A Trento un convegno: Tolkien e la traduzione

Trento: facoltà di lettere e filosofiaNegli ultimi due anni, le polemiche precedenti e conseguenti la nuova traduzione del Signore degli Anelli hanno impegnato una parte degli appassionati in discussioni molto accese e articolate, alle quali l’AIST ha partecipato come parte in causa. Su questo sito e altrove sono state prodotte diverse letture, analisi, comparazioni, e ci sono thread molto interessanti, tutt’ora consultabili, con decine e decine di commenti.
Questa aspra stagione di dibattiti è stata anche l’occasione per chiedersi se si trattasse di una peculiarità italiana, e di come all’estero fosse stata affrontata la ritraduzione delle opere di Tolkien, in particolare di quella più celebre. Dunque, congiuntamente con i professori del dipartimento di Lettere e Filosofia dell’università di Trento, si è pensato che fosse giusto fare tesoro di questa esperienza, allargare il raggio d’indagine, e proiettare tutto sul piano degli studi accademici.
Un convegno su Tolkien e la traduzione sarebbe stata un’occasione perfetta per un confronto di alto livello sulle questioni che hanno tanto appassionato i lettori in questi ultimi due anni. Trento: inaugurazioneUna delle ragioni sociali dell’AIST infatti è proprio quella di rompere gli steccati tra cultura accademica e cultura pop, facendo riverberare l’una nell’altra, convinti come siamo che la narrativa e le narrazioni possano essere affrontate da vari punti di vista e che questi possano intersecarsi e arricchirsi vicendevolmente. Eccoci quindi ad annunciare il programma del convegno accademico all’università di Trento del prossimo 30 novembre e 1 dicembre. Si tratta del primo convegno accademico italiano sul tema in questione, con la partecipazione di due ospiti straniere, rispettivamente la traduttrice olandese e quella finlandese di Tolkien.

Il convegno all’università di Trento

Locandina-convegno-Trento02È il settimo convegno universitario in cui l’AIST figura tra gli organizzatori in 10 anni, come si può leggere nel dettaglio in calce o leggendo l’articolo che ne parla. L’evento è a cura di LETRA, il Seminario di traduzione letteraria. A offrire il titolo al convegno è la celebre citazione di Samuel Beckett «Try again. Fail again. Fail better», perfetta per descrivere l’impresa di tradurre un testo da un contesto linguistico a un altro. Impresa destinata a essere sempre frustrata, sempre rimessa in discussione, e suscettibile di mille alternative. Ma proprio per questo estremamente affascinante, e soprattutto utile per tornare all’originale con occhi nuovi e riscoprirlo.
Se mai ce ne fosse bisogno, lo dimostra proprio il caso recente del Signore degli Anelli e delle critiche che la nuova traduzione ha ricevuto in Italia, le quali potrebbero essere ridotte a due, paradossalmente opposte: lessico troppo prosaico; lessico troppo arcaico e poetico. Ed è così che si svela una caratteristica dello stile del romanzo: una lingua che parte piana, al livello terragno degli Hobbit, e cresce con l’esplorazione di paesaggi e regni sempre più antichi e grandiosi, fino a diventare prosa poetica nelle scene più epiche, e infine ritornare (faticosamente) alla terra e alla lingua comune di partenza. È stata la nuova traduzione italiana a farci scoprire che il romanzo non è scritto tutto con lo stesso registro linguistico, lo stesso lessico e lo stesso stile, bensì ha un andamento che corrisponde a quello della storia narrata. Così abbiamo scoperto anche che la prosa allitterativa dell’autore può produrre frasi come «Éowyn fell forward upon her fallen foe», che nemmeno la nuova traduzione poteva riuscire a rendere del tutto («Éowyn cadde in avanti sul nemico caduto»), e tuttavia abbastanza perché qualche improvvisato e improvvido commentatore la bollasse come una ripetizione antiestetica.
Locandina-convegno-TrentoAd aprire le danze, il 30 novembre, saranno proprio i due attuali traduttori italiani di Tolkien, cioè Ottavio Fatica e Luca Manini, i quali parleranno sia dello stile dell’autore sia dell’impresa di tradurlo nella nostra lingua. I professori trentini affronteranno invece le traduzioni in altre lingue: rispettivamente Roberta Capelli, professoressa di filologia romanza, farà un confronto tra le traduzioni di Tolkien nelle lingue neolatine; mentre Fulvio Ferrari, germanista e traduttore dalle lingue scandinave, raffronterà le due traduzioni svedesi del Signore degli Anelli. Alessandro Fambrini, professore di letteratura tedesca dell’università di Pisa, parlerà invece delle vicissitudini di Tolkien in Germania; mentre la traduttrice storica del Lo Hobbit e del Signore degli Anelli in Finlandia (nonché attuale e una delle più importanti e pluripremiate traduttrici del suo Paese), Kersti Juva, parlerà dell’approdo di Tolkien nella “Terra dei mille laghi”. La traduttrice olandese Renée Vink racconterà la difficoltà di tradurre la poesia tolkieniana e in generale dei dilemmi del traduttore davanti alla necessità di rendere il linguaggio poetico.
Maria Elena Ruggerini, filologa germanica dell’università di Cagliari, affronterà invece il tema di Tolkien traduttore, concentrandosi sulla riscrittura tolkieniana della storia di Beowulf in Sellic Spell.
Non si parlerà però soltanto di traduzione letteraria, ma anche di traduzione dalla letteratura ad altri mezzi narrativi. Marco Picone, professore di geografia urbana all’università di Palermo, parlerà delle mappe tolkieniane, ovvero di come letteratura e rappresentazione topografica dello scenario narrativo siano complementari nell’opera di JRRT. Cover Quaderni di ArdaRoberta Tosi, giornalista e critica d’arte, dirà invece di come Tolkien ha tradotto in arte visiva le proprie storie, ovvero di Tolkien illustratore. Mentre il giornalista e critico cinematografico Alberto Crespi, affronterà le traduzioni delle storie tolkieniane sul grande schermo. Infine, il convegno si chiuderà con una presentazione de I Quaderni di Arda – rivista di studi tolkieniani e mondi fantastici, sulla quale verranno pubblicati gli atti del convegno nel primo trimestre del prossimo anno. Le relazioni si terranno su piattaforma Zoom e sarà possibile partecipare previa pre-iscrizione con il proprio nome e cognome (il link per la registrazione è questo qui). Le pre-iscrizioni verranno chiuse alle ore 12:00 del giorno precedente all’evento.

 

Il programma

Lunedì 30 novembre – ore 15:00-18:00

modera Andrea Binelli

Ottavio Fatica: Fidarsi del racconto: ritradurre Il Signore degli Anelli
Luca Manini: Nell’officina di Tolkien: il traduttore tra avventura e quest
Maria Elena Ruggerini: La lingua della versione inglese antica di Sellic Spell: modelli e rifrazioni
Marco Picone: Il nome della mappa. Traduzioni cartografiche del mondo di Tolkien

Martedì 1 dicembre – ore 10:00-13:00

modera Roberto Arduini

Renée Vink: Alliteration, Rhyme, Metre: the Toll of Translating Tolkien’s Poems
Alessandro Fambrini: Piccoli hobbit non vanno alla guerra: il caso tedesco
Kersti Juva: Tolkien in Finland
Roberta Tosi: L’arte di Tolkien

ore 15:00-18:00

modera Claudio Antonio Testi

Fulvio Ferrari: Tolkien in Svezia
Roberta Capelli: Decir quasi the same chose: letture parallele del Signore degli Anelli
Antonio Crespi: Tolkien al cinema: trasposizioni e riletture sullo schermo
Roberto Arduini, Stefano Giorgianni, Federico Guglielmi: I Quaderni di Arda: rivista di studi tolkieniani e mondi fantastici

Redazione

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Ben 6 convegni in 10 anni: ecco il lavoro dell’AIST
– Leggi l’articolo Tolkien e la letteratura il resoconto di Trento
– Leggi l’articolo “Tolkien linguista”: il resoconto di Parma
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LINK ESTERNI:
– Vai al sito del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’università di Trento

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13 Comments to “A Trento un convegno: Tolkien e la traduzione”

  1. Wu Ming 4 ha detto:

    Per onore di completezza, sia del ragionamento sia della citazione riportata nel post («Éowyn fell forward upon her fallen foe» reso con «Éowyn cadde in avanti sul nemico caduto»), è doveroso aggiungere che se la nuova traduzione riesce a salvare il salvabile dell’allitterazione e ripetizione originale, la traduzione storica non solo non ne salvava nulla, ma addirittura inseriva un “corpo” dove non c’era:

    «Éowyn cadde in avanti sul corpo del nemico abbattuto»

    Il corpo non c’era non soltanto nel testo, ma nemmeno nella scena, giacché se mai il Nazgul ha avuto una parvenza di consistenza corporea, l’ha persa proprio per mano di Éowyn e Merry quando è stato abbattuto, come si evince dalla frase seguente: «Ma stranamente il manto e la cotta di maglia erano vuoti».

  2. Valdo ha detto:

    Cercando notizie su internet sulla nuova traduzione e sul convegno di cui parla questo articolo, ho trovato un sito dove si dice che Prancing Pony era meglio tradotto Puledro Impennato, come nella vecchia traduzione, invece che Cavallino Inalberato, come nella nuova. I motivi sono che:
    – un pony non è precisamente un piccolo cavallo.
    – si perde l’allitterazione di Puledro ImPennato.
    – “inalberato” è fuori contesto rispetto a “impennato”.
    – nella nuova traduzione del nome della locanda ci sono 4 sillabe in più.
    – cavallino è infantile, come anche erba piparina e Stella Vespertina.
    Poi c’è il link a un altro articolo dove si dice che “Eowyn cadde in avanti sul nemico caduto” (nuova traduzione) è una ripetizione, che in inglese è normale e non cacofonica come in italiano.
    Scusate se riporto queste cose qui, non ho elementi per giudicare, ma vorrei sapere se al convegno si parlerà anche di cose come queste oppure no. Grazie.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Guarda Valdo, non so quali siano le tue aspettative, ma penso – e spero – proprio che di inezie come queste non si parlerà al convegno.
      Di Prancing Pony qui se ne discuteva forse un anno fa. Mentre la frase citata che riguarda Eowyn siamo stati noi a tirarla fuori qui sul blog, nell’articolo di presentazione del convegno, perché uno youtuber l’aveva usata come esempio di traduzione cacofonica di Fatica senza nemmeno leggere l’originale inglese.

      Comunque, sulla famigerata locanda:

      1) In inglese “pony” indica proprio un piccolo cavallo, da soma o da monta, cioè i cavalli di piccola taglia che infatti sono usati come cavalcature dai nani ne Lo Hobbit e dagli hobbit nel Signore degli Anelli. Un puledro non lo monti e non gli metti il basto, è un cucciolo di cavallo, che in inglese si dice “colt” o “foal”. Che non si tratti di un puledro, per altro, lo si evince anche dal fatto che il pony nell’insegna è definito “fat”. I puledri non sono grassi, bensì piuttosto secchi.

      2) Rilevare l’allitterazione delle P in “Puledro Impennato”, senza rilevare la doppia allitterazione (al/al e lino/inal) della nuova resa “Cavallino Inalberato”, significa non sapere nemmeno cosa sia un’allitterazione.

      3) “impennato” e “inalberato” non solo significano letteralmente la stessa cosa, ma hanno anche quasi la stessa etimologia: ergersi come un pino, ergersi come un albero. L’unica differenza è che il primo è un uso derivato dallo spagnolo, secondo il vocabolario Treccani: “impennarsi v. intr. pron. [dallo spagn. empinarse, der. di pino «pino», propr. «ergersi diritto come un pino»; cfr. inalberarsi] (io m’impénno, ecc.). – 1. a. Del cavallo, ergersi sulle zampe posteriori sollevando la parte anteriore del corpo.” Risulta misterioso perché il contesto consentirebbe l’uso di “impennato” e non di “inalberato”.

      4) Da quando in qua le sillabe di un nome tradotto in italiano devono equivalere a quelle del nome originale inglese? Ormai per contestare la nuova nomenclatura non sanno più cosa inventarsi. Questa è l’ultima trovata: il numero delle sillabe…

      5) “Cavallino” è il diminutivo di “cavallo”, significa piccolo cavallo. Quando senti parlare del Cavallino della Ferrari pensi forse a qualcosa di infantile? “Erba piparina” non è più infantile di “piperina”, cioè la sostanza che sta dentro il pepe, o della “Mentha Piperita”. In botanica è pieno di nomi che suonano ridicoli. “Stella Vespertina”… Come se non esistesse la “messa vespertina”. È infantile pure quella? No, qua di infantile ci sono soltanto obiezioni del genere.

      Sulla ripetizione:

      6) «Éowyn fell forward upon her fallen foe», in inglese non è una frase normale con delle ripetizioni. È una frase in prosa poetica allitterante: quattro parole che iniziano con “f”, lo stesso verbo ripetuto (fell, fallen), e due volte il suono “fo” (forward, foe). Tolkien qui usa uno stilema della poesia anglosassone. Nella Divina Commedia ci sono quei versi famosi che chiudono il canto di Paolo e Francesca: «E caddi come corpo morto cade.» Cacofonici anche quelli? Fatica si è dato davvero troppo da fare, credo.

      Io dico che è ben difficile che Fatica o Manini o altri si mettanno a discutere di piccinerie imbarazzanti come queste. Discutere di traduzione è un’altra cosa. E per una volta, dopo due anni di dilettanti allo sbaraglio (tra i quali mi ci metto pure io), a Trento lo faranno i traduttori letterari professionisti. E soprattutto non si parlerà solo della nuova traduzione del SdA – quello sarà soltanto uno degli undici interventi – ma di molto altro e di molte altre lingue oltre l’italiano, ché Tolkien, fino a prova contraria, è un autore internazionale.

      • Antonio ha detto:

        Cito “Ormai per contestare la nuova nomenclatura non sanno più cosa inventarsi Questa è l’ultima trovata: il numero delle sillabe…” , a me sembra che piuttosto è per giustificare, avallare e lodare ogni scelta di Fatica non sappiate più cosa inventarvi. Di fatto la scelta di “Cavallino inalberato” non aggiunge nulla di meglio al racconto od al contesto, è stata una libera scelta del traduttore, come era la precedente, non meno sensata di quella attuale; tra l’altro neanche un Cavallino fa pensare a qualcosa di “fat” . Tuttavia è perfettamente comprensibile che non si possa non sostenere in ogni modo la persona della quale siete sponsor e nella quale il “Tribunale del Popolo delle Traduzioni Conformi” ha piena fiducia.

    • Giuspee ha detto:

      Ovviamente non ce l’ho con Valdo ma con chi formula questo genere di critiche, facendo un’analisi di ogni più piccolo dettaglio della nuova traduzione, ma che per 50 anni è stato silenzioso verso gli aspetti più critici della traduzione che abbiamo letto tutti. E pecca pure di coerenza: ad esempio se “inalberato” è fuori contesto rispetto a “impennato”, com’è che gli abitanti di Bree, fra cui lo stesso oste, usa un termine non certo colloquiale come “ramingo” per definire i Dunedain? Non mi pare certo il primo termine che verrebbe in mente per della gente semplice…

    • I Figli di Feanor ha detto:

      Valdo, il sito che hai trovato è il nostro, che sarà pure nato per goliardia, ma sta cercando di evolversi verso una sempre maggiore serietà e documentazione. Non sempre ci riusciamo, ma abbiamo l’umiltà di affrontare le critiche. Se dici di non avere elementi per giudicare, puoi sempre commentare e fare domande sul nostro sito.

      Federico, senza aver letto il nostro articolo originale è un poco frettoloso ricorrere a termini come “inezie”, “non sapere nemmeno cosa sia un’allitterazione”, “ultima trovata”, “infantile”, “piccinerie imbarazzanti”. Riguardo ai tuoi punti:

      1) Non la vediamo così. Quot capita…

      2)Il nostro articolo dice: “Si perde l’allitterazione. Alliata traduce Puledro ImPennato, che è sempre impreciso per quanto riguarda il pony, ma tramite l’assonanza restituisce la sonorità dell’originale.” L’allitterazione è in Prancing Pony. Quella di Alliata è un’assonanza, che in genere si usa in poesia, ma ha anche il significato di “corrispondenza armonica” (Treccani). Forse non siamo stati chiari, provvederemo. Queste discussioni sono utili perché si nota sempre qualcosa di nuovo.

      3) Il nostro articolo dice: “sembra improbabile che il rozzo oste di una locanda di frontiera tenga particolarmente all’araldica”. E’ questo il contesto in cui non ci pare che la fedeltà assoluta all’araldica sia la soluzione migliore.

      4) Il nostro articolo dice: “Sarà un nostro pallino, ma ricordiamoci che parliamo di colui che esordì sulla scena nazionale contando a sproposito gli errori di Alliata, e tuttora pesa con il bilancino gli “errori” di TOLKIEN”. E sosteniamo la nostra posizione fornendo una serie di esempi in cui Fatica ha allungato senza motivo nomi e frasi, fra cui la famigerata Spada-Che-Ha-Subito-Il-Danno: particolarmente bizzarra, dato che Fatica stesso, traducendo la poesia “All that is gold does not glitter”, usa “la lama infranta”, una soluzione a nostro parere migliore.

      5) Ma qui non si parla della Ferrari. Non si parla della Messa. E quanto a “piparina”, Tolkien dice “pipe-weed”, letteralmente “erba da pipa”. Obiettiamo alla tendenza di Fatica di rendere tutto più piccolo, non alla legittimità di usare parole come cavallino o vespertina, nel giusto contesto.

      6) Vedi punto 1.

      Giuspee, non abbiamo commentato per 50 anni perché quando Il Signore degli Anelli arrivò in Italia non eravamo ancora nati. Come sito, poi, esistiamo solo da un anno. Prima di allora non avevamo problemi (e non li abbiamo tuttora) a parlare delle cose che non ci piacciono della traduzione Alliata-Bompiani. Però il nostro sito è dedicato solo al confronto fra l’originale di Tolkien e la traduzione Fatica. Non ci occupiamo della traduzione Alliata-Bompiani,se non in casi particolari.

      Non ci sembra strano che Omorzo parli di Raminghi, se è così che li ha sempre sentiti chiamare da tutti i diversi visitatori della sua locanda.

      Un’ultima cosa: forse intendevi dire che pecchiamo di INcoerenza?

      • Giuspee ha detto:

        Sì, chiedo venia, intendevo incoerenza ovviamente. Purtroppo ho scritto male e purtroppo (cosa che non dovrebbe accadere mai) di fretta, me ne scuso.
        Intendevo incoerenza perché non mi convince la motivazione che raminghi può andare bene in bocca ad Omorzo “se è così che li ha sempre sentiti chiamare da tutti i diversi visitatori della sua locanda”. Se vogliamo vederla in ottica di plausibilità come per l’insegna ‘araldica’, allora mi sembra improbabile che dei semplici paesani di una cittadina ci tengano a usare dei termini non di uso del parlato comune per indicare delle persone che non vedono di buon occhio e che girano nei paraggi. Tolkien ci dice, come sapete bene, che Ranger è la parola con cui venivano chiamati dagli abitanti di Bree, quei “mysterious” del “wandering folk”. E allora torno a chiedere: i visitatori della locanda, paesani di Bree, possono utilizzare un termine simile, connotato verso un livello più alto della lingua, e però su “inalberato” scagliamo tutte le nostre critiche possibili? Ecco perché parlo di incoerenza, perché usate due pesi e due misure tra il lavoro di Fatica e quello di Alliata? Sarà un mio limite ma trovo, per visione personale, metodologicamente incoerente non affrontare una simile nuova traduzione senza il raffronto costante con ciò che per decenni si è sedimentato nella mente e nell’immaginario dei lettori italiani di Tolkien.
        E non miravo a voi in particolare con quella mia frase sul silenzio di tanti lettori, era più un discorso generale sul mondo tolkieniano. Intendevo dire che navigo nel web italiano da quasi vent’anni e forse mi è capitato solo di trovare qui sull’AIST con l’elenco delle possibile modifiche e sul sito defunto Bracegirdle un lavoro che evidenziasse le varie carenze e i diversi errori che la traduzione precedente si porta dietro dalla sua uscita. Mi sembra pertanto assurdo che ad un anno dall’uscita della “Compagnia dell’Anello” ci siano stati parecchi articoli in cui si setacciava il testo alla ricerca di termini, periodi, singole frasi – e mettiamoci ora il conteggio delle sillabe! – per mostrare ciò che non va nella nuova traduzione (e di alcune cose che sono effettivamente errori, anche citati qui nei commenti sull’AIST, non ne ho visto manco l’ombra, segno che forse la lettura è stata invece superficiale) e, al contrario, sull’altra si stenda un ossequioso silenzio. Perché con la prima traduzione si è così indulgenti? Questo non lo riesco a capire.

        • I Figli di Feanor ha detto:

          Giuspee, quella sulla coerenza era una battuta, scriviamo anche noi tante cose strane quando siamo di fretta! Linguaccia nostra…

          Il nostro problema con “ramingo” e “inalberato”, ovvero perché uno ci va bene e l’altro no, dipende dalle spiegazioni diverse che ha dato Fatica delle sue traduzioni:

          1) Ramingo “gli sembrava un ordine di frati” (da interviste varie, anche su questo sito). Ci pare un giudizio soggettivo che non prende in considerazione l’orecchio del lettore, anche perché a ben vedere non è del tutto erroneo paragonare i Raminghi con un gruppo di persone votate a una missione, a uno stile di vita, alla solitudine…

          2) Inalberato è secondo Fatica il corretto termine araldico per “prancing”.

          Sempre ponendosi dal punto di vista di Omorzo e immergendosi nel racconto e nell’atmosfera di Brea, ci sembra più probabile che alla locanda si parli di Raminghi, proprio perché misteriosi e pericolosi, e meno di araldica.

          Fra l’altro, Fatica condanna gli anacronismi in Tolkien, ma Tolkien non dice mai che l’araldica nella Terra di Mezzo sia uguale alla nostra. Lui stesso ha disegnato gli stemmi delle casate elfiche, e non hanno nulla a che fare con cavalli, leoni etc. Proprio ieri al Convegno, Roberta Tosi ha parlato delle copertine disegnate da Tolkien, e anch’esse non seguono le nostre regole dell’araldica, neanche quando si è trattato di disegnare lo stemma di Aragorn; anzi, pare che l’ispirazione possa essere stata la corona dei Faraoni (se ricordiamo correttamente).

          Quanto alle critiche ad Alliata, anche sui siti o social favorevoli alla sua traduzione se ne trovano parecchie. Purtroppo esistono anche sostenitori assolutisti, e come al solito gridano troppo forte, ma si trovano anche critiche circostanziate e altrettanto feroci di quelle rivolte a Fatica. Noi personalmente amiamo Samplicio e Castaldo, e odiamo da sempre Gran Burrone e Trombatorrione, solo per fare un paio di esempi. Non c’è affatto un ossequioso silenzio. Sul nostro sito segnaliamo sempre quando una scelta di Fatica è visibilmente migliore di quella di Alliata.

          Prima che uscisse la traduzione Fatica, si è letto Il Signore degli Anelli così com’era, con elmi al posto di corni, paragrafi saltati etc, e lo si sapeva benissimo. Il fatto che malgrado tutto questo l’opera abbia avuto uno straordinario successo in Italia, tanto da giustificare il fiorire di miriadi di associazioni fra cui la presente, ci fa pensare che la traduzione Alliata non sia poi così vergognosa.

          Ma quando è uscita la traduzione Fatica, è stata presentata da subito come scorrevole, fedele, davvero tolkieniana. Di nuovo, a parte gli esagitati che condanniamo, è stata questa pretesa a spingere molti a puntare il microscopio linguistico su Fatica; sì, anche a contare le sillabe, perché Tolkien è stato altrettanto attento e severo con il proprio testo.

          Le dichiarazioni iniziali di Fatica sui 1500 errori a pagina e sull’orsacchiotto di peluche non hanno aiutato. Una presentazione più neutra e più umile avrebbe permesso ai fan di Tolkien di avvicinarsi con maggior serenità alla nuova traduzione.

          Per concludere con una nota positiva, anche noi abbiamo seguito l’intero Convegno con grande piacere, imparando moltissime cose nuove. L’intervento di Fatica (ovviamente, si potrebbe dire) è quello che ci ha soddisfatto meno, sia perché ha parlato poco delle sue scelte traduttive, sia perché in proposito non ha detto molto di nuovo rispetto agli interventi di Parma e Modena: tanto da ripetere errori stranamente mai corretti dai suoi collaboratori, come il fatto che Gerontius sia il nonno di Barbalbero (invece è Pippin che parla del PROPRIO nonno, Gerontius Took).

          Dopo di lui, tutti gli altri relatori sono stati pacati, minuziosi, rispettosi dell’opera d Tolkien e ben disposti a rispondere alle domande, quindi complimenti per l’impresa in generale! (senza sarcasmo, davvero)

          • Giuspee ha detto:

            Per quanto riguarda “ramingo” e “inalberato” io parlavo solo del fattore ‘fuori contesto’ in relazione alle due misure, non delle singole motivazioni soggettive (sia di Fatica che nostre) per cui i due termini possano piacerci o meno. Io, ripeto, trovo incoerente che si giudichi l’uno improbabile per un rozzo oste di una locanda perché legato all’araldica, e che l’altro – di un uso più alto a livello di linguaggio quotidiano e comune – sia invece più probabile solo perché quegli uomini sono misteriosi e pericolosi…se dei tizi vedono male un gruppo di persone non penso affibbino dei nomi con degli echi, fra le altre cose, anche poetici. Ma su questo punto penso saremo sempre discordi sempre, pazienza.

            Per quanto concerne il discorso critiche all’Alliata, sono sorpreso di quello che dite, non m’era capitato di vederne (tolte quelle magari relative alle diversità di nomenclatura introdotte con la revisione STI del 2003, vedasi il termine orchetto ad esempio). Potreste allegare qualche link di queste analisi? Sono curioso. Io l’unica che ho trovato, oltre che le due già citate, è questa: http://www.oocities.org/errorisda/ ma è datata e incompleta, purtroppo.
            Che molti lo sappiano benissimo degli errori, delle alterazioni, delle aggiunte, ecc. io personalmente ne dubito sia, ad esempio, per il discorso fatto prima delle fonti web, sia perché per riconoscerli ci vuole il ricorso al confronto del testo originale cosa che la stragrande maggioranza dei lettori italiani di Tolkien non penso abbia fatto; al massimo ora se comparasse i due testi italiani noterebbe le molte differenze tra i due testi e solo così potrebbe interrogarsi sulle diversità.
            Inoltre, non trovo vergognosa la traduzione Alliata, anzi è un lavoro encomiabile per l’età e per il tempo in cui è stata fatta, e come testo in sé è un buon italiano (cose dette anche da Fatica al tempo del Salone di Torino, ma le persone hanno preferito concentrarsi su una iperbole infelice…) ma i problemi nascono quando si inizia a confrontarlo più accuratamente con il testo originale. Ad esempio il capitolo II del libro I lo trovo emblematico di tutto ciò che non va nella traduzione Alliata: è pieno di dittologie, quasi allo sfinimento; una decina o poco meno di omissioni-lacune; frequenti aggiunte testuali di cose non scritte da Tolkien; molti periodi ‘riscritti’ a livello sintattico; qualche errorino. Questo lo sanno i comuni lettori di Tolkien? Continuo a dubitarne, a meno di leggere quelle critiche circostanziate che citate.

            Mi fa sorridere anche questo puntare il microscopio linguistico solo per via di quelle definizioni di presentazione, che io penso abbiano valore relativo e non assoluto, visto che una traduzione sarà mai fedele al 100 %. Io penso intendessero più fedele e “tolkieniana” rispetto alla precedente di Alliata e sfido a dire, dopo un’analisi testuale, che nel complesso tra nomenclatura, stile, adattamento delle poesie non lo sia rispetto a quanto avevamo letto finora in italiano. Dicevo, sorrido, perché invece quello che molti fan accaniti della precedente traduzione portano sempre come sostegno è la – finora – presunta approvazione di Tolkien alla vecchia traduzione. Questo invece basta per non porsi problemi? Dovrebbe a maggior ragione scatenare una analisi linguistica per capire come si tiene insieme l’approvazione di Tolkien a questioni terminologiche come il termine “gnomo” per elfo (si veda l’articolo di Testi qui sull’AIST sulla messa a fuoco del confronto tra le traduzioni).

            Sulla presentazione più neutra basterebbe vedere che il clima non è stato reso disteso proprio da una frangia dei fan di Tolkien, la quale, addirittura un anno prima che uscisse la traduzione, si agitava già contro questa operazione editoriale vista sotto una luce ideologica (il travestirla sotto una foggia LGBT, detto proprio dalla Alliata…), a difesa, a mio parere, proprio di un “orsacchiotto di peluche” e non del testo di Tolkien.

            Basterebbe capire, serenamente, che se questa traduzione non piace rimane sempre la precedente nella propria biblioteca di casa da sfogliare e leggere, senza bisogno d’attaccare o prendere in giro quelli che stanno leggendo la nuova con piacere. E’ così difficile?

  3. Valdo ha detto:

    Grazie a tutti per le risposte. Ieri ho ascoltato il convegno, quasi tutto. Non sono riuscito a seguire tutte le relazioni perché certe cose erano un po’ troppo tecniche e io non sono un esperto. Però è stato interessante. In particolare è stato bello sentire parlare di Tolkien in un modo così approfondito e anche sentire quante storie diverse ci sono per ogni traduzione. Fatica ha parlato per primo se non ricordo male, ma mi sarei aspettato che parlasse di più del suo lavoro sul Signore degli Anelli. Comunque ho trovato sia lui che gli altri traduttori, italiani e stranieri, molto umili, e questo mi ha fatto piacere. Tutti hanno detto che la traduzione è soltanto una traduzione, che è sempre imperfetta e che si può sempre migliorare. Fatica ha anche ammesso di avere fatto degli errori e che vuole rimediare nelle prossime edizioni, se ho capito bene.
    Mi sono piaciuti anche i contributi dei non traduttori. Quello sulle copertine e quello sul film di Jackson in particolare.
    Ringrazio tutti gli organizzatori.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Prego, Valdo. Grazie a te per avere assistito. Come hai potuto constatare, e come ti avevo anticipato, la traduzione di Fatica è stato soltanto uno dei temi trattati, insieme a molti altri.
      Perché è precisamente quello che è: una traduzione tra le tante, o, come ha detto Fatica: «Soltanto una traduzione». Anch’io ho apprezzato il suo modo di porsi, anche se condivido la tua insoddisfazione: avrebbe potuto parlare di più di come ha lavorato sulla traduzione.
      Ad ogni modo, dopo che per due anni in tanti hanno cercato di farlo passare per uno spocchioso chiuso in una torre d’avorio, lo si è visto rispondere alle domande (anche quelle un po’ più provocatorie, anche quella di una maleducata che ha deciso che le regole del convegno per lei non valevano) con assoluta semplicità, ammettendo anche alcuni errori e la propria ignoranza su certi argomenti.
      Pensa la differenza di stile con chi è andata in giro per due anni a dire che la sua era l’unica traduzione legittima, dichiarando in interviste e convegni che era stata oltraggiata, diffamata, e che la nuova traduzione rappresentava un insulto alla volontà di Tolkien, un’operazione ideologica, ecc. Quanto appaiono patetiche oggi quelle sceneggiate…

      Nei due giorni scorsi abbiamo sentito parlare i traduttori professionisti e abbiamo potuto constatare che l’umiltà e il senso di frustrazione fanno parte integrante del loro mestiere. Non solo Fatica, ma anche Luca Manini, Kersti Juva, Renée Vink, hanno raccontato quanto ogni scelta traduttiva sacrifichi qualcosa e rappresenti soltanto una soluzione tra le molteplici possibili.
      Pensa all’originale vicenda della seconda traduzione svedese del SdA raccontata da Fulvio Ferrari, realizzata con un lavoro d’equipe di due traduttori e una squadra di consulenti di rango.

      Sono molto contento di come è riuscito il convegno. Sincerità per sincerità: l’intervento che mi ha dato più soddisfazione è stato quello di Roberta Capelli, la prof di filologia romanza, sui “trucchi” stilistici medievali disseminati da Tolkien nella sua prosa. Qualche tempo fa qui avevo scritto un paio di articoli sull’arcaismo come caratteristica peculiare dello stile tolkieniano e concludevo auspicando che di questi aspetti si occupassero gli specialisti, anziché i dilettanti come il sottoscritto. Ecco, il mio desiderio è stato esaudito. Le cose di cui ha parlato Capelli sono una novità assoluta, non ho mai letto niente del genere nemmeno da parte di commentatori britannici o americani. Ma del resto, il giorno prima la prof Ruggerini, filologa germanica, ha annunciato di avere scoperto che Tolkien ha inventato dei vocaboli in Old English, e anche questa è una primizia. Considera che finora il massimo filologo tolkieniano, Tom Shippey, era arrivato a parlare di “parole asterisco”, cioè parole presuntamente ricostruite da radici antiche, ma questo è un passo ulteriore, a mio avviso.

      Nemmeno io sono uno esperto di lingue, vive o morte, ma ho l’impressione che abbiamo assistito a qualcosa di importante. E concordo con te: l’intervento di Roberta Tosi sulle illustrazioni per le copertine e quello di Alberto Crespi sul film Le Due Torri sono stati davvero accattivanti.

  4. Savio Sacconi ha detto:

    Si può ricuperare il convegno in video?

    • Wu Ming 4 ha detto:

      No, a meno che qualcuno non lo abbia registrato in privato. Ma entro metà gennaio uscirà il nuovo numero dei Quaderni di Arda che conterrà tutti gli interventi del convegno e anche qualcuno in più.

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