Il Signore degli Anelli di Bakshi anche in Blu-ray

Ralph Bakshi: Concilio di ElrondIl Signore degli Anelli di Ralph Bakshi sfiora la soglia dei 50 anni, eppure continua a far parlare di sé. Un cult che, infatti, con Amazon sarà ridistribuito in Blu-ray in un edizione rimasterizzata deluxe, accompagnata da un’intervista esclusiva al suo stesso autore. Si tratta di un grande passo in avanti, soprattutto per l’edizione italiana che non ha ancora visto una ristampa home video, se non quella in DVD del 2010. Non male, insomma, considerando che fin dalla sua uscita nelle sale il film è stato ritenuto un mezzo flop.
Il Signore degli Anelli nella versione animata dal regista originario di Brooklyn è infatti un sogno mai realizzato, almeno non per intero; un capolavoro di sperimentazione tecnica e di avanguardia visiva, che ha sfidato i tempi immaturi della produzione statunitense. Questo perché, anche se il pubblico era pronto per una grande trasposizione su grande schermo, quelli che non osavano fare il grande passo erano proprio coloro che a Hollywood si scervellavano su come rendere realtà un progetto di simile portata. Risultato? Un film a metà, tagliato di netto dopo la battaglia del Fosso di Helm, con un finale sospeso in attesa di un seguito che non arriverà mai.

Il viaggio travagliato di un racconto “infilmabile”

Asettica, indigesta, la “prima parte” si conclude infatti con le parole quasi profetiche del narratore: «Le forze dell’Oscurità vennero ricacciate per sempre dalla faccia della Terra di Mezzo. E con la fine della loro vittoriosa battaglia, finisce anche il primo grande favoloso racconto del Signore degli Anelli». Quel «Per sempre», che allora suonava più come un “Non è finita qua”, è diventato poi di fatto la lapide tombale del progetto.
Eppure le premesse sembravano buone, tanto che la Tolkien Estate (al tempo rappresentata dai figli del Professore) aveva dato il proprio benestare. Dopo 20 anni dall’uscita della Compagnia dell’Anello, contatti continui, spesso a vuoto, tra Oxford e Los Angeles, un progetto fallito con il regista e sceneggiatore John Boorman e un altro – si vocifera – ideato e interpretato dai Beatles (ma castrato sul nascere da Tolkien in persona), si stava producendo il primo vero adattamento cinematografico in assoluto del romanzo. Non una novità per i racconti di Tolkien in generale (prima di tutto arrivò Lo Hobbit della coppia Rankin/Bass), ma di sicuro una novità per quello che era considerato come un libro “infilmabile”, un viaggio ritenuto impraticabile e intricato tanto quanto quello di Frodo e Sam lungo la strada per Mordor.
Troppe erano le incognite, e altrettanti i conflitti con la United Artists, che aveva acquisito i diritti e che curò anche le prime fasi della sceneggiatura di Boorman. I produttori infatti spingevano per raccogliere la storia in un film solo, proprio come nei piani dello sceneggiatore statunitense. Alla fine Bakshi riuscì ad accordarsi per due capitoli. I tanti problemi di produzione continuarono però anche durante la produzione: Bakshi inizialmente pensò, ad esempio, ai Led Zeppelin per la colonna sonora, ma la produzione insistette per chiamare invece un compositore Usa, Leonard Rosenman, che diede alle musiche un’aria tanto epica quanto distaccata dal profilo estetico del film, risultando quasi aliena.

Ralph Bakshi

Ralph BakshiNonostante le critiche e il flop commerciale di pubblico e di critica (anche attuale), l’opera di Bakshi rappresenta tuttavia ancora oggi un’avanguardistica quanto leggendaria trasposizione del Signore degli Anelli: coraggiosa, sperimentale ed evocativa, in una misura cui nemmeno lo stesso Ralph Bakshi era abituato. Il suo fantasy si mischia alla satira politica e alla slapstick cartoonesca, con quel sapore critico sprezzante contro la società contemporanea (Fritz the Cat, Heavy Traffic, Coonskin) che viene dipinta e catturata nel suo essere più basso e nascosto, e quindi autentico. Bakshi era perfetto: riusciva a dare al romanzo quel gusto pop e postmoderno che interessava specialmente ai produttori, mantenendo tuttavia quella stessa fedeltà e attaccamento all’opera originale. Non sorprende dunque l’amore che sbocciò tra lui e il fantasy, e infatti, proprio come John Boorman, che riciclò alcune intuizioni dalla sua sceneggiatura di 700 pagine del Signore degli Anelli per girare Excalibur, anche Bakshi si innamora del fantasy. Durante la lavorazione a intermittenza, tra un’interruzione produttiva e l’altra, girerà Wizards, film animato in rotoscopio che il regista unisce al found footage, dove viene rappresentato un pianeta terra distrutto da una guerra nucleare in cui l’unica eredità rimasta dell’essere umano è la propaganda nazista.
Ma per tornare al romanzo di Tolkien: Bakshi lavora con l’high fantasy e porta avanti un tipo di operazione diversa, scendendo nei bassifondi, mettendosi in comunicazione con i reietti, proiettando (soprattutto con lo stile e la forma) una propria idea di racconto e critica al blocco occidentale della Guerra Fredda, mantenendo allo stesso tempo intatto il sostrato mitico e reale del messaggio tolkieniano. A metà tra la citazione creativa e gli elementi iconografici del XX secolo, Ralph Bakshi è diventato, forse, uno dei primi autori in assoluto a proporre un genere fantastico diverso, meno aulico ma sicuramente pregnante, autentico e contemporaneo. Un anello di congiunzione tra l’uomo del primo Novecento di Tolkien e la generazione postmoderna che si è innamorata dei film di Peter Jackson (non a caso, un grande ammiratore dell’autore newyorkese). Il Signore degli Anelli del 1978 rappresenta così la pura passione tolkieniana, giustamente imperfetta, canonicamente immortale, che entra di petto nel suo stesso Legendarium.

 

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– Leggi l’articolo Bologna, torna al cinema il film di Ralph Bakshi
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The Hunt for Gollum: le novità sul nuovo film

Peter Jackson by FlickrPrima il divieto sul fan-film The Hunt for Gollum (ritirato subito dopo), poi la foto girata sui social che mostrava Andy Serkis insieme a una presunta troupe della produzione a Hobbiton in Nuova Zelanda, poi ancora gli storici attori del cast originale che avrebbero preso parte al nuovo avvincente capitolo della saga. Ora anche il rinvio di un anno dell’uscita: dal 2026, come annunciato dalla Warner Bros lo scorso maggio, alla fine del 2027, come specificato invece da Andy Serkis in persona durante il Fan Expo Vancouver di febbraio. Insomma, Lord of the Rings: Hunt for Gollum non è neppure stato scritto e ha già fatto parlare di sé più di qualsiasi altra produzione fantasy dell’ultimo anno. L’hype dei fan non è alle stelle: di più, e ciò significa che a questo giro, a differenza de Gli Anelli del Potere e de La Guerra dei Rohirrim, è vietato sbagliare. In gioco c’è la potenziale credibilità dei futuri film sul Legendarium, che rischierebbe così di sprofondare, cinematograficamente parlando, in un baratro paragonabile solo a quello che ci fu fino agli anni ’90, periodo antecedente al capolavoro (e quindi a questo punto miracolo?) della trilogia di casa New Line Cinema.

Tra indiscrezioni e fake news

Andy SerkisL’annuncio dello spostamento della data di uscita non a caso ha lasciato increduli praticamente tutti; anche perché, secondo le indiscrezioni girate sui social – che poi si sono rivelate false – Andy Serkis era già in Nuova Zelanda l’estate scorsa per il film. Tra tutti i rumors spicca una foto su Instagram, scattata a Hobbiton sui set ora divenuti attrazione turistica in Nuova Zelanda, della fantomatica troupe con cui Serkis stava apparentemente lavorando a The Hunt for Gollum e condivisa anche su Facebook nei vari gruppi tolkieniani (tra cui uno da 600mila e passa membri), che ovviamente ha aiutato ad alimentare l’hype esagerato legato alla produzione del nuovo capitolo.
In realtà, quella foto è stata ricondivisa originariamente da Arty Papageorgiou, sceneggiatore al lavoro con Serkis nella foto ma anche sceneggiatore de La Guerra dei Rohirrim, e insieme a loro ci sarebbero poi anche altre figure che hanno lavorato al film d’animazione. Andy Serkis HobbitonChe si sia parlato del nuovo progetto di Warner Bros. non è ovviamente fuori discussione, ma c’è anche da ricordare che in quel momento (estate 2024) c’era in corso il tour di anteprime del film d’animazione in giro per il mondo. Insomma, è più plausibile pensare che Serkis e compagni di avventure si fossero ritrovati in quel contesto per tutt’altri motivi, e infatti, venendo ad oggi, Andy Serkis intervistato da The Direct ha smentito tutto, ed è bastata una frase per far crollare il castello di carte. «Siamo proprio all’inizio della fase di scrittura», ha dichiarato Serkis, spiegando che era necessario più tempo per perfezionare la sceneggiatura e gli effetti visivi prima dell’inizio delle riprese nel 2026: «Inizieremo a prepararci per il set alla fine di quest’anno, dato che prenderà molto tempo, sei o sette mesi, dopodiché inizieremo a girare dall’anno prossimo. Dunque, l’uscita è prevista a dicembre 2027». Un ulteriore conferma è giunta dall’intervista ai co-presidenti/CEO della Warner Bros. Pictures, Mike De Luca e Pam Abdy, che hanno detto: «Abbiamo appena avuto un incontro ravvicinato con Philippa Boyens su Gollum , e credo che riceveremo la sceneggiatura a maggio».

Un’operazione nostalgia?

Philippa BoyensWarner Bros. ha riunito un team impressionante di veterani della Terra di Mezzo per guidare questa nuova avventura. La produzione beneficerà della supervisione creativa di figure chiave della trilogia cinematografica originale. Fanno, infatti, parte del team creativo principale: Peter Jackson (produttore), Fran Walsh (Produttrice/Sceneggiatrice e moglie di Jackson), Philippa Boyens (sceneggiatrice), Arty Papageorgiou (sceneggiatore) e Phoebe Gittins (sceneggiatrice e figlia della Boyens). Gli ultimi tre sono stati anche sceneggiatori de La Guerra dei Rohirrim. Questo mix di talenti creativi affermati e emergenti mira a mantenere la continuità con i film precedenti, apportando al contempo nuove prospettive alla storia. La sceneggiatura si concentra, a quanto pare, sul periodo compreso tra la perdita dell’Anello da parte di Gollum e la sua cattura da parte delle forze di Sauron. La Warner Bros sta investendo molto in tecnologie all’avanguardia per soddisfare i requisiti di effetti visivi del film. Andy SerkisNaturalmente, Andy Serkis è al centro di questa produzione, assumendo la doppia responsabilità di regista e protagonista. Questo segna il suo ritorno al ruolo di Gollum/Sméagol che lo ha reso famoso nella trilogia originale. Un preciso obiettivo è quello di riunire i vecchi personaggi, quelli ormai entrati a buon diritto nella cultura di massa, per narrare un capitolo apparentemente minore ma che, grazie soprattutto a The Hunt for Gollum (fan-film di fama internazionale costato appena 5mila dollari, disponibile gratuitamente su YouTube anche doppiato in italiano grazie alla direzione di Riccardo Ricobello) è diventato il fondamento di una parte della community tolkieniana.
Secondo la trama, Gandalf, appena incontrato Frodo e scoperta la natura dell’Unico, manda Aragorn a cercare Gollum per poter sapere di più sull’Anello trovato da Bilbo anni prima. La posta in gioco? Impedire alla creatura di cadere nelle mani di Sauron e rivelare la posizione dell’Unico Anello. Questa narrazione è liberamente ispirata ad Appendici del Signore degli Anelli, dando ai registi la possibilità di espandersi pur rimanendo fedeli alla fonte. Non è solo la storia di un inseguimento: è una storia di ossessione, segretezza e compromesso morale. Per molti versi, è il filo mancante che lega i sospetti di Gandalf e l’evoluzione di Aragorn nel ranger che incontriamo a Brea.
La storia si colloca, quindi, sempre nella Terza Era; i personaggi sono sempre gli stessi, così come quell’aria di high fantasy che solo una location come la Nuova Zelanda può donare (mancata ne La Guerra dei Rohirrim, perché animato, e soprattutto nel giocattolo di Prime Video). Ian McKellen e Peter Jackson sul set de Lo HobbitOperazione nostalgia o nuovo avvincente capitolo? Di certo l’andazzo degli ultimi anni non fa mai ben sperare (e le pressioni mosse da Warner Bros. nemmeno), quindi non ci resta che attendere il 2027 considerando, inoltre, che quell’anno si parlerà anche di quarta stagione de Gli Anelli del Potere. Ne viene fuori potenzialmente una guerra tra compagnie di marketing che poco o nulla c’entra con il racconto secondario (tolkienianamente parlando). Ma chi ci perde da questa campagna è sempre solo il pubblico: ormai disabituato alla qualità e piuttosto nutrito di opere fasulle, meramente con fini commerciali, film “finiti” già ancora prima di uscire. E invece, come già dimostrato da Jackson, il cinema è sempre stato un ottimo veicolo di divulgazione tolkieniana, anche in chiave pop, ribelle forse, ma pur sempre devota e profondamente legata al lavoro del professore.

 

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La guerra dei Rohirrim: La recensione del film

Informative ImageDopo esser passato nella seconda parte di Dicembre nel resto del mondo, Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim arriva finalmente al cinema anche da noi. È approdato infatti in sala il 1° gennaio 2025, dopo una lunghissima attesa più che giustificata, dato che il film diretto da Kenji Kamiyama si porta dietro alcune interessanti e inedite premesse. Innanzitutto, si tratta di un’opera in stile anime, una tecnica finora mai utilizzata per un adattamento del Legendarium, ma, ancora più importante, è il fatto che il film rappresenta un prequel della trilogia di Peter Jackson, diventando così un capitolo ufficiale della saga del Signore degli Anelli, iniziata 25 anni fa e continuata qualche decennio successivo con Lo Hobbit.

Di cosa tratta il film?

Functional imageLa trama si concentra sulla storia di Helm Mandimartello e dell’assedio di Borgocorno, quel forte che verrà poi denominato Fosso di Helm dopo che il leggendario re di Rohan perì nel tentativo di difenderlo da un attacco dei Dunlandiani durante il Lungo Inverno. La fonte è la stessa che Prime Video ha sfruttato per le due attuali stagioni de Gli Anelli del Potere, ovvero le fantomatiche Appendici del Signore degli Anelli delle quali, anche in questo caso, viene sfruttata la sintesi per ampliare storie a volte appena abbozzate da Tolkien. Infatti, la vera novità che introduce il film, e che invece le appendici non specificano, è il personaggio di Hèra, l’unica figlia di Helm che il Professore ha nominato solo una volta senza indicarne il nome né raccontarne la storia. La Guerra dei Rohirrim è appunto raccontata proprio dal punto di vista di Hèra, valorosa guerriera della Casa di Eorl, eroina del film in salsa éowyniana, il tutto condito però da un’ambientazione, da musiche e in generale da un’atmosfera che rimanda direttamente ai film di Jackson. Alla produzione e alla sceneggiatura c’è non a caso quella stessa Philippa Boyens che già adattò Il Signore degli Anelli insieme alla coppia Jackson-Walsh.

Functional ImageTuttavia, sebbene non ci siano dubbi sul talento di Boyens, ciò non basta per rendere The War of the Rohirrim, un concentrato inventivo che ha le stesse premesse de Gli Anelli del Potere, un buon prodotto. Il risultato è difatti una grande operazione nostalgia in cui ad essere valorizzato è più l’intento commerciale che quello narrativo. Se c’è una cosa che viene spesso accreditata al team di Jackson è aver reso “pop” e accessibile il mondo di Tolkien anche a chi non lo ha mai letto (e non è intenzionato a farlo). La trilogia filmica del Signore degli Anelli assolve, tra le altre tantissime cose, anche a questo scopo, e lo fa proponendo film che “semplificano” l’epopea poetica, concentrando l’essenza del romanzo e allo stesso tempo offrendo lo show a quelle bocche affamate di battaglie in stile low fantasy. La Guerra dei Rohirrim intende riportare quindi quegli ormai gioiosi trentenni nell’epica visiva della Terra di Mezzo, con uno stile nuovo, più adatto ai tempi (e soprattutto alle mode), ma allo stesso tempo con ambizioni tecniche e narrative mai viste, e purtroppo nemmeno troppo rispettate, con il grande schermo che riesce a mostrare più i difetti che l’efficacia visiva dell’animazione. Questo fa da contorno a una storia che di per sé è fin troppo citazionista, riciclata in certi casi, uno scatolone nostalgico dove poter inserire veri e propri pezzi ripresi dalla trilogia. Per citarne alcuni: l’assedio del Fosso di Helm, con la cavalcata eucatastrofica di Gandalf nel finale delle Due Torri, e i continui riferimenti, come già detto, a Éowyn (che fa pure una comparsata). Tutto è buttato sostanzialmente nel calderone di una storia epica che sa però più di minestra riscaldata al microonde, di cui certamente non ci verrà la tentazione di scoprire gli ossi con cui è stata preparata.

Conclusioni

Functional ImageSe però c’è una cosa che ci insegna La guerra dei Rohirrim, al di là degli azzardi registici e ambizioni nipponiche di casa Warner Bros, resta tuttavia quell’estetica, tipicamente jacksoniana, che dimostra ancora una volta di più quanto sia impossibile staccarsi da quell’immaginario. Oggi, a 25 anni dalla Trilogia, siamo ancora inondati da un immaginario del quale è impossibile scollarsi. Viene veramente da chiedersi: si riuscirà mai a creare qualcosa di innovativo? Ma può essere anche una pretesa egoistica, se non addirittura utopica, pensare che un mondo così vasto come il Legendarium possa assumere nuove forme artistiche dopo Jackson. L’opera è una sola, così in letteratura come al cinema, riportarla fedelmente non è un reato.

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Un documentario sulla vita di Tolkien su Arte

Tolkien: la vera storia del Signore degli AnelliIl Reale nella letteratura fantastica è spesso fonte di infinito dibattito. Scavare a fondo in un’opera significa d’altronde entrare nella testa del suo autore, un modo di comprenderne le ispirazioni e intenzioni anche se, spesso, si trasforma in un gioco morboso che si allontana dal significato del fine autoriale per avvicinarsi, invece, al più mero pettegolezzo. Lo stesso Tolkien, per rispondere alle teorie dei lettori sui riferimenti realmente esistenti e poi allegorizzati nella Terra di Mezzo, aveva chiarito dividendo nettamente le due cose. Esiste un mondo primario (il nostro) e un mondo secondario (quello mitopoietico). Due realtà in generale connesse, che dialogano tra loro, ma equidistanti allo stesso tempo e parallele.

Eppure, la mente dei “fan” non ha mai smesso di vagare, nonostante le numerose smentite, alla ricerca di luoghi, episodi nel tempo, culture, colline, angoli di bosco e grotte che abbiano potuto influenzare il professore di Oxford nel procreare il suo compendio leggendario.

Di cosa tratta il nuovo documentario sul Signore degli Anelli?

Tolkien: la vera storia del Signore degli Anelli

Un ulteriore capitolo della saga “Sulle tracce tolkieniane” si è aggiunto qualche settimana fa, il 5 dicembre 2024, con l’uscita del documentario di produzione franco-tedesca intitolato Tolkien: la vera storia del Signore degli Anelli (Tolkien: Die wahre Geschichte der Ringe / Tolkien: la véritable histoire des anneaux), diretto da Jean-Christoph Caron e Matthias Schmidt e messo a disposizione gratuitamente sulla piattaforma Arte fino almeno al 5 marzo 2025. Un viaggio introspettivo nella vita dello scrittore e nelle esperienze che potrebbero averlo influenzato nella creazione del mondo di Arda. Vengono trattati così gli episodi più noti: la Prima guerra mondiale, l’infanzia a Birmingham, il rapporto prima con la madre e poi con la zia, i primi anni a Oxford, ma soprattutto il viaggio sulle Alpi in Svizzera (dove Tolkien rischiò di perdere la vita), al quale viene dato molto spazio grazie all’equipe di documentaristi che ha percorso i suoi stessi passi, tra rifugi e sentieri sulle montagne intorno al Lauterbrunnen.

Sul viaggio svizzero, che Tolkien compì nel 1911, gli autori non hanno dubbi: si tratta, addirittura, di un episodio determinante nella creazione di diversi personaggi (Gandalf e gli hobbit stessi) e fonte di ispirazione per numerosi luoghi (i Monti Brumosi, il Monte Fato, le stesse Morte Paludi). Il tutto narrato senza nascondere una certa fierezza (il documentario è infatti prodotto anche dalla ZDF, tv di stato tedesca), dove si cerca un dialogo con la cultura nordica, con la quale Tolkien possedeva, invece, un rapporto burrascoso a causa delle devianze nazionalsocialiste del suo secolo. Come non ricordare la Lettera n. 30 all’editore Rütten & Loening, che chiese a Tolkien i diritti dello Hobbit insieme a un “certificato di arianità”, missiva alla quale il professore rispose con il suo tipico humour: «Mi dispiace, ma sembra che io non abbia antenati di quel popolo dotato» (riferendosi a quello ebraico), o il fatto che Sauron non fosse in realtà un’allegoria della figura moderna del dittatore totalitario, come Hitler. Si ricorda, inoltre, del primo conflitto e di come esso fosse stato di ispirazione per gli orchi, che, si badi bene, non sono i nemici naturali di quella guerra (i tedeschi, dal punto di vista degli inglesi), posto deputato che invece spetta al medesimo contesto bellico massificato («In trincea eravamo tutti orchi» come scrisse Tolkien, in una lettera citata nel documentario).

Il ritratto tolkieniano fan-oriented: artista unico, oltre gli stereotipi

Il film è così un documento interessante arricchito di dettagli non così scontati, in grado di affrontare le più importanti tematiche a cui era legato Tolkien in vita. Si veda per esempio la sua visione della Storia, della perduta mitologia britannica, e del rapporto tra uomo e natura, in senso non ambientalistico fine a sé stesso, ma costruttivo di una visione più ampia e in un certo qual modo nostalgico. Il tutto è avvalorato da numerosi interventi di importanti esperti orbitanti soprattutto intorno all’accademia franco-tedesca degli studi tolkieniani: Thomas Dillinger, John Garth, Thomas Honegger, ma anche Stuart Lee, Vincent Ferré, Annika Röttinger, Dimitra Fimi, Marcel R. Bülles e Martin S. Monsch.

Soprattutto spicca il Tolkien artista, quello “unico” e “inimitabile” (che «Non esistono artisti come lui» lo ricorda anche lo studioso francese Vincent Ferré), come definito anche dalla studiosa nostrana Roberta Tosi nel suo L’arte di Tolkien. C’è inoltre il tema della donna, spesso veicolo di dibattiti, specie negli ultimi anni: la rivalutazione di un autore che – come se lo avessimo scoperto solo ora – ha in realtà scritto di grandi personaggi femminili (si citano Lúthien e Galadriel, ovviamente). Tolkien: la vera storia sa perfettamente dove andare a parare: è un tassello iniziale fan-oriented di chi si è approcciato all’autore da poco, con un focus principalmente indirizzato verso quella che è la cultura nordica-germanica, il racconto cronachistico della sua vita relazionata al Signore degli Anelli. Ma, a onor del vero, è anche un interessante racconto che non si risparmia chicche per i più amatori, tra cui la mitica teoria delle “ossa della minestra”. Ce n’é, insomma, per tutti i gusti.

SCHEDA TECNICA

Regia: Jean-Christoph Caron e Matthias Schmidt
Paese: Germania – Francia
Anno: 2024
Durata: 202491 min
Disponibilità: fino al 05/03/2025 a questo link

 

Descrizione: «Io stesso mi sento un Hobbit, tranne per la statura”. J.R.R. Tolkien, grande pioniere dei romanzi fantasy, capace di ispirare autori successivi (e persino musicisti come i Beatles), ha lasciato un segno indelebile nella letteratura mondiale del XX° secolo. Focalizzandosi su luoghi, esperienze ed eventi chiave della sua vita, a partire dalle sue amatissime West Midlands in Gran Bretagna, questo documentario risale alle fonti che hanno ispirato e alimentato la fertile immaginazione del Padre del Signore degli Anelli».

 

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LINK ESTERNI:
– Vai al sito del canale tv francese Arte

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FantastikA 2024: ecco la forma del fantastico

Il 2024 corona un’altra edizione di FantastikA, la biennale d’illustrazione dedicata al fantastico e in particolar modo all’illustrazione fantasy italiana. Come sempre, teatro dell’evento, svoltosi nel weekend del 21-22 settembre scorso, è il borgo di Dozza (BO), in un contesto semi-borderline causa alluvione. Nonostante siamo arrivati alla 7^ edizione, sono passati ufficialmente 10 anni da quel 2014 in cui, da un’intuizione di Ivan Cavini, si organizzò il primo FantastikA. Da quel momento il festival ha spesso cambiato volto, rimanendo però costantemente ancorato ai suoi luoghi prediletti: la Rocca sforzesca cinquecentesca, le mura di Dozza, ma anche la Tana del Drago, la sede dell’AIST. Stessa spiaggia stesso mare, ma non la formula e soprattutto la forma. Workshop, conferenze, incontri e mostre: tutto è servito per alimentare La Forma del Drago, difatti il tema che ha inaugurato questi dieci anni di festival.

Gli artisti di FantastikA 2024

Siamo entrati nel cuore di Fyrstan, il drago di Dozza che giace con il suo tesoro nella Rocca, simbolo non solo di FantastikA ma dello stesso immaginario fantastico, e del quale infatti il festival ha voluto analizzare la forma, anche mentis. Lo spazio che lo abita è diventato esso stesso il suo essere, un modo di intendere il fantasy, di studiarlo e venerarlo, senza dimenticare gli approfondimenti sugli svariati discorsi tolkieniani che da tempo l’AIST porta avanti con il proprio programma di studi. Alla Rocca sono passati così artisti e illustratori che in Italia continuano a proporre una forma nuova, in certi casi alternativa, di illustrazione tolkieniana e fantastica in generale. A partire da Ivan Cavini stesso, ma anche: Sandro Cleuzo, storico animatore per Disney, Warner e Dreamworks, che ha presentato una mostra dal titolo Draghi ed Elfi come li vedo io; il pittore nonché visual art educator Vittorio Bustaffa, la sempreverde Edvige Faini e il noto Paolo Barbieri, che a Dozza ha spiegato come e quando è nato il fantasy in L’invenzione del fantastico. Un’edizione che non ha potuto esimersi dall’analizzare a fondo anche il tema dell’IA, l’arte digitale autogenerata che sconvolge gli artisti primi tra tutti e, in secondo luogo, i fruitori.

Il futuro della rappresentazione tolkieniana

Linguaggi e forme che cambiano delineano una decima edizione di FantastikA con la sua programmazione di conferenze, tavole rotonde (e visite guidate) con e da parte di tutti gli studiosi italiani più importanti. La Tana del Drago e il teatro comunale di Dozza si sono riempiti anche quest’anno di appuntamenti dove si è ragionato sul passato, illustrativo e non, presente e futuro della rappresentazione tolkieniana. Dall’arte, le ispirazioni bestiarie di Aldrovandi analizzate dalla critica e storica dell’arte Roberta Tosi, fino al cinema e il piccolo schermo, nel periodo in cui la serie Gli Anelli del Potere fa molto parlare di sé. Ne ha discusso Paolo Nardi, con una conferenza dal titolo provocatorio: la serie Amazon è tolkieniana o jacksoniana?. E poi: la presentazione a opera di Wu Ming 4 e Roberto Arduini del nuovo volume de I Quaderni di Arda; la conferenza di Loredana Lipperini (che ha ricevuto anche il Drago d’Oro) sul destino dello studio e del rapporto tra fantasy e pubblico; il ciclo di incontri Parole dipinte, tre rappresentazioni originali di Ivan Cavini che puntano a dimostrare che l’illustrazione è arte: il Morgoth spiegato dalla studiosa Barbara Sanguineti, Lo specchio di Galadriel analizzato da Elisabetta Marchi, e il Dialogo con Gollum condotto da Wu Ming 4; il Sir Gawain analizzato da Luca Manini; le letture – introdotte dal vicedirettore di Lucca Comics & Games Emanuele Vietina e a opera di Riccardo Ricobello – e i retroscena della nuova traduzione di Wu Ming 4 dello Hobbit, in uscita con Bompiani a novembre. Sono solo alcuni dei tanti appuntamenti che hanno arricchito il weekend tra le colline della provincia bolognese, momento in cui il caldo cuore del drago andava al ritmo della stessa energia procreatrice che solo i volontari e gli ospiti (anche internazionali) di un festival come FantastikA riesce a donare. Accade ogni due anni, ma con l’animo saremo sempre lì: assopiti come Fyrstan attendiamo l’ora del risveglio.

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