I saggi dell’AIST: La Contea di Saruman

Elisabetta MarchiIl saggio di Elisabetta Marchi che viene proposto qui è un testo importante. Già in passato questa socia dell’AIST ha dato prova di sapere applicare mirabilmente la propria formazione sociologica alla lettura dell’opera di Tolkien. Suo è il saggio Bilbo Baggins e la Contea: una carriera deviante, pubblicato su questo stesso sito web e che ha dato vita a una bella discussione.
Questa sua ultima prova, invece, analizza con gli strumenti dell’indagine sociologica la Contea di Saruman, cioè il nuovo ordine imposto da Saruman al paese degli Hobbit, per come viene descritto da Tolkien nel capitolo “Percorrendo la Contea” del Signore degli Anelli.
L’importanza del saggio consiste nel fatto che coglie un’evidenza paradossalmente poco considerata nell’annoso dibattito su quel capitolo.
Tolkien compassFin dalle letture allegoriche degli anni Cinquanta, che vedevano nella Contea di Saruman una critica ai governi laburisti del decennio 1945-55, rigettate da Tolkien stesso (vedi lettera n.181); passando per quelle diametralmente opposte degli anni Settanta, con il saggio di Robert Plank “Tolkien’s View of Fascism” in Tolkien Compass (1975); fino alle più recenti letture anarcocapitaliste di Carlo Stagnaro e Alberto Mingardi in Tolkien politico (2003), i critici non hanno mai smesso di tirare quel capitolo da una parte o dall’altra.
Elisabetta Marchi non ignora questo pregresso e parte quindi da una constatazione necessaria: «Si tratta di avere ben chiara l’idea che ogni spiegazione causale è soltanto una visione frammentaria e parziale della realtà indagata. Il postulato fondante di una lettura mirata sta quindi nella precisa consapevolezza che il punto di vista da cui si legge è inscindibile dai valori del ricercatore, la cui onestà sta unicamente nel leggere le affinità che ritrova nel testo senza inventarle».

Ogni lettura è parziale. Ma solo le letture che non inventano ciò che non c’è – o, si potrebbe aggiungere, che non ignorano ciò che c’è – possono dirsi intellettualmente oneste.
Helmut Dohle: SarumanElisabetta Marchi si limita a leggere ciò che c’è nella storia di Tolkien, l’essenziale, e fa cadere in un attimo molti castelli di carta. Innanzi tutto quelli di chi ha voluto leggere nel celebre capitolo un’allegoria del cosiddetto totalitarismo novecentesco.
Il potere secolare di Saruman nella Contea infatti non assomiglia né ai regimi nazifascisti né a quelli comunisti, dato che è privo delle due leve principali che hanno sorretto quei sistemi: l’ideologia fondativa e la propaganda che la diffonde e crea consenso. Non c’è alcun piano retorico-ideologico nel dominio che Saruman instaura subdolamente nella Contea. Saruman avrà pure una voce suadente, ma gli serve per insinuarsi gradualmente nel paese degli Hobbit, senza chiasso e senza rivoluzioni (vere o presunte), sfruttando piuttosto delle teste di legno (Lotho Sackville-Baggins).

Che tipo di regime instaura Saruman? Si tratta di un sistema che prevede l’avvio dell’industria, la pianificazione delle attività produttive, l’organizzazione del commercio, l’aumento della burocrazia e del controllo poliziesco. Questi sono tutti aspetti che la storia europea ha conosciuto bene, ma in tempi precedenti e con risultati assai più duraturi di quelli dei cosiddetti regimi totalitari. Corrispondono infatti alla grande trasformazione che ha traghettato l’Europa dalle società tradizionali a quelle moderne.
Ciò che Tolkien racconta con l’avvento del potere di Saruman è qualcosa di molto simile alla nascita dello stato moderno. Lo stato che ha bisogno di omologare i comportamenti e di renderli funzionali: «L’influenza livellatrice dell’organizzazione, infatti, non può che ostacolare le decisioni indipendenti, finendo così per soffocare e controllare l’individuo».

Disegni: "The Hill: Hobbiton across the Water" di J.R.R. TolkienL’autrice però è attenta a non cascare in facili semplificazioni, ed entra piuttosto nel merito di questo passaggio, constatando come la Contea che subisce la violenta trasformazione non sia già più una società tradizionale. All’arrivo di Saruman, infatti, è un luogo già in parte moderno, dove l’aristocrazia è un vago retaggio, le differenze di censo prevalgono sulle differenze di status, l’etica della common people prevale su quella gentilizia, ecc.
Ciò che Saruman imporrà alla Contea è la razionalizzazione della legislazione, della produzione, del commercio, dell’uso del territorio. La razionalizzazione – che non è sinonimo di razionalità – è il processo innescato dallo stato moderno, appunto, che smantella i vecchi schemi sociali e le appartenenze tradizionali, per rendere la società più controllabile e più efficiente. E può attuarsi nella Contea – al contrario che in altre società della Terra di Mezzo – proprio perché gli Hobbit sono già oltre il feudalesimo, sono già approdati a una visione del mondo protoborghese.

Razionalizzare e modernizzare significa anche migliorare il rapporto tra costi e benefici, laddove i benefici sono intesi come maggiore margine di profitto: il mulino industriale soppianta il mulino ad acqua, gli alberi vengono abbattuti per farne legname e fare spazio a nuovi edifici utili a immagazzinare il surplus di prodotto da esportare.
Nell’economia capitalistica la frazione chiave è quantità di prodotto su unità di tempo. Poiché il tempo è denaro, risparmiare tempo equivale a risparmiare denaro e aumentare il margine di profitto. La fretta è il tratto distintivo della moderna società capitalistica, ma è anche il grande difetto di Saruman, secondo quanto sostengono Barbalbero e Gandalf.

«Attraverso l’affermarsi della razionalità in molti degli ambiti della vita sociale e l’aumento dell’utilizzo della tecnologia, la Contea si trasforma in una società spersonalizzata, la cui legittimità poggia sull’autorità burocratica codificata da procedure certe, verificabili e socialmente condivise».
Questo punto – fa notare ancora l’autrice del saggio – segna anche la differenza qualitativa tra il regime di Saruman e quello di Sauron. Se, come dice Frodo, attraverso Saruman lo spirito di Mordor è arrivato nella Contea, è pur vero che il potere di Sauron a Mordor non è affatto un potere “moderno”. In quel caso si tratta infatti di una dittatura monocratica e schiavistica, basata sul carisma e sul terrore incusso direttamente dal tiranno. Insomma tutto il contrario della razionalizzazione e spersonalizzazione che sta alla base del moderno potere sarumaniano.

Illustrazione: dettaglio di "The Scouring of the Shire" dei fratelli HildebrandtC’è infine un ultimo elemento di riflessione, forse il più spinoso del saggio, e riguarda un aspetto caro a Tolkien: l’esercizio del libero arbitrio rispetto alle imposizioni delle circostanze. Libero arbitrio significa esercizio della libertà di scelta, dunque assunzione di responsabilità. La passività e l’inerzia della società Hobbit sotto il dominio di Saruman deve lasciare il posto al ripristino della libertà e della responsabilità in un modello sociale che però – lo si è visto – non è né statico né specchio di un ordine eterno.
Se è vero che Tolkien stesso manifesta la più antimoderna sfiducia per la formalizzazione dei princìpi in quanto premessa “costituzionale” dello stato moderno (vedi lettera n.186), è altrettanto vero che, da cattolico, confida nella possibilità che l’essere umano usi da sé la ragione per fare la cosa giusta, cioè per praticare e affermare quei princìpi e quelle virtù. Ma questo implica anche la possibilità che la ragione individuale entri in conflitto con la storia, ribellandosi all’imposizione e non già affidandosi remissivamente alla provvidenza (Tolkien non è Manzoni). Da questo punto di vista, se da un lato la moderna società pianificata si basa sulla delega delle decisioni alla casta dei pianificatori produttivisti, dall’altro lato nemmeno la società di tipo organicistico può garantire l’esercizio del libero arbitrio. Dunque – volente o nolente – Tolkien rimane, come chiunque, un uomo del proprio tempo, un moderno post-illuminista:

«A un modello economico e sociale basato sui principi della razionalità formale in cui l’influenza livellatrice dell’organizzazione burocratica finisce per soffocare e controllare l’individuo privandolo della libertà di scelta, Tolkien contrappone così il libero arbitrio e la ragione illuministica, vale a dire la capacità dell’individuo di avvalersi del proprio intelletto come guida nelle scelte da compiere».

Inutile dire che un tasto come questo, anche solo sfiorato, potrebbe far nascere un bel dibattito.
Buona lettura.

Scarica il saggio di Elisabetta Marchi:
La Contea di Saruman – Elisabetta Marchi

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Il Fantasy a Messina: c’è anche J.R.R. Tolkien

Combattimento con l'orcoRitorna per il secondo anno consecutivo il Messina Fantasy Fest, due giorni, dal 10 all’11 maggio dalle 10 alle 21, dedicati a giochi, tornei e spettacoli nella suggestiva cornice di forte Ogliastri. Un evento che è frutto della collaborazione tra l’associazione Demetra e il Rodarat Club in collaborazione con l’assessorato alla cultura del comune di Messina. Il festival nasce dalla volontà dei giovani volontari della famiglia rotariana di sostenere il centro diurno Camelot, sito nella cittadella sanitaria Mandalari, che si occupa di persone affette da disabilità mentali. «Abbiamo deciso di unire le energie con il Comune per sostenere, come nostra consuetudine, i soggetti più deboli ed esposti ad abusi: le donne ed i bambini», Fabrizio Palmeri dell’associazione Demetra. Verranno raccolte offerte libere e spontanee: «Destineremo la cifra raccolta al Centro Donne AntiViolenza. Negli anni le associazioni che si sono mobilitate al nostro fianco si sono quadruplicate
conferenzae alcune di esse vengono fin da Trapani o da Reggio Calabria». «Quest’anno l’amministrazione ha potuto dare un piccolo contributo a questa iniziativa – ha fatto sapere l’assessore alla cultura Tonino Perna – ma mi auguro, guardando con fiducia la futuro, che possa trasformarsi già dal 2015 nel Fantasy Fest dello Stretto nel solco di una ormai ben avviata collaborazione con la città di Reggio Calabria».