Tolkien and the Mystery of Literary Creation. La Recensione

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Lo scorso 3 Luglio 2025 è stato pubblicato per la Cambridge University Press il saggio di Giuseppe Pezzini Tolkien and the Mystery of Literary Creation. Pezzini è Fellow e Tutor presso il Corpus Christi College di Oxford e Professore Associato di Lingua e Letteratura Latina all’Università di Oxford. Classicista di formazione, ha pubblicato ampiamente sulla lingua e letteratura latina, sulla commedia romana, sulla filosofia antica del linguaggio e sulla teoria della narrativa, antica e moderna. Con ulteriori interessi nella critica testuale e nelle discipline umanistiche digitali, è anche un importante studioso tolkieniano; ha ricevuto nel 2021 il Philip Leverhulme Prize ed è attualmente Tolkien Editor per il Journal of Inklings Studies.

Di seguito pubblichiamo la recensione del saggio di Giuseppe Pezzini redatta da Claudio Antonio Testi, saggista e socio AIST.

Contenuto

In questo pregevole studio l’autore si pone il “semplice” problema di capire cosa Tolkien intende dire quando afferma:

I am interested in mythological ‘invention’, and the mystery of literary creation (or sub-creation as I have elsewhere called it) and I am the most readily available corpus vile for experiment or observation. (Tolkien, Lettera n. 180, enfasi aggiunte)

Il libro si struttura in una introduzione e sette capitoli di cui riportiamo brevemente i titoli:

  • Introduction A Piece of Tolkien Scholarship Structure and Overview
  • I The Cats of Queen Berúthiel: Linguistic Aesthetic and Literature for Its Own Sake
    • I.1 ‘Names Come First’: From Berúthiel to Eärendil
    • I.2 ‘Gratuitous’ Creations and the Re-awakening of Sea-Longing
    • I.3 The Paradox of Creation and the Purpose of Purposeless Beauty
    • I.4 Epilogue: Berúthiel’s Fate
  • II The Authors of the Red Book: Meta-textual Frames and Writing as Discovery and Translation
    • II.1 The Meta-textual Frame of Middle-earth
    • II.2 The (Double) Meaning of the Meta-textual Frame
  • III The Lords of the West: Cloaking, Freedom, and the Hidden ‘Divine’ Narrative
    • III.1 The Unnamed Authority in The Lord of the Rings
    • III.2 Secondary Meanings: Cloaking and Freedom
    • III.3 Primary Meanings: Cloaking and Sub-creation
  • IV Beren and Frodo: Intratextual Parallels and the Universality of the Particular
    • IV.1 The ‘Seamless Web of Story’: Parallelism in the Secondary World
    • IV.2 Criss-Crossing between Secondary and Primary Planes
    • IV.3 Conclusions: Tolkien and the Universality of the Particular
  • V Gandalf’s Fall and Return: Sub-creative Humility and the ‘Arising’ of Prophecy
    • V.1 Gandalf’s Fall and the Loss of Hope
    • V.2 The Arising of Prophecy
  • VI The Next Stage: The Death of the Author and the Effoliation of Creation
    • VI.1 The Death of the Sub-creator
    • VI.2 The Resurrection of the Author: Taking Up to the Primary Plane
    • VI.3 Explicit
  • VII Epilogue: A Short Introduction to the Ainulindalë
    • VII.1 Textual History
    • VII.2 Structure and Content

Come spiega l’autore:

The book consists of five chapters (I – V), followed by a conclusive, more theoretical chapter (VI) and an epilogue (VII). Each of the main chapters focuses on a formal feature of Tolkien’s literary work: the primacy of language-invention and its integration into the narratives (Chapter I); the extensive use of meta-textual frames (Chapter II); the fondness for lacunae, omission, and allusive language, especially as regards “highest matters” (Chapter III); narrative parallelism and cross-referencing inside (intratextual) and between (intertextual) texts (Chapter IV); and unexplained narrative events, (allegedly) transcending the author’s intentions (Chapter V). In the second part of each chapter, the theoretical implications of these formal features are discussed, through extensive analysis of internal meta-literary references, the editorial history of Tolkien’s texts […]
These five main chapters are followed by the concluding Chapter VI, which offers an overview of the main themes addressed in the book and integrates them into a cohesive, overarching framework : the aesthetic and ‘gratuitous’ dimension of literary inspiration; writing as ‘discovery’ and ‘translation’; the poetics of cloaking and its relation with the freedom of literature (in all senses); the writer as a co-author contributing to a single, polyphonic Story criss-crossing the primary and secondary worlds, and ultimately converging on the Resurrection (“the greatest ‘eucatastrophe’ possible in the greatest Fairy Story”, Letters 89 : 142 [100]); the ‘death’ of the sub-creator as an unavoidable step in any successful sub-creation. (Pezzini 2025 p. 12, 19)

Già da queste indicazioni si può ben capire la vastità dei temi toccati da Pezzini. Il “modo” in cui li tocca, tuttavia, è molto omogeneo, nel senso che l’autore cerca di concentrarsi principalmente sugli aspetti letterari dell’opera tolkieniana, e lo fa con grande chiarezza, anche perché il lettore ideale di Pezzini è:

the educated reader of English literature, who might have read The Hobbit and/or The Lord of the Rings in their youth but has strong doubts and biases about the literary merits and sophistication of Tolkien’s enterprise, and may even belittle the genres with which it is often (inappropriately) associated, namely ‘fantasy’ and ‘children’s literature’. (Pezzini 2025 p. 2)

Pregi

I pregi di questo volume sono molti e rilevanti. Prima di tutto, il saggio riguarda essenzialmente l’aspetto letterario dell’opera di Tolkien, e su questo versante gli studi tolkieniani sono curiosamente pochi. Come Scrivono Drout e Wynne:

Un tema che ad oggi non è ancora stato studiato adeguatamente dalla critica tolkieniana è sicuramente l’aspetto letterario e stilistico delle sue opere: «Il maggior limite nella critica tolkieniana, comunque, è la mancanza di discussione sullo stile di Tolkien, sui suoi diversi livelli di scrittura, sulla sua scelta delle parole e della sintassi». (Drout-Wynne 2000, 123)

Quaderni di Arda 3In questo senso il testo si aggiunge ad altri importanti saggi sul medesimo tema, tra i quali ricordo Walker 2009; Simonson 2008; Clark-Timmons 2000, Drout 2004; Sullivan 2008; Bratman 2000; Christopher 2000; Jeffrey 2007; Rosebury 2009, Grybauskas 2021. Sullo stile letterario di Tolkien anche l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani ha dedicato un percorso di studio interno che è poi sfociato nella pubblicazione del volume III dei Quaderni di Arda (rivista dell’Associazione) intitolato Beowulf a Oxford: lo stile di Tolkien.

Altro pregio del volume è a mio avviso l’apparato bibliografico imponente. Qualcuno ha criticato questo eccesso di citazioni, che alle volte sconfinano anche nel corpo del testo, perché in effetti alle volte appesantisce la lettura (“dull to read”: Roberts 2025). Io tuttavia ritengo che questo sia anche un importante valore aggiunto del volume. Con questa ricchezza di riferimenti, infatti, lo studio riesce a fare “il punto della situazione” nella critica tolkieniana su vari aspetti. Aggiungo anche che citare quelli che prima di te hanno studiato i medesimi argomenti è segno non solo di “umiltà”, ma direi anche di correttezza professionale. Gli studi tolkieniani, anche esteri, sono infatti anche troppo pieni di contributi che esaminano un tema senza porsi adeguatamente il problema di leggere quanti prima lo hanno affrontato. Certo, è una via molto comoda e breve per scrivere e dire la propria opinione su qualsiasi tema, ma di certo questo dilettantismo rende un pessimo servizio a Tolkien, che va invece studiato con una modalità adeguata a un vero classico della letteratura.

Lo studio di Pezzini ha inoltre il merito metodologico di basarsi sui testi di Tolkien, partendo sempre da brani letterari che poi vengono “interpretati” alla luce degli scritti più saggistici dell’autore, in primis ovviamente On Fairy Stories e Beowulf: The Monsters and the Critics, ma anche le Lettere e Secret Vice. Ogni capitolo ha infatti una sorta di “brano guida” preso dalla narrativa, che poi viene con rigore e perizia analizzato anche alla luce degli altri scritti. È una impostazione molto chiara e intelligente, perché “si costringe” a stare aderente al testo il più possibile e per questo tende a limitare quei voli pindarici che fanno dire a Tolkien tutto e il contrario di tutto.

Entrando nel merito dei vari temi trattati, il capitolo che ho più apprezzato è stato il secondo, nel quale Pezzini con grande rigore esamina il “gioco” delle cornici e delle tradizioni di traduzioni di tradizioni… tipiche della narrativa tolkieniana e che ci portano a chiederci “chi è l’autore del racconto?” Qui Pezzini alla fine vede che l’autore della narrativa tolkieniana è, alla luce dei saggi critici e delle lettere di Tolkien, Dio stesso

The ultimate Author of Tolkien’s stories is not Tolkien himself, but rather an Unnamed Person, “who is never absent and never named”, as Tolkien puts it in a letter; 131 that is to say, “the Writer of the Story”. The ‘otherness’ of the stories, and the necessary imperfection of Tolkien’s reports, are thus depending on their ultimate Divine (co-)Authorship. Tolkien’s conviction that God is the ultimate source of his own stories, specifically of their ‘otherness’ and ‘truth’, can be traced throughout his fictional works. (Pezzini 2025 p. 144)

At the same time, the meta-textual frame also expresses, in secondary forms, some key aspects of Tolkien’s ‘primary’ perception of his literary activity, and by reflection of his literary theory: the unplanned inspiration of his stories; their organic and independent development; and their inherent ‘otherness’ and ‘truth’, which ultimately derive from a Divine Authorship, and yet are necessarily mediated by a human co-author – the ‘chosen instrument’ who ‘translates’ and ‘edits’ these stories in imperfect, incomplete, and yet indispensable human language. (Pezzini 2025 p. 147)

Questa è in fondo la tesi di tutto il libro: quando Tolkien parla di “mystery of literary creation” allude al fatto che sorgente ultima delle storie non è la cosciente pianificazione dello scrittore, ma una inconscia inspirazione divina che l’autore, scrivendo, “scopre” senza nulla inventare:

Tolkien does not conceive his work as an intellectual act consisting of the assertion of pre-existing convictions under the veil of literary fiction; rather he views it as the artistic (or ‘sub-creative’ , ‘mythological’, ‘literary’) expression of non-rationalised experiences. (Pezzini 2025 p. 117)

This is the reason why Tolkien considered literary creation as a “mystery”: its occurrence and offspring cannot be fully explained, for Tolkien, in rational terms, as purely human activities autonomously performed by individual human beings. (Pezzini 2025 p. 146)

Molto pregevole anche il capitolo quarto, che nella conclusione spiega chiaramente e con dovuti supporti testuali che in Tolkien non vi sono allegorie univoche e meccaniche, perché ogni personaggio è un individuo che però, con la sua storia, i suoi dilemmi e le sue scelte, “incarna” e/o “rappresenta” in sé stesso un problema universale. Questo è vero per ogni personaggio, da Frodo a Beren e Lúthien che, apparentemente, sarebbero ottimi candidati per diventare “allegorie” di J.R.R. Tolkien e sua moglie Edith:

For this reason, the kind of narrative parallels discussed here should not be construed as ‘internal allegories’. Frodo is not an ‘allegorical’ figure for Beren or Bilbo (or vice versa). Frodo’s story is tightly connected with those of Beren and Bilbo, and many others. (Pezzini 2025, p. 231)

Limiti

Il primo limite che mi permetto di rilevare è, per così dire, di natura “logica”, ed è in qualche modo già visibile dal titolo del libro. Mi spiego meglio. L’autore, come si è visto, si pone il problema di capire cosa Tolkien intenda con “mystery of literary creation” e, per farlo, si basa sui testi narrativi di Tolkien che vengono interpretati alla luce degli scritti saggistici del medesimo. Ora, è abbastanza evidente che questo approccio “funziona” (e, intendiamoci, funziona davvero!) perché per spiegare un autore si usa il medesimo autore e dunque la spiegazione non può essere falsa. Esemplificando: se (come teorizza Tolkien) Dio crea l’uomo come sub-creatore di storie allora per forza l’uomo (e Tolkien medesimo) tende a narrare storie; e, d’altra parte, se Tolkien narra un certo tipo di storie, per forza quando cerca di spiegarle lo farà trovando una teoria che calzi perfettamente con ciò che ha narrato. Con questo voglio semplicemente dire che Pezzini, spiegando Tolkien con Tolkien, raggiunge lo scopo che si era prefissato ma, in realtà, non spiega qual è il mistero della creazione letteraria. Ad essere precisi, secondo me Pezzini ha avuto la “giusta” intuizione per spiegarlo, perché alla fine del libro lega questo mistero alla cosiddetta “mistica”:

It would take another book to discuss the many parallels and possible sources of this ‘mystic’ conception of artistic creation, from classical literature and medieval mysticism to romantic and modernist literature. (Pezzini, p. 320).

Io condivido questa intuizione, essendo io stesso arrivato alla medesima conclusione per altre vie, tanto che a breve pubblicherò un saggio proprio su questo. Ma, appunto, il libro che spiega “veramente” il mistero della creazione letteraria dovrebbe iniziare proprio lì dove finisce questo di Pezzini. Si tratterebbe quindi di vedere cosa si intende per mistica in tutte le sue declinazioni e come questa “spieghi” così il mistero della creazione letteraria, ma questo, appunto è un altro libro.

Il secondo “limite” che vedo nel testo è una certa “oscillazione irrisolta” tra due poli:

  •  da un lato l’autore vuole proporre una lettura “non confessionale” di Tolkien facendo ad esempio grande uso del concetto di “inconscio” (“unconsciousness” è usato 31 volte nel libro) e similari (“inspiration”, “not rational”, ecc…);
  • dall’altro, però, usando Tolkien per spiegare Tolkien non può evitare di dire che per Tolkien il mistero della creazione letteraria è sì legato all’inconscio, ma a un inconscio che va oltre la ragione concettuale perché è radicato in Dio; non in un dio qualsiasi, tuttavia, bensì nel Dio specificamente cristiano, come si afferma inequivocabilmente nell’epilogo di Sulle Fiabe e in tanti altri brani (che peraltro Pezzini cita in modo completo).

Questa “oscillazione irrisolta” la si vede anche in alcune analisi testuali operate da Pezzini; ne cito solamente tre:

  1. il capitolo terzo è tutto dedicato a dimostrare (peraltro con argomenti molto solidi) che, quando nel Signore degli Anelli si parla di “Lords of the West” (SDA, Il Ritorno del Re, Libro 6 cap. 5) si devono intendere i Valar stessi e non i semplici signori che si oppongono all’orientale Mordor. Tuttavia, se si resta al testo, questa identificazione non si evince;
  2. in quello stesso capitolo, quando Pezzini “spiega” la scelta di Frodo al Consiglio di Elrond di prendere l’anello, afferma che si tratta di una scelta libera e che la sua volontà è mossa sicuramente dai Valar:

    The first passage is about Frodo’s momentous decision to take the Ring at the end of the Council of Elrond, which Tolkien describes as a free individual choice, and yet involving the participation of “some other will”, to the hobbit’s own wonder. That this is the will of the Valar is suggested by Elrond’s reaction to Frodo’s words (“I think that this task is appointed for you, Frodo”). (Pezzini 2025 p. 165)

    Qui però Pezzini si dimostra poco attento al testo, perché Tolkien scrive diversamente:

    At last with an effort he spoke, and wondered to hear his own words, as if some other will was using his small voice. ‘I will take the Ring,’ he said, ‘though I do not know the way.'[…]

    ‘But if you take it freely, [afferma Elrond] I will say that your choice is right’

    Qui non si dice affatto che qualcuno sta usando la voce di Frodo (e che quindi la sua volontà è mossa da altri), ma solamente che è “come se” questo avvenisse, e questo “as if” apre a diverse possibili opzioni senza indicare qual è quella sicuramente corretta. Similmente, Elrond non afferma affatto che la scelta di Frodo è libera, ma “solo” che “se la scelta è libera allora la tua decisione è giusta”, e questo “if” non è di sicuro introdotto casualmente da Tolkien (su questi punti mi permetto di rimandare al mio contributo);

  3. la medesima oscillazione la si vede anche nel capitolo 5, tutto teso a dimostrare che il ritorno di Gandalf dopo lo scontro col Balrog è una reale resurrezione di Gandalf il Grigio in anima e corpo. Anche qui Pezzini avanza argomenti molto solidi e tuttavia non si premura adeguatamente di dimostrare quello che è il vero punto dirimente della questione, ovvero capire se il corpo di Gandalf il Bianco è lo stesso corpo di Gandalf il Grigio. Solo se la risposta è sì si può “correttamente” parlare di resurrezione, e non di semplice “ricostituzione” come ad esempio è avvenuto per l’altro Maia, Sauron, post “uccisione” da parte di Elendil, o di “reincarnazione” (Pezzini 2005 pp.303, 307). In merito, noto anche che l’autore non tematizza la differenza tra diversi tipi di resurrezione, visto che Tolkien stesso dice che la resurrezione di Lazzaro è diversa da quella di Cristo (Lettera n. 212 in nota, non citata da Pezzini) [Dopo la pubblicazione della recensione l’autore, in un carteggio privato mi fa però presente che la lettera 212 è citata in nota a p.314 del suo saggio].

Questi tre esempi, infine, mi permettono di mettere in luce l’ultimo punto in cui non mi trovo completamente in sintonia con Pezzini. A livello interpretativo, infatti, lo studioso italiano non coglie una cosa molto importante della narrativa di Tolkien, ovvero che il testo tolkieniano (anche al di là di quello che Tolkien stesso può aver poi scritto in altri luoghi, dalle lettere alla History of Middle-earth) in alcuni punti importanti resta aperto a varie letture, e questa apertura è sicuramente voluta da Tolkien stesso. Come noto, infatti, egli quando scrive soppesa ogni singola parola per cui, se avesse voluto inequivocabilmente dire al lettore che Gandalf è risorto, o che la volontà di Frodo è stata mossa dai Valar Signori dell’Ovest, lo avrebbe scritto esplicitamente con chiarezza. Aggiungo poi che queste volute ambiguità sono una delle più distintive caratteristiche dell’opera di Tolkien, che peraltro rendono la sua narrazione molto più intrigante, affascinante, coinvolgente e “cattolica” nel senso di universale. Per questo, quando si incontrano questi passi “aperti” a più letture, vanno semplicemente registrati come tali, senza volerli a tutti costi “risolvere” con certezza.

Conclusione

Il libro di Giuseppe Pezzini è sicuramente un testo pregevolissimo, che si colloca nella fascia “alta” dei Tolkien Studies. Personalmente considero poi questa pubblicazione un evento estremamente positivo anche perché la critica tolkieniana sta attraversando un momento molto scadente a livello qualitativo, con fortissime polarizzazioni ideologiche che non possono giovare alla comprensione di Tolkien. In quest’orizzonte, purtroppo, saggi come questo di Pezzini, così ben articolati e documentati, oggi sono diventati le eccezioni che confermano la regola: anche per questo ne raccomando sicuramente la lettura e lo studio.

Bibliografia

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