Tre anni con Fatica… Lost in translation

«Forse si potrebbe continuare a tradurre all’infinito lo stesso libro…»
(Ottavio Fatica, intervista a “Il Venerdì”, 03/02/2023)

Tre anni vissuti pericolosamente

Stand BompianiSono passati più di tre anni dalla pubblicazione del primo volume del Signore degli Anelli nella nuova traduzione di Ottavio Fatica. Tre anni durante i quali non solo il dibattito si è infiammato tra sostenitori della traduzione precedente e sostenitori della nuova, ma si è anche finalmente iniziato a discutere di come Tolkien scriveva. Possiamo dire che se anche la nuova traduzione avesse questo unico merito – averci fatto tornare all’originale e averci fatto accorgere di qual è lo stile del Signore degli Anelli – sarebbe sufficiente per esserne grati. Del resto, lo stesso Tolkien la pensava in questo modo circa il ritradurre i classici: «Lo sforzo per tradurre o per migliorare una traduzione ha un valore non tanto per la versione che produce, quanto piuttosto per la comprensione dell’originale che risveglia» (Tradurre Beowulf, 1940).
È noto che a suo tempo, quando Bompiani decise di ritradurre il masterpiece tolkieniano, l’AIST ha avuto un ruolo nel suggerire il nome di Fatica e nel fornire consulenza al traduttore durante il lavoro (il merito va soprattutto al nostro socio Giampaolo Canzonieri). È noto che dopo la pubblicazione dei tre volumi, l’AIST ha raccolto le segnalazioni di errori o imprecisioni dai lettori e le ha trasmesse al traduttore, che le ha integrate nell’edizione del volume unico; si è così realizzata una sinergia tra lettori, traduttore ed editore che per accuratezza e rapidità non ha precedenti. Ed è altrettanto noto che per l’AIST, al di là del gusto personale, delle riserve su singole scelte, o dell’affetto per la traduzione con cui siamo cresciuti, i meriti del lavoro di Fatica sul Signore degli Anelli sono oggettivi: il romanzo ha finalmente una traduzione letteraria all’altezza della sua prosa.
Ottavio FaticaCiò nonostante, nelle interviste di tre anni or sono, Fatica ostentava una certa insofferenza nei confronti dei tolkieniani, spendeva qualche espressione iperbolica poco elegante, rendendosi antipatico al fandom (oltre a subire una querela da parte della traduttrice storica, finita in nulla, com’era ampiamente prevedibile). Soprattutto agli occhi dei fan lo ha compromesso il fatto di non essere un tolkieniano di stretta osservanza, e di non amare Tolkien al di là di ogni ragionevole dubbio. Anzi, in una delle suddette interviste si spingeva a rivendicare che «un conto è amarlo, un altro leggerlo correttamente» (“Il Venerdì”, 29/11/2019). Come a dire che il sentimento serve a poco senza la capacità di cogliere gli aspetti più profondi della lingua letteraria.
A tratti è sembrato che contro Fatica si ergesse proprio un muro di amore incondizionato e di fede nel genio autoriale, riconosciuti come unico metro per cogliere lo spirito di un’opera (qualunque cosa significhi) al di là dello stile letterario. Per altri versi è venuto perfino il sospetto che l’atteggiamento “laico” di Fatica disturbasse i fan in cerca di assolute conferme: «La non unanimità del suffragio è l’ossigeno dell’arte. Mai pensare di un libro: qui sta la Verità, più tutte le altre maiuscole di rito. Una verità è tale nella misura in cui soddisfa chi la formula. Non sarà questo o quel libro a dare la Risposta. Né è fatto per darla. E lascia spazio ad altre verità manchevoli, altri libri. L’incompiuto è l’unico infinito alla portata» (O. Fatica, I Quaderni di Arda n. 2, 2021). Come incompiuto è l’universo inventato da J.R.R.Tolkien, che oggi milioni di lettori, spettatori, giocatori, cosplayer, ecc., abitano ed espandono in molti modi diversi.

Niente sarà più come prima

Cover Compagnia dell’AnelloL’accusa più circostanziata mossa a Fatica in questi anni è piuttosto quella di avere usato termini troppo ricercati nel tradurre l’inglese di Tolkien, sacrificando la fruibilità alla fedeltà all’originale, o perfino spingendosi oltre l’originale stesso; quindi, in altre parole, di avere fatto sfoggio del proprio mestiere con una certa autoindulgenza. Ne accenna Fatica stesso in un’intervista recentissima: «Se c’era scritto “pigro” e io mettevo “infingardo” diventava un tradimento» (Tradurre è un corpo a corpo, in “Il Venerdì” 03/02/2023).
Va detto che il grande Saba Sardi non fu certo da meno nel dare un personalissimo imprinting (con tanto di clamorose sviste) a un’opera come Il Silmarillion. Può ben darsi che l’estro del traduttore famoso tenda a trasparire sulla pagina, e che questo sia il prezzo da pagare per avere la traduzione di un professionista noto, appunto, che solitamente è tale perché è bravo. Valeva per Saba Sardi e vale per Fatica, con tutto che Il Signore degli Anelli è un testo più complesso di qualunque altra cosa Tolkien abbia scritto, ovvero, nella sua stessa definizione, «un saggio di estetica linguistica» (Lettera 165, 1955), pieno zeppo di estrosità da filologi.
Resta il fatto che, a prescindere dal suo approccio idiosincratico, Fatica, con il suo lavoro e il suo parere, ha avuto un peso determinante nel riscattare le quotazioni letterarie di Tolkien oltre i confini del fandom. In interviste e interventi pubblici, il traduttore ha accostato Tolkien a Shakespeare, Melville, Kipling. Ha detto che è uno scrittore «solidissimo. Ogni capitolo è compiuto, non deraglia mai» e che «questa è la sua vera forza» (“Il Venerdì”). Ha scritto che Tolkien è uno scrittore fallibile, come tutti gli scrittori (e ne ha elencato i difetti), ma che sopperisce con «le qualità che non gli mancano: fantasia, visionarietà, ritmo narrativo incalzante, senso animistico della natura, solida tenuta nei passi di crescendo epico, e molto altro ancora» (I Quaderni di Arda n.2, 2021).
Ipse dixit. Certe castronerie su Tolkien come scrittore per ragazzini mai cresciuti non si sentiranno più, indietro non si torna. E c’è da sperare che per certi fan il problema non sia proprio questo, cioè il fatto che oggi Il Signore degli Anelli non sia più il romanzo culto di una sottocultura nerd (absit iniuria verbis), ma abbia guadagnato la dignità di un classico della letteratura, come merita. Un fandom che si lamentasse del fatto che finalmente anche la cosiddetta cultura alta, dopo anni di snobismo, è disposta a riconoscere il valore letterario di Tolkien, sarebbe un fandom incontentabile, per non dire puerile.

Sulla vetta

Lost in traslation - Ottavio FaticaFatica di certo non dissimula la consapevolezza delle proprie capacità e del proprio ruolo, dando alle stampe un libretto – atteso a scaffale per il 10 febbraio – dal titolo non troppo originale, Lost in translation, dove parla del proprio mestiere attraverso il rapporto con alcuni grandi autori che ha tradotto. Si tratta di una raccolta di sei brevi ficcanti riflessioni, che cercano la metafora del tradurre – prosa o poesia – in altrettante opere letterarie. Il traduttore cerca se stesso nel testo e ci si perde, come dev’essere, riflettendo con estremo acume e in punta acuminata di penna sul proprio mestiere ingrato e magico al tempo stesso. La traduzione è sempre una mancanza, ovvero, direbbe Fatica, la traduzione non esiste, esistono solo cose da tradurre. Ed è l’attività che dalla notte dei tempi consente agli umani di comunicare oltre le proprie diversità culturali, di superare le divisioni, di costruire ponti nella Babele linguistica della specie. Una riflessione che quando viene letta sulla pagina colpisce come una folgorazione.
Tra queste riflessioni letterarie, accanto a Kipling, Céline, Yeats e altri, la seconda in indice riguarda Il Signore degli Anelli, e in particolare il personaggio di Sam. Sono quelle sette paginette del formato Adelphi tra le più belle mai scritte in lingua italiana su quel personaggio, per il quale rappresentano una dichiarazione d’amore.
Sam è il fedele che sale sul Monte Carmelo, è San Cristoforo che si carica Gesù sulle spalle per fargli guadare il fiume, è il servitore disposto a prendere su di sé il fardello del padrone. «Così facendo, Sam avrà compiuto il più nobile dei gesti: assumere spontaneamente una sofferenza vicaria. E, con questa semplice sostituzione, senza saperlo avrà riassunto in sé il riscatto di tutti gli animali, delle piccole persone, delle grandi, che volenti o nolenti ci hanno sempre servito, e di ogni altro animale, dell’animale in noi, dell’animale che in fondo a noi noi sempre siamo».
E il più grande omaggio a queste «piccole persone» Fatica lo legge nella scena degli onori concessi agli Hobbit dal nuovo re Aragorn, il quale si inginocchia: «In quel momento forse Il Signore degli Anelli tocca e fa vibrare di struggente letizia la nota del più alto pathos epico di tutta la vicenda, che ne annovera non pochi, forse mai così alti e puri».
Sam è l’eroe della storia, lo sappiamo, lo stesso Tolkien lo considerava tale. Sam è colui che ha seguito, poi accudito, poi preso per mano, poi vegliato e trasportato Frodo.
Secondo Fatica, nel personaggio di Sam, Tolkien «senza volerlo ha tratteggiato come meglio non si può l’inedito ritratto del traduttore come sherpa», ovvero «un montanaro che si è messo al servizio dello straniero da tradurre», nel senso letterale, cioè da trasportare, da condurre, armi e bagagli, in cima alla montagna. Lasciando sempre all’autore “padrone” il merito di conficcare la bandiera sulla vetta, cioè senza mai sostituirsi a lui, ma servendolo sempre. Come Sam, appunto.
Chapeau. Se mai c’è stato un commiato perfetto di un traduttore da un autore è questo.

Matematica

Cover IsdA in economicaIn conclusione, a mo’ di postilla, rimarrebbe da fare i conti con la materialità dei numeri. I duri numeri che regolano il mercato librario e ci dicono se un’operazione editoriale ha avuto successo oppure no presso il pubblico. Ebbene i dati delle rilevazioni editoriali parlano chiaro. Nel periodo immediatamente precedente la pubblicazione della nuova traduzione, cioè nel triennio 2016-18, Il Signore degli Anelli, in tutte le sue varie edizioni, aveva venduto all’incirca 74.000 copie. Dal 2019 al 2022, nella nuova traduzione (e con la vecchia ritirata dal commercio), ne ha vendute circa 112.000. E l’edizione economica (25 euro), quella per così dire definitiva, è ancora fuori dal conteggio, essendo arrivata in libreria da pochi giorni con una tiratura di partenza di dodicimila copie. In buona sostanza nel passaggio da una traduzione all’altra le medie di vendita annue sono state non solo confermate, ma anzi, sono leggermente aumentate.
A quanto pare il grande flame sui social non ha funzionato per scoraggiare i lettori, o forse addirittura ha funzionato al contrario, aumentando la curiosità per il romanzo nella sua nuova traduzione. Very good.

Wu Ming 4

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Da Bompiani l’economica in volume unico
– Leggi l’articolo Tolkien e le mappe de Il Signore degli Anelli
– Leggi l’articolo Appunti sul discorso di Ottavio Fatica a Trento
– Leggi l’articolo Traduzione, archiviata la querela di Alliata
– Leggi l’articolo A Trento scendono in campo i traduttori
– Leggi l’articolo A Trento un convegno: Tolkien e la traduzione
– Leggi l’articolo Tolkien e l’arcaismo nel Signore degli Anelli (2)
– Leggi l’articolo Tolkien e l’arcaismo nel Signore degli Anelli (1)
– Leggi l’articolo Quante storie dietro il vico Scarcasacco!
– Leggi l’articolo Modena, Fatica: Tolkien, uno scrittore coerente
– Leggi l’articolo Aragorn il Forestale, uno studio filologico
– Leggi l’articolo Alliata contro Bompiani: ritiro la mia traduzione
– Leggi l’articolo A Giardini Naxos il 19/9 Vicky Alliata e Tolkien
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– Leggi l’articolo Ancora uno sforzo se volete essere tolkieniani
– Leggi l’articolo Esce oggi la nuova traduzione della Compagnia dell’Anello
– Leggi l’articolo Bompiani: le novità tolkieniane ottobre 2019
– Leggi l’articolo La traduzione della Compagnia a ottobre
– Leggi l’articolo Ritradurre Il Signore degli Anelli: l’intervista

LINK ESTERNI:
– Vai al sito di L’editore Bompiani: «Nessuna lettura ideologica di J.R.R. Tolkien»

 

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8 Comments to “Tre anni con Fatica… Lost in translation”

  1. Lock ha detto:

    Vabbè… è ovvio che le vendite siano aumentate, perché una nuova localizzazione è una novità; non certo perché una traduzione (senza voler entrare nel discorso migliore-peggiore) che è andata bene per 50 anni, improvvisamente viene considerata spazzatura.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      In realtà è facile dire “ovvio” adesso. In realtà per tre anni si è cercato di far circolare l’idea che la nuova traduzione del SdA fosse un flop, rifiutata dai fan, respinta, bocciata, ecc.

      Io con molta calma, anche su questo blog, ho sempre cercato di suggerire prudenza, di non sbilanciarsi, perché i conti si fanno dopo un po’ di tempo, in prospettiva. Tre anni sono un giusto lasso di tempo per trarre le prime somme. E le somme dicono che l’operazione è andata bene, non c’è stata alcuna flessione delle vendite, bensì un aumento.

      Questo dovrebbe far riflettere anche su un altro aspetto. Come vado dicendo da tempo, nella nostra percezione l’impatto dei social è sovradimensionato, sopravvalutato. Effettivamente imbattendosi nella tempesta anti-Fatica, anti-Bompiani, anti-Aist riaccesasi a più riprese tra il 2019 e il 2021, qualcuno avrebbe potuto farsi l’idea di un “rigetto”. Ma i lettori di Tolkien vanno ben al di là di certi confini, per fortuna, e probabilmente alla maggior parte dei lettori del SdA le questioni traduttive su cui ci si è accapigliati tra noi interessano relativamente poco. Sicuramente non perdono tempo nei “flame” sui social media, né si fanno influenzare da questi. Leggono un gran bel romanzo e se lo gustano. Bravi loro.

    • Giampaolo Canzonieri ha detto:

      E chi avrebbe definito “spazzatura” la vecchia traduzione, di grazia?
      Da quel che ricordo io nessuno in generale, e di sicuro nessuno in particolare “in casa AIST”. E, aggiungerei, vorrei pure vedere, visto che il 100% di noi è cresciuto e ha imparato ad amare Tolkien con la Alliata/Principe.

      • Norbert ha detto:

        “92 minuti di applausi” per Giampaolo.

        Sospetto che “hanno detto che la traduzione Alliata è spazzatura” sia uno “straw man argument”(o “argomento fantoccio”); proprio come “hanno detto che la traduzione di Fatica sarebbe (stata) perfetta, ma non lo e”

        Nessuna persona di buon senso può aver mai mai fatto anche una delle due affermazioni suddette

    • Ferribotte ha detto:

      “è andata bene per 50 anni” perché pochissime persone si erano accorte che conteneva migliaia di errori, di cui qualche centinaio grave o molto grave, che molte frasi dell’originale nella traduzione mancavano, che lo stile della traduzione più che Tolkien era D’Annunzio. Quando finalmente si è fatto notare tutto questo, finalmente si è capito che no, quella traduzione non andava bene. Non era “spazzatura”, ma certamente era una traduzione maldestra, lacunosa, fuorviante.

  2. Pierfrancesco ha detto:

    Sto leggendo La compagnia dell’Anello dopo aver seguito l’ordine di lettura consigliato da tanti. Ho segutio un po di dibattito sulla nuova traduzione e sono andato a sbirciare facendo dei confronti con quella che sto leggendo. In molti video tanti leggono le parti “nuove” dova Fatica usa dei verbi e non che mi hanno fatto accapponare la pelle. Anch’io sono di quelli che saputo il cambio di alcuni nomi non ha gradito anche se sono di quelli che non ha mai digerito Gran burrone. Il problema nasce dal fatto che comunque lo si volgia o meno i film hanno segnato molto l’immaginario di molti e quelli rimarranno per tanto tempo. Non sostengo che la traduzione della Alliata sia particolarmente entusiasmante ma la trovo comunque leggibile con tutti i limti che qualsiasi traduzione di qualsiasi autore comporta. Vi consiglio di verifare la complessità delle traduzioni di Chesterton autore assolutamente non semplissimo da tradurre. Comunque alla fine non credo che prenderò la versione di Fatica. Nota a margine: i volumi della Bompiani con copertina nera sono rilegati piuttosto male. Lo Hobbit annotato implica visivamente una notevole distrazione e difficoltà di lettura perchè testo e immagini sono troppo compresse tra di loro. Inoltre i prezzi li considero un po alti in rapporto qualità carta-rilegatura.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Che la traduzione di Alliata/Principe sia leggibile lo dimostra il fatto stesso che per mezzo secolo l’abbiamo letta tutti e ci siamo pure affezionati. Che certi verbi di Fatica suonino strambi pure è stato acclarato. Strambo però era anche lo stile di Tolkien (e certi suoi verbi) che la precedente traduzione aveva normalizzato. In 50 anni noi italiani ci siamo persi diversi aspetti dello stile con cui Tolkien scrisse “Il Signore degli Anelli”, e anche questo è stato ampiamente discusso e ormai anche dimostrato nel dibattito che è seguito alla nuova traduzione. Un lettore può ovviamente preferire o farsi piacere la traduzione che vuole, ci mancherebbe, ma ci sono ormai dei punti fermi segnati dalla nuova traduzione rispetto alla vecchia:

      – La nuova traduzione rende la prosa poetica di Tolkien (allitterazioni, metrica, assonanze, ecc.);
      – La nuova traduzione fa a meno di parafrasi, aggiunte, e stilemi reinventati;
      – La nuova traduzione rende con un lessico arcaico italiano il lessico arcaico di cui Tolkien ha disseminato la prosa del romanzo;
      – La nuova traduzione traduce le poesie presenti nel testo come poesie – cioè con una lingua poetica;
      – La nuova traduzione restituisce la diversità di registri linguistici presenti nell’originale;
      – La nuova traduzione non omette di tradurre niente.

      Ci può stare di criticare Fatica per avere “sovrainterpretato” Tolkien, per così dire, e nell’articolo qui sopra infatti dico che questa è la critica più circostanziata. E ciò nonostante sul piano della fedeltà all’originale – cioè a Tolkien – non c’è comunque gara tra le due traduzioni. Si può constatare anche da piccole cose, aprendo una pagina a caso e facendo un confronto. Io ogni tanto lo faccio, così, per puro esercizio.

      Per esempio ho appena aperto a caso il primo capitolo, “A long-expected party”, a pagina 30 dell’edizione inglese che possiedo. Appena Bilbo ha finito di fare il suo discorso d’addio c’è uno stacco di una riga e poi:

      «He stepped down and vanished. There was a blinding flash of light, and the guests all blinked. When they open their eyes Bilbo was nowhere to be seen.»

      L’immagine scelta da Tolkien è quella di un lampo abbagliante che fa sbattere le palpebre ai presenti. Nella traduzione storica questo atto, il battito di ciglia, veniva dato per implicito, cioè la frase «and the guests all blinked» non era tradotta. È una cosa da poco, certo, il senso rimane immutato. Ma se questa libertà la si moltiplica per mille pagine di romanzo, si capisce bene che incide eccome sulla resa della prosa di un autore.

      Se poi queste omissioni riguardano invece delle scene madri, be’, si rischia di compromettere il senso delle scene stesse. Non dimentichiamoci che per mezzo secolo noi italiani abbiamo convissuto con il mistero di come Frodo, nel finale del capitolo 8 del libro VI, possa rialzarsi bel bello dopo avere ricevuto una coltellata da Saruman, dato che la frase «the blade turned on the hidden mail-coat and snapped» non era stata tradotta.

      Ma da autore dirò che non andrebbero sottovalutate nemmeno le omissioni apparentemente secondarie, quando in realtà secondarie non sono affatto. Pensiamo al finale del romanzo, proprio all’ultima scena e alle ultime frasi. Lì è chiaro che Tolkien misura parola per parola con il bilancino, il ritmo si fa lento, ogni termine è scelto con assoluta cura.

      «But Sam turned to Bywater, and so came back up to the Hill, as day was ending once more. And he went on, and there was yellow light, and fire within; and the evening meal was ready, and he was expected. And Rose drew him in, and set him in his chair, and put little Elanor upon his lap.
      He drew a deep breath. “Well, I’m back,” he said.»

      Innanzi tutto la vecchia traduzione non traduceva quel «And he went on». Un dettaglio, senz’altro. Ma perché ometterlo? Se l’autore vuole rallentare il ritmo della narrazione inserendo un’azione in più, perché non rispettare la sua volontà? Quell’andare avanti di Sam è carico di significato in una scena finale come questa. C’è differenza tra: «Egli vide una luce gialla e del fuoco acceso» (Alliata) e «E proseguì, e c’era una luce gialla e, all’interno, un fuoco» (Fatica). Ma più in generale, l’intero periodo nella traduzione storica era stato depurato di tre occorrenze di “and”, perché in bell’italiano suonano come ripetizioni. Peccato che quegli “and” all’inizio di ogni frase dell’ultimo periodo del romanzo (se ne contano ben 9 nell’originale) siano evidentemente un’anafora voluta da Tolkien per scandire il ritmo della sequenza finale. Averne tolti tre in traduzione significa avere smussato l’effetto della prosa di Tolkien, rendendola più piatta.
      Cosa che Fatica si è ben guardato dal fare.

      A dirla tutta, queste correzioni allo stile tolkieniano pesano molto di più sulla resa finale rispetto agli errori di traduzione di Alliata/Principe – alcuni davvero imbarazzanti – che purtroppo in mezzo secolo non erano mai stati emendati, con grande colpa degli editori e dei curatori.
      In questi anni abbiamo dovuto sentire alcuni improvvidi paladini di Alliata dire che la sua traduzione era l’unica che restituisse lo “spirito” del romanzo. Ecco, è ben difficile capire cosa si intenda per “spirito”, se si prescinde da come un romanzo è scritto. La letteratura non è faccenda di spiriti… ma di lingua. Un certo Tolkien ne sapeva qualcosa.

  3. Nik ha detto:

    «Forse si potrebbe continuare a tradurre all’infinito lo stesso libro…» E forse sarebbe meglio……

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