Tolkien, gli esperantisti e il sonno di Omero

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Come sempre, la dialettica porta dibattito e nuove riflessioni. Avevamo già annunciato l’uscita del volume J.R.R.Tolkien l’esperantista – prima dell’arrivo di Bilbo Baggins curato da Oronzo Cilli (Cafagna Editore, 2015), pubblicando la prefazione che ne aveva scritto lo studioso inglese John Garth, che potete leggere qui. Ora eccovi una recensione ad opera di Wu Ming 4, socio fondatore Aist e noto scrittore del collettivo omonimo e soprattutto, in questa sede, autore di diverse pubblicazioni dedicate a J.R.R. Tolkien (oltre che di un romanzo Stella del mattino), l’ultimo dei quali Difendere la Terra di Mezzo in cui è riuscito brillantemente, come scrive lui stesso, a «divulgare alcune tesi e punti di vista sull’opera di Tolkien che sono soprattutto patrimonio della comunità degli studiosi e di renderli accessibili a una platea più vasta», oltre a presentare acute analisi su temi e personaggi delle opere di Tolkien. È per questo motivo che siamo lieti di proporre ai lettori una recensione di chi i libri li legge e analizza in profondità. Buona lettura!

TOLKIEN, GLI ESPERANTISTI E IL SONNO DI OMERO
di Wu Ming 4

1. Avvertenza: scrivere con pregiudizio

Libri: Oronzo CIlli "Esperanto"La recensione che segue nasce all’ombra di un pregiudizio culturale. Pregiudizio sulla cultura di destra – per come la intendeva Furio Jesi – e sul nicodemismo di certi suoi esponenti a caccia di accreditamento, alcuni dei quali, com’è noto, in anni passati hanno fatto gran danno alla ricezione dell’opera di Tolkien in Italia. Il curatore e co-autore di J.R.R.Tolkien l’esperantista è Oronzo Cilli, definito da Gianfranco De Turris «tra i più importanti giovani studiosi italiani di Tolkien» (Il Giornale 27/06/2014). Non meraviglia l’affinità tra i due, se si tiene conto qual è il milieu da cui provengono entrambi, vale a dire gli ambienti dell’estrema destra politica e culturale italiana. Ma a differenza degli omologhi che l’hanno preceduto, Oronzo Cilli non si presenta al pubblico ignorando completamente il dibattito nel mondo anglosassone. Al contrario, si dota di tutti i contatti utili a qualificare un libro su Tolkien. In J.R.R.Tolkien l’esperantista sono dichiarate corrispondenze con noti studiosi della materia, con la Tolkien Estate, vi compaiono come coautori due esperti di lingue elfiche americani – A.R. Smith e P.H. Wynne – e il volume porta la prefazione del britannico John Garth, attualmente il più importante biografo tolkieniano. Alla prefazione però si arriverà alla fine, perché l’andamento di questa recensione sarà inverso: dal fondo alla cima. L’importante è che il lettore sia avvertito. Al suo giudizio spetterà poi raffrontare – se ne avrà voglia – il contenuto della critica e quello del libro.

2. Il fondo

Esperanto02Il saggio più lungo del volume è l’ultimo, quello del medesimo Oronzo Cilli, Tolkien e il movimento esperantista inglese, nel quale il curatore-autore illustra e contestualizza la sua scoperta: la firma di Tolkien in calce a un documento che proverebbe l’organicità dello scrittore al movimento esperantista. In quelle 44 pagine il lettore viene informato che Tolkien fece il boy scout; che il fondatore dei Boy Scout, Baden-Powell, aveva consigliato di utilizzare l’esperanto come lingua franca tra i gruppi delle varie nazionalità e questo potrebbe essere stato l’entry point di Tolkien a quella lingua; che nel 1930 si tenne a Oxford un congresso internazionale esperantista, al quale non risulta che Tolkien abbia partecipato, ma siccome vi partecipò un suo collega, è probabile che i due “ne abbiano discusso” (p. 93); che i partecipanti al Congresso erano… (segue un’intera pagina di nomi); che Tolkien venne nominato consigliere onorario del Comitato per l’educazione della British Esperanto Association e questo è “a oggi, il primo documento attestante la sua partecipazione al movimento esperantista inglese” (pag. 97); che tra gli aderenti al congresso esperantista britannico del 1933 sempre a Oxford compare il nome di Tolkien, ma “a oggi, della partecipazione di Tolkien al Congresso non vi è certezza” (p. 102) e anzi le ricerche bio-bibliografiche di Hammond e Scull lo escluderebbero; che la timeline della giornata del congresso era… (segue timeline); che la firma di Tolkien compare in calce a un documento del suddetto congresso intitolato Il valore educativo dell’esperanto, nel quale si sostiene l’adozione dell’esperanto nelle scuole come seconda lingua, per i seguenti motivi: Manuale dei boy-scout di Baden Powellvelocità dell’apprendimento, aiuto nella valutazione dell’apprendimento linguistico, facilitazione nell’uso delle parole, stimolo all’interdisciplinarità, possibilità di leggere la letteratura esperantista (segue una pagina e mezzo di firme).
Il saggio di Cilli si conclude menzionando sbrigativamente il fatto che nella seconda parte della sua vita Tolkien cambiò posizione rispetto all’esperanto, fino a definirlo una lingua morta. Tuttavia secondo Cilli “il proseguimento dei rapporti con molti protagonisti del movimento non esclude del tutto un suo interessamento anche limitato” (p. 112). Certo, niente può escludere un interessamento limitato. Perfino chi scrive questa recensione, in questo momento si sta, in qualche modo, interessando all’esperanto. Le ultime parole del saggio fanno riferimento a un fantomatico “grande quadro che ancora deve essere svelato” (p. 113). E su questa nota di mistero si passa agli allegati documentali.

3. Esperantisti tengwarologi

Studiosi: Arden R. SmithLa parte centrale del libro coincide con il saggio dei due studiosi di lingue elfiche Arden R. Smith e Patrick H. Wynne, intitolato Tolkien e l’esperanto (pubblicato su una rivista americana nel 2000). La prima parte dell’articolo consiste nella disamina filologica di una pagina di taccuino scritta in esperanto da Tolkien all’età di diciassette anni. Dopodiché gli autori arrivano al celebre saggio del 1931 Un vizio segreto, nel quale Tolkien parlava della propria passione per le lingue artificiali e dichiarava anche di avere “una particolare predilezione per l’esperanto”.
Il motivo di tale predilezione, nelle parole di Tolkien, era fondamentalmente teorico: “si tratta in ultima analisi della creazione di un solo uomo, un non filologo, e di conseguenza mi appare come un ‘linguaggio umano scevro delle complicazioni dovute all’opera dei troppi cuochi che rovinano la minestra’: e questa è per me la miglior descrizione della lingua artificiale ideale” (citato a pag. 52).
Di seguito, Smith e Wynne riportano un lettera scritta da Tolkien al Comitato per l’educazione della British Esperanto Association di cui era stato nominato consigliere onorario, nella quale, a mo’ di excusatio non petita, lui stesso dichiara di avere soltanto una conoscenza basilare dell’esperanto:
“Non sono un esperantista pratico […]. Non posso né leggere né scrivere questa lingua. La conosco, come direbbe un filologo, in quanto 25 anni fa ne ho studiato la grammatica e la struttura e non l’ho dimenticata, e un tempo leggevo un buon quantitativo di cose scritte in questa lingua” (citato a pag. 53).
La lettera è del 1932, quando Tolkien aveva quarant’anni, e si colloca tra i due congressi esperantisti oxfordiani di cui sopra. Le parole di Tolkien sul fatto che da un quarto di secolo (cioè dall’adolescenza) non studiava più l’esperanto, e che non era più in grado di parlarlo o scriverlo, avendo smesso di leggere letteratura in esperanto da molti anni, bastano di per sé a ridimensionare la portata della scoperta di Cilli e rendono tanto più ridicola l’evocazione di chissà quali scenari.
Zamenhof: "Fundamento de Esperanto"La firma di Tolkien a favore dell’introduzione dell’esperanto nelle scuole – negli anni in cui si batteva per una riforma degli studi linguistici anche all’università – era evidentemente dovuta alla sua fiducia nel fatto che lo studio di un idioma artificiale potesse aprire la mente degli studenti alla riflessione e all’invenzione linguistica, com’era successo a lui.
Per altro, dopo gli anni Trenta, Tolkien cambiò radicalmente idea sulle lingue artificiali, anche se Smith e Wynne preferiscono dirlo con un eufemismo: “Sembra che in questo periodo l’opinione di Tolkien sulle lingue internazionali come l’esperanto fosse meno favorevole” (p. 59).
Nella bozza per la revisione di Un vizio segreto Tolkien dichiarava di non essere “più tanto convinto che [una lingua artificiale] sia cosa buona” (citato a p. 59-60). In una lettera degli anni Cinquanta il suo giudizio è ancora più duro. Parlando delle lingue artificiali, scrive che sono idiomi morti, “molto più morti di altre antiche lingue non più usate, perché i loro autori non hanno mai inventato delle leggende in esperanto” (lettera del 1956, citata a p. 60).
A questo punto i due studiosi americani non possono esimersi dall’affrontare la teoria linguistica a cui Tolkien approdò, fondata sulla coincidenza tra mitologia e linguaggio, e che rappresenta l’architrave della sua attività di narratore e filologo creativo. Per Tolkien non può esistere una lingua senza storie, il mito è linguaggio e il linguaggio è mito, si tratta di aspetti sincronici e coincidenti dell’attività umana. Una lingua senza storie è una lingua morta, in questo caso artificiale nel senso deteriore del termine. Tanto è vero che per dare spessore e credibilità alla propria invenzione linguistica, Tolkien si impegnò nella costruzione di un intero legendarium, dalla cosmogonia all’avvento del tempo storico.
Smith e Wynne però non sembrano cogliere la radicalità di questa teoria o forse proprio perché la colgono sono costretti a rigettarla per salvare l’esperanto:
“Le lingue come l’esperanto, create per uso pratico e quotidiano nel mondo reale, non hanno bisogno di generare storie; nel tempo, se riusciranno a sopravvivere e prosperare, acquisiranno le proprie storie e le proprie leggende, esattamente come il greco e un’infinità di altre lingue esistenti hanno fatto”. (p.63)
Contro la concezione mitolinguistica tolkieniana i due americani da un lato si appellano alla praticità tecnica della lingua, dall’altro lato affermano che le storie e le leggende verranno col tempo, come conseguenze diacroniche del linguaggio. Tolkien avrebbe trovato del tutto falso questo discorso ed è precisamente il motivo per cui finì per rigettare l’esperanto [1].

4. Storia ridicola dell’esperanto

Congresso internazionale sull'Esperanto a Oxford nel 1930In effetti è la vicenda stessa dell’esperanto a dimostrare che Tolkien aveva ragione. Lo si evince dai primi due contributi del volume, rispettivamente a cura di Tim Owen, della Esperanto Association of Britain, e di Renato Corsetti, della Federazione Esperantista Italiana.
Queste due brevi panoramiche sulle vicissitudini dell’esperanto in Gran Bretagna e in Italia dimostrano perché un idioma inventato a tavolino, con moventi di ordine ideale o tecnico-pratico, senza alcun retroterra storico, risulterà sempre artificioso e fragile. Ovvero sarà soggetto ai ghiribizzi della sorte, alle idiosincrasie del singolo linguista, agli scismi, alle decisioni burocratiche delle organizzazioni internazionali, alle pressioni politiche.
Una lingua con una profondità storica, una lingua che racconta storie e coincide con le storie che racconta, ha un metabolismo e una vita diversi, è connessa agli eventi mondiali e alle generazioni, a spostamenti di popoli, guerre, commerci, rapporti di forza e di interscambio. E’ così che le lingue vivono e muoiono, o piuttosto si trasformano. Il greco e il latino non sono lingue morte, diceva una professoressa di lettere classiche, sopravvivono nelle lingue romanze; così come non era morto l’antico inglese per il professor Tolkien.
E qui sarà anche il caso di fare le pulci al propagandismo esperantista che connota il saggio di Corsetti e che rivela molto del vero intento di questo libro:
“Nato da un ideale di pace, collaborazione e intercomprensione tra gli uomini, l’esperanto si pone al di sopra di ogni differenza etnica, politica, religiosa, e – proprio perché lingua propria di nessuna nazione e insieme accessibile a tutti su una base di uguaglianza – tutela contro il predominio culturale ed economico dei più forti e contro i rischi di una visione monoculturale del mondo” (p. 26).
A Philologist for EsperantoNon c’è bisogno di mettere in discussione i nobili ideali che mossero Zamenhof per affermare che – da figlio del proprio tempo qual era – ideò una lingua al 100% “bianca”, elaborata sulla base di una mescolanza di radici e parole europee. Guardando l’esperanto dall’Africa, dall’Asia o dall’Oceania, diventa ben difficile capire come una lingua franca ultraeuropea dovrebbe tutelare dal predominio di quella parte del mondo sulle altre o da una visione monoculturale.
Da questo punto di vista Tolkien, anche nella sua fase di ammirazione per le lingue artificiali era assai più consapevole di quali fossero i loro confini impliciti. Infatti si diceva entusiasta di quegli idiomi “quanto meno per l’Europa” e li auspicava “come presupposto possibile e necessario all’unificazione dell’Europa prima che venga fagocitata dalla non Europa” (citato a pag. 51). Queste parole da affezionato conservatore del Vecchio Mondo dimostrano quanto fosse lontano dalla concezione della lingua artificiale come strumento neutrale e universalistico espressa da Corsetti.

5. Mr. Garth e gli scienziati

Studiosi: John Garth (foto © Erin Beck)Eccoci infine al principio. Cioè alla firma più illustre che compare nel volume, quella di John Garth.
La prima cosa che salta agli occhi nella sua prefazione è l’insistenza su una condivisione di “ideali” da parte di Zamenhof e Tolkien, senza però che questo aspetto sia mai approfondito. Garth si spinge poi a un parallelo tra le vicende dell’esperanto e quelle narrate nel Silmarillion (sic!), cerca labili coincidenze cronologiche (l’anno in cui la BBC rifiuta di trasmettere un programma sul cinquantenario dell’esperanto è anche l’anno di pubblicazione de Lo Hobbit… e quindi?), ovviamente cita tutti i documenti attestati sull’adesione di Tolkien all’esperanto, ma poi non può glissare sul suo cambio di rotta. E quando deve tirare le fila lo fa in maniera impacciata e contraddittoria. Alla fine si limita a concludere che “se l’esperanto inizialmente contribuì ad alimentare l’aspirazione di Tolkien a creare linguaggi propri, questa è di certo un’influenza importante. Se poi Tolkien divenne profondamente consapevole dei limiti di ciò che vide, questo è ancor più importante – poiché il suo tentativo di superare quei limiti portò alla creazione dell’Elfico e della Terra di Mezzo” (p. 12).
Tutto qui, dunque. Garth suggerisce una funzione dialettica dell’esperanto, che avrebbe fornito al Tolkien maturo la consapevolezza del limite da superare.
Per dire questo c’era bisogno di un libro pretestuoso e pretenzioso al tempo stesso, dal titolo fuorviante, e argomentato in maniera così maldestra? C’era bisogno di aggiungere gli esperantisti al novero di quelli che tirano Tolkien per la giacca?
Anche no.
Monti Buzzetti: Julius EvolaIl libro inaugura una collana curata da Cilli per l’editore Cafagna, intitolata “Il mondo di Tolkien”, nel cui comitato scientifico compaiono i nomi delle persone coinvolte a vario titolo nel volume. Gli autori stessi; la traduttrice Greta Bertani, già autrice di un libro su Tolkien e la Sacre Scritture pubblicato dalla casa editrice Il Cerchio; Adriano Monti Buzzetti, giornalista radiotelevisivo, ma qui in veste di autore dell’illustrazione di copertina (che fa il paio con un suo ritratto di Julius Evola “esposto” sul sito della Fondazione omonima: il già menzionato John Garth; e in cima alla lista, Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Lascia parecchio perplessi il fatto che un libro di così poco momento e una così male assortita compagnia includano la firma del biografo di Tolkien e quella del più infaticabile studioso e organizzatore di attività tolkieniane in Italia. Verrebbe da dire, per usare una lingua (mai) morta: Quandoque bonus dormitat Homerus. L’importante è che poi si svegli.

 

[1] Altri due studiosi che cercano di smussare questa evidenza sono Dimitra Fimi e Andrew Higgins, che nell’introduzione all’edizione filologica di A Secret Vice (2016) – dove, non a caso, vengono citati sia il lavoro di Smith e Wynne sia le scoperte documentali di Cilli – scrivono: “The fact that Esperanto has allowed a shared tradition and culture to ‘breed’ among its speakers, makes it more sympathetic to Tolkien’s ideals for invented languages than the older Tolkien is willing to admit.” (pag. 48).

Recensione a J.R.R.Tolkien l’esperantista – prima dell’arrivo di Bilbo Baggins
(a cura) di O. Cilli, Cafagna Editore, 2015

LINK ESTERNI
– Vai al sito della della casa editrice Cafagna
– Vai al Blog di Oronzo Cilli
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Tolkien l’esperantista: la prefazione di Garth

Studiosi: John Garth (foto © Erin Beck)È disponibile da oggi sul sito dell’editore il volume Tolkien l’esperantista, – Prima dell’arrivo di Bilbo Baggins, (Cafagna editore, 160 pp., 15 euro) collectanea di saggi che ricostruisce, grazie al lavoro di Oronzo Cilli, Arden R. Smith, e Patrick H. Wynne, il rapporto J.R.R. Tolkien e l’Esperanto, la lingua pianificata da Ludwik L. Zamenhof, la più conosciuta tra le lingue ausiliarie internazionali e oggi parlata da più di due milioni di persone.
Libri: Oronzo CIlli "Esperanto"Il libro illustra le esperienze dello scrittore inglese con i linguaggi inventati e analizza approfonditamente il primo approccio con l’Esperanto a partire da un suo taccuino del 1909 da lui titolato Book of the Foxrook, per passare a riflessioni più accademiche nel suo saggio A Secret Vice, pubblicato postumo, fino a giungere al suo impegno attivo negli anni Trenta a favore della lingua inventata da Zamehof e la sua partecipazione ai convegni esperantisti organizzati a Oxford. In occasione di questa uscita riportiamo la prefazione del libro, affidata a John Garth. Si tratta di uno dei più importanti studiosi di Tolkien, autore di Tolkien e la Grande Guerra. La soglia della Terra di Mezzo (Marietti 1820, 2007) e Tolkien at Exeter College (Exeter College, 2014), oltre a essere socio onorario della nostra Associazione.

La prefazione di John Garth

Studiosi: John GarthUno studioso solitario, ispirato dalle lingue europee vive, crea un nuovo linguaggio e sogna la nascita di un nuovo mondo – un mondo definito dalla speranza. Anche se non esistono parlanti madrelingua, esso cattura l’immaginazione di molte persone in molte nazioni, e si formano associazioni per incoraggiarne lo studio.
Ovviamente, sto scrivendo di Zamenhof – ed allo stesso tempo di Tolkien. Tuttavia il lettore potrebbe pensare che si tratti di un semplice gioco, ma davvero l’“Elfico” di Tolkien (in realtà, una serie di lingue intercorrelate ed altre vicine non elfiche appena abbozzate) non ha nulla in comune con l’esperanto? Le lingue di Tolkien sono di fantasia, parlate da gente di fantasia; l’esperanto di Zamenhof è stato pianificato per essere parlato da gente reale, per infrangere le barriere linguistiche esistenti, e così cambiare il mondo in cui viviamo. Al contempo, il Quenya e il Sindarin possiedono qualità estetiche, alle quali sono associati un sostrato culturale e storie mitologiche, nonchè un intrecciarsi di storia linguistica degno delle lingue reali – tutte cose di cui l’esperanto non sembra volersi vantare.
Zamenhof: "Fundamento de Esperanto"Tuttavia, i due progetti hanno in comune la convinzione che la lingua sia il fattore determinante della nostra esistenza in quanto esseri razionali, e che essa contenga il seme della speranza per un mondo migliore. Zamenhof e Tolkien erano linguisti geniali, pionieri che aprirono nuove strade in quel campo, che estesero i limiti della stessa creatività umana, e fecero sogni più grandi di quanto molti di noi non osino sognare C’è di più: Tolkien stesso aderì all’esperanto, imparandolo in gioventù per diletto personale, per scrivere “in codice”, ed esprimere i suoi ideali.
Il capitolo introduttivo di Tim Owen fornisce un ampio contesto storico, mostrandoci quanto il mondo fosse interessato all’esperanto nel momento in cui Tolkien ne subì il fascino. La storia della sua creazione e diffusione, del tradimento e delle divisioni, della morte del suo creatore nel bel mezzo di una Guerra senza precedenti, riecheggia per certi versi il Silmarillion. Ci fu anche una sovrapposizione cronologica: Tolkien, come sembra, iniziò a creare il Quenya nel 1914 e l’anno seguente le leggende ad esso associate. La Terra di Mezzo non ebbe, comunque, un pubblico fino quando Lo Hobbit fu pubblicato nel 1937 –anno grave e oscuro per l’esperanto, come ci narra Owen.
Studiosi: Arden R. SmithPatrick H. Wynne e Arden R. Smith ci portano al cuore della questione, con un resoconto dello stretto rapporto di Tolkien con l’esperanto. Questo saggio, originariamente pubblicato sulla rivista «Seven», merita certamente di essere ripreso in questo volume. I suoi autori sono impegnati da vicino con la cura e la pubblicazione postuma dell’opera di Tolkien sulle sue lingue inventate – un progetto monumentale che merita una maggior diffusione – e pochi meglio di loro conoscono l’intima relazione tra la creazione dei linguaggi e i testi.
Questo lavoro include anche un breve testo di Tolkien stesso, Un filologo sull’esperanto, riprodotto da un numero del 1932 di «The British Esperantist», che ci fornisce uno sguardo caratteristico su Tolkien l’anti-purista. Le sue riflessioni più mature sul valore dell’esperanto – estetiche, ma anche pratiche e politiche – vengono ulteriormente indagate, originando interessanti mescolanze con le lingue “elfiche” di Tolkien.
Congresso internazionale sull'Esperanto a Oxford nel 1930Caratteristico è anche il fatto che Tolkien, avendo nel 1931 lodato gli sforzi per creare un “linguaggio umano scevro delle complicazioni dovute all’opera dei troppi cuochi che rovinano la minestra”, dovette più tardi rivedere il suo commento per avvertire che tali sforzi sarebbero potuti sfociare in “una lingua disumana del tutto priva di cuochi”. Dopo la pubblicazione de Il Signore degli Anelli, la crescente fiducia nel proprio lavoro – in cui le lingue inventate sono inestricabilmente connesse alla mitologia – sembra accompagnata da una crescente attitudine a vedere l’artificiosità in ogni linguaggio carente di un legendarium. Forse, sapere che molti lettori, oggigiorno, possono godere de Il Signore degli Anelli e de Lo Hobbit in esperanto, ne avrebbe mitigata l’opinione.
A diciassette anni, Tolkien usò l’esperanto in un quaderno contenente il suo primo sistema di scrittura inventata da noi conosciuto. Smith e Wynne penetrano ingegnosamente nel pensiero del giovane Tolkien, fornendo un ulteriore contesto prezioso – così che possiamo vedere l’intrigante ed apparente paradosso del giovane Tolkien, che, autoprofessandosi desideroso di costruire una mitologia per l’Inghilterra, fu anche affascinato da una lingua progettata per superare le divisioni tra nazioni.
Esperanto02Tuttavia, davvero Tolkien usò l’esperanto per questioni di segretezza? Questo libretto non poteva essere piuttosto inteso come da condividere con un gruppo ristretto – forse con i compagni Boy Scouts come suo fratello Hilary? È questo l’argomento presentato da Oronzo Cilli nella parte finale di questo libro – un lavoro da certosino che va in profondità e arricchisce il quadro di fondo dell’interesse del giovane Tolkien per l’esperanto. Tutte le testimonianze sollevano la questione se Tolkien, se ne avesse avuto il tempo, si sarebbe potuto coinvolgere nelle attività dell’esperanto negli anni a seguire; e Cilli fornisce ricchi dettagli riguardanti il periodo in cui Tolkien fu a Oxford come professore. Non solo, ma Cilli ha scoperto un manifesto del 1933 firmato anche da Tolkien per chiedere l’introduzione dell’esperanto “come normale materia, ed … il suo uso nelle scuola del mondo”. È più che chiaro che l’esperanto era una presenza profonda nel mondo intellettuale di Tolkien, ma anche un argomento del quale egli deve aver parlato con amici e colleghi professori.
J.R.R. Tolkien soldato (1916)L’opinione di Tolkien sull’esperanto fu complessa e mutevole. Ebbene, nonostante sembri che, negli anni della maturità, si sia spostato su posizioni più critiche, sarebbe insensato sottovalutare l’influenza del progetto di Zamenhof su quello di Tolkien. Tolkien una volta ebbe a scrivere che inventò gli Ents perché deluso «di fronte all’uso scadente che Shakespeare fece del Grande bosco di Birnam sull’alta collina di Dusinane»: la foresta in movimento del Macbeth è solo un esercito di uomini camuffati con rami e frasche, ma ne Il Signore degli Anelli gli alberi marciano letteralmente alla guerra. Anche un’influenza negativa è comunque un’influenza, e molte delle invenzioni più immaginifiche di Tolkien nacquero in parte dalla frustrazione nel vedere i limiti delle creazioni di altri che lo precedettero. Se l’esperanto inizialmente contribuì ad alimentare l’aspirazione di Tolkien a creare linguaggi propri, questa è di certo un’influenza importante. Se poi Tolkien divenne profondamente consapevole dei limiti di ciò che vide, questo è ancor più importante – poiché il suo tentativo di superare quei limiti portò alla creazione dell’Elfico e della Terra di Mezzo.

Indice

Libri: Oronzo CIlli "Esperanto"Prefazione di John Garth
1887-1937: 50 anni di speranza e ottimismo, con uno sguardo particolare alla Gran Bretagna di Tim Owen
Intanto in Italia: la comunità esperantista italiana adesso e al tempo del primo Tolkien di Renato Corsetti
J.R.R. Tolkien l’esperantista
Tolkien e l’esperanto di Patrick H. Wynne e Arden R. Smith
Tolkien e il movimento esperantista inglese di Oronzo Cilli
– Ringraziamenti
– Indice dei nomi e dei luoghi

Cafagna editore, 160 pp., 15 euro
Per ordinare il volume si può andare qui

LINK ESTERNI
– Vai al sito della della casa editrice Cafagna
– Vai al Blog di Oronzo Cilli
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Convegni e università per le lingue elfiche

Corso di lingue elficheChi è veramente interessato alle lingue inventate da J.R.R. Tolkien si sarà già accorto ci come negli ultimi tempi questo campo di studi stia acquisendo sempre maggiore attenzione da parte degli studiosi. La novità è il respiro internazionale che ormai hanno assunto questi studi, tanto da entrare stabilmente all’università. Un convegno internazionale si sta svolgendo in Finlandia, mentre un seminario approfondito della durata di quasi due settimane si svolgerà alla Libera Università di Bruxelles, in Belgio. Tutto questo mentre due delle riviste più attive dedicate alle lingue tolkieniane pubblicheranno un nuovo numero. Ma iniziamo proprio da queste ultime.

Parma Eldalamberon n. 21

Riviste: Parma EldalamberonLa rivista Parma Eldalamberon, edita da Christopher Gilson, si dedica allo studio, all’editing e alla pubblicazione degli scritti di Tolkien che riguardano specificatamente i suoi linguaggi inventati. Molto di questo materiale inedito è tratto dagli archivi riservati della Tolkien Estate, perché Christopher Gilson, insieme ad Arden R. Smith, Bill Welden, Carl Hostetter e Patrick H. Wynne formano il gruppo (gli “Elfconners”) che fu incaricato nei primi anni Novanta dallo stesso Christopher Tolkien di studiare i manoscritti del padre. Pochi mesi è stato pubblicato il numero 20 della rivista Parma Eldalamberon, che contiene la prima versione del Qenya Alphabet, risalente al 1931 e composto cioè da quelle che saranno poi chiamate le «Tengwar fëanoriane», citate anche nel Signore degli Anelli. Ebbene, in occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa di Tolkien, il 2 settembre 1973, c’è ora l’annuncio della nuova pubblicazione del numero 21 di Parma Eldalamberon. Dopo il Qenya Alphabet, in questo numero avremo il set completo dei sostantivi Qenya. La rivista presenta gli scritti inediti di Tolkien riguardanti la declinazione dei sostantivi in ​​Qenya e le origini della struttura dei sostantivi in Quenya Primordiale ed Eldarin. Ecco il sommario del numero 21:
– Struttura dei sostantivi Qenya
– Qenya: declinazione dei sostantivi
– Quenya Primordiale: consonanti finali
– Eldarin Comune: Struttura dei sostantivi
Così, tra meno di un mese potremo finalmente sapere tutto (o quasi) sulla declinazione nominale del Quenya nel III e IV periodi in cui Tolkien se ne è occupato (gli altri due periodi sono appena stati pubblicati).. Si tratta di Oltre 100 pagine inedite di Tolkien sul linguaggio Quenya, da non perdere.
A questa notizia si aggiunge l’annuncio della pubblicazione di Arda Philology 4 e questo è lo spunto per il prossimo paragrafo.

Arda e Omentielva

Convegno: Omentielva lempëa - lezioneAppena ritirato dalla
tipografia, Arda Philology 4 raccoglie gli atti dei convegnoOmentielva lempëa del 2011. I primi esemplari del volume sono stati consegnati a Helsinki dove si sta tenendo in questi giorni la quinta edizione di questo convegno. Si tratta, appunto, della conferenza internazionale sui linguaggi inventati da Tolkien che si tiene a cadenza biennale e sempre in luoghi diversi (le edizioni si sono tenute a Stoccolma, Anversa, Whitehaven in Inghilterra e Valencia). Omentië è la parola Quenya utilizzata da Tolkien per «incontro», a tutti familiare perché contenuta nel Signore degli Anelli, nella frase «Elen síla lúmenn omentielvo». Lo scrittore in seguito ha affinato il suo significato a «incontro tra due parti». Ed è questo lo spirito a cui gli organizzatori voglio far riferimento: l’incontro tra chi organizza e coloro che si uniscono. Ogni partecipante può tenere una conferenza e sentire quella degli altri. In ogni caso, le conferenze sono tenute soprattutto dagli studiosi più noti provenienti da tutto il mondo, con le partecipazioni anche degli “Elfconners”, il gruppo in contatto con Christopher Tolkien. Quest’anno si sta svolgendo a Helsinki (Finlandia) dove fino all’11 agosto, nella sala conferenze della libreria internazionale Arkadia, il presidente Petri Tikka
e il segretario Anders Stenström coordineranno i lavori. Studiosi: Petri Tikka (sacerdote luterano)Moltissimi gli interventi interessanti, tra cui vogliamo segnalare: The Orthographies of Sindarin: An Essay in Literary Criticism e Recent and Unindexed Tengwar Specimina di J. ‘Mach’ Wust, Evolution of the Elvish scripts from Valmaric to the “Etymologies” of Qenya Alphabet di Damien Bador, Analyzing Elvish Vocabulary and Explaining the Word “hobbit “ di Roman Rausch e “On the points of her toes”: some notes on the development of the poem “Nieninque” di Måns Björkman. Da segnalare l’inserimento nel programma della possibilità di partecipare alla messa luterana tenuta a uno dei membri della conferenza, Petri Tikka, nella chiesa di Temppeliaukio, in finlandese, inglese e Quenya. È stato inoltre lanciato un Call for Papers.

Un corso universitario

Belgio: Libera Università di BruxellesSe in Finlandia si sono riuniti gli studiosi più noti, un’opportunità per gli studenti di imparare l’elfico è il corso universitario di quasi due settimane che si svolgerà alla Libera Università di Bruxelles, in Belgio. Durante la Summer School si potrà seguire un seminario accademico della durata di ben 11 giorni (dall’11 al 22 agosto) per un totale di 8 giorni di lezione. Il corso, tenuto da Edouard Kloczko, approfondirà la struttura grammaticale delle lingue elfiche, il loro sviluppo interno (diacronico dalla proto-lingue fino alle lingue elfiche derivate) e lo sviluppo esterno (cioè come Tolkien le ha inventate). Durante il seminario si avrà la possibilità di studiare con altri insegnanti anche le lingue naturali che Tolkien ha insegnato (come il norreno e il gotico) o a cui le lingue elfiche si sono ispirate (latino, greco e sanscrito).
Ecco l’elenco delle tematiche che verranno affrontate:
Problemi legati allo studio delle lingue elfiche
        Il problema delle fonti primarie.
        Letteratura secondaria.
        Presentazione delle nuove pubblicazioni 2012-2013.
        Lo status delle lingue costruite (approcci sociolinguistici).
    Il logopoieta Tolkien: le quattro “grandi fasi”
        Contraddizioni o cambiamenti?
        Analisi interna e analisi esterna, due approcci complementari.
    Fonetica storica dei linguaggi Elfici
        I numeri nei linguaggi Elfici.
        Lingue elfiche dell’est della terza e quarta fase.
    Morfosintassi del Quenya della quarta fase
        Diglossia: parmaquesta e tarquesta.
        Declinazione nominale
        Studio della poesia “Namárie”
    Antropologia e sociolinguistica
        I calendari elfici e i loro vocabolari
        I toponimi di Gondor e i linguaggi Elfici.
    Scrittura elfica
        Il Sarati di Rúmil
        L’alfabeto Valmarique
        Le Tengwar di Fëanor

Qui di seguito tutti i siti in cui reperire maggiori informazioni.

– Il sito della Compagnia Linguistica Elfica (E.L.F.)
– Il sito della rivista Parma Eldalamberon (al momento non
funziona)
– Il sito del Convengo internazionale Omentielva lempëa
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Le lingue di J.R.R. Tolkien. Esce Vinyar Tengwar 50

Logo Vinyar TengwarPer tutti gli appassionati di J.R.R. Tolkien che sono interessati ai suoi linguaggi inventati, una notizia molto gradita giunge da Carl F. Hostetter. Il cinquantesimo numero della rivista linguistica specializzata curata dalla Elvish Linguistic Fellowship (la Compagnia Linguistica Elfica, abbreviato E.L.F.), Vinyar Tengwar, è finalmente all’orizzonte! Per gli esperti di lingue tolkieniane la Elf è una vera e proprio istituzione, continua fonte primaria di perle linguistiche.

Esperti linguisti

pagina-manoscrittoLa Compagnia Linguistica Elfica è, infatti, uno gruppo d’interesse speciale della Mythopoeic Society, la Società tolkieniana Usa, volta allo studio sistematico dei linguaggi inventati da Tolkien. Fu fondata nel 1988 da Jorge Quiñónez, ma dal 1990 (dal numero 9 della rivista) è diretta da Hostetter, uno scienziato della Nasa. La Elf pubblica periodicamente due riviste: Vinyar Tengwar, edita da Hostetter, e Parma Eldalamberon, edita da Christopher Gilson; inoltre viene distribuito, sempre a intervalli irregolari, un giornale online, Tengwestië, curato da Hostetter assieme a Patrick H. Wynne. Insieme ad Arden R. Smith e Bill Welden, Hostetter, Gilson e Wynne formano il gruppo (da alcuni chiamati degli “Elfconners”) che fu incaricato nei primi anni Novanta dallo stesso Christopher Tolkien di occuparsi dello studio, dell’editing e della pubblicazione degli scritti di J.R.R. Tolkien che riguardano specificatamente i suoi linguaggi inventati. Molto di questo materiale inedito, tratto dagli archivi riservati della Tolkien Estate, è stato pubblicato su Parma Eldalamberon da partire dal numero 11 (ora sono giunti al numero 20) e su Vinyar Tengwar, soprattutto a partire dal numero 39.

Una rivista specialistica

Tolkien trasmissione elfiIl primo numero di Vinyar Tengwar fu pubblicato nel settembre 1988 è aveva una cadenza bimestrale fino al luglio 1994 (corrispondente al numero 36), in seguito a intervalli molto più irregolari, più o meno una volta l’anno. Ciò coincise proprio con la maggiore frequenza di pubblicazione di testi scritti da Tolkien stesso. Dal numero 39 del luglio 1998, la rivista si è dedicato principalmente all’edizione e all’analisi critica di tali testi. Molti dei documenti pubblicati sono menzionati nei volumi della History of Middle-earth, a cura di Christopher Tolkien, ma non erano stati pubblicati nella collezione a causa della loro natura specialistica. Negli ultimi numeri della rivista sono apparsi alcuni saggi
tolkieniani che, per la loro importanza, nel 2008 sono stati raccolti in un solo volume dalla casa editrice Marietti 1820. Il volume ha un titolo infelice, La trasmissione del pensiero e la numerazione degli Elfi, ma i contenuti sono di estremo interesse per per gli appassionati di Tolkien: Ósanwe-kenta. Indagine sulla comunicazione del pensiero,che risale agli anni 1959-60 (compariva anche sul sito di Eldalie, nella versione tradotta da Lorenzo Gammarelli), Note su Óre (1968 circa) e il saggio Mani, dita e numeri Eldarin, che è uno dei più importanti lavori “storico- filologici” scritti da Tolkien durante gli anni 1967-70.

Il numero 50 e i suoi contenuti

Copertina Vinyar TengwarEcco l’annuncio inviato da Carl F. Hostetter alla mailing list Lambengolmor: «Grazie a una lunga pausa di fine anno e alla diminuzione degli obblighi professionali, sono lieto di annunciare che la tanto attesa pubblicazione del numero 50 di Vinyar Tengwar è ormai prossima. Il presente numero contiene la mia presentazione e analisi del “Túrin Wrapper”, con una serie di tre testi inediti in Sindarin del 1950 (probabilmente all’inizio) che rientrano in quella che è chiamato il Ciclo di Túrin Turambar (la “Túrinssaga”). Spero di riuscire a completare il volume, stamparlo e spedirlo entro il primo marzo. Si prega di notare che d’ora in poi i numeri di Vinyar Tengwar saranno disponibili solo attraverso il servizio online di print-on-demand dell’editore Lulu, che attualmente pubblica anche i vari volumi rilegati della collezione The Collected Vinyar Tengwar. Una volta che il numero 50 sarà stato spedito agli abbonati, lo aggiungerò anche in quella serie, completando così il volume 5 di The Collected Vinyar Tengwar. Vi ringrazio molto per la vostra pazienza!». Si può aggiungere che il numero 50 è molto atteso anche alla luce dei precedenti volumi della rivista. I numeri dal 47 al 49 sono, infatti, di importanza capitale per la comprensione e lo studio del Quenya nella sua fase tarda, così come Tolkien lo concepiva negli ultimi anni (circa dal 1968 in poi). Gli ultimi numeri forniscono indirettamente anche una mole enorme di informazioni utili sul Sindarin e sul Telerin, da cui si intuisce anche che proprio su quest’ultima ed interessante lingua esistano molti altri documenti inediti. Ciò è evidente dal fatto che negli ultimi anni queste lingue raggiungono per Tolkien un’importanza e una maturazione molto vaste, essendo tutte e tre costantemente citate e paragonate in ogni saggio tardo.

– Il sito della E.L.F.
– Il sito di Vinyar Tengwar
– Il sito di Tengwestië

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