Ubaldini, l’uomo che portò Tolkien in Italia

Entrata AstrolabioMilioni di lettori italiani hanno letto Il Signore degli Anelli negli ultimi 50 anni, da quando venne reso disponibile nella nostra lingua a oggi, avendo così la possibilità di conoscere la Terra di Mezzo e seguire le avventure dei suoi protagonisti. Aragorn, Gandalf, Éowyn, Legolas, Gimli e tutti gli altri eroi scaturiti dalla fervida immaginazione di J.R.R. Tolkien sono stati conosciuti anche nel Bel Paese e, dopo le trilogie cinematografiche di Peter Jackson, sono personaggi noti praticamente a tutti. Ma all’origine di tutto questo c’è un nome
che in Mario Ubaldinipochissimi conoscono, quello di un uomo che lesse e credette in quel sogno portato su carta e volle farlo tradurre per pubblicarlo in italiano. Per conoscere questa storia bisogna risalire molto indietro nel tempo, tornando addirittura alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso. E si può farlo anche grazie a chi lo conobbe bene e ci ha aperto le porte della sua casa editrice. È ora di conoscere meglio Mario Ubaldini.

Un pioniere in molti campi

Necrologio UbaldiniMario Ubaldini (1908-1984) è stato, come recita il suo necrologio sui quotidiani del 4 maggio 1984, «uno dei più coraggiosi editori romani, lanciò nella cultura italiana il pensiero psicoanalitico, a lungo dimenticato e ignorato. “L’interpretazione dei sogni” di Freud uscì nell’immediato dopoguerra e presto ad esso si affiancarono opere fondamentali nella cultura psicoanalitica del Novecento: Adler, Fenichel, Jung, oltre a una ricca produzione di orientalistica, pensiero indiano, buddista e cultura orientale in genere». Potremmo fermarci qui, ma per conoscere meglio l’uomo bisogna recarsi nella casa editrice da lui fondata, la Astrolabio-Ubaldini appunto, che ha sede in un edificio di tardo Ottocento nell’elegantissimo quartiere Parioli a Roma. È lì che riceviamo maggiori informazioni da chi lo ha conosciuto bene e ci ha lavorato insieme, la figlia Giovanna Meschini Ubaldini.
Visita in redazioneCi può raccontare un po’ di suo padre? «Mio padre era un uomo d’altri tempi, un intellettuale che andava pazzo per le Ferrari. Se vuole un po’ di biografia: nacque nel 1908 a Pesaro, visse quattro anni a Nizza lavorando come giornalista, si laureò nel 1937 in Letteratura francese con Carlo Bo a Urbino e venne qui a Roma. Erano i tempi del regime fascista, ma lui con altri aprì una rivista e ne fu il direttore fin quasi alla fine della guerra. Con lui scrissero grandi intellettuali come Carlo Cassola, Carlo Ludovico Ragghianti e Giuseppe Dessì e più tardi collaboratori destinati a divenire dirigenti di rilievo nel Partito Comunista».
Come si chiamava la rivista, non lo ha detto mi pare. «Ah, sì giusto. La rivista si chiamava La Ruota».
Passiamo alla fondazione della casa editrice: come avvenne? «Beh, nel 1943 abbandonò il suo incarico ed entrò in clandestinità. Mio padre, in realtà, trovò rifugio in un appartamento a Roma e soprattutto conforto nella traduzione del Dizionario filosofico di Voltaire. Dopo la liberazione della capitale nel giugno 1944 fu naturale che questa divenisse poi la prima pubblicazione della casa editrice che egli stesso fondò. Di questo episodio e della figura di mio padre in quel periodo si può leggere anche un interessante capitolo che Enzo Frustaci inserì nel suo libro Un episodio letterario dell’Italia fascista [Bulzoni editore, 1980, pp. 71-84, ndr]».
UbaldiniQuale identità diede Mario Ubaldini alla neonata casa editrice? «Mio padre è sempre stato appassionato di filosofia e logica, temi principali anche dei suoi studi. Poi da subito si è aggiunta la psicoanalisi. La prima collana Psiche e coscienza è del 1946, mi pare, ed era diretta da Ernst Bernhard con collaboratori del calibro di Bobi Bazlen ed Edoardo Weiss. Mio padre mi disse poi a proposito di Bernhard che quella fu una direzione di collana veramente efficace, tale che da solo non avrebbe potuto fare: “Non avrei saputo mettere le mani come lui, tanto più che era stato allievo sia di Freud che di Jung e conosceva tutti in quel mondo”. In due, tre anni furono pubblicate le prime edizioni italiane di testi di Freud, Jung e Adler… grazie soprattutto a Emilio Servadio, vennero pubblicati gli scritti di allievi di Freud, come quelli di Balint, Alexander e Horney. Per l’epoca era l’apice degli studi in questo campo al punto che, come mi raccontò mio padre, Cesare Pavese aveva fatto pressione su Einaudi per “seguire le orme di Astrolabio” con la psicoanalisi e che Cesare Musatti, il leader del movimento psicoanalitico italiano di quegli anni, pubblicò con Einaudi il suo Trattato di psicoanalisi nel 1949. Fu la sua paura che proprio Astrolabio riuscisse ad ottenere i diritti di traduzione che spinse Musatti a insistere con Boringhieri per un accordo con gli eredi e gli editori di Freud, cosa che poi andò a buon fine facendo di lui il curatore unico della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud».
Libri Astrolabio UbaldiniTorniamo ad Astrolabio, però. Quando avvenne “la divisione in due colori”? «Quella avvenne verso la fine degli anni ’50 e dalla collaborazione con Giuseppe Tucci, il più famoso orientalista del XX secolo. C’era inizialmente il progetto di una enciclopedia storica, letteraria, filosofico-religiosa e artistica diretta da Tucci, intitolata Civiltà dell’Oriente. Il progetto non si realizzò, ma nel 1960 questo diverrà il nome della seconda collana cardine, anch’essa tuttora attiva, della casa editrice, in cui vengono raccolti testi relativi alle filosofie e religioni dell’estremo oriente».
La grafica della casa editrice conserva un’identità assolutamente unica che è stata citata anche da Gian Carlo Ferretti, nella sua Storia dell’editoria letteraria in Italia (Einaudi, 2004, pag. 263). Qual è il segreto? «Sì, l’idea viene sempre da mio padre ed è quel che lei ha chiamato la divisione in due colori. In pratica, dal 1960 l’azzurro  è dedicato alla psicoanalisi e alle discipline affini mentre l’ocra è dedicato a tutte le filosofie orientali. Si può dire che Astrolabio è strettamente legata, anzi coincide, fino al 1984, con la figura di mio padre».

Una parentesi fallimentare

redazioneFin qui abbiamo parlato di iniziative editoriali di successo, ma per gli appassionati di Tolkien il nome di Mario Ubaldini rappresenta la prima pubblicazione seppur parziale de Il Signore degli Anelli. Ecco, in tutto questo non si capisce la scelta di un romanzo di narrativa così particolare. È un po’ un unicum nella produzione Astrolabio, non crede? «In realtà, no. La casa editrice ha sempre sperimentato, soprattutto negli anni Sessanta. All’inizio di quel decennio si era conclusa una lunga e complessa ristrutturazione che aveva portato proprio alla razionalizzazione di molte collane: alcune furono unificate, altre soppresse e altre ancora aperte. In questa prospettiva, furono introdotti per la prima volta in Italia autori prestigiosi di filosofia analitica, linguistica, logica e filosofia della matematica. Una nuova collana era dedicata alla ricerca spirituale del cristianesimo. Proprio il 1967 vide l’esordio e il successo strepitoso della collana di testi divulgativi Che cosa hanno veramente detto che giunse in pochi anni a ben 80 titoli. Un’altra collana di quegli anni fu quella divulgativa I libri dell’introspezione. Insomma, la casa editrice sperimentava moltissimo in quel periodo».
Mi permetta, però, di dire che sempre di saggistica si trattava. C’era altra narrativa? «In effetti, credo che quello fu il primo e ultimo tentativo. Dopo la sua prima telefonata sono andata a recuperare gli archivi su Il Signore degli Anelli e qualcosa ho ricostruito da ricordi di quello che mi raccontò molti anni più tardi mio padre. Sa, in casa non si parlava di lavoro né tantomeno del suo unico vero fallimento… Pensi che per molti anni proibì ai suoi redattori di anche solo nominare Tolkien! Ci aveva creduto tanto, ci perse tanto».
redazioneQuindi, ci fu una volontà di pubblicare narrativa da parte di Ubaldini? «Io credo di sì. In quegli anni, nei mercati esteri stava nascendo un genere, quello della science fiction. Intendo dal punto di vista del successo editoriale, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna era un continuo di autori e pubblicazioni, con un pubblico in continua crescita. Mio padre era un attento lettore e sapeva che presto anche l’Italia avrebbe seguito questa tendenza. In quegli anni, fantascienza e fantasy non erano generi nettamente divisi, anzi venivano letti dal medesimo pubblico».
E in questo come si è inserito il capolavoro di Tolkien? «Le ripeto, mio padre era un lettore attento alle dinamiche editoriali all’estero. Nel 1967 Il Signore degli Anelli iniziava a far parlare di sé nei campus statunitensi. Ma non fu questo il dato determinante. Lo furono di più i rapporti stretti dalla casa editrice con gli omologhi anglosassoni, tra cui proprio la Allen & Unwin, l’editore inglese di Tolkien. Furono questi ultimi a proporre il libro a mio padre…».
Non capisco, si spieghi meglio? «Sono andata a consultare l’archivio e ci sono una decina di lettere di corrispondenza tra Astrolabio e l’editore inglese. Ma i rapporti erano consolidati da tanti altri libri che erano stati presi proprio dall’editore londinese. C’è anche un baule pieno di documenti, bozze, prove di stampa e altro materiale relativo a quegli anni che però è in casa nostra. Mio padre si fidava del giudizio di alcuni suoi collaboratori esteri e seguiva i loro consigli. C’è una lunga lettera in cui i responsabili inglesi descrivono le molte qualità del romanzo. Fu lo stesso Rayner Unwin a far suggerire di pubblicare il volume in tre parti separate, come era avvenuto inizialmente nella stessa Gran Bretagna».
Quindi Ubaldini colse il suggerimento e tentò la strada della narrativa. Come può dirlo? «Me lo raccontò mio padre anni dopo, quando iniziò il periodo delle interviste sulla prima traduzione italiana. Le avevo detto che normalmente non ne voleva parlare… Ma c’è anche un’altra prova. Mio padre scelse di inaugurare una nuova collana con La Compagnia de l’Anello: il “Fuori Collana”. Visto il nome, è chiaramente un esperimento e non è un caso che questa collana vide soltanto un altro volume stampato prima di essere chiusa: Che cosa è la fantascienza di Franco Ferrini. La direzione era la narrativa fantastica, ma l’insuccesso di vendite del primo volume de Il Signore degli Anelli mise fine a questo esperimento. La crisi petrolifera di poco successiva fece sì che questo tipo di volumi non potesse più essere proponibile perché avrebbe avuto un costo eccessivo e fu la fine. Il pubblico da Astrolabio si aspettava saggistica».
AstrolabioMi piacerebbe conoscere di più su questa storia. «La storia è ormai nota da qui in poi e c’è anche un libro di qualche anno fa che ne parla, ma non ricordo il titolo (forse il riferimento è a Tolkien e l’Italia di Oronzo Cilli, ndr): mio padre pagò i diritti, la traduzione e la pubblicazione, ma non rientrò nemmeno di un quarto dei costi sostenuti. La Compagnia dell’Anello, la prima parte de Il Signore degli Anelli, venne pubblicata, ma non ebbe un grande successo. In realtà, mio padre aveva fatto già tradurre anche la seconda parte e avevano anche ricevuto le prime bozze di stampa, ma fu tutto inviato al macero. Gli andò male: poche centinaia di copie vendute, nonostante il libro fosse un best seller mondiale e ormai un oggetto di culto. Per recuperare un po’ di soldi, qualche anno dopo fu costretto a cederlo a Rusconi».
Mi sembra un po’ reticente sulla vicenda. Se ha qualche altro dettaglio, ora potrebbe rivelarcelo? «No, nessuna reticenza. Soltanto che credo che voi conosciate la storia meglio di me! E poi, non ho ancora finito di svuotare il baule di mio padre. Le prometto che se troverò qualcosa, vi farò sapere».
Va Bene. Grazie per la pazienza e l’attenzione.

 

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