Il Silmarillion: un afflato d’eternità

copertina Il SilmarillionUna delle caratteristiche che più distingue l’opera tolkieniana da quella di tanti altri scrittori è la profondità storica e mitologica del suo mondo, profondità che i lettori italiani possono apprezzare di più grazie al Silmarillion, la raccolta di leggende che pubblicò il figlio Christopher nel 1977, carissime al Professore e che tentò più volte di pubblicare, come dimostrano le sue lettere:
Da quando ho rivelato questa sciocchezza privata e tanto amata, ho sofferto un senso di paura e perdita; e penso che se a Lei fosse sembrata una sciocchezza, ne sarei stato veramente distrutto. Non mi importa dei versi, che malgrado qualche passaggio virtuosistico hanno grossi difetti, poiché per me sono solamente la materia prima di partenza. Ma ora spero certamente, un giorno, di essere in grado, o di potermi permettere, di pubblicare il Silmarillion!” (Lettera 19, a Stanley Unwin, 16 dicembre 1937)
Ma cos’è esattamente il Silmarillion, come spiegarlo a chi non l’ha letto, come proporlo a chi ancora non si è avvicinato ad uno dei testi tolkieniani più affascinanti?
Ecco la presentazione di Nicola Nannerini.

Il Silmarillion: un afflato d’eternità

Grande “Pentateuco” mitografico, Il Silmarillion è il fertile alveo dal quale si dipartono – ed in virtù del quale possono essere meglio comprese – tutte le altre opere del filologo e scrittore britannico J.R.R. Tolkien. È un’opera che riveste, nel quadro della sua produzione letteraria, un ruolo di primo piano, non solo in senso cronologico, ma anche sul piano tematico e formale.
Christopher TolkienLa complessa gestazione del lavoro interessa di fatto tutta la vita dell’autore: i primi taccuini di appunti risalgono agli anni 1916-1917, ed ancora agli inizi degli anni ’50 egli poneva mano al materiale che già era confluito in alcune delle saghe che costituiscono la struttura dell’opera, per un’estrema revisione di lingua e contenuto (1). La stesura dei singoli racconti, nati in maniera semi-indipendente e faticosamente riorganizzati in una struttura coerente dal figlio Christopher, si era intercalata spesso al lavoro condotto su altre opere; la stessa edizione de Il Signore degli Anelli, il cui manoscritto era già pronto, dovette attendere la conclusione de Il Silmarillion, poiché Tolkien auspicava una pubblicazione congiunta – desiderio destinato a non realizzarsi. Quest’ultimo, infatti, viene dato alle stampe postumo, nel 1977, da Christopher Tolkien e da Guy Gavriel Kay: il loro intervento, condotto su materiali ancora disomogenei e solo parzialmente completi, deve essere tenuto in adeguato conto, sebbene costante e lodevole sia il tentativo di restare quanto più possibile fedeli allo stile e alle intenzioni dell’autore.
Più che singolo testo ovvero opera conclusa in sé, Il Silmarillion è un corpus testuale molto articolato, la cui effettiva configurazione concreta – così come essa doveva presentarsi nella mente del suo autore – ancora sfugge e probabilmente continuerà a farlo (2): la critica tolkieniana, pertanto, conosce queste due declinazioni del titolo: da una parte il libro edito nel 1977 cui normalmente si suole riferirsi; dall’altra l’intero complesso delle creazioni letterarie concernenti l’universo di Arda (3).
Silmarillion08Il nucleo narrativo poggia sui tre silmaril, gemme purissime e preziosissime forgiate dall’Elfo Fëanor con la luce degli Alberi di Valinor, Teleperion e Laurelin, rispettivamente l’Albero d’argento e l’Albero d’oro. Entità originate dal canto di Yavanna, sposa di Aulë, sono responsabili della prima illuminazione del mondo: dopo la loro distruzione fu possibile solo raccoglierne l’ultimo fiore e l’ultimo frutto, destinati a diventare il sole e la luna. In virtù di questo evento tragico, dunque, le gemme divengono le ultime depositarie della luce degli Alberi, scatenando le brame di possesso di Melkor/Morgoth, un Vala, come Aulë, ma decaduto al tempo della creazione di Arda e perennemente votato al male. Egli sarà capace, grazie alle sue subdole arti della parola, a suscitare l’invidia ed il sospetto tra Fëanor ed il fratellastro Fingolfin, e tra Fëanor ed i Valar stessi, causandone l’esilio. Avendo così diviso ed indebolito i suoi nemici, l’Oscuro Nemico del Mondo raggiunge l’obiettivo di conquistare i manufatti tanto spasimati, uccidendo il re dei Noldor Finwë, padre di Fëanor. Quest’ultimo, preda di una collera furibonda, sfida la decisione di allontanarlo e guida i suoi verso la Terra di Mezzo, coinvolgendo nella sua impresa i destini degli Elfi ma anche degli Uomini. Contro Morgoth saranno combattute cinque grandi battaglie, e la conclusiva lo vedrà infine sconfitto e gettato nel vuoto esterno ad Arda. Questi gli eventi narrati nei capitoli che costituiscono la terza parte del libro, intitolata Quenta Silmarillion.
Eru Iluvatar - Jian GuoLa prima, l’Ainulindalë, contiene il mito cosmogonico della nascita del mondo, che si deve alla deità Eru (o Ilúvatar) ed agli Ainur, potenti entità originatesi dal suo pensiero. Essi partecipano della melodia impostata dal dio, ed in essa vi intuiscono gli elementi della creazione e della futura storia, sebbene alcune parti questa rimangano note esclusivamente a lui. Manwë e Melkor sono i più potenti fra gli Ainur, nonché fratelli nella mente di Ilúvatar; il secondo, però, ben presto devia dallo spartito iniziale e dà così origine alla ribellione ed al male. Eru mette a conoscenza gli Ainur della futura venuta, in Arda, dei suoi figli: gli Elfi, i Primogeniti, destinati a vivere tanto a lungo quanto il mondo; e gli Uomini, i Successivi, beneficiati del dono della morte. Lungi dall’essere paradossale, quest’ultima è una caratteristica che sarà loro invidiata dalle divinità stesse. I Nani, invece, vengono creati di nascosto da Aulë grazie alle sue arti di fabbro: Ilúvatar, dopo averlo rimproverato per la sua disobbedienza, è mosso a compassione dal suo pentimento e decide di non distruggere la nuova razza, ma solo di posticiparne il risveglio. Gli Ainur possono così scendere nel mondo, dove vengono conosciuti come Valar, e dare inizio alla loro opera sub-creativa, in quanto riflesso della perfezione di Eru: il loro è un continuo confronto con Melkor, il quale è alla costante ricerca di nuove macchinazioni finalizzate a guastare quanto di buono vede sorgere in Arda.
La seconda, il Valaquenta, presenta i Valar e le altre creature divine di Arda. Narra quindi delle prime grandi battaglie tra le forze del bene e quelle del male, la seconda delle quali porta alla momentanea cattura di Melkor: questi, infatti, riesce presto a fuggire. Quindi, con l’aiuto di Ungolianth – un gigantesco mostro aracnoide di sesso femminile – dà l’assalto agli Alberi di Valinor, deciso a sopprimere la luce del mondo. Così il rostro venefico di Ungolianth spaccia per sempre le creazioni di Yavanna, condannandole a disseccarsi, facendo piombare Arda nella tenebra.
Ted Nasmith: "Akallabeth - the downfall of Numenor"La quarta parte, Akallabêth, narra la saga di Númenor e della sua caduta. Il popolo dei Númenóreani è condannato alla perdizione dalla superbia e dalla brama di potere del re Ar-Pharazôn: costui, dopo aver sconfitto Sauron, decide di portarlo con sé, sottovalutandone le capacità dissimulatorie. Egli, infatti, diventa in breve suo intimo consigliere, e riesce a convincerlo a muovere guerra ai Valar: l’empietà del gesto è punita con l’inabissamento dell’isola e la distruzione della sua progredita civiltà. L’ultimo capitolo di questa parte si occupa della fondazione dei regni dei Númenóreani sopravvissuti, fra i quali quello di Gondor.
La quinta parte, Degli Anelli del Potere e della Terza Era, è l’immediato antecedente dei fatti che si verificano ne Il Signore degli Anelli. Qui, infatti, si esplicita l’origine degli anelli e la loro funzione nel piano di dominio totale partorito da Sauron.
Numerosi e complessi sono i temi che emergono: la mitopoiesi dell’autore certo è funzionale al potenziamento dell’universo scaturito dalla sua fantasia, qui descritto nelle Tre Ere della sua esistenza ed in particolare nelle prime due, ma anche alla creazione di una dimensione letteraria per la lingua che aveva inventato per Arda (4). Il patrimonio di miti così strutturato non pone in scena soltanto le azioni eroiche dei protagonisti o l’eziologia di alcune specificità di Arda – dai mutamenti morfologici, geografici e politici dei suoi continenti alla cultura e alle tradizioni dei suoi abitanti – ma è necessario soprattutto ad evocare il passato mitologico e mitografico inglese così come questo, nella mente dell’autore, avrebbe potuto essere (5).
Ted Nasmith: "The Oath of Feanor" - Giuramento di FëanorÈ interessante notare, inoltre, come proprio il personaggio di Fëanor smentisca il “manicheismo” che è stato spesso imputato a Il Silmarillion e agli altri capolavori tolkieniani. Il bene ed il male, lungi dall’appartenere a due campi contrapposti ed incomunicabili, sembrano compenetrarsi e convivere costantemente. L’Elfo, pur connotandosi primariamente come personaggio positivo, è ciononostante soggiogato dalla possessività per la sua creazione, così come dal suo carattere impulsivo, talora financo avventato, che porterà all’estremo le conseguenze negative di alcune sue azioni. Melkor/Morgoth, analogamente, è una figura angelica originariamente partecipe della perfezione e del bene di Ilúvatar, e successivamente traviata dalla gelosia per i Valar e dalla volontà di dominio e distruzione. Il Vala Aulë, quantunque personaggio indubbiamente positivo, è protagonista di un atto di ribellione in nuce, in quanto egli deroga dallo spartito originale cui era partecipe per elevarsi alla stessa dignità divina e creatrice di Ilúvatar, dando origine alla razza dei Nani. Solo la sua tempestiva contrizione e la finalità generosa del suo gesto valgono a evitare che egli sia un novello Melkor.
All’interno della vasta e fertile riflessione sul confronto tra il bene ed il male, insito in ogni elemento del reale, emerge la tematica della perdizione cui irrimediabilmente conduce la brama di potere e di possesso immodica e incontrollata: da Melkor ad Ar-Pharazôn, da Sauron a Fëanor, coloro i quali ne sono succubi sono indirizzati, in modo diverso, alla sofferenza ed alla catastrofe. L’apparire venale e caduco, rappresentato da tali pulsioni, è implicitamente contrapposto all’essere della spiritualità profonda, della purezza, della creazione generosa e stoicamente indirizzata alla sopportazione: il popolo degli Elfi, personaggio collettivo da annoverarsi fra i protagonisti del libro, racchiude in sé tali caratteristiche.
Il Silmarillion - edizione Bompiani (angoli smussati)Il Silmarillion si avvale di uno stile elevato ed aulico, non estraneo, nei suoi cataloghi genealogici, al sapore annalistico delle cronache antiche e medievali. Il registro linguistico, attentamente sorvegliato, concede adeguato spazio ad istanze fortemente liriche, realizzando così, grazie all’inclusione di brani poetici interni alla struttura narrativa, un sapiente gioco metaletterario che impreziosisce l’opera ed offre un’interessante variazione al ritmo della lettura e del racconto. Raffinato è il rimando implicito che il testo offre rispetto ad alcuni stilemi tipici dell’epica, quali i già citati cataloghi, le genealogie, le ekphràseis descrittive di carattere geografico e politico.
In ultima analisi, Il Silmarillion costituisce un momento fondante per un intero genere letterario, quello del fantasy moderno, e retroterra irrinunciabile per la comprensione del mondo de Il Signore degli Anelli e delle altre opere tolkieniane, perché ne costituisce l’afflato d’eterna (ed incontestata) longevità.

Note:

1. G. Nagy, Il Silmarillion, p.109, in S. Lee (edit.), A Companion to J.R.R. Tolkien, pp.107-119, Hoboken, 2014.
2. Ivi p.108.
3. Ivi p.106.
4. C. Phelpstead, Mith-making and Subcreation, p.81, in S. Lee (edit.), A Companion to J.R.R. Tolkien, pp.79-92, Hoboken, 2014.
5. L.A. Donovan, Middle-earth Mythology: An Overview, p. 93 in S. Lee (edit.), A Companion to J.R.R. Tolkien, pp. 92-106, Hoboken, 2014.

Nicola Nannerini

ARTICOLI PRECEDENTI:
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