Sentieri Tolkieniani il 2 e 3 giugno
– Leggi l’articolo Maggio tolkieniano: ecco dove trovarci!
– Leggi l’articolo Sentieri Tolkieniani 2017 a Osasco: il programma!
– Leggi l’articolo Sentieri tolkieniani: fan riuniti a Torre Pellice
– Leggi l’articolo Sentieri tolkieniani 2014: i fan riuniti a Pinerolo

LINK ESTERNI:
– Vai all’evento facebook Sentieri Tolkieniani 2018 – Festival Fantasy e Medievale
– Vai al sito dell’associazione Sentieri Tolkieniani
– Vai al sito di Associazione di Rievocazione Tolkieniana “La Quarta Era”
– Vai alla Paolo Gulisano
– Vai alla pagina facebook di Radio Brea
– Ascolta le trasmissioni di Radio Brea
– Vai al sito Doppiatori Italiani
– Vai al sito dell’associazione La Quarta Era
– Vai al profilo FB di Eleonora Burzio



Esclusiva AIST: intervista a Martin Freeman

La XXIII edizione di Romics ha celebrato Martin Freeman, con l’assegnazione del primo Romics d’Oro mai attribuito a un attore. Il divo britannico è uno straordinario interprete di personaggi che dalla letteratura e dai fumetti sono passati al cinema, dalla televisione al teatro, in un’ottica assolutamente transmediale. Freeman è passato così dalla Guida galattica per autostoppisti a The Office a Fargo, dai film Marvel al supernatural thriller con Ghost Stories che uscirà nelle sale il 19 aprile. Ma uno dei ruoli più amati è quello di Bilbo Baggins nei tre adattamenti del romanzo di J.R.R. Tolkien Lo Hobbit (Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, Lo Hobbit – La desolazione di Smaug e Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate, usciti rispettivamente nel 2012, nel 2013 e nel 2014). L’attore britannico Martin Freeman, che ha incontrato ieri i suoi numerosissimi fan al Pala Romics, dove ha discusso della sua carriera artistica, dei suoi film più celebri, delle sue passioni e dei suoi progetti futuri.
Martin FreemanNel corso dell’incontro, preso d’assalto da migliaia di fan di Freeman nel padiglione 8 della Fiera di Roma, si è parlato anche della prossima stagione di Sherlock e del nuovi film in uscita. «Non mi piace incasellarmi in generi filmici specifici», ha detto l’attore, «preferisco essere coinvolto in belle storie e in belle sceneggiature. È stato un caso, infatti, aver interpretato ruoli dotati di una precedente vita letteraria. Non nego, però, che lavorare a sceneggiature tratte da libri è molto bello, perché infonde più ricchezza all’attore che deve interpretarli». E proprio a Romics, l’AIST ha ottenuto la possibilità  di fare un’intervista in esclusiva a Martin Freeman tutta dedicata al suo rapporto con Tolkien, il ruolo di Bilbo Baggins e sulla nuova serie tv. Buona lettura!

L’intervista di Roberto Arduini

Martin FreemanMr. Freeman, sappiamo che non aveva letto le opere di Tolkien prima di partecipare alla trilogia de Lo Hobbit. A distanza di anni, ha ora letto qualcosa?
«Sì, ho recuperato! Non sono cresciuto leggendo i libri di Tolkien e ho conosciuto le sue opere solo attraverso la prima trilogia. Peter Jackson ha fatto un lavoro strabiliante per portare Il Signore degli Anelli dai libri allo schermo e questo è dovuto solo al fatto che lui ama quel libro e lo conosce approfonditamente. Lo stesso è accaduto per Lo Hobbit, che inizialmente doveva essere una saga di soli due film, poi divenuti una trilogia. Solo grazie a Jackson quell’operazione così difficile è potuta riuscire».
Aveva detto che avrebbe voluto leggere Lo Hobbit ai suoi figli: è riuscito a farlo?
«No. Avrei voluto, ma non ho più potuto farlo perché… loro hanno poi visto i film in cui c’ero io! Un po’ è anche dovuto al fatto che all’epoca dell’uscita dei film i miei figli avevano già superato l’età in cui solitamente si legge quel libro. Non ho voluto forzali e aspetto che si avvicinino da soli alla lettura».
Cosa le è rimasto dell’esperienza di quei film e della loro realizzazione in Nuova Zelanda?
«La Nuova Zelanda è una terra bellissima con gente bellissima. Non riesco ad immaginare la mia carriera senza quella esperienza. Il mondo di Tolkien, nel modo in cui Jackson lo ha visto, è poi molto inglese. Naturalmente, io sono inglese, quindi è stato facile per me immedesimarmi in quel mondo e portarmi dentro un ricordo ancora vivo di quei giorni. E poi, ho la mia versione personale di Bag End: la casa in cui vivo nell’Hertfordshire, a nord di Londra».
Quale è stata la cosa più utile per entrare nella Terra di Mezzo di Jackson?
«La cosa realmente utile oltre che tra le primissime cose ricevute, è stato una nota preliminare di commento direttamente da Jackson stesso, in anticipo sulla lavorazione, che gli sottolineava come gli Hobbit non fossero un popolo completamente umano. È stata la chiave di lettura più importante per entrare nel ruolo di Bilbo perché grazie a essa sono riuscito a rendere lo hobbit in parte umano in parte una creatura della foresta, cosa che poi si è riflessa sul suo atteggiamento fisico. Ogni hobbit è come un animale in basso nella catena alimentare, quindi c’è un’attenzione particolare a tutto ciò che lo circonda, a ogni potenziale pericolo perché in ogni momento qualche animale feroce può sbucare da dietro un albero e mangiarselo. È stato uno dei primissimi suggerimenti del regista, che però si è rivelato per me fondamentale nell’interpretazione del ruolo di Bilbo Baggins».
Come è giunto alla resa di questo ruolo, che mi sembra abbia un linguaggio del corpo molto accentuato?
«Esatto, ho voluto accentuare l’interpretazione fisica del piccolo hobbit proprio seguendo questa linea, anche perché non avevo molti altri punti di contatto con quel personaggio e quel mondo fantastico. Più in generale, un attore deve sempre lavorare sul fisico del personaggio che andrà a interpretare, anche perché quel fisico, quei gesti, quelle movenze andranno a informare di sé il personaggio rendendolo diverso e unico rispetto ad altri personaggi interpretati. Ci sono due tipi di approccio: quello tutto mentale, tutto è nella tua testa e questo si manifesta poi nel modo in cui si recita un personaggio; quello prevalentemente fisico, in cui se tu cammini per una stanza zoppicando, questo cambierà anche il modo in cui percepire il personaggio e l’ambiente esterno. Questo è il motivo per cui interpretando Watson nella serie Sherlock, gli ho dato un modo di camminare tipico di un ex militare che ha subito una ferita. Così Bilbo è continuamente all’erta e i suoi movimenti rapidi e silenziosi sono la conseguenza di una vita di una piccola creatura in un mondo più grande di lei».
Quindi interpretare Bilbo Baggins ha modificato il suo immaginario?
«Dopo quel ruolo, ho un grande rispetto per le opere di Tolkien. Si può dire che ora le apprezzo. È stato un bene poter entrare in quel mondo, anche se solo nella versione fornita di Jackson. Ho un grande rispetto per tutto il suo lavoro, anche perché – ed è una cosa abbastanza banale – è realmente il padre del genere fantasy e dobbiamo a lui se oggi ci sono così tante storie fantastiche. Il suo lavoro fornisce l’archetipo e il progetto per mille altre storie, penso che sia il motivo per cui persiste ed è così affascinante. Direttamente o indirettamente, tutti gli scrittori devono fare i conti con lui. La sua influenza sul genere è enorme e continua ancora oggi».
Amazon ha iniziato le trattative con i legali di Peter Jackson. Secondo te, la serie tv dovrebbe essere in continuità con i film oppure è meglio se avesse una forza immaginativa nuova e originale?
«Dal punto di vista cinematografico o televisivo è difficile prescindere da quell’immaginario. Generazioni di appassionati ci sono cresciute e non si possono nemmeno sottovalutare tutti i premi Oscar vinti dalla prima trilogia nei settori che hanno creato quel mondo, scenografia, effetti speciali costumi, ecc. Oggi, nel 2018, immaginare la Terra di Mezzo sullo schermo significa immaginare quella realizzata da Peter Jackson e così fanno bambini, ragazzi e giovani dai dieci anni in su. Insomma, l’ombra di Jackson su quell’immaginario è molto lunga! Chi prenderà altre vie farà una scelta importante. Eppure, come sa, il progetto originario de Lo Hobbit prevedeva la regia di Guillermo Del Toro e il suo approccio stilistico alla Terra di Mezzo era molto diverso da quello di Jackson. Solo il suo abbandono e il successivo ritorno del regista neozelandese ha permesso una continuità notevole tra le due trilogie, che altrimenti non ci sarebbe stata. Sicuramente, se ci sarà un nuovo regista – e deve essere brillante – porterà con sé la sua visione personale e originale di quel mondo fantastico. Del resto, lo stesso Jackson è stato il primo ad auspicarsi di vedere altri approcci alle opere di Tolkien».

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Addio a Rhona Beare, da lettrice a studiosa

Bristol: Woodland Memorial«Potrei dire che se il racconto tratta di “qualcosa” (oltre che di se stesso), questo qualcosa non è, come tutti sembrano supporre, il “potere”». Così rispondeva J.R.R. Tolkien il 14 ottobre 1958 a una lettera di una lettrice attenta. Quella lettrice, Rhona Beare, allora studentessa di 23 anni all’università di Exeter, era rimasta talmente colpita dal Signore degli Anelli da leggerlo per tre volte di seguito. Finita la terza rilettura, Appendici comprese, la signorina Beare aveva preso carta e penna e
Bristolaveva scritto direttamente all’autore del romanzo, ponendogli tutta una serie di questioni, numerandole anche. È grazie a lei che Tolkien spiegò molte delle storie che fanno da sfondo alle vicende della Compagnia. Non paga, scrisse ancora e ancora, divenendo col tempo la corrispondente più frequente di Tolkien e decisamente versata nella materia leggendaria e linguistica della Terra di Mezzo. Ieri quella ragazza se ne è andata. Si è spenta nella sua casa in Canynge Road, a Bristol, il 20 febbraio 2018 all’età di 82 anni. La sorella Nancy e i nipoti Catharine, Alison e Christopher ne hanno dato notizia, facendo sapere che il servizio funebre si è poi celebrato presso il Memorial Woodlands di Alveston. Anche il Times locale ha pubblicato la notizia.

Un’attenta lettrice e appassionata di storia

Studiosi: Rhona BeareRhona era nata a Bristol in Inghilterra nel 1935, primogenita di William Beare, professore di latino alla locale università, autore de I romani a teatro (The Roman Stage), una storia del teatro latino, dalle origini all’età imperiale che è un classico tradotto anche in italiano (da Laterza) che continua a vendere regolarmente. A sette anni, Rhona iniziò a frequentare la Clifton High School for Girls della sua città, istituto per ragazze che riservava particolare attenzione a musica, arte e teatro, organizzando regolarmente concerti, mostre e rappresentazioni teatrali. In seguito si trasferì a Cambridge, per dedicarsi agli studi classici al Girton College. Nel 1955 si trasferì a Exeter, dove l’università aveva appena raggiunto lo status definitivo e si era organizzata in quattro facoltà. In quella di Arte, Rhona studiò per un dottorato di ricerca e fu allieva di W.F. Jackson Knight (1895-1964), docente di letteratura classica che aveva conquistato una reputazione internazionale con i suoi numerosi libri e articoli su Virgilio, nonché su altri aspetti della letteratura antica. Lasciò prima di conseguire il dottorato, cosa che fece più tardi, nel 1974. Divenuta assistente lettore in studi classici al Westford College dell’università di Londra, la dottoressa Beare si trasferì nei primi mesi del 1966 presso l’università di Newcastle, in Australia. Tenne la cattedra di storia antica (storia latina e greca) dal 1966 al 2001, anno del suo ritiro. Fragment: lombard verso 12, verso 25«La sua carriera a Newcastle è stata caratterizzata da una lunga dedizione alla materia e ai suoi studenti, da una mente indagatrice che si dedica naturalmente alle minuzie – non solo gli studi classici, ma anche di altre materie tra cui Tolkien», sono state le affettuose parole del direttore del dipartimento, Harold Tarrant. Tra i frutti dei suoi studi anche la traduzione di alcuni frammenti ottenuti dall’università di un manoscritto conservato alla Marquette University di Milwakee, la stessa in cui sono conservati i manoscritti di Tolkien. Tornata in Gran Bretagna nel 2000, si era stabilita accanto alla famiglia a Bristol.

Sessant’anni di passione

Studiosi: Rhona BeareNegli anni in cui insegnava in Australia, Rhona non dimenticò mai Tolkien. Del resto, aveva letto per la prima volta Lo Hobbit mentre era a scuola e Il Signore degli Anelli all’università. Aveva scritto a Tolkien e fu abbastanza fortunata da ricevere molte risposte, come dimostrano le lettere n. 211, 230 e 245 dell’epistolario tolkieniano. Non stupisce quindi che scrivesse moltissimi articoli per diverse riviste tolkieniane, da Amon Hen a Quettar, da Parma Eldalamberon a Tyalië Tyelelliéva. Come si intuisce dai titoli, la sua passione si indirizzò sempre più verso le conoscenze linguistiche della Terra di Mezzo, senza tralasciare argomenti legati al clima, al calendario e soprattutto all’origine del Silmarillion. Suoi saggi su Tolkien e Charles Williams sono stati pubblicati su Mythlore. Nel 1985 uscì l’opuscolo J.R.R. Tolkien’s Letters to Rhona Beare ( (pubblicato dalla New England Tolkien Society in un’edizione limitata di 95 copie di 19 pagine), che riproduce un fac-simile delle lettere n.211 e 230 nella loro versione integrale, perché nell’epistolario sono ridotte. Rhona era particolarmente attratta dalle sue storie di viaggi nel tempo, tradusse dall’anglosassone le poesie contenute in Songs for the Philologists, andando a caccia delle musiche su cui si era basato lo scrittore. Atti del convegno su Tolkien 2005Invitata a scrivere un’introduzione al Silmarillion, pubblicò nel 2000 J. R. R.Tolkien’s The Silmarillion. È stata parte attiva della Tolkien Society inglese e partecipando al convegno nel 2005 a Birmingham per il Cinquantesimo anniversario della pubblicazione del Signore degli Anelli. Negli atti del convegno, The Ring Goes Ever On: Proceedings of the Tolkien 2005 Conference, si trova l’intervento tenuto per quell’occasione: “Influence of Climate on Myth: Tolkien’s Theory and Practice”. Nel 2007 la Walking Tree Publishers ha pubblicato il volume The Silmarillion: 30 years on, che contiene l’ultimo contributo di Rhona Beare: una versione completamente riscritta di una sezione dalla sua introduzione ormai fuori stampa al Silmarillion.

Una pioniera degli studi tolkieniani

"The Silmarillion 30 years on"Passando da attenta lettrice quale era a studiosa appassionata, Rhona Beare ha dato un contributo fondamentale agli studi tolkieniani in quella che Shippey ha chiamato «l’età dell’innocenza», cioè i primi trenta anni dalla pubblicazione del Signore degli Anelli. Rhona, insieme a molte altre ispirate corrispondenti femminili di Tolkien, si è guadagnata la nostra immensa gratitudine per aver scritto al Professore facendogli una serie di domande che hanno aiutato a illuminare e migliorare la nostra comprensione del suo lavoro. Anche il lavoro di Beare sul Silmarillion è notevole, se si pensa che il saggio è stato scritto quasi vent’anni fa, in era pre-internet e in un posto sperduto come Australia: in maniera molto scorrevole l’autrice passa in rassegna molti dei poeti che hanno influenzato Tolkien nelle poesie del Silmarillion e passa da Hélinand di Froidmont (in latino Helinandus Frigidimontis), uno scrittore del XIII secolo per arrivare all’irlandese William Butler Yeats, passando soprattutto per John Keats, di cui analizza «Ode to a Nightingale». Ma è leggendo i suoi ultimi scritti che si può apprezzare l’acutezza di giudizio, frutto di riflessioni di una vita. “A Mythology for England”, il saggio contenuto in The Silmarillion: 30 years on è un’introduzione perfetta al volume in quanto affronta la questione del “perché” è stato scritto Il Silmarillion.
Rhona Beare: disegno Elmi degli ElfiL’intuizione di Beare sull’eventuale derivazione di Eärendil apre la strada a nuovi spunti interessanti: «I miti lasciano tracce sul linguaggio», spiega e per Tolkien questo significava cercare indizi in anglosassone. Seguendo l’uso tradizionale per earendel, “Eärendil” è sia nome proprio che sostantivo, indica sia l’eroe che la stella del mattino. La riflessione successiva di Rhone, che segue queste tracce nei poemi anglosassoni come il Christ e nelle Omelie è ben supportata da numerosi esempi, rendendo questo il punto saliente del saggio. A ben vedere, sono sempre le tematiche delle domande delle lettere degli anni Cinquanta, ma con la profondità della studiosa. Una studiosa che da ragazza aveva chiesto a Tolkien: «Perché si descrive il cavallo di Glorfindel con briglia e morso, quando gli Elfi cavalcavano senza morso, briglia e sella?». Lo scrittore le diede ragione: «Cambierò briglie e morso con testiera». E la versione venne adottata nelle ristampe successive del Signore degli Anelli

 

LINK ESTERNI:
– Vai al sito dell’Università di Newcastle (Australia)

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Prima del Signore degli Anelli: ci sarà la serie tv

Libri BompianiDopo giorni di indiscrezioni, il 13 novembre, Amazon ha annunciato di aver acquisito i diritti televisivi globali del Signore degli Anelli, basato sui romanzi di J.R.R. Tolkien, con un impegno previsto per più stagioni. L’imminente Amazon Prime Original sarà prodotto da Amazon Studios in collaborazione con Tolkien Estate and Trust, HarperCollins e New Line Cinema, una divisione di Warner Bros. Entertainment. Il lancio è previsto per il 2020, su Prime Video e le indiscrezioni riportano di un affare da 200-250 milioni di dollari per i soli diritti e di costi di produzione di 120 milioni di dollari a stagione. A pochi anni dalla fine della trilogia cinematografica dello Hobbit di Peter Jackson, quindi, Tolkien tornerà sugli schermi con diverse stagione legate al suo capolavoro e le storie a esso collegate. Ma per capire bene la notizia e avere qualche indizio su quali saranno le storie narrate, si deve partire dal comunicato stampa ufficiale, che qualche dettaglio sui contenuti lo fornisce. Con tutto il peso della sua immensa disponibilità di fondi, quindi, Amazon entra a pieno nel business delle serie televisive, facendo tremare Hbo e Netflix. Amazon VideoLa divisione Amazon Prime Video è già attiva sul mercato con prodotti originali, come The Grand Tour e American Gods, che ha ricevuto però un’accoglienza inferiore alle aspettative. Per questo motivo l’azienda di Jeff Bezos punta ora a quello che si preannuncia come un kolossal tale da mettere al tappeto la concorrenza, soprattutto se riuscirà nell’obiettivo di intercettare il pubblico che resterà orfano di Game of Thrones, che finirà nel 2019.

Il comunicato di Amazon

Amazon: Sharon Tal YguadoLeggiamo allora il comunicato: «Il Signore degli Anelli è un fenomeno culturale che ha catturato l’immaginazione di generazioni di appassionati sia con i romanzi sia con i film al grande schermo», ha affermato Sharon Tal Yguado, responsabile dei contenuti di Amazon. «Siamo onorati di lavorare con la Tolkien Estate and Trust, HarperCollins e New Line in questa entusiasmante collaborazione per la televisione e siamo entusiasti di portare gli appassionati del Signore degli Anelli in un nuovo epico viaggio nella Terra di Mezzo». «Siamo lieti che Amazon, con il suo impegno a lungo termine nell’ambito della letteratura, ospiterà la prima serie tv in più stagioni per il Signore degli Anelli», ha affermato Matt Galsor, portavoce della Tolkien Estate and Trust e HarperCollins, che ha aggiunto: «Sharon e il team degli Amazon Studios hanno idee fantastiche per portare sullo schermo storie inesplorate e basate sugli scritti originali di J.R.R. Tolkien». Il comunicato prosegue spiegando che l’adattamento televisivo esplorerà Tolkien Estatenuove trame che precedono Il Signore degli Anelli di Tolkien che l’accordo include una potenziale serie aggiuntiva di spin-off. Quindi, ci sono ben due novità rispetto al passato: gli eredi di Tolkien e l’editore inglese sono questa volta coinvolti totalmente nel progetto; inoltre, forse verrà usato materiale narrativo che non sia la trama del Signore degli Anelli e Lo Hobbit.

Qualche considerazione

copertina Lord of the RingsIn internet e sui social network, la notizia della nuova serie tv ha scatenato le ipotesi più disparate sui possibili contenuti. Si è giunti a ipotizzare anche trame tratte dal Silmarillion. Noi cerchiamo di fare un minimo di chiarezza, basandoci solo sulle notizie ufficiali. È sicuro che l’adattamento televisivo esplorerà nuove storie che precedono l’opera già raccontata cinematograficamente dall’omonima trilogia firmata da Peter Jackson tra il 2001 e il 2003. Si farà certamente un passo indietro rispetto agli eventi del primo capitolo della saga, La Compagnia dell’Anello, come già riferito appunto da Amazon. Allo stato attuale, però, non ci notizie riguardo la trama della serie tv come, eccezion fatta per i produttori, nulla si sa sui nomi di regista e cast. È poco probabile, per non dire impossibile, il coinvolgimento di registi, sceneggiatori e attori che hanno fatto parte dei due progetti di Peter Jackson.
Se gli eventi riguarderanno ciò che è accaduto prima della Guerra dell’Anello, resta da capire quali trame saranno prese in considerazione, visto che molte situazioni sono state mostrate già nei capitoli della trilogia de Lo Hobbit. Ma tra i due romanzi più famosi di Tolkien, intercorrono ben sessant’anni di storia in cui alcuni filoni narrativi sono legati alla Guerra. Sicuramente non ci sarà una sovrapposizione con quanto mostrato sul grande schermo, quindi, è logico supporre che la serie tv sarà incentrata su almeno tre grandi figure: Aragorn, Gandalf e Gollum.
Se la storia si svolge tra Lo Hobbit e La Compagnia dell’Anello, non è nemmeno troppo difficile da immaginare per un appassionato tolkieniano. Ci sono tre possibili filoni: La Cerca di Gollum, I viaggi di Gandalf e La storia di Aragorn.
Greisinger Museum: Grotta Gollum1) La Cerca di Gollum: la storia è narrata nelle Appendici del Signore degli Anelli e viene citata da Gandalf durante il primo libro. È una storia dalla struttura molto basilare: Aragorn va a cercare Gollum e alla fine lo trova. La caccia inizia quando Aragorn e Gandalf scoprono che Gollum potrebbe avere informazioni fondamentali su dove sia l’Unico Anello. A dar caccia alla sventurata creatura ci sono ovviamente anche gli sgherri di Sauron. Tutto mentre la Terra di Mezzo si sta avviando verso la Guerra dell’Anello. Gollum, infatti, dopo aver perso il suo anello a causa di Biblo Baggins, dopo tre anni circa lascia la sua dimora sul lago ed esce dalle caverne degli Orchi per mettersi alla ricerca del ladro dell’Anello. Dopo sette anni di ricerca, giunge a Mordor, caduta di nuovo sotto il dominio di Sauron. Dopo ben ventinove anni Gollum raggiunge la caverna sotto il passo di Cirith Ungol, dove incontra Shelob e della quale si mette al servizio, non si capisce bene in che modo. Qui viene catturato dagli Orchi e portato a Barad-dûr, dove è torturato perché riveli le notizie sull’Anello; poiché Bilbo era stato ingenuo da rivelare a Gollum il suo cognome e il luogo dove viveva, cioè La Contea, Sauron invia i Nazgûl proprio in quella regione per recuperare l’Anello. Gollum viene lasciato libero e viene così trovato da Aragorn nelle Paludi Morte. La sventurata creatura è così consegnata a Thranduil, re degli Elfi del Bosco Atro, perché lo tenga in custodia, ma gli Elfi silvani hanno pietà di lui al punto da dedicargli meno attenzione. Così Gollum riesce di nuovo a fuggire, trovando rifugio nelle Miniere di Moria. Proprio a Moria, la sua storia si ricollega con la trama principale del Signore degli Anelli: quando la Compagnia dell’Anello passa di lì, lui inizia a seguirla e il resto è noto.
Gandalf2) I viaggi di Gandalf: Non solo Aragorn si è occupato di Gollum e dei pericoli derivanti dall’Oscuro Signore. In tutto il periodo antecedente la Guerra dell’Anello, Gandalf viaggia moltissimo per rafforzare le alleanze fra i popoli che sarebbero stati in seguito attaccati da Sauron. È così che diviene un consigliere fidato di Elrond e dei Dúnedain del Nord (gli uomini). Di Gondor non si preoccupa più di tanto, anche se vi si reca spesso per consultare le biblioteche, visto che sa bene che sarà il primo regno attaccato da Sauron. Soprattutto, la diffidenza dei Sovrintendenti contro di lui lo spingono ad occuparsi soprattutto del nord. Proprio i suoi viaggi permettono a Gandalf di essere persona conosciuta e stimata presso i popoli che visita, tanto da assumere diversi nomi: da una sua frase si evince che il suo nome in gioventù era Olórin in Occidente, mentre era chiamato Mithrandir dagli Elfi («Grigio viandante»), Tharkûn dai Nani («Uomo-bastone»), Incánus al Sud e appunto Gandalf al Nord, mentre «all’Est io non vado». Nei suoi numerosi viaggi, Gandalf si ferma spesso nella Contea e, proprio i suoi sospetti sull’Anello trovato da Bilbo Baggins, lo spingono a coinvolgere Aragorn nelle ricerche di Gollum, Bilbo a lasciare l’Anello e Frodo a partire 17 anni dopo… e il suo ultimo viaggio a Isengard lo fa divenire prigioniero di Saruman, che ormai è divenuto malvagio.
Illustrazione: Strider3) La storia di Aragorn: anche non avendo letto il capolavoro di Tolkien, viene quasi scontata l’idea di una serie biografico su Aragorn prima della Guerra dell’Anello. Persino i produttori di Hollywood possono giungere a un’idea come questa. Del resto, Peter Jackson ha già pescato a piene mani dalle Appendici per raccontare la storia d’amore tra Arwen e Aragorn. Nei libri, la loro storia è narrata con molti dettagli e in parallelo ce ne sono parecchi altri sulle avventure della giovinezza del futuro re di Gondor. Questo sì che potrebbe essere un bel Prequel a Il Signore degli Anelli. La serie tv dovrebbe concentrarsi su di lui, l’eroe, la sua crescita interiore, i suoi dubbi, la sua fedeltà eterna per una creatura immortale. Ecco un possibile soggetto: la vita di Aragorn narrata in tutti i minimi dettagli dalla nascita alla morte, mentre perlustra i boschi dell’Eriador, cavalca con i Rohirrim, veleggia con i Gondoriani, combatte contro la città di Umbar e altri reami oscuri a sud e a est. Nel frattempo, durante le sue poco frequenti visite a Rivendell, la storia d’amore: corteggia l’elfa Arwen sotto gli occhi di un Elrond non molto felice, che, guarda caso, è anche il tutore di Aragorn dopo la morte del padre Arathorn.
Tutti questi soggetti si adattano bene al comunicato stampa: se girati bene e con effetti speciali quel tanto che basta, potrebbero conquistare non solo gli appassionati tolkieniani, ma anche la critica.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi il comunicato di Amazon
– Leggi l’articolo Tolkien Estate e Warner Bros trovano l’accordo

LINK ESTERNI:
– Vai al sito di Deadline
– Vai al sito della Tolkien Estate
– Vai al sito della Middle-earth Enterprises

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Di ritorno da Lucca Comics & Games 2017

cop - seminari Lucca 2017Come si può descrivere un’esperienza totalizzante come quella di Lucca Comics and Games a chi non ha potuto prendervi parte? Semplicemente non si può, si può solo dare un’idea del mirabolante turbinio di emozioni, voci e colori che sono stati i cinque giorni del festival del fumetto, dei giochi e dell’illustrazione più grande d’Europa. Quest’anno i visitatori sono stati ben 243.332, una cifra che, anche se non raggiunge il record dello scorso anno (271.208), è ugualmente impressionante. Quest’anno è stata un’edizione particolarmente ghiotta per gli amanti del fantasy: John Howe, illustratore di fama mondiale nonché concept designer per le trilogie cinematografiche ispirate alle opere di Tolkien, ha fatto ritorno dopo che l’ultima visita risaliva al 2004 e ha tenuto uno splendido seminario intitolato Creatività e immaginazione (che ovviamente non potevamo lasciarci sfuggire). Un altro grande nome dell’arte fantasy, Michael Whelan, esponente di spicco del realismo immaginario, era presente con una mostra a Palazzo Ducale, oltre ed aver realizzato il poster di questa edizione. Anche la letteratura fantastica è stata rappresentata da ospiti di pregio, con la presenza di scrittori quali l’italiano Vanni Santoni, nome già noto per la serie Terra Ignota ed il cui romanzo La stanza profonda è tra i libri selezionati per il Premio Strega, e ancora Siri Pettersen, venuta dalla Norvegia per presentare il suo libro La figlia di Odino, primo di una trilogia che ha conquistato i lettori in patria e le cui traduzioni aumentano ogni giorno.
Thomas Honegger e Roberto Arduini - Lucca Comics and Games 2017L’AIST non poteva essere da meno, e per questo anno ricco di anniversari tolkieniani, ha presentato a Lucca un programma dedicato al Silmarillion, volume pubblicato da Christopher Tolkien nel 1977: abbiamo presentato la seconda edizione del Lords for the Ring – Tolkien Art Calendar dedicata al legendarium tolkieniano, i seminari tenuti da Roberto Arduini, Sara Gianotto, Barbara Sanguineti, Giampaolo Canzonieri e Angelo Montanini (che hanno registrato il tutto esaurito!) e la conferenza tenuta dal nostro ospite d’eccezione Thomas Honegger, dell’università di Jena, che ha saputo presentare in maniera chiara un argomento complesso come quello della posizione del Silmarillion tra le opere tolkieniane e la sua genesi (vi abbiamo presentato tutti i dettagli delle iniziative della nostra associazione nell’articolo L’AIST a Lucca: seminari, incontri e il calendario).

Creatività e immaginazione secondo John Howe

John Howe e Roberto Arduini - Lucca Comics and Games 2017Poter partecipare ad un seminario tenuto da un gigante dell’illustrazione fantasy come John Howe è un privilegio raro, ed è superfluo dire che tutti i posti disponibili erano occupati (e che per riuscire a prendervi parte ci siamo iscritti con settimane di anticipo). Dopo una breve presentazione del proprio percorso di studi e lavorativo, Howe mette nelle mani dei suoi allievi le redini dell’intervento, mostrandosi disponibile a rispondere a qualsivoglia domanda, forse per testare la nostra creatività e immaginazione. Ed ecco che anche la più semplice delle domande porta a lunghe ed elaborate riflessioni, un fiume in piena di informazioni e nuove prospettive, testimonianza della ricchezza intellettuale di chi ha passato un’intera vita nel mondo della fantasia. Non vengono tralasciati gli aspetti più tecnici, come la descrizione dei meccanismi mentali e fisici che hanno luogo nell’atto di disegnare, le differenze tra questa abilità e lo scrivere, e le difficoltà che affronta chi torna a voler disegnare dopo aver trascorso anni senza esercitare questa capacità.
L’accento cade anche sul rapporto tra l’artista e l’opera, sia quella in divenire a cui si sta dedicando che quelle dei grandi maestri a cui ci si ispira, ed il foglio bianco improvvisamente non è più un foglio vuoto, ma un’infinita libertà d’espressione, che tutto contiene e che aspetta solamente che l’artista scelga cosa portare in superficie di quell’universo che lo attendeva quieto. Non vi è più alcun timore nell’affrontare l’inizio, i primi tratti dell’opera, perché disegnare, come tutto ciò che facciamo, è una forma di narrazione e raccontare storie è, nelle parole di Howe, proprio ciò che ci rende umani.
Infine, quando prima di salutarci gli viene chiesto quale sia il suo soggetto preferito da rappresentare, la risposta rivela il suo amore per il fantastico, un amore dalle radici profonde, che vedono l’uso della fantasia e dei miti come uno dei modi più proficui di affrontare i grandi problemi dell’umanità, che per centinaia di anni sono stati discussi e riproposti nella letteratura epica, e che interessano tanto noi quanto riguardavano Beowulf.

Cinque giorni indimenticabili

Lords for the Ring 2018 - Durbghâsh il DistruttoreFin dal primo giorno l’affluenza è stata copiosa, e moltissimi dei nostri sostenitori sono venuti a ritirare la loro copia del calendario Lords for the Ring (e rispettivi reward) ponendo la loro firma sul Wall of the Lords (che verrà esposto nel centro studi dedicato a Tolkien che nascerà a Dozza).
Le matite di Ivan Cavini, Lucio Parrillo, Angelo Montanini, Paolo Barbieri, Edvige Faini, Dany Orizio e Alberto Dal Lago hanno lavorato senza posa in questi cinque giorni, e già sabato avevamo esaurito l’edizione Deluxe del nostro calendario!
Ancora una volta, ringraziamo i nostri sostenitori, tutti quelli che credono in quello che facciamo, e tutte le meravigliose persone che compongono la nostra associazione: in primis il nostro instancabile presidente, Roberto Arduini, coloro che hanno tenuto i seminari, gli ospiti, i ragazzi dello staff che hanno retto il bastione dello stand per cinque giorni d’assedio. Ringraziamo i ragazzi di Radio Gente Nerd che hanno documentato le nostre avventure con foto e filmati, e infine gli organizzatori di Lucca Comics and Games che ogni anno affrontano la sfida di gestire un microcosmo quale il loro festival del fumetto, dalle numerose difficoltà, ma anche dalle infinite potenzialità.
Elen síla lúmenn’omentielvo, una stella brilla sull’ora del nostro incontro.

Le date di Lucca Comics and Games 2018 sono già state rese pubbliche: il festival sarà dal 31 ottobre al 4 novembre. Noi ci stiamo già preparando, e voi?

GUARDA LA FOTOGALLERY:

ARTICOLI PRCEDENTI:
– Leggi l’articolo Lucca C&G 2017: 5 ospiti per l’AIST
– Leggi l’articolo A Lucca C&G le mappe della Terra di Mezzo
– Leggi l’articolo Lucca C&G 2017: ecco i Tolkien Seminar!
– Leggi l’articolo L’AIST a Lucca: seminari, incontri e il calendario
– Leggi l’articolo Una casa per Tolkien nascerà a Dozza

LINK ESTERNI:
– Vai al sito di Lucca Comics and Games
– Vai alla pagina facebook Lords for the Ring – Tolkien Art Calendar
– Vai al sito di Ivan Cavini
– Vai alla pagina facebook di Lucio Parrillo
– Vai alla pagina facebook di Angelo Montanini
– Vai al sito di Paolo Barbieri
– Vai al sito di Edvige Faini
– Vai al sito di Dany Orizio
– Vai al sito di Alberto Dal Lago
– Vai alla pagina facebook di Radio Gente Nerd

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Hirst e Tolkien nell’arte contemporanea

Mostra Venezia HirstDi questi tempi è meglio specificarlo prima. In quest’articolo si parlerà di Damien Hirst e della sua mostra a Venezia, aperta fino al 3 dicembre, la prima grande mostra personale a lui dedicata in Italia. Questo non vuole dire che ci piaccia la mostra, ci piaccia l’artista e lo vogliamo difendere. Lo scopo di quest’articolo è un altro: osservare come J.R.R. Tolkien faccia il suo ingresso, anche ufficialmente, nell’arte contemporanea. Ma per capire tutto questo bisogna fare una digressione sull’artista inglese. Sì, perché il ritorno di Hirst è trionfale, controverso, esagerato. L’artista vivente più celebre al mondo, o se non altro uno dei più quotati, ha scelto proprio Venezia per esporre Venezia: Punta della DoganaTreasures from the Wreck of the Unbelievable (“Tesori dal relitto dell’incredibile”): dieci anni di lavoro culminati in una mostra monumentale che occupa Punta della Dogana e Palazzo Grassi, le sedi veneziane della collezione del magnate francese François Pinault, con centinaia di sculture in bronzo, cristallo e marmo di Carrara impreziosite con pietre, ori, giade e malachite. E la mostra ha suscitato numerose polemiche.

Artista, imprenditore, collezionista

Damien Hirst Damien Hirst, nato in Inghilterra nel 1965, è considerato un rivoluzionario. Ed è anche l’artista più ricco del Regno Unito. Fa parte del gruppo Young British Artists, che esordirono sulla scena artistica londinese alla fine degli anni Ottanta e dominarono il decennio successivo. Durante gli anni Novanta il suo nome era legato al collezionista Charles Saatchi che finanziò tutte le sue opere dal 1991 al 2003. Hirst vuole a tutti i costi strabiliare e provocare con la sua arte, frutto non solo della sua visionarietà ma anche della sua capacità di sfruttare l’attenzione mediatica e le risorse economiche esorbitanti a sua disposizione. Nel 2000 la sua scultura Hymn fu comprata da Saatchi per un milione di sterline. Il teschio tempestato di diamanti, l’opera For the love of God (“per amore di Dio”) è stata venduta per 100 milioni di dollari nel 2007. Nel 2008 mise all’asta per Sotheby’s una delle sue esposizioni, Beautiful inside my head forever (“Il bello per sempre nella mia testa”): Damien Hirst e lo squaloil prezzo finale fu la cifra record di 111 milioni di sterline (198 milioni di dollari). Ma Hirst è divenuto famoso soprattutto per una serie di opere nelle quali la presenza di animali morti — sezionati e conservati in formaldeide — è l’elemento dominante. Uno delle sue creazioni più celebri è The physical impossibility of death in the mind of someone living (1991, “L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente”): uno squalo tigre lungo oltre quattro metri immerso proprio nella formaldeide. La scultura fu venduta per 12 milioni di dollari a un collezionista americano, Steve Cohen.
Protesta animalisti contro Damien HirtsNon sorprende quindi che l’artista sia l’obiettivo delle azioni degli animalisti, che sostengono che «Hirst è uno di quei falsi artisti che costruiscono le loro effimere fortune sull’uso di animali, imbalsamati, squartati, spesso uccisi per l’occasione, che sono il “materiale” delle loro performance. Le sue “opere” sono tra le più pagate al mondo. Il successo di Hirst si basa su due elementi: far leva sulle peggiori pulsioni e sensazioni umane, e il supporto di mercanti d’arte, critici prezzolati e galleristi. L’arte non c’entra per niente. Protesta contro HirstHirst è famoso per esporre animali uccisi e inglobati nella formaldeide, o imbalsamati, e per l’impiego di migliaia di Farfalle le cui ali vengono strappate e incollate su oggetti vari. La morte e il gusto del macabro servono ad attirare l’attenzione. Poi ricchi collezionisti come Saatchi e addirittura la prestigiosa Sotheby’s pensano a far salire artificialmente le quotazioni del ciarpame di Hirst. È una squallida operazione commerciale basate sulla morte e il disprezzo verso esseri viventi e senzienti». Questo il comunicato di 100% Animalisti che per protestare contro la mostra a Venezia in un blitz notturno hanno portato quaranta chili di sterco davanti all’ingresso di Palazzo Grassi a Venezia.

La mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable

Catalogo mostra HirstIl mostra di Hirst a Venezia è stata definita in molti modi ed è al centro di polemiche in tutto l’ambiente artistico contemporaneo: la mostra è stata massacrata dagli addetti ai lavori, Hirst è stato accusato dalla critica di aver creato un progetto che assomiglia molto al back stage di un colossal hollywoodiano, e non sono piaciuti nemmeno i molti, troppi riferimenti e scopiazzature di opere di altri artisti (Jeff Koons, Marc Quinn, Banksy…). Insomma, l’indefinibile mostra potrebbe essere liquidata semplicemente come la mostra più brutta e costosa del secolo (e quanto abbiano speso è stato uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi mesi).
Duecento opere, sculture, foto, reperti archeologici documentano in modo dettagliatissimo e credibile la più improbabile delle leggende, il ritrovamento del relitto di una nave naufragata tra il I e il II secolo d.C con a bordo i tesori di Aulus Calidus Amotan, conosciuto come Cif Amotan II, un ex schiavo a di Antiochia diventato collezionista. Tutto il progetto non sembra averlo fatto nemmeno Hirst, anzi l’artista vuole proprio che la gente meno informata pensi o creda che tutto quanto vedrà non è una sua opera ma la raccolta dell’ex schiavo di Antiochia divenuto collezionista la cui nave «The Unbelievable» è affondata e riportata a galla dall’artista per mostrarla al mondo a Venezia. I video documentano il recupero subacqueo degli oggetti esposti in mostra. mostra HirstL’opera d’arte diventa allora l’impresa nel suo insieme, nella sua costruzione più che nel risultato. La storia del relitto è la vera opera d’arte. «Un fanta-ritrovamento archeologico meno fantasioso dei vecchi fumetti e muscolare come Thunderball che tradisce l’appartenenza a tutto quello che oggi consideriamo fake news», ha sentenziato il critico Robert Storr, direttore della Biennale dieci anni fa. Piccolo dettaglio: il «tesoro» di Cif Amotan II al termine della mostra veneziana verrà messo in vendita, anche per coprire le spese del «ritrovamento del relitto» e dell’allestimento della mostra. Secondo le sue dichiarazioni la spesa si è aggirata intorno alle 50 milioni di sterline (57 milioni di euro).

J. R. R. Tolkien e l’arte contemporanea

La Lettura - Il Corriere della SeraI lettori più attenti avranno già capito qual è il punto di contatto tra l’artista e lo scrittore de Il Signore degli Anelli. E a dirlo non siamo noi, ma un noto critico d’arte sull’ultimo numero de «La Lettura», l’inserto culturale del Corriere della Sera, Vincenzo Trione. Nel lungo articolo dal titolo Il fantasy è la nuova forma dell’arte contemporanea il critico spiega bene come in fondo, la mostra veneziana è anche il primo tentativo per importare nei confini dell’arte contemporanea l’immaginario del fantasy. L’ex enfant terrible della Young British Art, per Treasures from the Wreck of the Unbelievable, parte proprio da Tolkien. Ovvero, il precursore del fantasy, tra i generi letterari e cinematografici oggi di maggiore successo. Nelle sue interviste, quasi per riscattarsi da quanti lo giudicano un «barbaro» e per legittimarsi sul piano intellettuale, egli spesso ricorda artisti e pensatori del passato e parla di tematiche filosofiche e metafisiche. Nell’articolo si legge che Tolkien è il «maggior studioso di letteratura anglosassone e medioevale (che) aveva scritto a sua volta un’epopea secondo le regole del genere cavalleresco, diventando il servitore appassionato delle stesse forze che aveva sentito pulsare nei versi di uomini morti da più d’un millennio». Fiaba che parla di «cose permanenti: non di lampadine elettriche, ma di fulmini», Il Signore degli Anelli ci consegna archetipi letterari divenuti figure e creature situate «tra il mondo sublunare e il terzo cielo». Hisrt mostra veneziaIl fantasy, nelle sue declinazioni romanzesche e cinematografiche (Le cronache di Narnia di Lewis e Il meraviglioso mago di Oz di Baum, Harry Potter di J. K. Rowling), come cartografia fiabesca, a tratti immaginifica e surreale, è dominata da personaggi incantati e da creature magiche, con poteri soprannaturali. Hirst riprende questa antica tradizione. Ne rilegge in maniera infantile e trash gli artifici, che aggiorna. Infine, ne recupera le visioni fantastiche. Per spalancare le porte di una sorta di teatro del meraviglioso e dell’assurdo.
Si può dire tutto su Hirst, ma è certo che sia un artista in grado di fiutare quello che altri annusano dopo. In questo caso che l’arte contemporanea ha bisogno di storie, non importa quanto assurde siano, storie da ascoltare, storie da raccontare. Orso guerriero di Damien HirstCosì ecco che Hirst s’inventa di sana pianta questa sua epopea. Per renderla il più credibile o incredibile possibile ha addirittura buttato nel mare alcune delle sculture per fotografarle come se degli archeologi marini le avessero davvero scoperte. In questo Hirst sembra aver centrato, a modo suo, il bersaglio del futuro dell’arte contemporanea. Siamo entrati nell’era «d. H.», dopo Hirst. Gli artisti non potranno più non pensare al potere narrativo dell’arte, se non l’unico, sicuramente uno degli elementi essenziali per il futuro successo di un’opera. L’arte senza narrazione oggi come oggi potrebbe rischiare di rimanere indietro o di morire presto.
Il racconto è tornato a essere più che mai importante.
Hirst questo, nel bene e nel male lo ha capito.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Quando l’Arte Visiva legge J.R.R. Tolkien

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– Vai al sito di Palazzo Grazzi
– Vai sito de «La Lettura», l’inserto culturale del Corriere della Sera

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Esce Beren e Lúthien di J.R.R. Tolkien

La tomba di Edith Bratt e JRR TolkienRiportiamo l’articolo pubblicato su l’Unità del 2 giugno 2017 a firma di Roberto Arduini sull’uscita di Beren e Lúthien, volume postumo di J.R.R. Tolkien, curato da Christopher Tolkien, in traduzione di Luca Manini e Simone Buttazzi, con le illustrazioni di Alan Lee (Bompiani, pagg. 288, euro 22). Il volume verrà presentato:
– il 4 giugno a Bussolengo (Verona), alle ore 17.30 da Beatrice Masini, scrittrice e responsabile Bompiani, dal traduttore Luca Manini e dall’Associazione Quarta Era, durante il Fantavv, il festival della letteratura horror, fantasy e d’avventura;
– il 6 giugno a Milano alle ore 18:00 da Wu Ming 4 (scrittore e socio fondatore AIST), Emilia Lodigiani (editrice, scrittrice e socia onoraria AIST), Beatrice Masini (scrittrice e responsabile Bompiani) e Claudio Testi (filosofo, studioso e vicepresidente AIST) presso la Libreria Lirus, in via Vitruvio 43;
– l’8 giugno a Roma alla libreria IBS.it bookshop Il Libraccio alle ore 17,30 (insieme al libro “Scrivere in Tengwar” con Sara Gianotto) da Wu Ming 4 e Roberto Arduini.
Buona lettura.

Alla ricerca del mito perfetto

Bompiani: "Beren e Luthien"Buona la terza, si direbbe nel cinema. Sì, perché siamo veramente alla fine di un’Era, periodo che ben si addice alla Terra di Mezzo, lo sfondo letterario in cui vanno in scena le gesta di Beren e Lúthien, volume postumo di J.R.R. Tolkien appena uscito in contemporanea mondiale (da noi per i tipi di Bompiani, traduzione di Luca Manini e Simone Buttazzi, illustrazioni di Alan Lee, pagg. 288, euro 22). Curato dal figlio Christopher, è probabilmente la fine di un lunghissimo percorso in cui la devozione filiale si è messa al completo servizio dell’autore, con l’ambizione di realizzare il progetto di rendere fruibili ai lettori le storie della Terra di Mezzo, la mitologia alla base de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli. Siamo alla fine di un’Era perché a 44 anni dalla morte del padre, lascia anche il figlio. Spezza la penna e si congeda anche lui dai lettori. E come il padre, lascia un lavoro incompiuto.

Michele MariÈ solo «l’ennesimo libro postumo di Tolkien», si dirà. Ed è stato anche scritto da Michele Mari in
un articolo su La Repubblica del 29 maggio scorso. Il grande e stimato scrittore se l’è presa proprio con Christopher, reo di sentirsi «autorizzato dallo stesso sangue agli interventi più spregiudicati, tanto più autoritari quanto meno autoriali» e quindi di essersi dedicato «all’imponente pubblicazione di “opere” paterne condotta negli ultimi quarant’anni», giungendo perfino al reato di lesa maestà. Secondo Mari, infatti, sembra che «Christopher [non] abbia saputo resistere alla tentazione di dare qua e là forma narrativa e compiuta (il sospetto, anzi, è che vi abbia travasato gran parte di quella Storia del Silmarillion lunga circa 2.000 pagine che invano cercò di pubblicare a proprio nome)».
È tutto vero, ma è lo stesso Christopher a non farne un mistero e a scriverlo nella Prefazione a questo volume, anzi fu proprio quello l’inizio del percorso. «Dopo la pubblicazione del Silmarillion nel 1977 ho trascorso diversi anni a indagare la genesi dell’opera e ho scritto un libro intitolato La Storia del Silmarillion». Il figlio di Tolkien ne scrisse anche al proprio editore, spiegando però che «pubblicarlo è inconcepibile» e soprattutto illustrando le motivazioni che lo avevano portato alla stesura del libro: «L’ho fatto in parte per la mia personale soddisfazione di fare ordine, e perché volevo capire l’evoluzione dell’intera opera fin dalle origini».
Quel che Mari non coglie è che quella ricerca sull’evoluzione della mitologia è continuata da allora fino a oggi, e Beren e Lúthien ne costituisce proprio la terza e ultima fase, purtroppo. Ha ragione Mari nel dire che «la filologia tolkieniana (al pari di quella lovecraftiana) è nata in ambito accademico “contro” la religione dei fan», come testimonia in Italia la nascita dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, di cui sono presidente, e i molti convegni universitari organizzati in questi ultimi anni (i prossimi saranno a dicembre a Parma e Trento); e ha ancor più ragione lo scrittore italiano a ricordare che Christopher «ha dato alle stampe una tale quantità di “inediti” paterni negli ultimi decenni che le sue prime imprese, ormai entrate nel corpus e nel canone, ci appaiono paradossalmente originali ed autentiche: è il caso soprattutto del Silmarillion». Mari però non tiene in conto che tutte queste pubblicazioni fanno parte di un percorso di conoscenza in cui Christopher, come ammette lo scrittore italiano, ha dovuto «sprofondare nell’oceano delle carte paterne».
Il Silmarillion nell'edizione BallantineDel resto, anche in questo caso, il figlio di Tolkien ha dimostrato fin da subito la sua onestà intellettuale. Nel 1977, per Il Silmarillion Christopher aveva messo insieme tutti i manoscritti del padre, con una quantità minima di suoi interventi per colmare le lacune, nel tentativo di creare un testo completo e coerente sia nello stile, sia nel contenuto narrativo. Negli anni successivi ha ammesso l’errore e intrapreso la pubblicazione dell’immensa History of Middle-earth, la Storia della Terra di Mezzo, che in dodici volumi presenta versioni selezionate delle varie opere e le bozze come erano state effettivamente scritte da suo padre. In questo modo, per molti versi ha dato ai lettori il meglio di entrambi i fronti: un Silmarillion pubblicato che presenta una narrazione completa e coerente; una serie di scritti poco coerenti, ma affascinanti e spesso di una grande potenza creativa che indicano la strada di quel grande Silmarillion che l’anziano Tolkien avrebbe potuto fare, se solo avesse avuto l’energia e il tempo di finire la sua opera. Quest’ultimo è un obiettivo che Christopher ha potuto vedere, o almeno intuire, ma non poteva realizzare senza un apporto molto consistente d’invenzione originale da parte sua, cosa che si è astenuto dal fare. Eppure, anche la History of Middle-earth non sempre presenta i testi nel modo più semplice e accessibile per chi volesse leggere queste fonti come narrazioni. Questo perché l’obiettivo primario della serie di libri è quello di raccontare la “storia della storia”, che è un obiettivo sincero e apprezzabile.

Christopher TolkienAccantonato Il Silmarillion, di cui Christopher ha ammesso i limiti dopo aver letto e studiato tutti i manoscritti, pubblicata la History of Middle-earth, in cui è svelata la maggior parte dei manoscritti, il figlio del grande scrittore si è dedicato ai romanzi.
Perché? Perché la materia del Silmarillion non ha ancora raggiunto uno stato definitivo: lasciato incompleto dal padre, dal punto di vista letterario, non soddisfa nessuna delle edizioni uscite in tutti questi anni. Quali che siano state le opinioni del padre in merito, sicuramente il figlio è l’unico depositario di quelle intenzioni. Christopher è, inoltre, l’erede letterario di Ronald, l’unico a poter pubblicare legittimamente nuove opere sulla Terra di Mezzo. E lo ha già fatto, perché, come detto, già lo stesso Silmarillion pubblicato e la History contengono molte parti scritte da lui, brani letterari che riassumono, condensano e raccordano i diversi racconti contenuti nell’opera.
L’ultimo romanzo in uscita, Beren e Lúthien, è la conferma della strada intrapresa e anche qui si fa ammenda degli «interventi più spregiudicati». Lo stesso J.R.R. Tolkien aveva indicato quella strada. In una lettera lo aveva scritto esplicitamente: tre grandi storie sono il cuore del Silmarillion (1951). Quest’ultimo volume esce esattamente a 10 anni dalla pubblicazione de I Figli di Hùrin. In quel volume, Christopher scriveva esplicitamente: «L’obiettivo era una narrazione compiuta, esente da interruzioni e da lacune, purché ciò fosse possibile senza alterazioni del percorso narrativo e senza invenzioni arbitrarie, e malgrado lo stato di incompiutezza in cui mio padre lasciò alcune parti». Senza il lavoro precedente di Christopher sui documenti di suo padre partendo dal Silmarillion nel 1977 e concluso con il dodicesimo volume della History nel 1996 sarebbe stato quasi certamente impossibile per lui produrre una versione fedele e completa del racconto de I Figli di Húrin e ora di Beren e Lúthien. Quarta di copertina Beren e Luthien BompianiCome tale si può dire appunto che questo libro sia il culmine di un lavoro di oltre quarant’anni, anche se manca la terza grande storia: La caduta di Gondolin.
Christopher Tolkien ribadisce tutto questo nella Prefazione e aggiunge un’importante nota che testimonia ancor di più la sua onestà intellettuale, per buona pace di Mari: «Caratteristica essenziale di questo libro è mostrare gli sviluppi della leggenda di Beren e di Lúthien nelle parole di mio padre, in quanto il metodo impiegato è l’estrazione di passaggi da manoscritti assai più lunghi, in prosa o in versi, scritti nell’arco di molti anni». Ecco quindi qual è il senso di questo nuovo volume con l’eliminazione estrema dell’intervento filiale e l’intento lodevole di restituire un valore letterario e narrativo al materiale incompiuto, frammentario e scritto lungo un periodo di oltre mezzo secolo da J.R.R. Tolkien.

DATI ESSENZIALI
Bompiani: "Beren e Luthien"
Titolo: Beren e Lúthien
Autore: John Ronald Reuel Tolkien
Pagine: 288 + 18 di tav. pagine
Editore: Bompiani
Collana: Letteraria straniera
Illustratore: Alan Lee
Traduttore: Luca Manini e Simone Buttazzi
Curatore: Christopher Tolkien
Copertina: Cartonato con sovraccoperta
Dimensione: 14.2×20.2cm
ISBN – EAN: 9788845292781
Prima edizione: maggio 2017

LINK ESTERNI
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A Torino, Tolkien Oltre il Confine

Alcune esperienze rimangono impresse nella memoria. E il Salone del Libro di Torino che si è appena concluso segna un passaggio importante. Per la nostra Associazione e anche per J.R.R. Tolkien in Italia. Il manifesto ufficiale del Salone era già tutto un programma: un volume che «scavalca» un muro con filo spinato. Una bambina è in cima e guarda al di là. Un mondo migliore? La fine di un incubo? Lo ha disegnato da Gipi – fumettista e illustratore italiano di caratura internazionale – e anche questo è tutto un programma.
Per capirlo si possono leggere le parole spese durante la conferenza di chiusura da Nicola Lagioia, il giovane direttore artistico di questa edizione, scrittore di successo e amante del rock: «Personalmente, che alcuni nodi venissero al pettine per ciò che riguarda il funzionamento di un certo modello e di una certa idea di cultura lo stavo aspettando da molto tempo. Questo Salone ha dimostrato molte cose che smentiscono in maniera sonora e completa una scuola di pensiero di cui evidentemente la gente è stanca e venendo qui al Salone ha detto chiaro e tondo qual è l’idea di cultura e l’idea di comunità in cui ripone speranze».
Ad esempio, non è vero che se alzi il livello il pubblico si restringe. Se alzi il livello, e lo fai in un’ottica di vera inclusione, e di vera partecipazione, può capitare che il pubblico smetta di essere pubblico, rompa il guscio odioso che separa la società dello spettacolo dalla vita reale, e (non più pubblico) si trasformi di nuovo in una comunità.

Un’idea di cultura, un’idea di comunità

Dietro il programma di quest’anno del Salone c’era veramente un’idea di cultura, un’idea di comunità. Certo, i dissidi con l’associazione degli editori (Aie) e l’assenza dei grandi marchi dell’editoria nostrana, che avevano preferito creare una feria tutto loro, che si è svolta a Milano un mese prima del Salone, hanno polarizzato gli schieramenti e creato due fazioni come mai era accaduto prima. Ma quel che è accaduto a Torino nei giorni della manifestazione culturale più importante in Italia va ben aldilà delle polemiche. Anzi, va al cuore del problema: l’idea di cultura che c’è dietro un evento dedicato ai libri.
Ciò che ha iniziato a succedere a partire dal sabato, è stato veramente impressionante, di quelle cose che tolgono il fiato, e a loro modo segnano un momento storico, o danno il polso di un momento storico. Mentre la gente faceva file interminabili, affollava gioiosamente, fino ai limiti della capienza il Lingotto, sentendo parlare Luis Sepúlveda, Daniel Pennac, Annie Ernaux, Yasmina Reza, Richard Ford, Giorgio Agamben, Amitav Ghosh, Eugeny Morozov, Luciano Canfora, Dacia Maraini, Paco Ignacio Taibo II, padre Alejandro Solalinde, Sonia Bergamasco, Goffredo Fofi, e così via… mentre accadeva tutto questo, la sera ha cominciato a scendere sulla città. A Mirafiori c’erano Alessandro Baricco e Francesco Bianconi che leggevano Furore di Steinbeck, e Mirafiori era piena di gente, c’era in contemporanea al Circolo dei Lettori Giordano Meacci che faceva un reading su Bob Dylan, e il Circolo era pieno di gente, e poi, alla Scuola Holden, c’era una festa lunghissima e bellissima dedicata a Twin Peaks e a Laura Palmer, e la Scuola Holden era piena di gente, c’era all’Ex Incet un concerto dedicato ai Velvet Underground, e l’Ex Incet (il villaggio notturno del Salone) era pieno di gente, e ha continuato a esserlo fino a quando, alle sei del mattino, ci sono state le lezioni di tango, e alle sei del mattino (dopo la lunga notte del Salone) l’ex Incet era pieno di donne e di uomini che salutavano il nuovo giorno ballando il tango.
Che cosa significa tutto questo?
Significa che mai come quest’anno il Salone del libro è andato – ed era questo il tema – «oltre il confine». Fuori dalle mura dallo spazio che ospitava gli stand, il Lingotto. E fuori dal concetto di letteratura come qualcosa di chiuso o di statico. Lo aveva già spiegato bene Lagioia: «La cultura è forza viva, trasformativa, che modifica il paesaggio circostante, che qualche volta cambia addirittura le carte in tavola, che non ti lascia come ti aveva preso». In questo senso il Salone ha «scavalcato» i confini, dalla lettura alla musica, dal teatro al cibo. Offrendo una serie di contaminazioni legate da un concetto comune: quello di «incontro».

Quel che c’era…

Ecco allora che al Salone – dentro e fuori – uno spazio importante è stato rivolto alla musica. Al Lingotto, oltre ai 424 stand, erano ospitate dieci case discografiche. Insieme, hanno dato vita a 1200 appuntamenti. C’era anche il cibo, la buona cucina, con lo Slow food, che era parte integrante della manifestazione. E un ruolo speciale è stato dedicato al «volto autentico degli Stati Uniti», con la sezione Another side of America: ospiti erano i librai indipendenti statunitensi. E c’era il cinema, con gli editori che hanno incontrato i produttori cinematografici e televisivi che sono alla ricerca di contenuti. «La presenza degli editori indipendenti è stata una delle chiavi che ci ha permesso di mettere in piedi un grandissimo Salone», ha detto il presidente della Fondazione del Libro Massimo Bray nella conferenza finale. C’era la Piazza dei lettori: 800 metri quadrati di proposte letterarie curate dai bibliotecari e dai librai, disposte intorno alla torre di François Confino, meta preferita per le foto ricordo della fiera. Vi ha preso parte Colti, il neonato Consorzio delle librerie torinesi indipendenti. Iniziativa per ora unica in Italia, è una libera associazione di 25 librerie, unite in uno sforzo collettivo per affrontare la crisi dell’editoria.
C’era il duplice omaggio a due veri e propri “classici” della letteratura internazionale ma da sempre snobbati dal Salone, come Stephen King e J.R.R. Tolkien. Per entrambi il 2017 rappresenta un anno di celebrazioni: King compirà 70 anni a settembre, mentre sono diversi gli anniversari per Tolkien, fra cui il 125° della nascita e l’80° de Lo Hobbit. Autori di culto in tutto il mondo, accomunati non soltanto dalla dimensione fantastica della propria produzione letteraria, ma dal fenomeno editoriale rappresentato, King e Tolkien sono fra gli scrittori con il più alto numero di libri venduti su scala planetaria. Le loro opere hanno accompagnato generazioni di lettori, le hanno appassionate, hanno forgiato il loro immaginario, superando il concetto del «fantastico» in senso stretto. C’era il fumetto che, come ha scritto su La Stampa Guido Tiberga, «è un modo di raccontare, non è cosa diversa dalla narrativa. Il fumetto è narrativa». La nona arte è stata protagonista di molti incontri con autori del calibro di Leo Ortolani, Zerocalcare, Milo Manara, Alfredo Castelli e molti altri. C’era la fantascienza con l’omaggio a Philip K. Dick e le letture di brani da Ma gli androidi sognano pecore elettriche?.

…e quel che non c’era

Di rado si produce quello di cui tanti di ritorno da Torino hanno parlato: qualcosa come una «mente centrale» (per dirla col poeta Wallace Stevens) in cui scrittori, editori e lettori s’incontrano sperimentando uno «stare insieme» che in sé è già «abbastanza».
Quel che non c’era sono state le retoriche fasulle sulla cultura, quelle del «con la cultura non si mangia», «per la cultura servono i manager», quelle che erano in bocca al ministro Franceschini giusto un paio di anni fa che diceva che per promuovere la lettura servivano i testimonial famosi, quelle di Ioleggoperché, quelle che non tengono in considerazione le comunità reali che esistono e che vanno solo ascoltate e coinvolte, quelle che non sanno confrontarsi in modo critico con le eredità, quelle dei libri flipbook, dei libri da vendere con gli sconti del 50 per cento, dei libri sintetizzati, degli spot sulla lettura che sembrano delle pubblicità, quelle degli oligopoli della distribuzione…
Nel suo discorso finale Lagioia ha usato toni e argomenti poco consueti e convenzionali, ha proiettato il piano in un ambito sovranazionale, ha trovato in quello «stare insieme» che si è prodotto nei corridoi e nelle sale del Lingotto, come negli eventi del Salone Off, un’idea di vita associata da tradurre in progetto culturale. Ha detto anche che la domanda per quel tipo di progetto c’è già, quello che manca – ma forse s’intravede – è l’offerta.
E a tutto questo filone positivo anche l’AIST ha dato il suo granello di sabbia, contribuendo al salto di Tolkien e delle sue opere oltre il confine…

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Tolkien al Salone del Libro di Torino: ecco il programma!
– Leggi l’articolo La primavera AIST: i nostri eventi!
– Leggi l’articolo Tolkien al Salone del Libro di Torino 2017!
– Leggi l’articolo Stàltieri e Torbidoni: la musica in Tolkien è magia

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Il 25 settembre a Dozza una cerimonia elfica!

La Sfilata degli ElfiContinuano le anticipazioni della terza edizione FantastikA – Fantastic Art Live in the Castle, che si terrà sabato 24 e domenica 25 settembre 2016 alla Rocca di Dozza. La rassegna dedicata all’illustrazione fantastica e al genere fantasy in tutte le sue forme espressive, quest’anno ospita anche eventi dedicati al mondo del cosplayer tolkieniano.
Quest’anno la manifestazione vedrà la nascita di un Drago: per la prima volta in un castello sarà presente un Drago in maniera permanente, di cui finora è possibile vedere l’uovo di grandi dimensione nel sottotetto del castello. Altro evento eclatante saranno le mostre, che apriranno per la manifestazione e rimarranno aperte per un intero mese. Quest’anno non solo la pinacoteca, ma anche tutto il piano nobile della Rocca ospiteranno esposizioni di artisti di fama internazionale come già annunciato. Alcuni di loro parteciperanno anche all’anteprima del Calendario AIST 2017: Lords for the Ring” – I Maestri del fantasy italiano incontrano Tolkien. C’è spazio anche per rarità per bibliofili che si potranno vedere soltanto a Dozza nei due giorni di Fantastika. La manifestazione ospiterà infatti la Mathom III, l’asta dei collezionisti; e addirittura una mostra per collezionisti che presenterà opere mai viste in Italia e all’estero, con pezzi unici e inediti di lettere e libri appartenuti a J.R.R. Tolkien e ai membri della sua famiglia.
Locandina Fantastika 2016Il 25 settembre, dalle ore 16 alle ore 20, l’associazione culturale Eldalie curerà una rappresentazione di una cerimonia elfica, con tanto di Sfilata della Terra di Mezzo con partenza dal Rivellino, rito nel piano nobile della Rocca di Dozza e rinfresco per gli invitati. L’avvenimento avrà luogo in occasione del sesto anniversario di matrimonio del presidente di Eldalie Gianluca Comastri e Veerena Stima, che hanno così deciso di risposarsi con il rito elfico. La partecipazione è aperta a tutti ed è gratuita, è apprezzato il costume di personaggi della Terra di Mezzo, al massimo medioevale o fantasy. In occasione di Fantastica si terrà anche un’esposizione di abiti curati da Veerena Stima. La Rocca è un museo pubblico e l’ingresso è di 5 euro (gratuito under 14).

L’intervista agli sposi

Abiti 01Veerena, raccontaci un po’ di te, del tuo lavoro e delle creazioni tolkieniane che fai.
«Io sono una ragazza di 28 anni, nata da una comune famiglia del sud Italia, che già da piccola ha fatto parlare di sé. A 4 anni ho partecipato alle finali regionali per lo Zecchino d’Oro, in virtù delle mie doti canore di allora. Negli anni seguenti mi sono buttata nella moda, cominciando a muovere i primi passi come modella. Ma il mio sogno era quello di diventare una grande costumista e quindi, dopo aver finito le scuole e il liceo artistico, ho frequentato alcuni corsi di formazione in sartoria. Ho cominciato a creare i primi costumi nel lontano 2005. Proprio in quell’anno scoprii Eldalië, l’associazione culturale Tolkieniana in cui io e quello che sarebbe diventato il mio futuro marito ci siamo incontrati per la prima volta. Durante il mio percorso di costumista ho potuto inoltre affinare varie tecniche di riproduzione dei costumi cinematografici, in diversi ambiti di lavorazione: come tingere i tessuti le ottenere la sfumatura di colore desiderata, la scelta delle passamanerie (che il più delle volte vanno riprodotte a mano e ricamate) e molte altre cose. Abiti 05Il mio punto di forza credo che sia il non fermarmi mai davanti a niente! Io sperimento tanto, quello che non so lo voglio imparare e mettere a frutto. Forse è anche per questo che molti occhi all’estero si sono puntati sullo stile delle mie creazioni, le quali hanno riscosso ottime recensioni e in più qualche commissione dall’estero, da parte di alcuni collezionisti di oggettistica legata a Tolkien. Le mie creazioni nascono principalmente dalla passione per le caratteristiche dei popoli della Terra di Mezzo, tanto da spingermi a realizzare una mostra proprio ispirata a questi, in cui accanto alle riproduzioni accurate ho inserito anche molti pezzi tratti da concept originali. Oltre al mondo di Tolkien ho trattato altre ambientazioni fantasy, come Il Trono di spade, saghe di Vampiri, stile gotico e anche pezzi storici realizzati da me e talvolta indossati in varie occasioni a tema».

Abiti 06Quando crei un vestito, ti ispiri ai testi di Tolkien?
«In parte si, ma in generale come stile cerco di attenermi soprattutto a quello dei film, specialmente a quello cui si è ispirata la grandissima Ngila Dickson. La sua visione e le sue intuizioni per me sono state fonte di grande insegnamento. Per una mostra che si rifà agli stessi popoli, seppur in ere e situazioni diverse, cambiare troppo drasticamente lo stile degli abiti potrebbe poi rivelarsi deviante per il visitatore: non vorrei mai che le persone si trovassero spiazzate dal contrasto tra quello che si ricordano di aver visto e abiti, davanti ai loro occhi, confezionati in modo magari elegante e suggestivo ma completamente diverso…».

Gianluca ComsatriGianluca, come vi è venuta l’idea di celebrare la ricostruzione di un matrimonio elfico?
«Si tratta di un’idea piuttosto antica, che risale alle nostre prime uscite col gruppo Eldalië (quindi almeno a una dozzina di anni or sono…). Sapevamo, da occasionali ricerche e letture nell’ambito della History of Middle-earth, che Tolkien aveva messo per iscritto varie note relative alle abitudini dei Popoli Liberi, in particolar modo degli Elfi – e si sa che in Terra di Mezzo se si parla di spiritualità l’accostamento con la cultura elfica viene naturale, a causa dell’indole di questa affascinante razza. A quei tempi in cui eravamo tutti più giovani e idealisti, in tanti sentivamo naturale presentarci ai raduni e agli eventi a tema tolkieniano vivendo nei panni dei nostri alter-ego in Terra di Mezzo (quasi mai nei panni dei personaggi principali delle narrazioni, bensì interpretando ciò che ci sentivamo in quel mondo, che avessimo affinità elfiche, “umaniche” o nanesche), lo consideravamo un altro modo per tributare i dovuti onori all’autore della Subcreazione. Così, per naturale conseguenza, prendemmo l’abitudine di organizzare appuntamenti tematici: cenacoli a mezza via tra l’abbuffata hobbitesca e il banchetto elfico, ritrovi di cultori dell’arte della pipa… Approdare anche a fidanzamenti e, occasionalmente, matrimoni in stile venne piuttosto naturale».

Gianluca, la cerimonia ha il suo fondamento nelle opere di Tolkien?
«Sì, si basa su quanto riportato in un brano di “Morgoth’s Ring”, decimo volume della History of Middle-earth. Tra i molti racconti interessanti che compongono la versione più tarda di quel che sarebbe divenuto Il Silmarillion vi è anche un saggio dal titolo Laws and Customs Among the Eldar, che per l’appunto dettaglia leggi e usanze del popolo elfico, non ultimo l’aspetto del fidanzamento e del matrimonio che ne occupa una parte cospicua. Ci siamo ispirati a quelle note, che descrivono a un buon livello di dettaglio lo svolgimento dei cerimoniali tipici con i quali la coppia si scambiava le promesse per una vita da trascorrere assieme».

Parata degli ElfiCome si svolgerà la cerimonia? Partirete dal Rivellino con una sfilata?
Veerena: «Sì, ci piacerebbe. Dozza è una cornice splendida e vorremmo ringraziarla per l’ospitalità coinvolgendo il paese nella nostra festa. Cercheremo di formare un piccolo corteo celebrativo, speriamo che in tanti vogliano indossare i panni dei loro personaggi preferiti e accompagnarci al castello!».
Gianluca: «Una delle cose interessanti che Tolkien specificò circa il fidanzamento e il matrimonio elfico è che la parte essenziale era l’unione dei due cuori della coppia: per tutto il resto esistevano delle consuetudini, che riguardavano la presenza delle famiglie degli sposi, ma non erano assolutamente vincolanti ai fini della validità dell’unione. La cerimonia in voga presso i Noldor, ad esempio, assegnava un ruolo importante al padre dello sposo e alla madre della sposa, ma negli altri casi (oppure, annotò Tolkien, in periodi particolarmente travagliati in cui era difficoltoso radunare i parenti e indire un banchetto, come ad esempio nel pieno di una guerra) era pienamente sufficiente che gli sposi si scambiassero gli anelli e pronunziassero la formula di benedizione, quella sì obbligatoria, anche in assenza di genitori o testimoni – sebbene ciò sarebbe stato visto come una scortese mancanza di stile laddove le circostanze non impedissero il momento conviviale con le famiglie. Pertanto, noi abbiamo pensato di radunare gli amici con cui siamo soliti partecipare agli eventi, che sono in un certo senso parte della nostra famiglia in Terra di Mezzo, portarli al castello e lì scambiarci pubblicamente gli anelli e la promessa. Per i più intimi ci sarà naturalmente anche un boccone e un calice, ma non posso promettere di accontentare proprio tutti i presenti, se, come speriamo, saranno in tanti ad accorrere a Fantastika!».

WeddingChi può officiare la cerimonia?
Gianluca: «Stando agli scritti, gli unici ad avere un ruolo di rilievo nel rituale erano il padre dello sposo e la madre della sposa, che benedicevano la nuova famiglia. Nel “rito secondo la tradizione Eldalië”, tuttavia, dato che nessuno di noi è mai giunto alle Hobbiton con le famiglie, avevamo dato facoltà a fidanzati e sposi di scegliere un padrino e una madrina, a fare le veci dei genitori naturali».
Veerena: «La cerimonia comunque è libera e aperta a tutti coloro che vogliono assistere. Anzi, ci piacerebbe molto che coppie fidanzate o sposate presenti cogliessero l’occasione per rinnovarsi le promesse a vicenda, sarebbe molto bello e ci legherebbe ancora di più in questo bellissimo momento!».

Abiti 03La sposa vestirà di bianco o c’è un il colore dominante delle nozze?
Veerena: «Il bianco è di per sé un colore che solo nell’epoca moderna è utilizzato nelle cerimonie, in segno di purezza. Nelle culture più antiche le spose erano molto colorate e ogni colore aveva un significato specifico per ogni occasione. Basti pensare che nell’antica Roma le donne si sposavano con addosso una tunica (clamys) color porpora e un velo (palla) giallo. Perciò quando penso agli elfi o agli uomini della Terra di Mezzo che celebravano un matrimonio, li immagino abbigliati di colori tenui ma vestiti di tessuti damascati e ricamati – eccetto per gli Hobbit, che invece è risaputo vestissero di colori vivaci, adatti a un popolo più rustico ma gioviale e amante dei bei momenti di festa».

Abiti 04Per alcuni anni, sono andate di moda le ricostruzioni medievali di un matrimonio. Da qualche anno, sembra invece che la cerimonia in stile Fantasy abbia preso piede. Il vostro si distingue perché è la consacrazione di un’unione che già esiste e che proprio il 25 settembre festeggerà il sesto anniversario. È un legame che si approfondisce ancor di più?
Veerena: «Beh, io penso che, per due appassionati alle opere di Tolkien come lo siamo noi, il matrimonio elfico sia il rito che celebra la vera unione. Il matrimonio civile e religioso lo si fa per dovere quando ci si vuol legare ad una persona e rendere l’unione valida anche per legge. Il matrimonio elfico è piú un Legame di Anime. E le nostre si sono incontrate in Terra di Mezzo. Perciò, questo rende ancora più completa la nostra unione».
Gianluca: «Non entro nel merito di chi sceglie un modo piuttosto che un altro per celebrare il suo giorno più bello, ognuno fa le sue scelte. Di certo, come giustamente ha osservato Veerena, per noi questo non è qualcosa che riguarda soltanto l’aspetto esteriore della cerimonia. Aggiungo solo che, nella concezione di Tolkien, il matrimonio era l’unica circostanza in cui gli Elfi pronunziavano il nome del Dio Padre di Tutto e quest’aspetto va tenuto nel debito conto, prima di spendere parole a cuor leggero. C’è una forma di rispetto sia verso se stessi e le proprie scelte (concetto che magari e purtroppo farà sorridere qualcuno, in un’epoca in cui dare la propria parola ha praticamente perso del tutto il suo valore), che verso la sensibilità dell’autore dell’opera grazie alla quale siamo qui».

Anche gli ospiti saranno in abiti della Terra di Mezzo?
Veerena: «Ovviamente, essendo un evento aperto a tutti, non si può obbligare nessuno a un dress-code molto rigido: ma noi ne saremmo lieti, se anche chi assisterà vorrà prendere parte alla cerimonia con abiti tipici della Terra di Mezzo».

Abiti 07Lo avete già fatto in passato? Avete assistito ad altre cerimonie? Ci saranno differenze con una cerimonia fantasy?
Gianluca: «Sì, come ho anticipato sopra, ci è già capitato di celebrare fidanzamenti e matrimoni elfici, in contesti a tema e tra persone che avevano la consapevolezza di ciò che stavano facendo – in quanto lettori e amanti dell’opera tolkieniana. Purtroppo, lo dico con amarezza, alcuni non sono durati che pochi anni, con buona pace del fatto che Tolkien avesse scritto chiaramente quanto questo passo fosse determinante per gli Elfi – quindi, sottintendendo che donne e uomini di oggi dovrebbero essere ben consapevoli che si tratta di un impegno *per la vita*, non di un giocattolo da buttare quando rotto, come purtroppo funziona al giorno d’oggi con le relazioni di coppia. Purtroppo non mi è mai capitato di assistere a nulla di analogo, sebbene abbia saputo che altri si sono cimentati nel celebrare nozze elfiche. Ti confesso che le “cerimonie fantasy” non le conosco, quindi non mi esprimo sulle differenze formali: posso solo ribadire che, per quanto mi riguarda, per un vero amante della Terra di Mezzo, uno che ambisce a viverne e a diffonderne i valori, pronunziare la benedizione nel nome di Eru dovrebbe avere lo stesso valore del dire il fatidico “sì” davanti all’altare o al sindaco. Per quanto mi riguarda è così. Se chi sceglie rituali alternativi lo fa con la stessa consapevolezza, il mondo diventerà un luogo sempre migliore».

Quindi che aspettate? L’appuntamento è per il 25 settembre, dalle ore 16 alle ore 20. Accorrete!

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– Leggi l’articolo Fantastika, trovato un uovo: cosa sarà mai?

Sull’edizione del 2015:
– Leggi l’articolo FantastikA il 16 maggio si prende tutta Dozza!
– Leggi l’articolo Novità a Fantastika: esce Middle Artbook
– Leggi l’articolo Fantastika, Alessio Vissani: «Coraggiosi gli hobbit!»
– Leggi l’articolo Editoriale sulle prossime attività dell’Aist
– Leggi l’articolo intervista ad Angelo Montanini

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A Fantastika una mostra e l’asta dei collezionisti

Mostra libri TolkienUna terza edizione da fuochi d’artificio quella di FantastikA. La rassegna dedicata all’illustrazione fantastica e al genere fantasy in tutte le sue forme espressive, FantastikA – Fantastic Art Live in the Castle, che si terrà sabato 24 e domenica 25 settembre 2016 alla Rocca di Dozza, quest’anno si apre anche al mondo del collezionismo tolkieniano. E lo fa alla grande ospitando la Mathom III e addirittura una mostra che presenterà opere mai viste in Italia e all’estero, con pezzi unici e inediti di lettere e libri appartenuti a J.R.R. Tolkien e ai membri della sua famiglia.
Locandina Fantastika 2016Così, dopo il drago, le mostre, il calendario, il pubblico potrà godere anche di rarità per bibliofili che si potranno vedere soltanto a Dozza nei due giorni di Fantastika. Quest’anno la manifestazione vedrà quindi la nascita di un Drago: per la prima volta in un castello sarà presente un Drago in maniera permanente, di cui finora è possibile vedere l’uovo di grandi dimensione nel sottotetto del castello. Altro evento eclatante saranno le mostre, che apriranno per la manifestazione e rimarranno aperte per un intero mese. Quest’anno non solo la pinacoteca, ma anche tutto il piano nobile della Rocca ospiteranno esposizioni di artisti di fama internazionale come già annunciato. Alcuni di loro parteciperanno anche all’anteprima del Calendario AIST 2017: Lords for the Ring” – I Maestri del fantasy italiano incontrano Tolkien.

Tolkien inedito: l’uomo, lo scrittore, il professore

Mostra libri Mathom Dozza 09La Tolkieniano Collection di Oronzo Cilli non è stata mai esposta al grande pubblico ma quest’anno, in occasione dei suoi vent’anni e grazie alla collaborazione Fantastika e il Mathom, l’appuntamento per i collezionisti giunto al suo quarto appuntamento, sarà presente a Dozza in tutta la sua bellezza. Nei due giorni di Fantastika 2016, infatti, appassionati, lettori, collezionisti o semplici curiosi potranno visitare per la prima volta in Italia, una mostra esclusiva e davvero unica dal titolo “Tolkien inedito: l’uomo, lo scrittore, il professore” – esposizione di libri e documenti inediti appartenuti all’autore del Signore degli Anelli. Suddivisa in tre sezioni, vedrà l’esposizione di libri e documenti relativi alla sua vita privata, a quella accademica e infine narrativa. Mostra libri Mathom Dozza 06Chi verrà a Dozza – e solo e soltanto a Dozza nei due giorni di Fantastika – potrà ammirare da vicino la bellissima calligrafia su lettere e libri di J. R. R. Tolkien, di sua moglie Edith, di suo padre Arthur oppure quella dei figli e dei nipoti. Ma potrà anche vedere da vicino le edizioni dei suoi maggiori lavori in prima edizione come il The Lord of the Rings (1954-55), The Hobbit (1938) e altre prime edizioni estere che accompagneranno le famose prime edizioni italiane della Compagnia dell’Anello dell’Astrolabio (1967) o i celebri “pelle marrone” (1970) e pelle verde (1984). Infine, soprattutto per gli studiosi, saranno esposti per la prima volta tutti i libri accademici con saggi scritti da Tolkien dal 1922 al 1962.
Mostra libri Mathom Dozza 08Ma l’evento non si chiude con la sola mostra, giacché per tutta la durata verranno organizzate delle visite guidate di mezz’ora dove Oronzo Cilli accompagnerà i visitatori alla scoperta di questi meravigliosi oggetti raccontando aneddoti e curiosità. Cilli sarà anche uno dei relatori di Fantastika con una relazione su Il collezionismo tolkieniano: cosa, come e perché, durante la quale illustrerà i vari aspetti del collezionismo tolkieniano dando suggerimenti su dove e come acquistare, su come riconoscere le firme vere di Tolkien e tante altre curiosità che possono servire all’ormai vasto mondo del collezionismo ispirato a Tolkien. Mostra libri Mathom Dozza 07Non conoscete la Tolkieniano Collection? I suoi numeri sono davvero impressionanti: 3600 pezzi complessivi di cui 2200 tra stampe, quadri, oggettistica, gadgets, diorami ecc, e oltre 1400 libri. Nella collezione trovano posto 411 edizioni de Il Signore degli Anelli (42 paesi); 189 edizioni de Lo Hobbit (39 paesi); 52 edizioni de Il Silmarillion (15 paesi); e ancora circa 600 libri di e su Tolkien in diverse lingue. Infine 195 libri accademici di e su Tolkien.

Il Mathom III: l’asta dei collezionisti

Mathom IIIDopo i primi due Mathom organizzati a Barletta nel 2014 e 2015, quest’anno il terzo appuntamento nazionale dei collezionisti tolkieniani italiani si sposta in Emilia Romagna, nella rocca sforzesca di Dozza, ospite di Fantastika. Ma cosa significa Mathom? Gli hobbit indicano con la parola mathom tutto ciò di cui non conoscono le origini, né il significato, e sono esposti in musei come quello di Pietraforata sui Bianchi Poggi. Quale nome migliore per l’incontro nazionale dei collezionisti tolkieniani? Unico nel suo genere, è promosso dall’Associazione Collezionisti Tolkieniani Italiani in collaborazione con Tolkieniano Collection, è l’appuntamento pensato per chi ama collezionare – non importa da quanto tempo – libri e oggetti ispirati alle opere di Tolkien. Asta presso BonhamsL’evento permetterà, a “vecchi” e “giovani” collezionisti, di confrontarsi sulle edizioni di Tolkien italiane e straniere, su oggetti e memorabilia. Il tutto miscelato con i consigli e i suggerimenti degli esperti. Così anche per questo 2016 è in programma l’appuntamento per chi vuole arricchire la propria collezione o cedere alcuni dei suoi pezzi. Domenica 25 settembre dalle ore 15:30 alle 17:30 si terrà così il Tolkien Book auction. Volete partecipare? Correte a iscrivervi! Per partecipare all’asta dei collezionisti
qui il regolamento; qui il modulo d’iscrizione.

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Sull’edizione del 2015:
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I Lords for the Ring per il calendario AisT

Lucca Comics 2016Un collettivo di sette grandi artisti italiani attivi nel genere fantastico hanno accettato la sfida dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani per realizzare, a chiusura di un grande ciclo cinematografico, un nuovo immaginario visivo del mondo creato da J.R.R. Tolkien. È così che nasce il calendario 2017 “Lords for the Ring” – I Maestri del fantasy italiano incontrano Tolkien, che vede protagonisti Paolo Barbieri, Ivan Cavini, Alberto Dal Lago, Edvige Faini, Angelo Montanini, Dany Orizio e Lucio Parrillo.

Una mostra a Lucca

Lucca Comics and GamesSette illustratori protagonisti del panorama fantasy italiano, ognuno mantenendo il proprio inconfondibile stile, hanno ricevuto una serie di brani selezionati delle opere dello scrittore inglese dedicate alla Terra di Mezzo, dal Silmarillion a Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Scelte in base alle affinità stilistiche le scene sono poi state trasposte in magnifiche opere che saranno protagoniste di una grande mostra durante la manifestazione Lucca Comics and Games . Il percorso espositivo comprenderà anche una rassegna delle opere più significative di ciascuno dei sette Lords for the Ring.

Campagna sul web e anteprima a Dozza

Locandina Fantastika 2016Il calendario 2017 “Lords for the Ring” – I Maestri del fantasy italiano incontrano Tolkien prevede quindi ben 14 opere per i dodici mesi dell’anno, con grande immagine nelle pagine centrali. Il progetto sarà protagonista di una campagna di crowdfunding che partirà a fine agosto, per far sì che tutti gli appassionati abbiamo l’occasione di avere gli studi originali delle opere, i bozzetti e altri premi, oltre ovviamente a ricevere il calendario in tiratura speciale e limitata. Durante la campagna di crowdfunding, in occasione della manifestazione FantastikA – Fantastic Art Live in the Castle che si terrà il 24 e 25 settembre a Dozza Imolese (Bologna) sarà possibile incontrare gli artisti ed avere un’anteprima della pubblicazione. Quindi partecipate al crowdfunding e accorrete a Dozza e a Lucca se volete saperne di più!

 

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I Maestri del Fantasy in mostra a Dozza

FantastikaDopo il drago, le mostre. Si preannuncia già straordinaria la terza edizione di FantastikA. La rassegna dedicata all’illustrazione fantastica e al genere fantasy in tutte le sue forme espressive, FantastikA – Fantastic Art Live in the Castle, che si terrà sabato 24 e domenica 25 settembre 2016 alla Rocca di Dozza, quest’anno vedrà addirittura la nascita di un Drago: per la prima volta in un castello sarà presente un Drago in maniera permanente, di cui finora era possibile vedere l’uovo di grandi dimensione nel sottotetto del castello. Ma oltre a questa fantastica creatura, altro evento eclatante saranno le mostre, che apriranno per la manifestazione e rimarranno aperte per un intero mese. E che mostre!
Già nelle scorse edizioni le mostre della pinacoteca avevano suscitato grande interesse del pubblico, Uovo Fantastikaabituato a venire a Dozza soprattutto per l’arte dei murales durante la biennale del Muro dipinto. Quest’anno, però, gli artisti saranno di fama internazionale e mostreranno come l’arte fantastica abbia non solo uno spessore culturale ormai radicato da decenni di attività artistica, ma anche committenti di grande livello e un mercato in continua espansione.

Mostre d’arte anche nel piano nobile

mostraMolti gli artisti che interverranno per la prima volta alla kermesse e altrettanti quelli che hanno chiesto di tornare. Tornerà Angelo Montanini, padrino di FantastikA, che come di consueto sarà molto impegnato, perché oltre a gestire il suo artist desk e realizzare sketch per i visitatori, terrà un workshop sull’illustrazione con classi delle scuole primarie di secondo grado e una piccola rappresentanza del liceo artistico “Arcangeli” di Bologna. FantastikA presentazioneTra gli immancabili che allestiranno i loro artist desk con originali e stampe nel piano nobile, i due illustratori tolkieniani che erano stati presenti a FantastikA già dalla prima edizione, Andrea Piparo ed Emanuele Manfredi, oltre a Riccardo Rullo. Altra novità di quest’anno è lo spazio sempre maggiore dedicato alle mostre artistiche, che avranno uno spazio tutto loro anche nel piano nobile della Rocca.
Accanto agli artist desk ci saranno due esposizioni artistiche dedicate la prima a un giovane artista tolkieniano, la seconda dedicata a una piccola chicca del genere fantastico italiano, pubblicato negli anni Ottanta. Graziano Roccatani: EntSi tratta della mostra di tavole originali a tema fantastico e tolkieniano, dell’illustratore e concept artist Graziano Roccatani, che sarà allestita nella Sala delle Armi e della mostra di incisioni ispirate al libro Il tesoro del bigatto di Giuseppe Pederiali, illustrate dall’artista Lucia Govoni. È l’omaggio all’opera dello scrittore che più ha saputo armonizzare il genere fantastico con una concezione tipica della cultura della Bassa Pianura Padana, delle terre bagnate dal grande fiume Po, in un Medioevo fantastico dove diavoli e santi insieme sono a caccia di creature mitiche. Insomma, due appuntamenti immancabili che saranno a disposizione del pubblico a partire dal sabato 24 e che proseguiranno per tutto il mese di ottobre.

Poker d’assi in Pinacoteca

Barbieri a DozzaIl clou dell’edizione dal punto di vista artistico sarà costituito dalle mostre della Pinacoteca, che vedranno addirittura alcuni dei «Maestri del fantasy italiano» esporre a Dozza. L’etichetta è stata data a un gruppo di artisti, di cui già Montanini fa parte, che da qualche anno mietono successi di pubblico e critica a Lucca Comics and Games, una delle maggiori manifestazioni al mondo per l’illustrazione fantastica. I Maestri presenti a FantastikA saranno Paolo Barbieri, Edvige Faini, Dany Orizio e Alberto Dal Lago. Paolo Barbieri è già noto al pubblico e soprattuto ai dozzesi, perché aveva fatto un’apparizione fuori programma nella seconda edizione per presentare “Middle Artbook”, il libro di Ivan Cavini e Alessio Vissani, ma soprattutto nel 2015 ha portato un drago a Dozza, con il suo murales “Respiro marino”,
realizzato nell’ultima Biennale del Muro Dipinto. Barbieri ha firmato le copertine di molti scrittori di fama internazionale: Michael Crichton, Ursula L. Guin, George R. R. Martin, Umberto Eco, Sergej Luk’Janenko, Marion Zimmer Bradley, Herbie Brennan, Cassandra Clare, Laura Gallego Garcia, Cecilia Randall, Alberto Angela, Wilbur Smith e tante altre prestigiose firme. Paolo BarbieriHa al suo attivo le copertine dei libri dell’autrice Fantasy Licia Troisi e tutte quelle appartenenti alle due serie del fumetto del Mondo Emerso edito da Panini Comics, inoltre la Mondadori, l’ha scelto come unico autore per le illustrazioni di due libri illustrati ispirati all’Inferno di Dante e all’Apocalisse di Giovanni. Nel 2011, è stato il primo illustratore italiano ad essere “Artist Guest of Honor” di Lucca Games, con una mostra antologica che l’ha visto protagonista nelle splendide sale del Palazzo Ducale della città. Insomma un artista veramente all’apice del successo!
Edvige FainiPoco conosciuta in Italia, ma con prestigiose collaborazioni negli Stati Uniti, sarà presente anche la giovane artista Edvige Faini, che oltre a esporre in pinacoteca una selezione di illustrazioni, domenica 25 alle ore 15,30 terrà il workshop “Disegnare l’immaginario di grandi film e videogame”. Concept Artist originaria di Milano, specializzata in Concept Design, Matte Painting ed Environment Design, la sua produzione artistica è dedicata principalmente all’industria del cinema, del video game e dell’intrattenimento in generale. Per Hollywood ha dato il proprio contributo artistico alla realizzazione di film come: Maleficent, Jupiter Ascending, Il pianeta delle Scimmie, Edge of Tomorrow, Il Libro della Giungla, 300 e Sin City. Nel frattempo, per la Ubisoft ha partecipato alla produzione di Assassin’s Creed Unity, ottavo capitolo dell’amatissima serie di videogame nota in tutto il mondo e per Square Enix Japan ha partecipato allo sviluppo dell’attesissimo Final Fantasy XV. L’artista è attualmente impegnata alla pre-produzione di un nuovo videogame firmato EA.
Dany OrizioDa Lucca Comics and Games proviene anche Dany Orizio, classe ’75, è da sempre attratto dal surreale e dal mondo del fantastico. Il suo percorso di sperimentazione e ricerca di stile parte negli anni ‘90 con i graffiti e in 20 anni di carriera si è cimentato con qualsiasi tecnica per la produzione di visual, dall’illustrazione, al gioco di ruolo, al fumetto, alla grafica, al design. Ha collaborato con grandi case internazionali come Blizzard, Disney, Wizards of the coast, Upperdek, HeavyMetal, Soleil, Trinquétte, ImagineFX, PlayMagUsa, Spectrum, Saiwa, Mondadori, dVGiochi, Playpress, Hobby&Work, Wir.
Alberto Dal LagoIl quarto, ma non per questo meno importante artista, che vi presentiamo, è Alberto Dal Lago, molto conosciuto nell’ambito della narrativa e ludica Fantasy. L’illustratore ha tra i suoi committenti Wizards of The Coast, Paizo Publishing, Privateer Press, Applibot. Oltre al Fantasy si è cimentato anche nell’editoria per ragazzi, lavorando per case editirici come Mondadori, Lisciani Giochi, Edizioni Piemme e Salani. Dal 2013 è il copertinista ufficiale della storica serie di librigame dedicata a LoneWolf, creata da Joe Dever negli anni ottanta e divenuta un successo mondiale in poco tempo e pubblicata in versione italiana deluxe da Vincent Books Editore. Di questa saga abbiamo avuto anche modo di scrivere in un articolo precedente.
Sabato 24 settembre, Ivan Cavini e Angelo Montanini, insieme al presidente dell’AIST e ai patron di Lucca Comics and Games presenteranno a Dozza in anteprima il nuovo Tolkien Calendar 2017, che sarà poi presentato ufficialmente solo a Lucca a novembre. Di cosa si tratta? Dovrete pazientare un po’. Ne parleremo presto!

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A Dozza nasce un drago: a FantastikA il 24-25/9

Rocca di DozzaLa Rocca di Dozza si arricchisce di un nuovo elemento di attrazione. A Dozza sta per nascere qualcosa di mai visto prima in una location di questo tipo: un enorme Drago. Turisti e visitatori hanno già potuto osservare l’l’uovo che da mesi pulsa nel sottotetto del castello sforzesco. Ma il grande momento si avvicina, l’uovo sta per schiudersi e lo farà sabato 24 settembre 2016, quando sarà possibile vedere con i propri occhi il grande Drago di Dozza che riposa nella torre più alta della Rocca.
La nascita del Drago è il titolo della terza edizione di FantastikA – Fantastic Art Live in the Castle, la rassegna dedicata all’illustrazione fantastica e al genere fantasy in tutte le sue forme espressive, Dozza: uovo di dragoin programma sabato 24 e domenica 25 settembre 2016 alla Rocca di Dozza e che da quest’anno diventa una manifestazione biennale; FantastikA si terrà infatti soltanto negli anni pari, alternandosi con il celebre Muro Dipinto di Dozza previsto negli anni dispari.

Un castello, una leggenda e un drago

Ivan Cavini e l'uovoOrganizzata dalla Fondazione Dozza Città d’Arte con il patrocinio del Comune di Dozza e in collaborazione con l’Associazione Italiana Studi Tolkeniani, FantastikA porterà nel borgo medievale a due passi dalla via Emilia alcuni tra i più celebri artisti e illustratori del genere fantastico, diventando uno dei principali eventi di questo settore a livello internazionale. Ma soprattutto, per la prima volta in un castello sarà presente in maniera permanente un Drago. «Dozza sta vivendo un risveglio della creatività e questo drago ne è il simbolo – sottolinea Ivan Cavini, ideatore e direttore artistico di FantastikA -. Lavoro da anni nel settore, per questo motivo abbiamo deciso di fare del nostro borgo una meta di appassionati del genere, di artisti e di illustratori, ma anche di famiglie che porteranno qui i loro figli a vedere con i propri occhi il Drago di Dozza». L’idea di inserire un elemento di così grande richiamo e suggestione nella torre del castello prende spunto dai racconti fatti da alcuni studiosi imolesi del Manoscritto-Harley-1662_all-British-LibrarySeicento a proposito di un gigantesco rettile che attorno al 1062 viveva nella boscaglia paludosa poco distante da Dozza e uccideva il bestiame. Secondo il libro Draghi, Santi, paludi e serpenti nel Medioevo Imolese di Marco Medri, il compito di eliminare quell’animale pauroso venne affidato al Cavaliere d’Arme Cassiano Oroboni che tentò l’impresa nei pressi di Bubano, dove il Drago era solito farsi vedere, ma le squame della creatura resistettero ai dardi delle balestre e i soldati si ritirarono. Questo accrebbe la fama del Drago, poi se ne dispersero le testimonianze e nulla vieta di immaginare che il terribile drago abbia deposto un uovo nel sottotetto della rocca di Dozza, un luogo asciutto e riparato da sguardi indiscreti.

Il festival a settembre

Locandina Fantastika 2016«Con questa suggestiva ed emozionante iniziativa, attribuiamo alla nostra splendida Rocca un valore aggiunto capace di renderla ancora più appetibile dal punto di vista turistico e di caratterizzarla in maniera unica – dichiara Simonetta Mingazzini, presidente della Fondazione Dozza Città d’Arte -. La terza edizione di FantastikA sarà la definitiva consacrazione di una manifestazione destinata a diventare l’alter ego del Muro Dipinto negli anni pari; d’ora in poi il nome di Dozza sarà associato anche alla presenza del “Drago di Dozza” e all’evento di FantastikA. A tal proposito, avvieremo una nuova strategia di marketing turistico e comunicazione con campagne promozionali apposite per diffondere il messaggio che solo a Dozza c’è un castello medievale dove riposa un Drago, che è possibile vedere con i propri occhi e fotografare». Gufo cuccioloNon mancate il 24 e 25 settembre, anche perché, al termine di questa edizione di FantastikA, verrà chiuso il cancello e il drago sarà visibile solo da una certa distanza. Nelle prossime settimane verranno rivelati nei dettagli le moltissime iniziative e soprattutto i tanti ospiti del mondo dell’illustrazione e del genere fantastico. Come si dice sempre, stay tuned !!!

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Sul Trono di Spade salgono le regine

GoT_Daenerys-1024x683Siamo orfani. Anche la sesta stagione de Il Trono di Spade – che ci ha tenuto col fiato sospeso, puntata dopo puntata, per dieci interminabili (ma troppo brevi) settimane – è terminata. Domenica alle 22 è andata in onda su Sky Atlantic l’ultima attesissima puntata di Game of Thrones, The Winds of Winter. L’entusiasmo globale dei fan della serie ha raggiunto livelli inauditi e la sesta stagione non ha tradito le aspettative. Il bacino degli appassionati al destino dei Sette Regni invece di diminuire (come fisiologicamente capita alle fiction longeve) ha raggiunto il picco più alto. Un pubblico destinato ad aumentare perché l’ultima puntata apre mille nuovi scenari e lascia insolute molte domande che ci obbligano ad attendere la nuova stagione. Il Trono di Spade è stata anche l’unica fiction capace di modificare in corso d’opera la propria identità: la sesta è la prima stagione libera dai libri di George R. R. Martin e si affida totalmente al genio degli showrunner che hanno trasformato la saga fantasy in uno dei prodotti televisivi più riusciti di sempre. Tra scene epiche degne dei migliori cineasti e cliffhangers conclusivi per imprigionare lo spettatore, le settimane sono trascorse come giorni e ora l’estate non ci sembra altro che un lungo inverno. Il più lungo di sempre.

L’apice: La «Battaglia dei Bastardi”

Game of Thrones: Battaglia dei BastardiLe fiction come Il Trono di Spade, infatti, hanno la capacità di entrare nel nostro tempo privato e di definire – più del ciclo solare – i confini delle stagioni dell’anno: l’estate è dedicata alla pausa, alle repliche, alle elucubrazioni sul destino dei personaggi, alle discussioni piene di spoiler con gli amici che non sono in pari con le puntate. Una lunga attesa che si protrarrà fino alla prossima primavera dove si rianima il gioco per il potere temporaneamente sospeso dalle vacanze. Una serie culto come questa, insomma, non è patrimonio solo degli appassionati del genere, ma è vera e propria tradizione contemporanea, rito collettivo. Un ruolo meritato: la sesta stagione ha saputo gestire straordinariamente una complessità impensabile di trame, di personaggi, di ambienti. Fino all’apice raggiunto con la penultima puntata – la Battaglia dei Bastardi tra l’esercito di Jon Snow, il bastardo di casa Stark, e le truppe di Ramsey, figlio illegittimo di Lord Bolton, usurpatore di Grande inverno. Il capolavoro adrenalinico dell’intera serie. Un’impresa senza precedenti per un solo episodio di una produzione televisiva, con un investimento di più di 10 milioni di dollari spesi in 25 giorni. La battaglia è costruita sul modello di epocali eventi storici del passato: dalla battaglia di Azincourt della Guerra dei Cent’anni alla battaglia di Canne durante la seconda guerra punica. La strategia militare di Ramsay, infatti, è esplicitamente ispirata a quella di Annibale che accerchia, con una manovra a tenaglia, le truppe romane e le distrugge bloccando tutte le vie di fuga. Game of Thrones: Battaglia dei BastardiMa il regista della puntata, Miguel Sapochnik, ha confessato anche le sue fonti cinematografiche: «Il mio punto di riferimento è stato Ran di Akira Kurosawa». Tanto basta per entrare di diritto nella storia della televisione.
Un’edizione memorabile a partire dalla prima puntata The Red Woman, quando la bella strega Melisandre, sacerdotessa del Signore della Luce, si scopre vecchissima come nelle arcaiche leggende del Racconto dei Racconti. “La notte è buia e piena di terrori”. Un punto di non ritorno che ha segnato lo stile di queste puntate: le donne sono il motore della narrazione. La giostra del potere, da Nord a Sud, si ferma in mani femminili perché il mondo – spiega Daenerys Targaryen a Yara Greyjoy – «sarà un posto migliore quando sarà governato da noi».

Oltre gli stereotipi della femminilità

Donne in Game of ThronesParole che fanno tornare in mente un dialogo della terza stagione. Missandei dice alla Madre dei Draghi: «Valar Morghulis, tutti gli uomini devono morire». Lei, senza scomporsi, risponde: «Sì, tutti gli uomini devono morire, ma noi non siamo uomini». È il pensiero femminile, insomma, a risultare vincente: l’unico ad avere la duttilità e la cura per prendersi carico della complessità dei problemi del mondo fantastico che è specchio del mondo reale. I personaggi femminili che popolano questo mondo parallelo, insomma, non definiscono un monolitico universo che riproduce vizi e virtù tipicamente donneschi. Al contrario, gli stereotipi della femminilità si mescolano e si contraddicono. Il Trono di Spade ci dimostra che non esiste un’unica definizione di “Donna”. Le donne sono forti e deboli, intelligenti e pazze, amorevoli e crudeli. Sono regine, guerriere, puttane, damigelle, amanti e madri. Senza melensi vittimismi.
Da una guerriera coraggiosa e fedele come Brienne a una spregiudicata vendicatrice come Ellaria Sand divenuta regina di Dorne; da una ragazza che deve perdere se stessa per ritrovare la sua identità come Arya Stark fino alla saggezza della Lady-bambina di Mormont che orienta le decisioni dei vecchi Lord di Grande Inverno. Game of Thrones: Sansa StarkA cominciare da Sansa Stark che, più di ogni altra, ha subito una totale metamorfosi. È passata attraverso l’inferno fisico e psicologico, prima nelle mani dei Lannister poi in quelle dei Bolton, e si è trasformata. Il carattere si forma liberandosi dalle illusioni, attraversando la sofferenza e perdendo la purezza nel confronto con la crudeltà del reale. L’unica giustizia possibile è la vendetta, altrettanto crudele e senza sconti. Per questo, Sansa promette al suo torturatore la pena peggiore nel tempo delle passioni rappresentate: «Le tue parole scompariranno. La tua casata scomparirà. Il tuo nome scomparirà. Tutta la memoria di te scomparirà». La Stark non esita – seguendo la legge della retribuzione, in cui alla colpa corrisponde un’adeguata e speculare punizione – a far sbranare Ramsey dai suoi cani, che lui stesso aveva utilizzato per seviziare i suoi prigionieri. Insomma, “alleva i corvi e ti caveranno gli occhi”. Una vendetta liberatoria e catartica anche per lo spettatore che –dopo aver digerito scene di crudeltà insostenibili – può utilizzare la giustizia dell’occhio per occhio, evitando processi garantisti, senza sensi di colpa.

Un meta-teatro del mondo

16 - Il teatro "La mano insanguinata"La stessa terribile vendetta è preparata da Cersei Lannister per la sua torturatrice al servizio dell’Alto Passero. La vendetta, ammette, non serve solo a riequilibrare i torti subiti e inflitti, ma è un’inestinguibile fonte di piacere. In questo sovvertimento della sorte della regina di Approdo del Re si cela l’altro scenario inedito aperto dall’ultima puntata: la distruzione di Alto Passero. La conquista del potere, quindi, è sempre di più una pratica terrena che non è guidata dal volere degli dei. La trascendenza non è prevista. O meglio, è il volere degli dei ad essere orientato alla provvidenziale conquista del Trono e, al gioco del Trono, o si vince o si muore. E l’integralismo religioso che non si sposa con questi interessi concreti è destinato a essere sconfitto. Non è pensabile, nel mondo di Westeros (e non soltanto), un equilibrio da Sacro Romano Impero, in cui il potere politico va a braccetto con il potere religioso. È chiaro che Trono di Spade si presenta al pubblico come una sorta di meta-teatro del mondo in cui l’intera storia umana – passata, presente e futura – viene rimasticata e ripensata sullo schermo. Il nostro interesse di spettatori, quindi, non è orientato solo a sapere come va a finire la guerra tra le famiglie dei Sette Regni. Vogliamo conoscere il destino stesso della nostra Storia. Games of Thrones: Cersei LannisterVogliamo sapere qual è il nostro destino. Vogliamo sapere se Bran, divenuto Corvo dai Tre Occhi, è in grado di avverare il presente che stiamo vivendo interferendo con il passato di casa Stark. Insomma, lo spettatore che domenica era in trepidante attesa davanti al televisore non è affatto “addormentato”di fronte a questa qualità estetica e narrativa senza precedenti. Al contrario, è sempre più “emancipato” e ha capito che, come annuncia Sansa a Jon durante l’ultima puntata, «l’inverno è ormai arrivato».

 

FOTOGALLERY: I 20 COLPI DI SCENA
DELLA SESTA STAGIONE:

 

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L’Isis come Aragorn: in attesa del re

Greg e Tim Hildebrandt: "Elessar coronation"Fermi lì, è una provocazione! Se non sapete cosa sia, è inutile continuare a leggere. L’Associazione italiana studi Tolkieniani è ben conscia di tutte le atrocità perpetrate dal cosiddetto Califfato islamico in Siria e Iraq e di recente in Francia. L’accostamento non è nostro, ma è riportato in un articolo molto lungo e dettagliato che tocca molti altri punti interessanti, analizzando i tragici fatti di questi giorni e riflettendo sul bacino di coltura dei terroristi nati in Europa. Quel che ci ha colpito è però la provocazione iniziale, che è poi non viene più sviluppato adeguatamente. Quindi, proviamo a farlo noi, avvertendo subito però che l’accostamento è ben fondato e degno di riflessione, soprattutto in un momento come questo in cui il fanatismo religioso sembra diffondersi sempre più. Speriamo che anche voi lettori possiate ragionare su queste cose e magari lasciare qualche considerazione a fondo pagina.

Un carisma apocalittico

EsecuzioneTutto parte dalla palese e incontestabile attrazione che il sedicente Stato Islamico esercita su migliaia di giovani in Europa e negli Stati Uniti, che lasciano tutto per andare a combattere volontariamente tra le sue fila. I successi in campo militare e gli spettacoli diffusi in maniera virale della crudeltà perpetrate sui prigionieri non fanno altro che attirare un piccolo, ma costante flusso di nuove reclute dalle democrazie occidentali benestanti. È un dato di fatto che i commentatori e gli esperti hanno motivato in vari modi: l’emarginazione e l’alienazione delle minoranze musulmane in Occidente; un fervore religioso che trascende la piccolezza della vita quotidiana; anche l’eccitazione estrema per una visione apocalittica del mondo. Non è difficile vedere l’Isis come un’altra raccapricciante conseguenza del moderno capitalismo, un altro della lunga serie di movimenti terroristici che si alimentano dei malcontenti di quest’epoca e delle psicosi dei propri membri. Ma il persistente carisma globale dell’Isis offre qualcosa che lo contraddistingue rispetto agli altri movimenti terroristici: l’idea del Califfato. Lo scorso giugno, il leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, si è dichiarato califfo. La grandiosità del proclama è probabilmente sfuggita a molti degli osservatori non musulmani, soprattutto in Europa. Ma in Medio Oriente questa dichiarazione ha acceso entusiasmi contrapposti.
Al-BaghdadiIl Califfato è, infatti, nell’Islam una posizione antica di mille anni e il califfo deve rispondere a determinati requisiti: deve controllare il territorio, deve far rispettare la legge della Sharia al suo interno, e deve discendere dalla tribù Quraysh, la tribù del profeta Maometto. Gli ultimi a farlo sono stati gli imperatori ottomani che si sono attribuiti il titolo fino al XX secolo, ma la loro proclamazione è stata ampiamente respinta perché non discendevano dalla tribù del profeta, essendo di origini turche. Ora, la fedeltà al califfo è un obbligo che i sostenitori dell’Isis ritengono vincolante per tutti i musulmani. E mentre l’affermazione di al-Baghdadi è stata oggetto di divisioni anche all’interno del variegato mondo del jihadismo, deve far riflettere il fatto che i gruppi estremisti lontani tra loro come quelli in Nigeria (Boko Haram) e Libia (Al Shabab) abbiano fatto voto di fedeltà al Califfo, anche se questo può essere stato solo un atto formale.
Nelle analisi degli esperti occidentali, l’idea del califfato e il suo evidente fascino sembrano essere un’idea esotica o addirittura ridicola, il più delle volte messa da parte. Un modello di Islam fanatico transnazionale è del tutto anacronistico nel XXI secolo, secondo molti commentatori. «L’idea del califfato codifica un ordine morale che trascende non solo i confini dello Stato nazionale, ma anche la logica morale alla base del concetto di Stato». È una sorta di fantasia politica o fanta-politica pensare di tornare indietro di mille anni. Il cuore della sua affermazione è però il sogno imperscrutabile di una sovranità legittimata religiosamente o, da un altro punto di vista, di un delirio adatto a molte forme, una nostalgia intrisa di sangue la cui pretesa di un ritorno all’antichità è la sfida più estrema alla mentalità dell’uomo moderno e alle sue conquiste democratiche. Rivendicazione dell'IsisL’Isis e la sua ideologia violenta e reazionaria è totalmente in contrasto con l’etica della democrazia e del progresso delle moderne società laiche. Ma il mito su cui il suo fascino si basa – il fascino di vivere in un mondo con un ruolo ben definito e la sicurezza nel trascendente – non è così estranea all’Occidente come sembra. Moltissima gente in Europa ama il cosplay medievale, in molti vestono i costumi dei templari e nelle sessioni di gioco vanno a combattere gli infedeli. Colpisce come in uno dei video meno sanguinosi dello Stato islamico diffusi sul web viene mostrato un gruppo di jihadisti mentre bruciano i loro passaporti britannici, francesi e australiani. A quanto pare, queste persone, tutti cittadini “occidentali”, vogliono proprio vivere sotto un califfo, sotto una legge che proviene da Dio, di cui hanno una sicurezza concreta.

Il ritorno del re medievale

Jay Johnstone: "King Elessar of Gondor"Lungi dall’essere un impulso parodistico dell’Islamico o una fantasia di un nerd («qualcosa che si può realizzare con gli amici nella cantina di tua madre», come ha detto un esperto di antiterrorismo statunitense), il mito del Califfato riecheggia sogni di una legittimità trascendente che sono profondamente radicati nella cultura e la letteratura europea. E un parallelo diretto lo fornisce proprio Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Da quando è stata pubblicata, l’epica del professore di Oxford non ha fatto che crescere in autorevolezza per la critica letteraria e come presenza commerciale. Da buon conoscitore della letteratura e delle storia del Medioevo, Tolkien inserisce un tema che da quell’epoca proviene. Uno dei filoni del romanzo è, infatti, la proclamazione che Aragorn fa come re degli uomini, discendente di Númenor, legittimo erede del trono ancestrale di Gondor da mille anni vacante. All’inizio della storia, Aragorn è un personaggio particolarmente dimesso e rustico, sotto le spoglie di Grampasso: molte delle sue scelte sono fallimentari. Nel corso del racconto, però, si dimostra sia un erede biologico sia lo specchio fedele dei suoi antenati regali. La sua autorità trascendente è ben visibile e, di tanto in tanto, Aragorn brilla come «un re che tornava nel suo Paese dopo un lungo esilio» (SdA IV, 9). Una luce circonda la sua testa in momenti particolarmente regali, come ad esempio quando estrae la spada davanti a diversi potenziali alleati, nel suo primo incontro con i Rohirrim.
TemplareIn ogni caso, il problema della legittimità e della fedeltà è presente in tutta la storia. La discendenza reale si era spenta a Gondor mille anni prima, durante i quali hanno governato i Sovrintendenti. Ma «a Gondor non basterebbero diecimila anni» (SdA IV, 5) per permettere ai Sovrintendenti di ergersi al rango di re. Gli antichi segni della regalità – in particolare un spada di tremila anni prima, «la spada che fu spezzata» – sono fondamentali ad Aragorn per convincere un popolo a lungo senza re ad accettarlo come tale. Il personaggio ha la tendenza a gridare il nome del suo più illustre antenato quando si scontra in battaglia e ad attirare giuramenti incondizionati di fedeltà. Quando Faramir viene guarito da Aragorn – grazie al suo particolare, e regalmente unico, tocco taumaturgico – il figlio del Sovrintendente, guardandolo chino su di lui, lo vedrà in maniera diversa: «I suoi occhi brillarono d’una luce di coscienza e di affetto». Greg e Tim Hildebrandt: "Healing of Eowyn" (calendario 1977)«Mio sire, mi hai chiamato. Sono venuto. Cosa comanda il re?», dice Faramir al suo risveglio nelle Case di Guarigione. «Chi potrebbe rimanere ozioso, ora che il re è tornato?». (SdA V, 8). Per alcuni lettori di Tolkien, che applicano al romanzo le proprie convinzioni politiche, questa è una forte scena di “epifania” e che legittima la loro idea di trovare un re per cui si possa impegnare la propria spada senza dubbi ed esitazioni. Per fortuna, si tratta di una lettura ampiamente screditata e smentita da tutti i maggiori studiosi tolkieniani al mondo.

Nostalgia del passato e fanatismo religioso

Mosaico bizantino: cesaropapismo (circa 1000)Tali momenti, che hanno un sapore un po’ kitsch per qualsiasi lettore in quest’epoca post-moderna, sono il retaggio del mito medievale della intrinseca legittimità che solo il trascendente può dare, che si possa regnare solo grazie alla volontà di Dio. Da scrittore moderno, Tolkien era consapevole di questo rischio e per lui non sarebbe stato difficile enfatizzare scene d’azione o d’eroismo su Aragorn: non è un caso che il centro del romanzo siano le gesta degli Hobbit, in particolare Frodo e Sam. La sua opera eccezionale è infatti molto diversa dalla norma: lo scrittore moderno è riuscito a creare una storia ampia, in senso diacronico e sincronico, quasi quanto quella dell’Europa. Poi vi ha inserito a margine l’idea medievale di un potere trascendente, di diritto intrinseco che – a differenza delle più disparate ispirazioni nel mondo reale – in realtà funziona bene come movente parallelo alla storia principale. Lo stesso scrittore lo spiega nelle lettere. La storia di Arwen e Aragorn «in questo racconto non è centrale, ma vi si fa solo qualche allusione» (n. 153) e «non poteva essere inserita nel racconto principale senza distruggerne la struttura» (n. 181).
John Howe: "Elessar"Il parallelo tra la versione di Tolkien di restaurazione e quella di al Baghdadi si ferma qui, è limitata. Aragorn mostra la sua magnanimità nella vittoria, non si abbandona alle decapitazioni di massa. La mitologia di Tolkien, a differenza di quella di Isis, è non-apocalittica in maniera forte. Lo scrittore inglese era consapevole del potenziale distruttivo dell’idea del potere legittimato dal trascendente e ne fa solo un uso strumentale. La vicenda di Aragorn, come detto, non è il centro del romanzo e si conclude addirittura fuori di esso. Sono gli Hobbit e Frodo i protagonisti della storia ed di loro che si narrano le vicende.
Ma per molti lettori, a quanto pare, persiste il brivido di trovare un re a cui poter consacrare la propria spada senza scrupoli o esitazione. Infatti, si sostiene talvolta che la «politica palesemente adolescenziale» della Terra di Mezzo di Tolkien rappresenti un modello vero e valido per alcune persone nel mondo reale. Anche in Italia per lungo tempo questa è stata l’idea predominante.
Greg e Tim Hildebrandt: "Elessar wedding"L’autorità legittimata dal sangue e le virtù miracolose legate alla discendenza diretta e all’imitazione del passato eroico, minano alla radice il concetto moderno di governo basato sul contratto sociale, che si è andato costruendo dall’Illuminismo a oggi. Il romanzo fa anche un’allusione indiretta a quest’aspetto del fascino verso il potere trascendente del re attraverso il personaggio di Arwen, la dama elfica promessa sposa di Aragorn. Dovendo scegliere tra l’immortalità elfica e una vita mortale col re nel nuovo regno restaurato, preferisce quest’ultima via. Le sue due identità in contrasto si risolvono in questo gesto eroico, con la scelta di Lúthien. Arwen sacrifica le conquiste più alte e le comodità della civiltà elfica per bruciare il suo passaporto…

 

W.H. Green sullo Hobbit a Bologna e Modena

Film: Bilbo BagginsUn’avventura lunga tre anni. Ma in realtà è durata molto di più la ricerca e il lavoro che ha portato alla pubblicazione del nuovo volume della collana “Tolkien e Dintorni”, in uscita in questi giorni. Lo Hobbit. Un viaggio verso la maturità di William H. Green (15 euro, 184 pagine) è considerato uno tra i migliori studi dedicati al primo romanzo di J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit. Pubblichiamo qui la prefazione all’edizione italiana, che non ha potuto essere inclusa nel volume.

Scalare la Montagna Solitaria

Studiosi: William H. Green "Banjo Bill"«Sono io l’autore che sta cercando». La voce all’altro capo dell’oceano era quella di William H. Green. Professore di letteratura inglese ormai in pensione, è per tutti Banjo Bill, suonatore esperto e protagonista di una sit-com amatoriale, ma molto popolare a Fredericksburg, in Virginia (Usa). Era il 3 maggio 2014. Si concludeva così una ricerca iniziata blandamente nel 2010 e divenuta più intensa dal 2012. Lo scopo era riuscire a contattare l’autore dei diritti del libro che avete tra le mani, Lo Hobbit. Un viaggio verso la maturità. Uno studio fondamentale per comprendere appieno Tolkien, ma con una storia editoriale davvero sfortunata. Pubblicato nel 1995 dalla Twayne Publishers, il libro faceva parte della collana “Twayne’s Masterwork Studies”. Green all’epoca insegnava alla Western Kentucky University, dove concluse la sua carriera nel 1998. L’anno seguente, però, la casa editrice fallì e nel 1999 tutto il suo catalogo fu acquisito dal gruppo editoriale Thomson Gale. Da lì a poco, la società canadese (che aveva anche cambiato nome in Thomson Corporation) si fuse con la Gale, una società specializzata in editoria scolastica con sede a Farmington Hills, in Michigan, nella periferia ovest di Detroit. Nel 2007, con il riassetto delle varie società della multinazionale, Thomson Learning divenne parte della divisione Cengage Learning. Gale Cengage LogoI libri della Twayne Publishers finirono così archiviati nel catalogo Twayne’s Authors Online, che comprende 900 opere digitalizzate, divise in sei collezioni. All’interno di queste ultime, c’è anche la collana Twayne Masterworks Series cui appartiene il libro scritto da Green. I diritti sono così di proprietà della Cengage Gale, tanto è vero che in alcune biblioteche online si fa riferimento ad esso come di un libro edito da questo gigante dell’editoria scolastica nordamericana. Tutto questo dettagliato percorso serve a far capire come un libro del genere sia finito letteralmente nascosto sotto una fitta trama di norme editoriali difficili da districare. Inoltre, era impossibile riuscire a districare la matassa senza raggiungere l’autore, che nel frattempo aveva lasciato il Kentucky per andare a vivere in Virginia. Logo Marietti 1820Curiosa tradizione sembra volere che molti professori si dedichino a suonare il banjo, almeno in quella parte degli Stati Uniti. Parlando con colleghi dell’università, consultando annuali accademici e giornali locali, ho potuto risalire il filo fino a Fredericksburg e a quella mattina del 3 maggio scorso. Da lì la strada è stata ancora in salita. Solo dopo tre mesi di estenuanti trattative, la casa editrice statunitense ha accettato di cedere i diritti a patto che venisse rispettata la struttura del volume senza alcuna aggiunta. Nessuna possibilità di aggiungere la prefazione, quindi. Ad agosto si è giunti alla firma di un contratto e a metà novembre il libro è giunto nelle librerie. Nel mezzo c’è solo un lavoro «matto e disperatissimo» da parte di tutto il comitato scientifico della collana “Tolkien e Dintorni”.
Se non son miracoli questi…

Una vita di studi

Libri: "Lo Hobbit. Un viaggio verso la maturità" di WIlliam H.GreenValeva la pena tutta questa ricerca e questo lavoro per un libro così poco conosciuto e datato? I lettori più attenti avranno già intuito la risposta. Il volume di William Green si è poco diffuso proprio a causa delle vicissitudini editoriali della casa editrice, ma la sua validità è attuale anche a vent’anni dalla pubblicazione. Anzi, si può dire che uno studio del genere per gli studi tolkieniani nel nostro Paese è pioneristico, al punto da poter divenire facilmente uno strumento indispensabile agli studiosi che vorranno seguire questo genere di approfondimento. Gran parte della carriera accademica di Green è stata, infatti, dedicata alla letteratura per ragazzi e d’avventura della tradizione letteraria inglese. Tra i suoi molti contributi si possono citare quelli dedicati proprio allo Hobbit di Tolkien. Saggi come The Four-Part Structure of Bilbo’s Education, “Where’s Mama?” The Construction of the Feminine in The Hobbit e King Thorin’s Mines: The Hobbit as Victorian Adventure Novel sono stati pubblicati su riviste specialistiche e hanno costituto passi importanti nello studio dell’opera tolkieniana. Proprio rielaborando tutto questo materiale, Green giunge a identificare le fonti del primo romanzo di Tolkien in fiabe, letteratura per bambini, testi anglosassoni e nordici e narrativa popolare otto-novecentesca. Se, come è noto, non mancano nello Hobbit elementi legati all’area dell’infanzia, anche la letteratura di genere (fantascienza, letteratura esotico-avventurosa) svolge un ruolo fondamentale. «Tolkien scoprì un terreno comune», scrive Green, «dove gli antichi rituali della narrazione si sovrapponevano alla narrativa popolare, un’alta collina da cui un medievista cristiano, appassionatamente non allineato con la mitologia secolare della sua epoca, poteva rivolgersi a un pubblico di milioni di persone» (p. 49). Tolkien illustrations: Bilbo BagginsCosì facendo, Green mette lo scrittore inglese in relazione, oltreché con la mitologia e l’antica letteratura nordica, con gli altri grandi autori di letteratura per ragazzi e d’avventura. Solo grazie a una solida base critica, Green può così affermare: «Benché il mito di Tolkien abbia spinto molti critici a cercarne delle fonti medievali, il miglior precedente per le avventure invisibili di Bilbo è un classico racconto di fantascienza del 1897, L’uomo invisibile», scritto da H.G. Wells (p. 121). Secondo Green, il romanzo di Le miniere di Re Salomone di H. Rider Haggard (1885) «condivide numerosissimi motivi con Lo Hobbit», mentre «Fumare la pipa, un rituale abituale come espediente per creare un legame nelle avventure maschili di Jules Verne e di Rider Haggard, apre e chiude ritualmente» Lo Hobbit (p. 64).

Un’interpretazione psicologica

Sigmund FreudPer procedere nell’analisi del primo romanzo di Tolkien, Green si avvale di alcuni strumenti di critica letteraria. Nella prima parte del volume ricostruisce il contesto storico e letterario in cui Lo Hobbit è nato, mentre la seconda è una lettura puntuale e dettagliata dell’opera. Il testo è analizzato nella sua struttura letteraria e interpretato, con l’ausilio della psicologia junghiana, come un meraviglioso percorso verso la maturità del protagonista, Bilbo Baggins. Certo, la lettura psicanalitica di un romanzo ha molti limiti concettuali, ma il discorso sugli archetipi in ambito narrativo presenta ormai una storia consolidata, proprio a partire da critici citati come Northrop Frye ed Erich Neumann. In ambito tolkieniano, questo metodo è stato inoltre portato avanti da altri studiosi, da Anne C. Petty (che segue le idee di Joseph Campbell). Riviste: Tolkien Studies 3Esistono, certo, altri approcci basati sulle teorie di Sigmund Freud e Jacques Lacan, come ad esempio Gergely Nagy le cui teorie si sono dimostrate estremamente attraenti nei Tolkien Studies 3 del 2006.
Si può così parlare dello Hobbit come di una storia di maturazione, della conquista di una personalità completa, aperta, altruista, ben radicata nella società e nel gruppo, ma al tempo stesso sicura di sé, a partire da una situazione iniziale di stagnazione e chiusura: un vero e proprio racconto di formazione (un Bildungsroman) con una precisa funzione pedagogica. «Tolkien ha esplorato il tema tradizionale dell’eroe che va alla ricerca dell’individuazione », scrive Green, «attraverso una complessa ma elegante sintesi di accenni e decise imitazioni di epiche tradizionali, narrativa del XIX secolo e storie per l’infanzia contemporanee» (p. 140). A coronamento di tutto il discorso, Green dedica una breve appendice finale relativa agli Approaches to Teaching, cioè analizza le possibili forme di utilizzo dello Hobbit per fini didattici in ambito scolastico.
Si può ben capire, in conclusione, come un libro con una tale struttura, approccio e argomentazioni valesse una ricerca di Andata e Ritorno che ha fatto crescere anche chi lo ha curato e tradotto in Italia.

PRESENTAZIONI

Presentazione libriIl volume Lo Hobbit. Un viaggio verso la maturità di William H. Green (15 euro, 184 pagine) verrà presentato:
– da Roberto Arduini e Wu MIng 4, mercoledì 17 dicembre a Bologna, alle ore 19 presso la libreria Modo Infoshop, in Via Mascarella 24b
– da Roberto Arduini e Claudio Testi nell’ambito del nuovo ciclo del Realissime Finzioni. Cinema, fiaba, filosofia, promosso dall’Istituto filosofico di studi tomistici, giovedì 18 dicembre 2014 ore 21:00 presso il cinema Victoria, in via Ramelli 101, Modena (Tel. 059.454622). In entrambe le occasioni l’ingresso è gratuito.
A gennaio, il volume verrà presentato a Roma, presso la libreria Tra Le Righe, in via Gorizia 29. Data da definire.

 

LINK ESTERNI
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Fan film: Tolkien’s Road sulla vita di Tolkien

Tolkien'sRoad: C.S. Lewis, Tolkien e BilboQual è la differenza tra fantasia e realtà? Il pericolo di confonderli è sempre presente. La nostra vita oscilla tra questi due poli, tra i nostri doveri e i nostri desideri, tra quel che vorremo e quel che otteniamo. Un confine labile per un equilibrio fragile, che non deve essere rotto, altrimenti si rischia l’alienazione, il rimanere prigionieri dei nostri sogni perdendo ogni contatto con la realtà che ci circonda. Può essere questo il cuore di Tolkien’s Road (“La via di Tolkien”), fan film appena diffuso in internet, frutto di un progetto studentesco statunitense durato due anni che ha coinvolto anche noti attori. Il progetto è si è concluso con successo quest’estate.
Tolkien's Road: immagine 17La sceneggiatura di ben 33 pagine si è tradotta sullo schermo in un fan film di poco più di 35 minuti. E da domenica 9 novembre 2014 è visibile gratuitamente su Youtube mentre per il prossimo fine settimana saranno aggiunti anche i sottotitoli in spagnolo e portoghese. A fondo pagina si possono vedere il film, il trailer e la fotogallery realizzata durante le riprese.

Prima dello Hobbit

registi: Nye GreenIl fan film è nato nel 2012 dall’idea di Nye Green, giovane regista di Los Angeles che ha voluto raccontare una parte della vita di Tolkien, gli anni che precedono la composizione del suo primo romanzo, Lo Hobbit. Il regista è stato coadiuvato da un folto gruppo di attori, tra cui un bravissimo Peter Donald Badalamenti, già presente in film a Hollywood come I Pirati dei Caraibi e Lo strano caso di Benjamin Button, e Casey E. Lewis noto attore teatrale qui nei panni del professore di Oxford. Nonostante la raccolta fondi su internet, lanciata dal luglio 2013 al gennaio 2014, abbia raccolto soltanto 4mila dei 15mila dollari necessari per girare il film, la troup è andata avanti ed è riuscita a sostenere tutte le spese. La storia è ambientata soprattuto a Oxford nel 1929, quando Tolkien è un professore di Filologia anglosassone al Pembroke College e frequenta, tra gli altri, C.S. Lewis che insegnava Letteratura inglese al Magdalen College. I due buoni amici fanno spesso lunghe passeggiati nei giardini della città universitaria. Nessuno dei due ha mai pubblicato un romanzo, ma entrambi hanno scritto poesie e racconti e si interrogano sulla validità letteraria dei propri scritti. Entrambi però hanno combattuto in guerra. Il viaggio di Tolkien per scrivere il suo primo libro deve ancora cominciare, ma prima che possa portare in vita il mondo della Terra di Mezzo, Locandina Tolkien's Roadil professore deve superare il trauma dell’esperienza bellica nella Prima Guerra Mondiale e trovare di nuovo la sua voce. Per ora, il professore è soprattutto un reduce, attanagliato dagli incubi e dai fantasmi dei moltissimi amici persi in guerra, tra cui tre membri del TCBS (Tea Club and Barrovian Society), il circolo di amici di scuola che speravano di raggiungere la grandezza pubblicando poesia e narrativa. Soprattutto Rob Gilson, grande amico della famiglia Tolkien, Thomas Kenneth Barnsley e Geoffrey Bache Smith, altro suo amico intimo e guida del gruppo letterario. Ecco il punto: Tolkien è in un vicolo cieco (anche letteralmente) e rischia di perdersi in un mondo in cui i personaggi della sua fantasia si mischiano ai drammatici ricordi del passato e non gli permettono più di scrivere…

Un’opera filologica

Tolkien's Road: J.R.R. Tolkien e G.B. Smith soldatiNye Green ha scritto la sceneggiatura del fan film e dimostra di conoscere benissimo l’autore del Signore degli Anelli e la saggistica su di lui. Per questo, il regista coglie Tolkien in un momento cruciale della sua vita. «Sono tutti morti! Tom, Rob, Jeff sono morti e ancora mi sto chiedendo il perché…», dice Tolkien in uno nei momenti più drammatici del film, «Dovevamo fare cose ancora grandi cose insieme, avevamo così tanti progetti. Non so cosa potrò fare io». La risposta giunge niente meno da Gandalf (o meglio, da uno “stregone” generico, come definito nei titoli di coda per evitare problemi di copyright): «Mio caro amico, puoi continuare a vivere. Tutto quel che soltanto possiamo decidere è cosa vogliamo fare con il tempo che ci viene concesso. Forse dovresti smettere di pensare alle cose che dovresti fare e iniziare a pensare a quelle che tu vorrai fare». Oltre a Gandalf, il professore dialoga anche con un Hobbit che assomiglia tanto a Bilbo Baggins e con un ranger che ricorda tanto Aragorn (sempre per via del copyright) e tutti lo salvano forse dall’alienazione. Ma anche gli amici morti lo spingono verso il suo destino di scrittore. In una scena del film, Tolkien rilegge una vecchia lettera, quella datata 3 febbraio 1916 che il suo caro amico G.B. Smith gli aveva scritto mentre erano entrambi al fronte: «Mio caro John Ronald, pubblica a ogni costo. […] la mia massima consolazione, se stanotte dovessero colpirmi – sarò fuori di servizio fra pochi minuti – è che ci sarà ancora un membro del grande TCBS a dar voce a quello che sognavo e a ciò in cui tutti noi credevamo. La morte di uno dei suoi membri non potrà, ne sono assolutamente convinto, dissolvere il TCBS […] La morte può renderci nauseanti e inermi come individui, ma non può porre fine ai quattro immortali! […] Dio ti benedica, mio caro John Ronald, e possa tu dire le cose che per tanto tempo ho cercato di dire dopo che io non sarò più qui per farlo, se questo è il mio destino». Tolkien's Road: Tolkien e i suoi personaggiIl brano è riportato solo in Tolkien e la Grande Guerra di John Garth (Marietti – 2003, p. 163) e dimostra come Nye Green abbia veramente colto anche il messaggio dello studio: l’esperienza bellica fu cruciale per lo scrittore. E soltanto superando questo momento Tolkien potrà sbloccare la sua penna e viaggiare nella Terra di Mezzo. Perché la fantasia, come scrive nel suo saggio Sulle Fiabe (pp. 78-79), ha il pregio di donare il ristoro, cioè il ritorno e il rinnovamento della salute, che per il Professore di Oxford consiste nel ritrovare una visione chiara della realtà, nel «vedere le cose come siamo destinati a vederle». Deve essere proprio questa “la via di Tolkien” nella vita.

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Honegger: «Lo Hobbit tra Tolkien e Jackson»

Studiosi: Thomas Honegger (c) TolkiendilIl Festival Fantastika di Dozza (Bologna) si avvicina ed è bene conoscere meglio una delle guest star della manifestazione. Per i nostri lettori, ecco allora in esclusiva un’intervista a Thomas Honegger. Professore presso il dipartimento di Studi Inglesi dell’Università Friedrich Schiller di Jena, in Germania, è uno specialista nel periodo medievale. Tra i suoi interessi, si possono trovare anche le opere di J.R.R. Tolkien, su cui ha ampiamente dedicato studi e pubblicazioni. Nato a Zurigo, ma naturalizzato tedesco, è in realtà un gigante degli studi tolkieniani: è curatore di quasi tutti i volumi della collana Cormarë Series della casa editrice Walking Tree e membro del comitato scientifico di Hither Shore, rivista letteraria della Tolkien Society tedesca. Non si contano i suoi studi e saggi e le sue partecipazioni ai convegni internazionali su Tolkien ed è il “motore” dei convegni annuali su Tolkien dell’università di Jena. Insomma, dopo Tom Shippey e Verlyn Flieger, a buon diritto Honegger è uno dei maggiori studiosi al mondo di Tolkien. È, inoltre, appena divenuto neo-segretario della nascente Tolkien Society svizzera (Seryn Ennor), che ha il suo centro a Jenins, sede del Greisinger Museum, tutto dedicato alla Terra di Mezzo. Il 28 settembre a Fantastika terrà una conferenza dal titolo «I draghi nelle opere di J.R.R Tolkien».

L’intervista

Professor Honegger, cosa l’ha attratta all’inizio delle opere di Tolkien?
Studiosi: Thomas Honegger«Il mio approccio iniziale a Tolkien è stato quello da “collega medievalista” e molte delle mie pubblicazioni accademiche riguardano le sue fonti e ispirazioni. Tuttavia, quello che ho anche trovato è che l’opera dello scrittore inglese apre vie impreviste verso una vasta gamma di tematiche – dal viaggio nel tempo alla botanica. Così sono rimasto un po’ sorpreso quando un giornalista mi ha chiesto cosa avrei fatto in futuro dopo che avevo “fatto con Tolkien”?! Con lui non si finisce mai! La pubblicazione del suo poema allitterativo The Fall of Arthur, per esempio, terrà occupati i medievalisti per qualche tempo, per non parlare delle migliaia di pagine di note e testi accademici custoditi nella Bodleian Library di Oxford, che sono di scarso interesse per la critica letteraria, ma di grande valore per i medievalisti».

Tolkien stesso ha pubblicato numerosi saggi accademici. Lei usa queste sue opere nei seminari e nelle conferenze? Sono scritti ancora validi per i medievalisti? «Naturalmente, il tempo passa per tutti e gli orientamenti della disciplina seguono la loro strada. Ma sono ancora validissimi il suo lavoro sul Beowulf e le sue lezioni su altri argomenti (i saggi Sulle Fiabe, Inglese e gallese, Un vizio segreto). Li uso regolarmente, come uso le sue traduzioni molto accurate e leggibili di Sir Gawain and the Green Knight, Sir Orfeo e Pearl. A lezione, ho usato anche l’edizione del Sir Gawain da lui curata insieme a E.V. Gordon».

Cosa l’affascina di più dei lavori di Tolkien? Ci sono contatti tra il suo studio e la sua produzione artistica? «Bella domanda! I contatti sono talmente tanti che non posso nemmeno enumerarli. Molto del lavoro accademico del professore si è riversato nelle sue opere di fantasia. Tra le cose che preferisco di più, che sono poi due punti di contatto fondamentali, ci sono il suo stile nel Signore degli Anelli e la profondità delle sue allusioni e riferimenti intertestuali al Beowulf. Per questo, si può leggere quel che ne ha scritto Shippey…».

Lei è un professore universitario: pensa che il mondo accademico stia cominciando ad accettare questo tipo di letteratura come qualcosa che vale la pena studiare? «Studiare Tolkien è accettato o meno come studiare altri argomenti non canonici (ad esempio, i vampiri). La svolta negli studi di Tolkien è venuto con la nascita di riviste accademiche peer-reviewed e pubblicazioni di libri, in particolare i Tolkien Studies (della University of West Virginia Press) e le Cormarë Series della nostra casa editrice Walking Tree Publishers. Io (e molti altri studiosi di Tolkien) ho pubblicato anche in altre riviste accademiche o raccolte di saggi e supervisiono tesi e dottorati su argomenti correlate a Tolkien. In tal modo Tolkien è un autore “sotto i riflettori” seppur non ancora “canonico”».

Passiamo ai film di Peter Jackson. Qual è la sua opinione riguardo l’adattamento dello Hobbit? Ha mantenuto lo spirito del romanzo di Tolkien? Studiosi: Thomas Honegger«Ho apprezzato molto i film, la seconda volta più della prima volta. Anche se Peter Jackson rimane spesso molto vicino al testo originale, ovviamente il fatto di realizzare tre film è più vicino nello spirito alla sua trilogia sul Signore degli Anelli che alla fiaba dello Hobbit. Mi sarebbe piaciuto un film di tre ore per ragazzi che seguisse la trama e lo spirito del libro, ma sono altrettanto felice nel vedere questa trilogia epica di Jackson, che ha trasformato l’originale in qualcosa di molto diverso. Tolkien stesso aveva in programma di riscrivere Lo Hobbit, al fine di trasformarlo in un prequel del Signore degli Anelli, ma non è mai riuscito a farlo (forse è una fortuna così). Quindi, una volta accettato il fatto che Jackson non ha mantenuto lo spirito del romanzo di Tolkien (per ragioni di “compatibilità”) si possono giudicare i suoi film in maniera più equa per quello che sono: film ispirati da un testo, ma non “traduzioni” del libro in immagini».

È giusto, in ogni caso, giudicare un film per la sua fedeltà al lavoro letterario su cui si basa? «Certamente, ma non in questo caso. Dal momento che Jackson ovviamente non ha tradotto una fiaba di 280 pagine in una pellicola di 3 ore per ragazzi, si farebbe torto sia il libro che al film, indipendentemente da quello che dicono Jackson o dei suoi collaboratori. Il caso è stato un po’ diverso con Il Signore degli Anelli, dove abbiamo tre volumi epici trasformati in tre film epici. In questo caso, penso sia giusto fare il confronto. Per ulteriori approfondimenti vi consiglio l’articolo di Vincent Ferré “Tolkien, our Judge of Peter Jackson”, in cui si analizza il parere che Tolkien aveva sul ​​cinema e sull’adattabilità del Signore degli Anelli, come espresso nelle sue lettere, quindi si confrontano i criteri e il giudizio dello scrittore con la story-line sottopostagli nel 1957-1958, con i film di Ralph Bakshi del 1978 e “La Compagnia dell’Anello” di Jackson del 2001».

Torniamo all’autore. Negli ultimi anni, sono stati pubblicati diversi nuovi libri di Tolkien non riguardano più la Terra di Mezzo. Si tratta di quella che è stata chiamata dagli studiosi la «filologia creativa» del professore di Oxford. Si tratta di La leggenda di Sigurd e Gudrùn, poema ispirato alle saghe norrene, The Fall of Arthur, ispirato al mito di Re Artù, e Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, che approfondisce il poema in antico inglese The Battle of Maldon. Aldilà dello studio di queste opere in sé, cosa pensa possano aggiungere alla conoscenza e allo studio della Terra di Mezzo? Libro: La caduta di Artù«Queste ultime opere sono importanti per conoscere il lavoro e lo stile di Tolkien. Si può capire molto di cosa pensava su determinati temi e su come funzionava il suo processo creativo. Sicuramente, si è aperto un nuovo campo di studio, come giustamente già evidenziato da Tom Shippey nei suoi libri. Ma un riflesso di queste opere si può trovare anche nei romanzi più noti dello scrittore. Ci sono tematiche che Tolkien volle approfondire per comprendere le lingue e i poemi medievali che insegnava all’università. Molti studiosi si dedicano a nuove traduzioni per riprendere la mano con le lingue scomparse. Lui volle espandere questi poemi con la sua vena creativa, la stessa vena che poi lo portò allo Hobbit e al Signore degli Anelli. Volete un esempio? Si può cogliere l’influenza sulla sua idea di regalità. Tolkien approfondì molto questa tematica e si va ben oltre la nostalgia per la “nobiltà di sangue” proposta da alcuni meri divulgatori».

Gli studiosi più esperti hanno, infatti, già iniziato ad analizzarla: Verlyn Flieger ne ha già parlato in due occasioni. È un tema molto più ampio che tocca l’aspetto mitologico delle sue creazioni e può essere ampliato a tutta la disciplina. Lei stesso se ne è occupato in passato, ad esempio già al convegno in Francia nel 2012. «Sì, esatto. Tolkien ha detto una volta la sua risposta immediata alla lettura di una storia medievale era quello di voler scrivere una storia simile. Lui l’ha fatto. Tre volte. Oltre agli esempi citati, pensiamo anche alla Storia di Kullervo venuta dal poema finlandese Kalevala e poi confluita nel Silmarillion. Ci leggiamo queste opere nel contesto della sua particolare tradizione letteraria per esplorare come Tolkien si inserisce, altera o può estendere il materiale mitico, da Omero in poi. Il tema della regalità è anche cruciale per capire molte differenze tra i membri degli Inklings. Diversamente da C.S. Lewis e Charles Williams, in Tolkien la regalità riassume e amplia i concetti provenienti dalle fiabe, dalla storia e dall’ascendenza divina. La sua migliore descrizione si trova nelle frasi di Faramir nel momento dell’incoronazione di Aragorn (Lotr III.5, p. 967) ed è erede di una tradizione storica che dal Medioevo giunge fino ai giorni nostri. Le ultime opere su Beowulf, Sigurd e Artù non fanno che confermare la distanza da Lewis. È sufficiente leggere l’ultimo La Caduta di Artù per capire che si parla del re come un guerriero secolare che mira a restaurare l’unità dell’Impero molto lontano dal personaggio del ciclo del sacro Graal».

Lezioni: Thomas Honegger e i draghiIl suo ruolo neo-segretario della Tolkien Society svizzera ha dato un’indirizzo professionale alle iniziative. Se non sbaglio si parla di due eventi annuali? «L’incontro che si è tenuto a inizio settembre è stato per lo più organizzativo. Per me è stata anche l’occasione per preparare la mia conferenza su draghi che terrò a Fantastika. C’erano molte persone provenienti da tutta la Svizzera e ci siamo strutturati in molti sottogruppi, le varie “famiglie locali”. Con Bernd Greisinger e gli altri soci si è deciso che i due eventi annuali al Greisinger museum saranno tematici: in aprile, ogni anno, inviteremo gli artisti per workshop e laboratori, per poi pubblicare anche un calendario; in settembre, il convegno con autori e studiosi di fama internazionale. È un progetto ambizioso, ma credo che riusciremo a realizzarlo».

Studiosi: Roberto Arduini e Thomas HoneggerAvete molti progetti in corso con la Walking Tree Publishers? «Quest’anno abbiamo già pubblicato parecchio, quattro libri di saggistica tolkieniana tra cui il “vostro” Tolkien and Philosophy. Entro la fine dell’anno volevamo dare alle stampe, però, un altro paio di volumi. Stiamo ancora definendo le date di uscita, ne saprete di più per Fantastika a Dozza. Poi, c’è il nostro Call for paper  “Humour in and around the Works of J.R.R. Tolkien” che è in dirittura di arrivo, dopo che i saggi sono stati consegnati a marzo: ne sono giunti molti validi. Insomma, i progetti sono moltissimi e siamo impegnati su più fronti contemporaneamente. A ottobre ricomincerà anche l’università: e sicuramente nel mio corso Tolkien non mancherà!».

Il programma di Fantastika a Dozza (Bo) dal 27 al 28 settembre 2014 (mostre fino al 5/10):

programma FantastikaSITO UFFICIALE
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L’Arst a Dozza (Bo) con mostre e seminari
Estate tolkieniana: ecco gli appuntamenti
– L’intervista a Ivan Cavini
– L’intervista a Denis Medri
– L’intervista a Maria Distefano
– L’intervista a Andrea Piparo
– L’intervista a Fabio Leone

GUARDA L’INTERVISTA A HONEGGER REALIZZATA DALL’ASSOCIAZIONE TOLKIENDIL:

Interview de Thomas Honegger par l’équipe de Tolkiendil à l’occasion de sa conférence “Arthur – Aragorn – Ransom: Concepts of Kingship in the Works of Three Inklings” au colloque Tolkien et les Inklings à Cerisy, en juillet 2012 (c) Tolkiendil

Tradotto in inglese “Tolkien e la Filosofia”
– Nasce la Tolkien Society svizzera (Seryn Ennor)

LINK ESTERNI
– Vai al sito della Fondazione Dozza Città d’Arte
– Vai al sito di Ivan Cavini
– Vai al sito della Walking Tree Publishers
– Vai al sito ufficiale di Greisinger Museum

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Fan fiction, il canone e le sue sfide

«Al di sopra del Marese, della Valle dell’Acqua, dei Monti Brumosi, del Bosco d’Oro,
della Montagna Solitaria, delle nubi, dei mari, al di là del Fuoco Dorato, della Rete di Stelle
e dei confini delle Cerchie del mondo…».

Libri: "Orlando Innamorato" canto 20Il fenomeno della fan fiction, la produzione diffusa di testi narrativi derivata da opere letterarie, serie televisive, saghe cinematografiche o fumetti di successo, rappresenta una tra le manifestazioni più interessanti nel mondo delle culture digitali. In realtà, la fan fiction precede la cultura digitale. Ma l’incontro tra le comunità di cultori e fan (fandom), con le loro pratiche di scrittura, e internet ha innescato una sinergia virtuosa. In virtù delle sue caratteristiche, internet esalta il principio d’espansione alla base della fan fiction e si propone come luogo di sperimentazione di tecniche narrative fondate sull’idea di una testualità fluida e aperta. In realtà, molte tradizioni letterarie nelle loro fasi iniziali mostrano i caratteri tipici di questo genere di «letterature amatoriali». Si pensi alle modalità con cui nacquero e si svilupparono i corpus di opere della materia epico-cavalleresca o amorosa, Libri: "I tre Moschettieri" di Dumastra oralità e scrittura, dalle quali scaturirono le letteratura nazionali europee: riferimento a un orizzonte di eventi e di caratteri prefissati, natura popolare e funzione d’intrattenimento, mancanza di un autore definito, legame con le aspettative e i gusti dei suoi fruitori. Ma caratteri simili hanno anche le rappresentazioni sacre di epoca tardo-medievale e poi la commedia dell’arte; o la nascita e diffusione del romanzo di genere nel corso del XVII secolo, che vide in tutta Europa una vera e propria esplosione di produzione e di pubblicazioni; e ancora, con caratteri ormai moderni, il fenomeno del romanzo d’appendice ottocentesco. Si può dunque dire che il fenomeno post-moderno della letteratura dei fan mostra alcuni dei processi di formazione tipici del discorso letterario in generale.

La teoria dei mondi possibili

Scrittori: Umberto EcoAd essa si può applicare la teoria dei mondi possibili finzionali elaborata da Umberto Eco in Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi (Bompiani 1979, pp. 113 e segg.). Come propone Eco, ogni testo è una macchina che prevede la cooperazione interpretativa attiva del suo destinatario: «Il testo è […] intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perché un testo è un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario (…) E in secondo luogo perché, via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa, anche se di solito desidera essere interpretato con un margine sufficiente di univocità. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare» (p. 52). Dal gioco tra il mondo finzionale in costruzione e quello originario della propria fonte scaturisce la complessità del significato della riscrittura, significato che, se pure è arricchito dal recupero del nascosto, tuttavia non ne è asservito. In altri termini, se una fan fiction attiva la «nascosta enciclopedia finzionale» del romanzo-fonte (dall’ambientazione ai personaggi originali: è «l’ammobiliamento del mondo possibile finzionale», come lo chiama Eco), tuttavia non ha il dovere di procedere con un contesto e dei personaggi identici a quelli presupposti. Dunque, anche se le proprietà dei personaggi cambiassero, come spesso accade, l’importante è che tali nuovi mondi siano coerenti e non diano vita a mondi finzionali impossibili, tali da essere contraddittori. Linguisti: J. L. AustinLa riscrittura è come una sfida lanciata alle opere canoniche, che porta il prodotto dell’invenzione, la fan fiction appunto, non a cancellare o a invalidare il proprio canone, ma ad arricchirlo, a espanderne i confini, a «prendere posto accanto al protomondo canonico» con la speranza, perché no, di entrare «a sua volta nel canone». Le fan fiction, frutto dunque di invenzione, sono propriamente atti linguistici performativi, ovvero, atti che, date determinate condizioni di felicità, come le chiamava Austin (cfr. Come fare cose con le parole, Marietti – Genova, 1987), servono a compiere azioni. Anche Roland Barthes (cfr. Il brusio della lingua. Saggi critici IV, Einaudi – Torino, 1988) aveva colto il carattere performativo della letteratura nel senso che l’atto di scrivere non può esaurirsi alle funzioni della registrazione, della rappresentazione o della constatazione. Nello specifico, il testo finzionale è un testo capace di creare (o di distruggere) mondi che non dipendono dalla verità o falsità dei suoi enunciati discorsivi.

Il canone

History of Middle-earth in edizione ingleseNon è un caso che un elemento centrale nell’esperienza della fan fiction è il cosiddetto canone. In generale possiamo dire che tali scritture nascono sotto la spinta di un processo dialettico poiché, se la loro produzione si muove secondo il principio dell’espansione, la costruzione di ogni nuovo testo (e in particolare di quelli diffusi online) implica un lavoro continuo di negoziazione con limiti e regole. Se l’autore/fan, nel momento di scegliere un originale, opta per un testo che percepisce come potenzialmente espandibile, è innegabile che tale materiale definisca un insieme di vincoli con cui il processo di ri-scrittura deve misurarsi. Il testo derivato deve in altri termini tenere conto dell’«ammobiliamento» (per dirla con Eco) e delle regole del mondo finzionale di partenza, rispettando una serie di criteri di accessibilità tra questo e il nuovo mondo derivato. L’idea di canone emerge per la prima volta tra gli appassionati di Sherlock Holmes con l’intento di distinguere le opere originali di Conan Doyle da tutte quelle di imitatori fiorite sulle sue ambientazioni e sui suoi personaggi. Il canone dunque definisce l’insieme del materiale-fonte, riconosciuto come autentico e conosciuto, interpretato e valutato allo stesso modo da tutta la comunità. Un comune patrimonio culturale di sfondo, proprio come lo sono stati i racconti mitologici e quelli popolari. Harry Potter e l'Ordine della FeniceIl canone si presenta dunque come un universo di eventi, personaggi, fatti definiti dall’autore e riconosciuti come ufficiali; in quanto tali definiscono il background narrativo condiviso da tutti i componenti del fandom, siano essi scrittori o lettori. Il canone può essere chiuso (statico) o aperto (in evoluzione), a seconda che sia ancora possibile o no per l’autore originale espanderlo o che esistano eventuali opere ancora in fase di compimento, come una fiction televisiva oppure una saga romanzesca a più capitoli. Caso emblematico è la saga di Harry Potter. Nel mondo delle fan fiction su HP si tende a suddividere il canone in sottocanoni legati alle ambientazioni Pre-OOP o Post-OOP (ovvero prima o dopo la pubblicazione dell’Ordine della Fenice); Post-HBP (dopo l’uscita del Principe Mezzosangue) e Post-DH (dopo la pubblicazione dell’ultimo libro, I doni della Morte). In questo modo chiunque sa esattamente su quali informazioni si basa una certa fan fiction senza correre il rischio di violarne il canone. Libro: edizione "The Folio Society" delle opere di J.R.R. TolkienIn ogni caso tutto quello che rientra nel canone è suscettibile di verifica da parte dei membri della comunità fandom. Per questo la sua definizione potrebbe essere oggetto di evoluzioni. Gli autori originali, se in vita, possono sempre intervenire a precisare dettagli, a spiegare antefatti o a definire caratteri ed atteggiamenti, e ognuno di questi «extra» potrebbe diventare un elemento del canone. Film o adattamenti televisivi (che abbiano suscitato l’approvazione del fandom) possono condizionare in modo determinante il canone (e l’ispirazione dell’autore fan) nella misura in cui danno volti, suoni e forme a quello che il testo lasciava non detto.

Nei limiti

Schema di approccio alla fan fictionI notevoli sforzi compiuti dai membri di una comunità per garantire la condivisione del canone a tutti i suoi membri provano quanto sia importante la sua conoscenza. Internet ha enormemente esteso questa possibilità. La funzione regolativa del canone nelle comunità di fan richiama dunque la nozione di enciclopedia nell’accezione semiotica di Eco: repertorio condiviso di conoscenze comuni che consentono al lettore di interpretare un testo ricostruendo i significati impliciti attraverso la semiosi. Scrivere nei limiti di un universo finzionale predeterminato può costituire un limite, ma è al tempo stesso una opportunità creativa. Un limite nella misura in cui chi non ne possiede gli strumenti si chiude alla relazione e allo scambio con gli altri testi su di esso costruiti. Studiosi: Henry JenkinsMa è anche un’opportunità perché grazie al canone l’autore fan può allestire un continuo gioco di allusioni e di riferimenti, anche ironici, al materiale canonico che dovrebbero consentire al lettore di aprire dei confronti, di vedere e guardare con la stessa innovativa luce con cui l’autore sta illuminando la propria fonte. Il lettore può a sua volta liberare la propria creatività, ricostruendo il mondo finzionale dove sta viaggiando grazie all’enciclopedia finzionale del canone con cui egli si è orientato. L’allusione dell’autore a quanto il lettore conosce, attraverso la condivisione del canone, ma che invece i personaggi non possiedono nella loro enciclopedia finzionale, è uno strumento narrativo usato per produrre effetti ironici o emotivi. Ad esempio, nel Signore degli Anelli la morte apparente dello stregone Gandalf, getta lo sconforto sulla compagnia di eroi. Il lettore che conosce il mondo finzionale di Tolkien sa che Gandalf è invece solo temporaneamente scomparso, impegnato in un terribile scontro con il Balrog, da cui ritornerà vincente e rinforzato, pronto a dare un apporto determinante per la vittoria finale. John Howe: "Balrog falling"Tutte le fiction derivate il cui intreccio inizia in un momento precedente al ritorno dello stregone, accentueranno questo elemento emozionale e giocheranno sulle conseguenze del contrasto tra ciò che il lettore già conosce e quello che invece i personaggi non possono ancora sapere. Il ricorso alle conoscenze condivise è un meccanismo che gli scrittori hanno sempre utilizzato e che appartiene in modo ancora più esteso al linguaggio cinematografico e televisivo. Si pensi a quanto questo espediente è usato nello Hobbit di Peter Jackson con il ricorso alla falena, alle musiche, ad alcune frasi e azioni che richiamano continuamente alla prima trilogia del Signore degli Anelli. Nelle fan fiction vi si ricorre in maniera sistematica, anche perché il pubblico cui esse possono rivolgersi è di gran lunga più ristretta e più facilmente controllabile.

Le sfide: what if, crossover, missing scenes

The Beatles: Signore degli AnelliIl canone rappresenta la forza della restrizione, ma deve convivere con le tendenze che favoriscono l’espansione dei mondi finzionali canonici. Tale tendenza è particolarmente evidente nelle fiction basate su universi alternativi sono storie che hanno come centro focale la contraddizione del canone (e sono diffusi anche in fumetti, libri, cartoni animati e videogiochi). Del resto, «far finta che» o «fare come se» sono le motivazioni più immediate della scrittura dei fan. Esplorare le reazioni dei personaggi alla luce di un evento differente rispetto alla catena di eventi originale (le cosiddette «what if»), incrociare due o più canoni facendo in modo che i personaggi dell’uno si ritrovino proiettati a interagire nell’universo dell’altro (come accade nei «crossover»). Secondo l’analisi di Henry Jenkins, fan fiction di questo tipo potrebbero rispondere a una volontà di protesta verso gli sviluppi che autori e produttori hanno imposto ai testi originali. Crossover: "Sherlock Holmes contro dracula"Un esempio concreto, quindi dell’attivismo dei fan cui Jenkins è particolarmente affezionato. Nella maggior parte dei casi, le finalità con cui vengono costruiti tali «universi devianti» sono umoristiche o parodistiche. Ma in alcuni casi questo procedimento si traduce in uno strumento capace di liberare un personaggio dal controllo del suo autore. La contaminazione dei personaggi e delle ambientazioni si può dunque leggere come una conseguenza diretta della volontà di creare nuovi territori. Molto comuni sono anche le procedure classiche dei «prequel», dei «sequel» o delle «missing scenes», scene che nello sviluppo narrativo del romanzo (o di un film) avrebbero dovuto accadere o sono di fatto accadute, ma che non hanno ricevuto una scena esplicita. Per Jane Austen, ad esempio, le missing scenes sono molto comuni poiché riguardano le situazioni fortemente emotive che l’autrice preferisce solo accennare o lasciare al resoconto indiretto. In Orgoglio e Pregiudizio, l’unica proposta di matrimonio a cui i lettori assistono «in diretta», Libri: "Il diario segrto di Jane Austen"sentendo le voci di entrambi i protagonisti, è quella di Mister Collins a Elizabeth. In generale, queste ellissi nelle opere originali aprono una sorta di sospensione narrativa, di parentesi che induce il processo di riscrittura e che, nel caso degli scrittori fan più rispettosi del canone, rappresenta una immediata fonte d’ispirazione. Per restare a Jane Austen, è ovvio che il riempimento di queste lacune con fan fiction piene di scene romantiche aggiunga ben poco al testo originale (come peraltro la stessa scrittrice aveva intuito). Tuttavia il meccanismo è comunque in grado di portare a soluzioni creative, soprattutto se la scelta ricade su personaggi secondari.
Vediamo ora cosa accade se l’ispirazione è Tolkien.

LA FAN FICTION:
– Introduzione: Fan fiction, l’arte di seguire Tolkien
– Parte 1: Fan fiction, il canone e le sue sfide
– Parte 2: Se l’ispirazione è Tolkien

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L’Ultimo portatore dell’Anello: il contrattacco di Mordor
L’Ultimo portatore dell’Anello: parla l’autore

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– Vai al sito di tolkienfanfiction.com
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Fan fiction, l’arte di seguire Tolkien

«Al di sopra del Marese, della Valle dell’Acqua, dei Monti Brumosi, del Bosco d’Oro,
della Montagna Solitaria, delle nubi, dei mari, al di là del Fuoco Dorato, della Rete di Stelle
e dei confini delle Cerchie del mondo…».

Anke Eissman: "Lotr 6"Prima o poi doveva succedere. Nell’indagine dello smisurato e infinito universo degli appassionati di J.R.R. Tolkien era inevitabile non giungere a uno degli omaggi più diffusi che i milioni di lettori dello scrittore gli hanno fatto in questi anni. Del resto è quasi il più naturale, visto che si parte da un romanzo… Fan fiction o fanfiction (abbreviato comunemente in fanfic, FF o fic) è il termine utilizzato per indicare tutte quelle opere scritte dagli appassionati, prendendo come spunto le storie o i personaggi di un lavoro originale. Le «Tolkien-inspired fiction» sono un tributo eloquente e meritano più rispetto. In un periodo in cui nella narrativa e al cinema va molto di moda re-interpretare le storie di un altro autore (dai fumetti ai supereroi, dalle fiabe ai romanzi ottocenteschi), queste riscritture possono essere sublimi o ridicole, ma nell’immenso mucchio ci sono anche gemme rare. È veramente difficile rendere giustizia non tanto all’universo immaginato da Tolkien, quanto al suo stile e all’atmosfera. È qualcosa che può essere ricreato solo da chi, come il professore, sia talmente permeato dal linguaggio originale delle vere saghe nordiche da «pensare» in quei termini, e allo stesso tempo sia cresciuto abituando l’orecchio tanto alla forbitezza vittoriana e oxoniense, quanto alla solennità aulica. Eppure qualche eccezione c’è. Bisogna solo avere la forza di setacciare il poco grano dalla miriade di crusca presente: in parole povere, niente tematiche «slash» o le love story interspecie tra nani ed elfe! Prima di inoltrarci in questo viaggio in terre così sconosciute è meglio, però, capire bene questo genere così particolare.

Un genere bistrattato

Pietro amanuenseL’Enciclopedia Britannica alla voce fan fiction riporta l’origine di questa produzione alla partecipazione degli spettatori alle produzioni televisive e cinematografiche, basate sul gioco del «What if»: che cosa sarebbe successo se in Star Trek il capitano Kirk non avesse mai incontrato Spock? Alcuni attribuiscono la nascita della prima fan fiction a un periodo precedente, con le opere ispirate a Jane Austen, identificando gran parte dei sequel novecenteschi di Pride and Prejudice, altri addirittura all’epoca medievale, con una storia ispirata a The Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer. All’inizio del Novecento si sono diffusi numerosi «racconti apocrifi» su Sherlock Holmes scritti da ammiratori del personaggio, tendenza che è aumentata notevolmente dalla fine del 2000 quando i diritti d’autore sono scaduti. Il fenomeno le fan fiction si è, però, diffuso enormemente in Giappone dove si sono ispirate ai fumetti manga e alle cosiddette anime, i prodotti di animazione per la tv. A partire dagli anni Novanta, con la diffusione di internet, la fan fiction ha assunto il suo aspetto globale attuale.

Racconti tolkieniani

J.R.R. Tolkien leggeFu lo stesso Tolkien a auspicare l’avvento dei “poeti ciclici”. Nel 1951 scriveva a un suo possibile editore: «I cicli dovrebbero essere collegati a un maestoso insieme, e purtuttavia lasciare spazio per altre menti e altre mani». Lo scrittore, però, se da un lato aveva vagheggiato questa idea, doveva poi confrontarsi con la realtà. In almeno due occasioni, lo scrittore ricevette da lettori appassionati la richiesta di autorizzare la pubblicazione di sequel del Signore degli Anelli e in entrambi i casi rifiutò un po’ indignato (lettera 292). Per essere onesti, Tolkien viveva in un’epoca in cui la fanfiction moderna in realtà ancora non esisteva e gli aspiranti scrittori aveva no tutti un interesse commerciale. Lo stesso spirito anima la Tolkien Estate, che ha risposto alle numerose richieste di scrivere fan fiction: «Siete ovviamente liberi di fare quello che volete per il vostro divertimento privato – si legge nelle Faq nel sito ufficiale -, David McDaniel, alias "Ted Johnstone"ma non c’è alcuna possibilità di un eventuale sfruttamento commerciale di questa forma di fan-fiction». Escluso dal campo, naturalmente, lo scopo commerciale, rimangono le opere scritte per diletto. Secondo Sumner Gary Hunnewell, la fan fiction più antica ispirata a un’opera tolkieniana è stata la poesia The Passing of the Elven-kind di Ted Johnstone, pubblicata nel numero 5 della fanzine All Mimsy, nel novembre 1959. Il sito fanfiction.net, uno dei più frequentati dai fan, ospita ogni mese un milione e duecentomila utenti che pubblicano o leggono storie basate su personaggi e trame preesistenti. Tra le fiction tratte da opere letterarie, si trovano anche quelle dedicate a Tolkien. I numeri sono impressionanti: dal Signore degli Anelli sono tratte oltre 52mila fanfiction, dallo Hobbit settemila e dal Silmarillion quattromila. Certo, non è un caso isolato, visto che ben 685mila sono le fafiction tratte da Harry Potter, 216mila da Twilight, 40mila da Hunger Games, cinquemila da George R.R. Martin e persino quattromila dalla Bibbia. In ogni caso, sono un bel po’ di storie per un solo sito web. Se si cerca in rete, si può vedere che ce ne sono altri dedicati solo allo scrittore inglese: tolkienfanfiction.com è frequentato da quasi mezzo milione di lettori entuasiasti. E ci sono almeno un altra dozzina di simili siti web: Lord of the Rings Fanfiction, Henneth Annûn Story Archive, Stories of Arda, Scrivere fanfictionTolkien Fan Fiction, The Barrow-Downs: Middle-earth Fan Fiction e, per i racconti in italiano, efpfanfic.net e fanworld.it. Nei prossimi mesi passeremo in rassegna alcune delle opere più significative di fanfiction. Però, forse, è meglio partire dalla teoria. La riflessione critica sulla fan fiction è infatti, ormai piuttosto nutrita, soprattutto nella produzione accademica e amatoriale degli Stati Uniti. È bene, quindi, partire da qui, dalla teoria:
Fan fiction, il canone e le sue sfide
Se l’ispirazione è Tolkien

LA FAN FICTION:
– Introduzione: Fan fiction, l’arte di seguire Tolkien
– Parte 1: Fan fiction, il canone e le sue sfide
– Parte 2: Se l’ispirazione è Tolkien

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Se l’ispirazione è Tolkien
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Tolkien odiava insegnare? Ecco perché è falso

Asta presso BonhamsCapita sempre così. L’ultima novità viene sparata come fosse una scoperta epocale, che cambierà la nostra percezione su un’opera o un autore. Anche per J.R.R. Tolkien è così. Dopo le registrazioni audio che dovrebbero svelare addirittura il «vero significato» del Signore degli Anelli, ora spunta una lettera inedita. La novità? In essa, lo scrittore inglese rivelerebbe che per lui insegnare era «faticoso e deprimente». A Tolkien non piaceva insegnare, quindi? Tutti gli articoli usciti sulla lettera inedita sembrano indicare questa novità. Cerchiamo di sfatare un po’ questi sensazionalismi tipici di certa stampa scandalistica, che mirano più che altro a far vendere a un prezzo più alto la lettera. Sì, perché, guarda caso, la lettera non solo è stata scoperta, ma tra qualche giorno andrà all’asta al migliore offerente.

La storia della lettera

Lettera di Tolkien a MountfieldIniziamo allora a leggere la notizia per quello che è: il 19 giugno una lettera inedita di Tolkien sarà venduta dalla casa d’aste Bonhams a Londra. La lettera costituirà il Lotto numero 277 dell’asta di quel giorno e gli organizzatori sperano di ricavare tra i 1.500 e le 2.000 sterline (1.900 – 2.500 euro). Un prezzo un po’ basso per una lettera autografa. «Sono arrivate sul mercato un sacco di lettere di Tolkien», si è giustificato Simon Roberts, responsabile delle valutazioni per libri e manoscritti di Bonhams. «La cosa bella di quest’ultima è la storia che c’è dietro. “Faticoso e deprimente” è, ovviamente, un’opinione condivisa da molte persone che fanno gli insegnanti». Ci permettiamo di correggere il tiro di queste affermazioni, perché il signor Roberts è un mercante e, giustamente, fa il suo lavoro. È vero che molte lettere firmate da Tolkien sono giunte negli ultimi mesi sul mercato (si può leggere qui e qui), ma il vero motivo perché la lettera ha una quotazione così bassa è che è stata scritta a macchina, dattiloscritta, anche se poi l’autore di suo pugno ha aggiunto una nota. Le lettere manoscritte, si sa, valgono di più nel mercato del collezionismo. È normale, quindi, concentrare l’attenzione sul contenuto, dichiarando che «Tolkien pensava che insegnare fosse faticoso e deprimente». Ma prima di affrontare quest’aspetto, possiamo dire che una parte di verità nella frase di Roberts c’è, ed è quella che riguarda «la storia che c’è dietro» la lettera rinvenuta. La lettera è stato rinvenuta da un’insegnante di inglese in pensione, Anne Mountfield, dopo che era rimasta nascosta in casa sua all’interno di un libro per quasi mezzo secolo. Nel 1963, fresca di laurea, la donna aveva iniziato a insegnare alla Eltham Green School, nella periferia sud di Londra. Cercando di coinvolgere la sua classe di inquieti tredicenni, la giovane insegnante lesse loro il romanzo di Tolkien, Lo Hobbit. Gli alunni adorarono il libro al punto che la maestra propose loro di scrivere lettere all’autore per spiegare i motivi di un giudizio così positivo. Dopo aver letto le lettere, la maestra scelse la migliore e la spedì a Tolkien, con una lettera d’accompagnamento in cui lei lo ringraziava perché il suo romanzo era riuscito a far tacere la classe. «Lo Hobbit sembra andar molto bene a scuola», rispose affettuosamente lo scrittore con la lettera datata il 17 gennaio 1964: «Ho ricevuto diverse lettere che mi hanno descritto le attività di classe derivanti dall’interesse suscitato dal libro. Anne MountfieldMa non tutte sono scritte così bene come questa…». A quel punto, Tolkien aveva aggiunto di suo pugno una postilla per l’insegnante, in cui compare la frase sopra descritta. «I ragazzi furono molto colpiti», ha raccontato la signora Mountfield: «La lettera di Tolkien fece loro capire che gli scrittori sono persone, che esistono realmente e che possono rispondere ai lettori». L’insegnante aveva dimenticato tutto l’episodio e la lettera di Tolkien era finita nella sua copia del libro Albero e Foglia. Poi, lo scorso anno, ha ricevuto lei stessa una lettera da un ex allievo che le descriveva l’influenza che lo scrittore aveva avuto su di lui. Da lì, la scoperta della lettera. «Mi piace attribuire la coincidenza a un piccolo tocco di magia di Gandalf», ha detto Mountfield. «Quanto ha ragione Tolkien nel dire che gli insegnanti hanno raramente un riscontro sul fatto se hanno avuto qualche effetto sugli studenti. Ed è bellissimo quando, a 50 anni dall’evento, questo succede».

Tolkien insegnante

Michael Hilary Reuel TolkienCome molti sanno, Tolkien insegnò per molti anni alle università di Leeds e Oxford, tenendo la cattedra di Anglosassone e di Lingua e letteratura inglese. Quindi insegnare agli studenti era una parte della sua professione. Ne conosceva pregi e difetti e, durante la sua carriera, avrà avuto sicuramente momenti di sconforto. Però, non sembra corretto usare la lettera appena rinvenuta per dire, come hanno fatto in questi giorni molte testate giornalistiche, che «Tolkien pensava che insegnare fosse faticoso e deprimente». Per smentire questa illazione è sufficiente leggere… le lettere, cioè quelle pubblicate in Italia nel volume La Realtà in trasparenza. Ma si può fare ancora meglio, si possono leggere poche lettere del periodo in cui fu scritta la lettera ad Anne Mountfield. Si potrà scoprire così che, in quei mesi, l’insegnamento era una dei temi su cui stava riflettendo di più. Lo scrittore, che era andato in pensione da quattro anni, seguiva infatti con apprensione le vicende del figlio Michael e del nipote Michael George. Il primo, secondogenito nato nel 1920, era divenuto guarda caso insegnante di scuola e nel 1963-1964 lavorava all’Ampleforth College nel North Yorkshire. Il figlio di quest’ultimo, Michael George, aveva iniziato l’università e si era trasferito da poco in Scozia. «Mi dispiace molto che tu ti senta depresso», scrive Tolkien al figlio Michael in una lettera del primo novembre 1963 (n. 250), «Spero che sia in parte do­vuto alla tua indisposizione. Ma temo che sia soprattutto dovuto al lavoro». Ecco il punto: Michael aveva difficoltà nell’insegnamento e si sentiva depresso. Da qui la riflessione del padre su cosa significa insegnare: «Mi ricordo an­cora bene quando avevo la tua età (nel 1935). Ero tornato dieci anni prima a Oxford (ancora pieno di illusioni da ragazzo) e ora disprezza­vo gli studenti e il loro modo di comportarsi, e avevo cominciato a ca­pire davvero i professori. Anni prima avevo respinto le parole ammo­nitrici del vecchio Joseph Wright perché mi sembravano frutto del disgustante cinismo di un vecchio grossolano. “Che cosa credi che sia Oxford, ragazzo?”. “Una università, un luogo di apprendimento”. “No, ragazzo, è una fabbrica! E a che cosa serve? Te lo dico io. A far soldi. Mettitelo bene in testa e allora comincerai a capire come girano le cose”. Ahimè! Nel 1935 avevo capito che era perfettamente vero. In ogni caso per quanto riguardava il comportamento dei professori. Ve­ro, ma non del tutto vero. Ho incontrato l’ostruzioni­smo e sono stato ostacolato nei miei sforzi (ero professore di livello B con un salario ridotto, anche se svolgevo compiti da livello A) per il bene dei miei allievi e per la riforma dell’insegnamento, dagli interes­si nascosti degli stipendi e dai membri interni del College. Ma alme­no non ho sofferto quello che stai soffrendo tu: Michael George Tolkien e J.R.R. Tolkiennon sono mai stato obbligato a insegnare niente che non amassi con inestinguibile entu­siasmo. (Tranne che per un breve periodo dopo il cambio di cattedra nel 1945: è stato terribile). La fedeltà all’insegnamento, in quanto tale e senza riferimento alla propria reputazione, è una vocazione elevata». Tolkien quindi amava insegnare nonostante tutte le difficoltà incontrate ed ebbe la fortuna di farlo con materie che «amava con inestinguibile entu­siasmo». Ma lo scrittore aggiunge: «Quanto a me, mi sembra di diventare meno cinico invece che più cinico – ricordando i miei peccati e le mie fol­lie». E qui la mente corre ai suoi ricordi di quando era uno studente. Padre e figlio continuarono la fitta corrispondenza, incentrata sui problemi lavorativi del figlio anche durante tutto il mese di dicembre, come conferma l’epistolario. Evidentemente, i problemi di Michael non si risolsero e dovette continuare a insegnare una materia che non amava. Per questo a partire dal 1965 cambiò scuola, trasferendosi nella campagna del Lancashire, dove insegnò al Stonyhurst College, che da allora divenne meta frequente dei viaggi del padre.

Tolkien studente

King Edward's School a BirminghamSe l’autore del Signore degli Anelli fu insegnante per molti anni, in precedenza era stato studente. E come aveva detto al figlio, lo scrittore ricordava quei giorni di alunno distratto. Il 9 gennaio 1964, Denis Tyndall, un vecchio compagno di Tolkien nella scuola King Edwards, a Birmingham, gli aveva scritto ricordando i tempi passati insieme a scuola. «Mi comportavo molto male – rispose Tolkien (lettera n. 254) -, insieme a quel Christopher Wiseman che sarebbe diventato in seguito un modello di rettitudine e di serietà professorale», cioè divenne preside del Queen’s College, a Taunton. Lo scrittore ricorda anche alcuni suoi professori, tra cui R.W. «Dickie» Reynolds: «Non era un insegnante che ispirasse entusiasmo e rendeva la storia greca e romana tanto noiose quanto sospetto che lui stesso le trovasse; ma era molto interessante come persona». E conclude così: «Ho compiuto 72 anni il 3 gennaio e il mio nipote più grande (che ora è all’università di St An­drews) sabato prossimo diventerà maggiorenne». Si tratta guarda caso proprio di Michael George, figlio di Michael, le cui difficoltà con l’anglosassone erano stati uno degli argomenti della lettera n. 250 tra padre e figlio insegnante di scuola. Mettendo insieme tutti questi elementi la lettera inedita appena ritrovata, scritta qualche giorno dopo quella a Tyndall, assume tutto un’altra luce. È evidentemente che Tolkien seguisse con apprensione le difficoltà del figlio, insegnante a volte depresso costretto a insegnare materie non sue, e del nipote, studente alle prime difficoltà con le lezioni universitarie e con l’anglosassone. È evidente che scrivendo alla maestra londinese, Tolkien avesse in mente la propria esperienza, ma anche la situazione che i suoi parenti stavano vivendo in quei mesi. «Tutto l’insegnamento è faticoso e deprimente e si è raramente confortati dal sapere quando si ha avuto un certo effetto». Tutto l’insegnamento scrive Tolkien, cioè a tutti i livelli, dalle elementari all’università, non si può mai sapere quando si è efficaci con gli allievi. E guarda caso, Tolkien fa riferimento anche qui ai giorni in cui lui stesso era stato studente, come aveva scritto qualche giorno prima a Tyndall: Tolkien e i prefetti del King Edwards (credito: foto di John Garth)«Vorrei poter dirlo ora ad alcuni dei miei [insegnanti], di tempo fa, come loro e le cose che mi hanno detto, anche se ero (solo, come appariva) uno che guardava fuori dalla finestra o ridacchiava col compagno di banco». Lui e Wiseman (il suo compagno di banco, appunto, che nella foto è quello evidenziato a destra) ai tempi di scuola erano stati studenti distratti, ma poi hanno fatto tesoro delle lezioni dei professori. Questo intendeva Tolkien nella postilla ad Anne Mountfield. Ancora qualche dubbio? Leggiamo allora la lettera scritta all’altro figlio, Christopher (lettera n. 314): «Io sono completamente dalla parte delle “zucche”! Una volta ho avuto una notevole esperienza con quelli che sono/erano probabilmente gli studenti più noiosi e “duri” di tutta l’Inghilterra […] Un numero sorprendentemente elevato si dimostrò “educabi­le” […] Insegnare è un impegno molto faticoso. Ma io preferisco spendere le mie energie per queste “zucche dure”, ricavandone un terreno da cui possa na­scere un’altra generazione un po’ più intelligente». Quindi, insegnare è faticoso, ma non ci sono dubbi che Tolkien amava farlo.

ARTICOLI PRECEDENTI:
I timori di J.R.R. Tolkien in una lettera inedita
Spunta una lettera inedita di J.R.R. Tolkien
Spunta un’audio inedito: Tolkien tra gli hobbit

LINK ESTERNI
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Pubblicato il Beowulf tradotto da Tolkien

Bodleian LibraryA quarant’anni dalla sua morte, J.R.R. Tolkien continua a pubblicare. Dopo quasi novant’anni dalla stesura, uno dei manoscritti più favoleggiati dello scrittore inglese vedrà finalmente la luce. Non si tratta di un seguito del Signore degli Anelli o di un’opera sulla Terra di Mezzo, ma i legami ci sono comunque. Il 22 maggio sarà in libreria nei Paesi anglosassoni la traduzione e il commento del Beowulf fatta da Tolkien. Il volume è curato dal figlio dello scrittore, Christopher Tolkien, conterrà anche un racconto inedito con uno stile e delle tematiche legate al poema anglosassone. HarperCollins cura l’edizione in Gran Bretagna, con due edizioni regolari e una deluxe, mentre Houghton Mifflin Harcourt pubblica negli Stati Uniti solo l’edizione cartonata (tutte le edizioni qui). L’uscita del volume conferma la linea inaugurata dal 2009 con «La leggenda di Sigurd e Gudrùn» e confermata dalla «Caduta di Artù»: far conoscere le trasposizioni dei poemi medievali cui Tolkien lavorò negli anni Venti e Trenta, prima di scrivere «Lo Hobbit». l’edizione unisce la narrazione in prosa con note e commenti extra, oltre alla traduzione parziale in versi (circa 600 versi del Lay del Beowulf). Ad esso si aggiunge il componimento Sellic spell, la dimostrazione della creatività dello scrittore: è una «meravigliosa favola» scritta come fosse tratta dal folclore dell’ Inglese antico per forma e stile, in cui non vi è alcuna associazione con le «leggende storiche dei regni del Nord», cioè quei temi che invece sono il contenuto del Beowulf.

Tolkien e il Beowulf

Saggi: Beowulf del 1937Il Beowulf fu, per ammissione dello stesso Tolkien, una delle fonti d’ispirazione più importanti per la sua opera. Quando ancora insegnava letteratura a Leeds, lo scrittore aveva iniziato (e non completato) una traduzione in versi allitterativi di Beowulf in inglese moderno, e aveva anche lavorato su una traduzione in prosa. Completò quest’ultima dopo aver accettato la cattedra di anglosassone a Oxford, entro la fine del 1926, anche se probabilmente non lo soddisfaceva del tutto.
Tolkien era infatti scettico su una trasposizione del poema in inglese moderno e lo scrisse: in un saggio del 1940, «Tradurre Beowulf», sosteneva che «trasformare i versi del Beowulf in una prosa piana potrebbe essere un abuso». Alcune righe dalla traduzione in versi erano però apparsi quello stesso anno nella sua prefazione all’edizione del poema anglosassone di Clark Hall. Altri estratti apparvero postumi in diverse pubblicazioni, il più lungo dei quali nella «History of the Middle-earth» (in «The Lost Road and Other Writings») curata dal figlio nel 1987. Una parte della traduzione in prosa apparve invece in «JRR Tolkien: Artist and Illustrator», curato da Wayne G. Hammond e Christina Scull nel 1995. Infine, un estratto di versi del Beowulf, resi però da Tolkien in caratteri valmarici (da lui usati dal 1922 al 1925 per le prime fasi del Quenya) furono pubblicati nel 2003 nel numero 14 della rivista Parma Eldalamberon (in “Early Qenya and The Valmaric Script”, pp. 90, 120, 122). Si può ben capire come entrambe le traduzioni siano quindi in cima alla lista di desiderata tra gli appassionati, ma le oltre duemila pagine manoscritte della traduzione sono finora rimaste sempre chiuse in un armadio della Bodleian Library di Oxford e a nulla sono valsi i precedenti tentativi da parte di vari studiosi di poter arrivare alla pubblicazione. Studiosi: Michael DroutL’unica eccezione è stata quando nel 1996 Michael Drout, professore di inglese al Wheaton College (nel Massachusetts, Usa), iniziò a studiare tutto materiale che Tolkien aveva dedicato al Beowulf. Lo studioso pubblicò nel 2002 – e non «scoprì la traduzione» come riportato erroneamente da qualche quotidiano italiano – il volume «J.R.R. Tolkien, Beowulf and the Critics», una conferenza che Tolkien aveva già pubblicato in forma ridotta nel 1936 (tutti i dettagli sulla vicenda si possono leggere qui). Proprio questo saggio aprì una nuova era della fortuna del poema, rivoluzionando l’approccio all’opera anglosassone, un’influenza avvertita ancora oggi. Nel saggio, infatti, lo scrittore criticava l’eccessivo interesse dei suoi contemporanei in un’analisi del poema come se fosse una fonte di sole informazioni storiche. Tolkien trovava che il valore letterario del poema era stato ampiamente trascurato e sosteneva che «è in realtà così interessante come poesia, con versi così potenti da mettere in ombra tutto il contenuto storico…». Al tempo stesso, il professore confuta l’idea che si tratti di una «una mera storia su un tesoro», «solo un altro racconto su un drago».

Una «nuova» traduzione?

Libro: Beowulf di TolkienIl ruolo di Tolkien fu, quindi, di aver aperto gli occhi alla critica dell’epoca. Dal 1936 in poi, gli studiosi hanno seguito quei consigli e hanno indagato il poema come opera di letteratura. Per questo motivo, il poema anglosassone ancora oggi è in tutti i programmi d’inglese delle università del pianeta. Visti tutti gli scritti di Tolkien editi sul Beowulf, allora, che senso ha pubblicare anche la traduzione? Christopher ne dà una spiegazione nell’introduzione al volume. Oggi però ci sono oltre 20 traduzioni del poema epico in inglese moderno, sia in in prosa sia in versi. Nel 1999 la traduzione in versi fatta dal poeta irlandese Seamus Heaney, Nobel per la letteratura, è stata assunta istantaneamente nel canone degli studi sull’opera. La traduzione di Tolkien è stata definita «bizzarra» da alcuni critici, «un tentativo di raggiungere l’impossibile» perché cerca di ricreare il ritmo del verso anglosassone, una lingua flessiva, in inglese moderno, che non lo è. Eppure, i suoi versi in alcuni casi colgono nel centro, restituendo le allitterazioni tipiche dell’originale per ricreare il metro di lingua antica. Peccato, però, che i versi siano incompleti e che lo scrittore non fosse entusiasta della traduzione in prosa. Leggendo quei pochi versi, si può cogliere comunque lo spirito anglosassone che Tolkien cercava nei versi antichi. Se lo avesse completato, il poema avrebbe potuto rivaleggiare con le versioni attuali, pur con un lessico degli anni Venti. Tolkien aveva tradotto il poema, soprattutto a fini didattici, per poterlo usare nelle lezioni all’Università. «Tutti abbiamo una traduzione di lavoro del Beowulf», afferma Jane Toswell che insegna letteratura inglese alla Western University di Londra. «Tutti gli studiosi di anglosassone possono mostrare la loro una traduzione di lavoro – io ne ho due o tre. Ogni dieci anni, mi siedo e traduco il Beowulf, perché è necessario per permettere alla mente di rientrarci. Questo è quel che facciamo di solito. Probabilmente quella di Tolkien è proprio una traduzione di lavoro, che poi utilizzava per l’insegnamento, le conferenze, per riflettere sul poema e pensarci su». «La maggior parte delle intuizioni di Tolkien sulla poema sono già state pubblicate nei precedenti lavori», ha aggiunto, «Inoltre, la sua traduzione è incompleta e utilizza un linguaggio degli anni ’30 e ’40». Christopher TolkienNonostante, l’opinione di Toswell, gli studiosi hanno opinioni contrastanti. Sicuramente, gli studiosi di Tolkien potranno avere qualche informazione in più sulle idee che il professore aveva sull’opera: qualsiasi traduttore deve per forza fare delle scelte di traduzione quando ci sono questioni interpretative o testuali in un testo. La traduzione fatta da Tolkien dirà molto su come interpretava questi problemi, con riflessioni incluse nei suoi appunti. «È come se mio padre – commenta Christopher – fosse entrato nel passato immaginato dal poema: in piedi accanto a Beowulf e ai suoi uomini mentre si scuotono nelle cotte di maglia per asciugarsi non appena sbarcati dalla nave sulle coste della Danimarca o alzando lo sguardo con stupore mentre la mano terribile del mostro Grendel entra dal tetto della corte reale». Tolkien guarda da vicino il drago che avrebbe ucciso Beowulf, mentre «sbava di rabbia ed è colmo d’odio alla scoperta del furto della coppa». «Questo costituisce un risultato notevole», ci spiega il professor Drout e il poeta britannico ed esperto anglosassone Kevin Crossley-Holland – anche lui autore della più famosa trasposizione per ragazzi del poema – descrive così il tono della traduzione di Tolkien: «Riesce a catturare il suono delle grandi onde che si infrangono su una spiaggia di ciottoli e a mostrare le linee che scompaiono appena l’acqua si ritira».

Un confronto impari

Beowulf manoscrittoLa traduzione di Heaney è scritta in un tono molto più colloquiale ed è lodata perché rende la storia di Beowulf come probabilmente fu ascoltata inizialmente, cioè come un racconto popolare cantato nella lingua del popolo. Eppure, neanche questa è esente dall’influenza di Tolkien, per stessa ammissione del poeta irlandese: il potere onirico del drago, descritto vividamente nei suoi versi, è debitore del saggio di Tolkien del 1936. Chissà come Heaney avrebbe accolto oggi, se fosse ancora vivo, questa traduzione: ne avrebbe trovato probabilmente spunti di riflessione. Resta da vedere se convincerà la nuova generazione di studiosi di anglosassone, anche se è certo che potrà ispirare una nuova generazione di studenti a leggere il poema. Qui di seguito, un estratto dalle due versioni in poesia del Beowulf, anche se la traduzione in versi di Tolkien, lo ricordiamo, è di soli 600 versi.

Traduzione di Seamus Heaney:
Time went by, the boat was on water,
in close under the cliffs.
Men climbed eagerly up the gangplank,
sand churned in surf, warriors loaded
a cargo of weapons, shining war-gear
in the vessel’s hold, then heaved out,
away with a will in their wood-wreathed ship.
 

Traduzione di J.R.R. Tolkien:
On went the hours: on ocean afloat
under cliff was their craft.
Now climb blithely brave man aboard;
breakers pounding ground the shingle.
Gleaming harness they hove to the bosom of the
bark, armor with cunning forged then cast
her forth to voyage triumphant,
valiant-timbered fleet foam twisted.
– Vai al sito di HarperCollins
– Scarica la prefazione di Christopher Tolkien
– Vai al sito Parma Eldalamberon

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40 anni fa il primo D&D: intervista a Gary Gygax

Gygax_DDUna piccola scatola con tre libretti dalla copertina marroncina. È iniziato tutto da lì. Esattamente alla fine di gennaio di 40 anni fa. Quella scatola fu spedita. E nacque il fenomeno dei giochi di ruolo, che per 25 anni dominarono l’immaginario ludico. L’etichetta riportava il nome «Dungeon and Dragons» e il suo autore si chiamava Gary Gygax. Lo si deve anche a lui se oggi il genere spopola al cinema e nelle librerie. Tutti gli appassionati del genere fantasy, dai lettori di libri ai videogiochi e persino i giochi da tavolo, dovrebbero esser grati a questo autore, che contribuì a diffondere enormemente la conoscenza degli universi fantastici e soprattutto farli divenire adulti e rispettati, cosa avvenuta solo dopo anni di polemiche e diffidenze. Ma come andò tutta la storia? Ce lo facciamo raccontare dallo stesso autore!

La storia in sintesi

Giocatori di ruoloAmbientazione fantasy, scala 1 a 1 (un soldatino = un giocatore), gallerie sotterranee dal tracciato segreto, arbitro. Sono questi gli ingredienti fondamentali per la nascita del nuovo gioco che Gary Gygax pubblica, insieme a Dave Arneson nel 1974. Pare sia stato quest’ultimo a fare il passo decisivo dal fantasy tattico di Gygax al gioco di ruolo propriamente detto con la sua campagna Blackmoor, in cui per la prima volta appaiono i “dungeon”, che saranno l’ossatura del primo decennio dei Gdr. Nasce così Dungeon and Dragons: Rules for Fantastic Medieval Wargames Campaignes Playable with Paper and Pencil and Miniature Figure. Nel sottotitolo sono presenti in bella evidenza tutti gli elementi presi dagli antenati: la carta quadrettata e la matita dal gioco del labirinto, le miniature da quello scritto da H.G. Wells, il wargame “storico” che ne è derivato, gli elementi fantasy che il gioco di simulazione Chainmail vi ha introdotto. Il marchio fondato da Gygax con cui esce D&D è Tactical Studies Rules, un nome che ha un forte sapore di simulazione bellica e che presto diventerà noto con l’abbreviazione TSR. I giochi di ruolo discendono, quindi, da complessi wargame e, proprio per quessto motivo, mettono subito tanta enfasi sull’efficacia delle diverse armi e armature, sull’iniziativa durante il combattimento, su schieramenti e formazioni di marcia. Dovranno passare anni prima che il gioco di ruolo affronti, nei suoi regolamenti, i problemi delle tecniche narrative e della drammatizzazione: all’inizio esso è soprattutto un modo di simulare un mondo plausibile, ancorché fantastico, visto con gli occhi di personaggi individuali e ricostruito con metodi di derivazione wargamistica. Supplementi di D&DIl primo set venne ristampato più volte e supportato da diversi supplementi ufficiali, tra cui Greyhawk e Blackmoor nel 1975 e Eldritch Wizardry, Gods, Demi-gods & Heroes e Swords & Spells nel 1976. Gygax lavorò a un regolamento più complesso, l’Advanced Dungeons & Dragons, che raccoglieva e raggruppava le regole, espansioni e correzioni dell’
Original Dungeons & Dragons che erano ormai sparse in più manuali, rivedendole e unificandole. Il nuovo regolamento fu pubblicato suddiviso in tre volumi a copertina rigida, Monster Manual (1977), Player’s Handbook (1978) e Dungeon Master’s Guide (1979).
Gygax fu presidente della TSR dal 1976 al 1983. In quei primi anni D&D e i giochi di ruolo ebbero una crescita fenomenale negli Stati Uniti e in altri Paesi. Al suo picco la compagnia aveva 300 dipendenti. Le vendite esplosero fin da subito. Non si riuscivano a stampare abbastanza velocemente i diversi prodotti da evadere gli ordini. Nel 1983 le vendite furono di oltre 32 milioni di dollari. Nel 1984, la crescita prevista per l’anno fiscale stimava i profitti da 4,2 milioni di dollari e 8,5 milioni di dollari. Ma la TSR incassò 16,5 milioni di dollari e i profitti ammontarono a 4,25 milioni di dollari. Dopo aver visto questi risultati, i due fratelli Blume assunsero di fatto il controllo completo della società. Dungeons & Dragons ha fornito lo spunto alla nascita di tutto il filone editoriale legato ai giochi di ruolo. D&D Basic set 12esima edizioneÈ il gioco più diffuso con circa 20 milioni di giocatori, traduzioni in molte lingue e oltre 1 miliardo di dollari di vendite di manuali ed accessori fino al 2004. Fino a quell’anno, infatti, i prodotti con marchio D&D hanno costituito oltre il 50% del mercato dei giochi di ruolo venduti. Nel 1985 l’Editrice Giochi pubblica la traduzione italiana (a cura di Giovanni Ingellis) della quarta edizione del Dungeons & Dragons Basic Set di Frank Mentzer: è la storica scatola rossa che sarà il punto di inizio per molti giocatori di ruolo italiani. Seguiranno nel decennio successivo le traduzioni dell’Expert, del Companion e del Master e altre scatole (a eccezione della Immortals), della quinta edizione e di diversi moduli d’avventura e d’ambientazione, per entrambe le edizioni.

L’intervista a Gary Gygax

Gioco di simulazione - WargameIl mercato ludico degli anni ’70 non era molto grande. Avalon Hill e poi SPI (un grande editore prima e poi di giochi in generale) erano gli editori più grandi dell’epoca, con una serie di prodotti principalmente di tipo storico e di giochi di simulazione. Negli Stati Uniti e in Canada, gli appassionati dei giochi di simulazione e delle miniature militari erano tra 100 e 150mila persone, inclusi i giocatori di “Diplomacy”. Gary Gygax, quando hai iniziato a giocare? «Io giocavo fin da ragazzino. Ho iniziato con la dama, le carte e via dicendo. Inoltre, mi piacevano le storie: favole e avventure. A 10 anni iniziai a leggere fantasy e fantascienza, diventando un vero appassionato: non ne avevo mai abbastanza e giravo continuamente e librerie in cerca di nuovi volumi da leggere. Poi, cominciai a giocare con le miniature, con i wargame, a Diplomacy». E il passaggio al fantasy? «Una volta, molti anni dopo, ci trovavamo a giocare nel mio sottoscala con le miniature, in un’ambientazione medievale, ma tutti si annoiavano e così ho messo sul tavolo un drago, un gigante, uno stregone, un eroe e un troll. Tutti dissero: “Oh, un bell’esperimento, io potrei tenere il drago…”. Così, invece di avere una mezza dozzina di ragazzi a giocare durante ogni fine settimana, improvvisamente, ci fu una vera invasione. Era il 1971».
Come ti è venuta l’idea di realizzare Dungeons and Dragons? «In realtà D&D venne ideato e scritto circa un anno prima della sua effettiva pubblicazione, nel caso un’azienda avesse dimostrato interesse a pubblicarlo. Vero la fine del 1972, avevo scritto un manoscritto di 50 pagine che intitolai “The Fantasy Game”. WargameBuona parte del contenuto del gioco era tratta direttamente dal “Fantasy Supplement” che avevo scritto per il gioco di simulazione storica “Chainmail – Rules for Medieval Military Miniatures”. Nella primavera del 1973 eseguii una revisione del materiale portandolo a una lunghezza di 150 pagine – sostanzialmente ciò che verrà pubblicato come D&D nel gennaio del 1974, sotto forma di tre libretti. Questa bozza del gioco venne inviata a trenta persone e la reazione fu così forte da assicurarmi di avere in mano un gioco vincente. Per inciso, a quel punto ritenei che avremmo venduto almeno 50mila copie ai wargamer e agli appassionati di fantasy. Però, sottovalutai il pubblico un tantino…».

Nasce la TSR

Logo TSRAlla fine del 1973, insieme all’amico Don Kaye, Gygax fonda la Tactical Studies Rules, meglio conosciuta come Tsr. «Nell’estate precedente, effettivamente chiamai Avalon Hill chiedendo se avrebbero potuto essere interessati alla pubblicazione del gioco che sarebbe stato poi noto come D&D. Risero all’idea e la rifiutarono. Nel 1975 Tom mi richiamò per chiedere se avrebbero potuto magari pubblicarlo loro. Era il mio turno di ridere». «Nel 1974, Don e io volevamo far uscire D&D il prima possibile». Così, per finanziare la pubblicazione del gioco viene ammesso Brian Blume come un partner alla pari. Quello che verrà più tardi conosciuto come l’Original D&D Set fu stampato a fine gennaio 1974, ma molto probabilmente non fu a disposizione del pubblico fino dall’ottobre del 1974. È vero che tu e i tuoi soci avete assemblato ogni copia, spedendole poi a clienti e grossisti? D&D libretto1«È assolutamente vero. Incollammo le etichette per la copertina e i lati delle scatole, pinzammo le schede di riferimento piazzandole nella scatola e facemmo lo stesso con i tre libretti, chiudemmo la scatola e la mettemmo su uno scaffale. Questo vale per la seconda tiratura delle scatole, di color marrone, 2mila copie stampate nell’ottobre 1974. La terza tiratura di 3.300 scatole venne venduta in scatole prestampate bianche, ma anche in quel caso l’assemblaggio dei contenuti venne compiuto nella cantina della casa dove vivevo. In effetti, scaricai personalmente tutti gli scatoloni di libretti, 9mila in tutto, dal retro del camion al magazzino in cantina. Era un caldo giugno del 1975 che ricordo bene ancora oggi!»Quale fu il responso dei giocatori? Quanto ci volle per esaurire la prima tiratura? «All’inizio, Tactical Studies Rules vendeva direttamente ai privati, spediva a negozi di giochi e vendeva all’ingrosso a tre soli distributori di miniature storiche. La prima vendita fu quella ai singoli giocatori e l a prima tiratura di mille copie si esaurì in sette mesi – dal febbraio al settembre 1974. Ricevemmo la seconda tiratura di D&D
nell’ottobre1974 e cominciammo a spedirle all’inizio di novembre. A maggio le avevamo esaurite e a giugno ricevemmo le 3mila copie di cui abbiamo parlato prima». Ricevevi telefonate dagli appassionati? D&D libretto2«A partire già dalla fine del 1972 ricevetti molte telefonate e molta posta. A differenza di oggi,in quell’epoca lavoravo molto la notte e molte chiamate giunsero dopo mezzanotte. Mi ricordo un giovane ed entusiasta Dungeon Master che mi fece fare un’avventura di due ore al telefono, conclusasi ben dopo le due del mattino, perché potesse mettere alla prova la sua abilità di masterizzazione e le sue idee. Naturalmente, la maggioranza della chiamate riguardava domande sulle regole o sul modo migliore di affrontare certi aspetti della masterizzazione. Con la crescita degli appassionati dovetti alla fine nascondere il mio numero di telefono oppure avrei dovuto passare la maggioranza della giornata a parlare con DM e giocatori». Furono anni frenetici, ma la crescita degli appassionati fu enorme? «Avevamo venduto ben 1000 copie di D&D in sette mesi e sapevamo che la cosa sarebbe cresciuta. Per ogni copia venduta ce n’erano almeno due fotocopiate… soprattutto perché i ragazzi non riuscivano a trovarlo. Quando poi il gioco fu meglio distribuito, gli appassionati che non potevano o volevano spendere la somma principesca di dieci dollari continuarono a fotocopiare i libretti a scuola (in genere scuole superiori e università). Ne eravamo bene al corrente e molti giocatori che avevano speso i loro sudati risparmi per comprare il gioco erano più infuriati di noi stessi. D&D libretto3Avevamo certi ragazzoni che pattugliavano i tavoli delle convention e non appena trovavano gente con le fotocopie, le strappavano! Erano grossi davvero. Davvero. E lo facevano volentieri, dicendo: “Non è giusto. La gente lavora in cantina e non prende un soldo e noi lavoriamo per farli andare avanti…” Nel complesso, tuttavia, il materiale pirata fece più bene che male. I DM che usavano queste fotocopie per le loro avventure crearono molti nuovi appassionati.». Lavoravate in cantina? «Ci vivevamo anche! Dormivamo in cantina perché passavamo laggiù la maggior parte del tempo. Lavoravo sodo». Quanto guadagnavate con i giochi? «All’epoca, ci rimettevamo solo! Dopo aver lasciato il lavoro come impiegatucolo presso un’assicurazione, per avere molto tempo libero, imparai a fare il calzolaio. E guadagnavo abbastanza per sopravvivere con la mia famiglia. Lavoravo circa 4 ore al giorno, così potevo passarne altre 10 a scrivere giochi. Avevo una piccola entrata, grazie ai diritti di autore, intorno ai 2000 dollari l’anno. Presi anche qualcosa per un libro su come riparare le scarpe. Tutto questo, prima che i giochi mi dessero veramente abbastanza per vivere. È durato ben cinque anni della mia vita».

Dungeons and Dragons e J.R.R. Tolkien

Gygax GaryNella prima edizione del gioco di ruolo creato da Gygax la forte ispirazione alla Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien è molto evidente, vista la presenza di Elfi, nani, mezzelfi, orchi e draghi, ma soprattutto di creature inequivocabilmente tolkieniane come
Hobbit, Ent e Balrog. Ma gli avvocati della Tolkien Enterprises (non la Tolkien Estate come si scrive in giro!), che detiene tutt’oggi i diritti di commercializzazione per Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit, minacciarono un’azione legale: fu così che dalla sesta edizione (1977) nacquero rispettivamente Halfling, Treant e Balor. Inoltre molte altre violazioni alla licenza letteraria di Tolkien furono eliminati o cambiati, tra cui i riferimenti ai Nazgul e anche diverse menzioni dello stesso scrittore inglese (un elenco puntuale si può trovare qui). Gygax stesso ha dichiarato di non essere stato molto influenzato dal Signore degli Anelli e di aver incluso gli elementi tolkieniani soltanto per sfruttarne la popolarità delle opere e come ingredienti di una più ampia strategia di marketing. Ti piacciono le opere di Tolkien? «Mi è piaciuto moltissimo Lo Hobbit, l’ho letto una volta da solo, poi circa tre o quattro volte ad alta voce ai miei figli. DD_4edizioneMa da appassionato di romanzi “Swords & Sorcery” (ho letto il primo Conan tutto filato a 10 anni, ero un appassionato di fantascienza pulp e un e collezionista di riviste fantasy dal 1950 in poi), non ero innamorato del Signore degli Anelli come lo erano la maggior parte dei miei contemporanei. Mentre mi piaceva molto Tom Bombadil e tantissimo i Nazgul, trovavo che la storia avesse un ritmo troppo lento». Come ha influenzato il gioco D&D? «Beh, in abbondanza, naturalmente! Quasi tutti i giocatori erano grandi appassionati di Tolkien e così hanno insistito che mettessi molto materiale dai suoi libri Tolkien e il più possibile un’influenza nel gioco. Vi ricorderete che nella versione originale di D&D c’erano Balrog, Ent e Hobbit. Più tardi, sono stati rimossi, e nuove creature hanno sostituito quelle di Tolkien. Ma chi può mettere in dubbio l’eccellenza degli scrittura di Tolkien? Così, nonostante tutto, i suoi libri hanno avuto un forte impatto anche sulla Advanced D&D». Partita di gioco di ruolo in onore di Gary GygaxPur avendo all’inizio un mondo generico, D&D adotta inequivocabilmente alcune delle specie e dei loro comportamenti del mondo di Tolkien. Lo hai basato concretamente su di lui? «No. Come lettore di fiabe e miti dall’infanzia, e più tardi di fantasy e anche di storia, ho usato tutti questi interessi nel creare D&D. Il gioco di ruolo è nato da un amalgama di storia medievale e di miniature dei wargame in auge in quel periodo. Il trattamento iniziale degli allineamenti tra “Legge” e “Caos” è stato ispirato dall’uso che lo scrittore Michael Moorcock fece del bene e del male nella sua saga di “Elric di Melniboné” e da altri libri fantasy scritti prima del 1970. Quando alle regole ho aggiunto anche una ambientazione, l’impostazione del mondo che ho usato, “Greyhawk”, era una sorta di fusione tra storia e fantasy».

(l’intervista è tratta dalla compianta rivista Kaos, dai numeri 1, 13 e 49, pubblicati rispettivamente nell’ottobre degli anni 1991, 1993 e 1997)

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