Yule, la festività invernale degli Hobbit

JólasveinarBuon Natale! O meglio, dovremmo dire «Buon Yule», come scrive J.R.R. Tolkien in una lettera (n. 347). L’equivalenza tra Natale e Yule è una delle lezioni trasmesse dalle sue opere, ma in realtà, come spesso accade, si tratta solo di un errore della traduzione italiana. Nello Hobbit pubblicato da Adelphi e tradotto da Elena Jeronimidis Conte, il termine “Yule-tide” appare infatti tradotto in italiano come “periodo natalizio”. Intervistato dall’Oxford Times (il 22 dicembre 1972), l’autore separava nettamente i due termini spiegando che «non c’è niente che non mi piace nel Natale, in particolare; io l’ho soltanto diviso in due. C’è “Yule”, che significa la parte dei regali, dell’albero di Natale e di queste cose; e poi c’è il “Natale”, che è la festa religiosa e della pace». Per capire meglio, passiamo in rassegna l’uso del termine nelle opere di Tolkien.

Yule nel Signore degli Anelli

David Wyatt: "Grey Havens" La parola Yule appare nel Signore degli Anelli unicamente nell’Appendice D e il termine originale “Midwinter” (in italiano reso con “Capodanno”) appare una volta sola all’interno della storia, nel capitolo I Porti Grigi. La festività in realtà cade due volte nell’arco temporale compreso all’interno della storia, ma la prima occorrenza si colloca nel periodo in cui la Compagnia si dirige a sud dopo aver lasciato Gran Burrone e di essa non viene fatta menzione. Nell’Appendice D viene illustrato il calendario della Contea, a cui appartiene la festività invernale, la quale occupa due giorni, l’ultimo dell’anno e il primo dell’anno successivo, il termine del mese Foreyule e la prima giornata di Afteryule (“Ante apritore” e “Postapritore” nella traduzione italiana). Le due giornate di Yule vengono dette in inglese “Yuledays” (“i giorni di Yule”), mentre in italiano sono “Primo Capodanno” e “Secondo Capodanno” ed esse erano collocate al di fuori del compunto dei mesi. Calendario della HobbitSecondo il calendario Hobbit le due giornate di Yule occupavano sempre lo stesso giorno della settimana, ovvero Highday e Sterday (venerdì e sabato). Yuletide, quindi è il “periodo del Capodanno” e non il “periodo natalizio” come tradotto nello Hobbit. Così è qui giustamente tradotto ed è spiegato come questo periodo durava in totale sei giorni, tre in un anno e tre nel successivo.
Il termine “Yule” appare anche all’interno della Guide to the Names in the Lord of the Rings, testo scritto da Tolkien a uso dei traduttori delle sue opere in un’altra lingua: in questo testo, “Yule” è presentato come la controparte invernale di “Lithe” (il “Giorno di Mezzo Anno” detto anche “Giorno di Mezza Estate”) e anche Yule sarebbe un termine estraneo alla lingua comune e come tale da mantenere invariato fatta eccezione per l’ortografia, la quale doveva adeguarsi alla lingua in cui il testo veniva tradotto (Tolkien riporta l’esempio tedesco e danese di “Jule”). Calendario della HobbitNella stessa occasione il professore suppone che, nonostante l’appartenenza al calendario Hobbit, una forma della parola “Yule” sia stata usata dai Northmen (“Uomini Nordici” nella traduzione del Signore degli Anelli) che formarono una notevole parte della popolazione di Gondor per indicare la festività di metà inverno e che in seguito fosse in uso anche a Rohan. Nello Hobbit, sulla via del ritorno a casa una volta terminata l’avventura coi Nani, Bilbo Baggins si ferma assieme a Gandalf nella casa di Beorn per lo “Yule-tide” appunto, e ci viene detto che lo passarono lì in allegria.

Yule prima degli Hobbit

Tuuliky: "Athrabeth Finrod ah Andreth"Eppure Yule non appare solo nelle opere pubblicate in vita dal professore. Ritroviamo la festa invernale in tre volumi della History of Middle-earth, a cominciare da Morgoth’s Ring. All’interno della quarta parte di tale testo, intitolata Athrabeth Finrod ah Andreth (Il dibattito di Finrod e Andreth), la festività invernale viene usata come riferimento temporale:
«Now it chanced that on a time of spring Finrod was for a while guest in the house of Belemir; and he fell to talking with Andreth the Wise-woman concerning Men and their fates. For at that time Boron, Lord of the folk of Beor, had but lately died soon after Yule, and Finrod was grieved».
(Ora accadde che in primavera Finrod fosse, per un certo tempo, ospite nella casa di Belemir; e gli capitò di parlare con Andreth la Saggia riguardo gli Uomini e il loro fato. Poiché in quel periodo Boron, Signore della gente di Beor, era morto di recente, poco dopo Yule, e Finrod era addolorato).
Copertina War of JewelsLo stesso uso di Yule viene fatto nella terza parte del libro The War of the Jewels (The Wanderings of Húrin and Other Writings not forming part of the Quenta Silmarillion), all’interno della versione D2 del Tale of Years della Prima Era: nel 506-507 At Yule Dior fought the sons of Fëanor on the east marches of Doriath, and was slain. (A Yule Dior combatté i figli di Fëanor nelle marche orientali del Doriath e venne ucciso). Infine, nel volume The Peoples of Middle-earth, la versione D1 dell’Appendice D parla di Yule: in questa variante esso durava per tutta l’ultima settimana dell’anno e tutta la prima dell’anno successivo. Di maggior rilievo ancora erano i due giorni centrali, detti Yuledays (i Giorni di Yule), denominati Old Year’s Day o Yearsend (rispettivamente Giorno del Vecchio Anno e Fine anno) e New Year’s Day o Yearsday (Giorno del Nuovo Anno e Giorno dell’anno). Secondo questa versione l’inizio dell’anno dopo Yule era uso del Regno del Nord e venne infine adottato dagli Hobbit.

Yule prima di Tolkien

ceppo di yuleLa festività di Yule esisteva ben prima che Tolkien la descrivesse nelle sue opere. Si trattava in origine una festività pagana. Più precisamente Yule è la forma inglese del termine antico norreno jól, dall’origine ed etimologia assai discusse: Jacob Grimm (nella sua Geschichte der deutschen Sprache, Storia della lingua tedesca) suppose che derivasse da hjól, “ruota”, con riferimento al variare dei periodi di luce solare durante l’anno. La festa di jól era infatti legata all’inizio di un nuovo ciclo.
Jól durava tredici giorni e dodici notti (il termine stesso è un nome plurale in antico norreno) e da ciò derivava la parola Þrettándi, il tredicesimo, ovvero l’Epifania (il 6 gennaio), come l’inglese Twelfth-night (dodicesima notte). JólasveinarCiononostante questa festività veniva probabilmente celebrata poco dopo il Natale cristiano. Durante jól erano in corso molti festeggiamenti e storie di fantasmi, orchi e elfi erano connessi a questa ricorrenza. Un esempio sono gli Jólasveinar, i “ragazzi di Yule”, una sorta di goblin (tredici o dodici, uno per giorno del periodo festivo) figli della gigantessa Grýla, che venivano usati per spaventare i bambini. Poiché a jól la notte aveva raggiunto la sua massima lunghezza a scapito del giorno, si riteneva che i fantasmi acquisissero maggior potere: la festa era infatti legata anche al culto dei morti che facevano ritorno sulla terra. In Islanda era uso popolare considerare la sera di jól come la conclusione di un anno e pertanto gli anni di una persona potevano venir indicati col numero di notti di jól che aveva passato. Quando i missionari iniziarono la conversione dei popoli germanici, adattarono alla tradizione cristiana anche la festa di Yule, che venne trasformata nel Natale, mantenendo però alcune delle sue tradizioni originarie, com l’uso decorativo del vischio e dell’agrifoglio e l’albero di Natale.
Frimerki99In inglese antico era presente geol, termine a volte utilizzato per indicare l’intero mese di dicembre, il quale era chiamato anche œra geola, ovvero “fore Yule”, “anteriore a Yule”, mentre gennaio era œftera geola, “after Yule”, cioè “dopo Yule”. Ed è proprio questi nomi che si trovano nel calendario della Contea, Foreyule e Afteryule. Ancora una volta, si può vedere come Tolkien sia voluto tornare a questa forma antico inglese, come del resto scrive lui stesso nella Guide to the Names in the Lord of the Rings: «Tutti i nomi dei mesi del calendario della Contea sono forme logorate dei nomi in inglese antico». Si chiude un cerchio!
Inoltre, il termine collettivo inglese antico giuli indicava i due mesi di metà inverno, dicembre e gennaio. Solo successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, la parola identificò un periodo più ristretto: i 12 giorni di festa della Natività. Fino all’XI secolo in cui venne adottato “Christmas” al suo posto per indicare il giorno della Natività stessa, ad eccezion fatta per i territori inglesi sotto il dominio danese.

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calendario gregoriano e hobbit

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Editori e traduttori: gli errori in Tolkien

Aprire un libro è entrare in un mondo. Ma a pochi lettori viene in mente che dietro l’oggetto c’è il lavoro di molte persone oltre l’autore. Su tutti, l’editore, il traduttore se il libro è di uno scrittore straniero e l’illustratore. Ognuna di queste tre figure passa molte ore sul testo, ma pochi sanno che il libro che giunge loro è frutto di una serie di scelte. E fra i tre ruoli citati, forse l’ultimo è quello che può fare meno danni, mentre gli altri due possono produrre gli errori più duraturi. Passiamo, quindi, in rassegna il lavoro di editori e traduttori in generale, prima di concentrarsi su J.R.R. Tolkien.

Un mestiere bistrattato

EditoreIl mestiere dell’editore è fatto innanzitutto di scelte, e le scelte sono fatte di esclusioni, non sempre così palesemente ingiuste come possono apparire agli occhi dei lettori. In ogni caso, sarà l’arrivo del successo di un’opera a fare tabula rasa di tutte le possibili ragioni di un rifiuto, insieme ai tanti mea culpa dell’editore che se lo è visto sfuggire. Interi libri sono dedicate alle stroncature di autori poi divenuti famosi. Il primo libro con Sherlock Holmes, ricorda lo stesso Conan Doyle, «tornava indietro con la precisione di un piccione viaggiatore». Persino Virginia Woolf rifiutò Ulisse di Joyce per la sua casa editrice Hogarth Press e definì lo scrittore «un liceale a disagio che si gratta i foruncoli». Nonostante questo, Ulisse resta un monumento della narrativa novecentesca. Tra i moltissimi esempi nostrani, si può citare Italo Calvino che fu bocciato nel 1949 da Elio Vittorini per il romanzo Bianco veliero. Vittorini così lo stroncò: «C’ è una gran fretta da bambocciata. C’è infantilismo e basta». Vittorini bocciò anche Il Gattopardo e fu recidivo perché lo fece in due occasioni per editori diversi. Lo scrittore, traduttore e direttore di collane siciliano non viene in mente a sproposito: fu, infatti, proprio Vittorini a suggerire nel 1962 alla casa editrice Mondadori di “scartare” Il Signore degli Anelli di Tolkien. «Dopo una lunga discussione interna», in accordo con Vittorio Sereni, bocciò Tolkien scrivendo:  «Escluderei la possibilità di arrischiare un esperimento» (si può leggere l’articolo qui).
Peanuts: Snoopy scrittoreSe gli scrittori avessero seguito i consigli di editori (ed editor) avremmo avuto, ad esempio, un Signore degli Anelli di Tolkien molto più corto e più leggero. Il manoscritto (che lo scrittore inglese, voleva pubblicare insieme al Silmarillion) fu rifiutato da due editori. E vide la luce solo dopo sei anni di trattative: il libro, però, fu diviso in tre volumi. «Meglio poco che niente», disse Tolkien, che si era visto costretto a tagliare l’opera e a rinunciare a molto materiale aggiuntivo. Aveva dovuto eliminare una riproduzione del Libro di Mazarbul (la cronaca della colonia dei Nani, guidata da Balin, che tentò di reinsediarsi a Moria, trovato dalla Compagnia dell’Anello) e l’indice di tutti i nomi con traduzione inglese. La prima tiratura nel 1954 fu di appena 3.500 copie. Nonostante questo, vendette bene fin da subito, esplose negli anni Sessanta e non è uscito mai fuori catalogo.

Tradurre è un po’ tradire

Traduttori al lavoro«C’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà», recita l’ultimo verso della poesia Una sera come tante di Giovanni Giudici (1924-2011). Se gli editori possono imporre tagli e divisioni, i traduttori possono giungere fino al punto di travisare completamente una frase o un intero brano. Per fortuna, accade molto raramente. Si dice che il traduttore soffra di una sorta di frustrazione per l’inevitabile scarto di significato che ogni traduzione comporta: traduttore, traditore, recita un vecchio adagio. Tradurre è davvero un po’ tradire? E si tratta di un tradimento inevitabile? C’entra forse il problema dell’interpretazione, del lector in fabula secondo la fortunata espressione del famoso saggio di Umberto Eco? Gli adattamenti da una lingua a un’altra sono a volte fondamentali: per fare una citazione famosa, chi non ricorda la battuta vaudevilliana nel film Frankenstein Junior, “Lupo ululà e castello ululì”? Fosse stata tradotta parola per parola (“Lì cantropo e là castello”), sarebbe risultata molto meno efficace…
Già San Girolamo (ma potremmo partire dalla Grecia antica) fra la traduzione parola per parola e quella a senso, aveva scelto quest’ultima: non verbum de verbo, sed sensum exprimere de sensu, vecchio principio presente anche in Cicerone e Quintiliano. È ciò che si riscontra in studiosi più recenti, come Étienne Dolet (che fu arso vivo nel 1546 a Parigi per una sua traduzione troppo libera di Platone) e il contemporaneo Eugen Nida, Traduttoreche chiama ricerca della equivalenza dinamica (la traduzione ricrea nel ricevente l’effetto emotivo e semiotico dell’originale) contrapposta all’equivalenza formale, che si ha limitandosi a rispettare nella lingua di arrivo strutture e costrutti della lingua di partenza. Si vede bene che, passati duemila anni, i termini della questione rimangono gli stessi. Spetta certo solo agli specialisti entrare nella concreta prassi traduttoria, oggi peraltro ufficialmente coltivata da una specifica scuola del sapere linguistico, quella dei Translation Studies anglosassoni, che dal 1972 si sforza di definire un corpus teorico della traduttologia. Epperò, siamo pur sempre nipoti di Benedetto Croce, restiamo a dir poco tiepidi dinnanzi al loro annuncio di una novità sensazionale: un testo ha da essere considerato come figlio della cultura del suo tempo e la traduzione pure!

Editori e traduttori di Tolkien

Traduzione: Lo Hobbit in gaelicoBen 16 traduttori si sono occupati delle opere di Tolkien, per 8 diversi editori. Già questo può far intuire come siano stati trattati i testi dello scrittore, visto che ovviamente non c’è mai stato alcun tentativo di armonizzazione dei termini più usati nei testi. Caso eclatante è sempre stato
quello dei toponimi: Forraspaccata e Granburrone per indicare l’inglese Rivendell, Hobbiville e Hobbitopoli per indicare Hobbiton, ecc. Anche la nuova traduzione de Lo Hobbit, uscita negli ultimi mesi per la sola Bompiani (mentre la Adelphi mantiene la vecchia traduzione di quarant’anni fa) non ha posto rimedio, anzi si sono aggiunte confusioni: Granburrone è divenuta Gran Burrone e Bosco Atro è ora Bosco Tetro (Mirkwood). Questo è solo l’inizio, perché alcune delle traduttrici delle opere più famose dell’autore erano giovanissime diciottenni quando fecero il loro lavoro. In un caso, la stessa traduttrice ha ammesso che il lavoro fu fatto «per imparare l’inglese»… Ci sono poi casi di veri e propri professionisti, studiosi, docenti, poeti e scrittori (come Massimo Bacigalupo, Camillo Pennati e Bianca Pitzorno) che si son dedicati a Tolkien. Su tutti però spicca l’appena scomparso Francesco Saba Sardi, traduttore di molte sue opere. Poliglotta, parlava e traduceva da sette lingue, è stato autore di 56 libri, tra romanzi, saggi, testimonianze di viaggi, raccolte di poesie. Ha scritto anche libri per ragazzi e ha compilato una vastissima raccolta di fiabe di varie parti del mondo per la Mondadori poi pubblicate nel 1983. Beh, Saba Sardi seguiva la scuola francese di traduzione e sicuramente condivideva l’opinione di San Girolamo.

Nonostante tutte queste qualità, ci sono moltissimi errori di traduzione nelle opere di Tolkien pubblicate in Italia. E se volete scoprirle andate qui: gli errori nelle traduzioni italiane delle opere di Tolkien.

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