Il ritorno del Re

Film: locandina del Signore degli Anelli: Il ritorno del ReTorna il re. Ma non è unlibro autonomo, bensì l’ultimo capitolo della saga cinematografica del Signore degli Anelli: come per Le Due Torri, sono semplicemente i titoli che J.R.R. Tolkien, negli anni ’50, diede ai volumi del suo chilometrico romanzo (il primo era La Compagnia dell’Anello). In realtà, lo scrittore inglese non voleva che il terzo tomo si chiamasse Il ritorno del re. Temeva che il titolo svelasse il finale, e avrebbe preferito The War of the Ring, «la guerra dell’Anello», ma l ́editore si impose. E qui siamo al dunque: cosa dovremmo fare noi recensori, giunti al gran finale? Da un lato i milioni di spettatori che hanno letto il libro (e che andranno di corsa a vedersi il film, dal 22 gennaio in poi) sanno benissimo come finisce la lotta fra l’Oscuro Signore Sauron e i Popoli liberi; e come si diceva, un titolo come Il ritorno del re fa capire che Aragorn, il dolente erede dei sovrani di Gondor apparso nel film come ramingo, è destinato a ben altri fasti. Dall’altro lato, però, altri potenziali spettatori ci tirano idealmente la giacca implorando: no, non dirci come va a finire; lo so che Aragorn diventa re, lo so che l’anello viene distrutto, ma non voglio sapere come! Ed è, inutile dirlo, un ottimo argomento.

L’ultimo capitolo

Peter Jackson nello spot della New Zealand AirlinesPer cui, poche righe di trama. Frodo e Sam, assieme alla creatura Gollum che fa loro da guida sperando di riprendersi l’anello che fu suo, sono ai confini di Mordor: passano sotto la città fantasma di Minas Morgul, dalla quale vedono uscire uno sterminato esercito guidato dai cavalieri neri, i Nazgul, ora in sella a destrieri alati; Gollum li guida per un sentiero impervio, la porta di servizio di Mordor. Li attende un tranello: il ragno gigante Shelob, al quale Gollum spera di darli in pasto. Stop. Contemporaneamente, Gandalf si reca a Minas Tirith, la rocciosa capitale del regno di Gondor, per incitarla alla guerra: ma il governatore della città, Denethor, è impazzito dopo la morte del figlio prediletto Boromir (avvenuta alla fine del primo film, ricordate?) e preferisce sacrificare l’altro figlio Faramir in un’impresa insensata, per poi bruciare sulla pira. Minas Tirith è in preda al panico, l’esercito del Male sta per conquistarla, gli incitamenti e le magie di Gandalf non sembrano bastare. Ma si ode un corno sul campo di battaglia: è la cavalleria di Rohan, che giunge in aiuto. E intanto Aragorn, accompagnato dal nano Gimli e dall’elfo Legolas, ha raccolto un altro esercito, fatto di anime morte e maledette, che solo lui, futuro re, può comandare. Gondor è salva, ma per poco. Il nemico può contare su eserciti infiniti. Ma Aragorn e Gandalf decidono di avanzare verso il Cancello Nero, e di sfidarlo. Per distrarre l’«Occhio» di Sauron dal pericolo che avanza nel cuore del suo regno: quei due piccoli hobbit, morti di fatica e di paura, che si inerpicano su Monte Fato, il vulcano dove l’anello è stato forgiato e dove, soltanto, può essere distrutto… Altro stop. Manca ancora un’ora di film, con molti finali, gli stessi di Tolkien (almeno questo diciamolo, Jackson chiude la trilogia con la stessa frase che Sam dice nell’ultima riga del romanzo, e con l’immagine della porta di una casa hobbit. Una porta tonda. Un anello).

Giudizio conclusivo

Personaggi: GollumLa trilogia si è compiuta, è il momento dei consuntivi. Possiamo dire ciò che non abbiamo osato dire due anni, e un anno, fa: Peter Jackson ha compiuto il miracolo. Portare al cinema Il Signore degli Anelli era un’impresa da far tremare i polsi. Lui ha tremato, ha lavorato 7 anni, ha atteso con trepidazione gli incassi dei primi due film (che hanno raggiunto cifre stratosferiche), ha giustamente snobbato gli Oscar (13 candidature e 4 premi «tecnici» per il primo film, 6 e 2 per il secondo: ma è l’Oscar che si scredita insistendo a non premiare Jackson e i suoi, non viceversa), ha vinto. Ha vinto a livello visivo, a livello narrativo, a livello artistico. Ha inventato in Nuova Zelanda una Terra di Mezzo (il mondo immaginario in cui si svolge la saga di Tolkien) di incomparabile forza e bellezza. Ha costruito, con l ́apporto dello scenografo Grant Major e degli effetti speciali della Weta coordinati da Richard Taylor, un universo fantastico e, al tempo stesso, incredibilmente reale. Nel terzo film il capolavoro è la città di Minas Tirith, una Gubbio moltiplicata per mille, elaborata al computer, ma labirintica e vissuta come una città vera.
A livello narrativo, lui e le sceneggiatrici Fran Walsh e Philippa Boyens hanno giocato la scommessa più astuta: sono stati «fedeli» nel primo film, conquistandosi la fiducia dei tolkieniani integralisti, e hanno cominciato a inventare di brutto nel secondo e nel terzo, creando agganci e tagli di montaggio dei quali Tolkien stesso andrebbe orgoglioso. A livello artistico – ma forse dovremmo dire, senza paura: ideologico – Jackson ha dimostrato di comprendere la natura profonda del romanzo, che ci racconta un Male assoluto affrontato da un Bene debole, diviso, litigioso, tormentato, ma capace di esprimere degli eroi assolutamente improbabili come gli hobbit.
Chi vi dice che Il Signore degli Anelli è manicheo non l’ha visto, o non l’ha capito.
Soprattutto non ha capito lo spessore del personaggio di Gollum, autentica visualizzazione della scissione della coscienza, nonché geniale equilibrio tra la performance dell’attore/mimo Andy Serkis – per il quale i critici americani vorrebbero un Oscar speciale – e i ritocchi digitali operati, in post-produzione, sull’attore. Gollum è il cinema del terzo millennio, con tutte le sue potenzialità e le sue contraddizioni. Come Tolkien, Jackson crea un mondo problematico, ripiegato su se stesso, vecchio e forse sull’orlo della decadenza, ma capace di un ultimo guizzo di fronte al pericolo della sparizione. Quindi, il nostro mondo: speriamo ci siano degli hobbit, da qualche parte.

Versioni estese per i dvd

Gandalf in una immagine dal set del film Lo HobbitIl Signore degli Anelli è finito ma non finisce. Le edizioni speciali in Dvd, grazie alle scene aggiuntive e ai ricchissimi extra, sono un oggetto imperdibile, un punto di non ritorno per la tecnologia e per il marketing di questo giovane supporto. Ci gusteremo le avventure di Frodo e compagni per molti anni a venire. E chiudiamo, com’è giusto, con gli attori. Se n ́è sempre parlato poco, ma nell ́arco della trilogia anche loro sono cresciuti, sono diventati nostri amici, si sono rivelati (alcuni) più bravi di quanto credessimo. Che Ian McKellen e Cate Blanchett fossero dei fuoriclasse, era noto anche prima.
Le vere rivelazioni, oltre al citato Serkis e al suo doppio digitale, sono Viggo Mortensen, che non credevamo potesse essere un Aragorn così convincente; Sean Astin, forse il più bravo di tutti in un ruolo di spalla (che diventa, poi, protagonista) come Sam; e, nel terzo film, l’australiano John Noble, che interpreta Denethor, ma sembra Re Lear.

Alberto Crespi – 19 gennaio 2004
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