Nel 2012, poco prima dell’uscita nelle sale cinematografiche del primo capitolo della trilogia jacksoniana tratta da Lo Hobbit, la Tolkien Estate, assieme alla HarperCollins Publishers aveva citato in tribunale la Warner Bros, la famosa casa di produzione cinematografica statunitense che gestisce La società sussidiaria New Line Cinema e la Saul Zaentz Co., ovvero la casa di produzione indipendente che detiene i diritti d’autore (il cinematografo Saul Zaentz acquistò tali diritti nel 1976 e oggi, attraverso la Middle-earth Enterprises possiede in tutto il mondo i diritti di sfruttamento di Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli nelle versioni per il cinema, il teatro e i diritti di merchandising). La Tolkien Estate aveva intrapreso le vie legali a seguito della creazione di giochi d’azzardo online quali Lord of the Rings Casino Game, di cui era venuta a conoscenza in maniera alquanto peculiare: una e-mail di spam era arrivata al suo avvocato nel settembre 2010.
Quando la Tolkien Estate aveva mosso i primi passi nel 2012 l’AIST aveva riportato la notizia (leggi l’articolo Ora le slot machine: la denuncia della Tolkien Estate) e ne aveva seguito gli sviluppi l’anno successivo (con l’articolo Primo round a Warner sulla Tolkien Estate): non potevamo quindi mancare di riportare la risoluzione della vicenda.
L’inizio della battaglia legale
Secondo la denuncia (che è possibile leggere per intero qui), la Tolkien Estate sosteneva che fosse avvenuta una violazione dei diritti sul copyright, in quanto era stato fatto un uso improprio del materiale tolkieniano: era stata infatti creata una slot machine online facendo uso dei personaggi e delle ambientazioni del Signore degli Anelli.
La Tolkien Estate sosteneva che i diritti di licenza riguardassero solo il merchandising materiale, come statuette, abbigliamento, cancelleria e simili, e che tale licenza non comprendesse la possibilità di sfruttare i personaggi del film per merchandising digitale come videogiochi o slot machine (si ricordi che il contratto sui diritti d’autore risale alla fine degli anni Sessanta e alcuni media ancora non si erano sviluppati), ritenute quest’ultime offensive e particolarmente lesive per l’eredità del Professore e la reputazione delle sue opere. L’ammenda richiesta per la supposta infrazione era di 80 milioni di dollari, una cifra che per quanto consistente impallidisce al confronto dei miliardi che i film e l’indotto pubblicitario frutteranno in seguito alla Warner Bros. La Warner Bros rispose alle accuse presentando a sua volta un esposto nel quale sosteneva di essere stata danneggiata dalla situazione poiché aveva già preso accordi con la società WMS Gaming per la creazione di slot machine dedicate al film dello Hobbit ed è stata costretta ad abbandonare il progetto perdendo milioni di dollari in licenze in quanto molti produttori avrebbero smesso di utilizzare i filmati dei personaggi tolkieniani nelle slot machine e nei giochi online. Nella controquerela, Warner e Zaentz sostengono che l’Estate ha precedentemente ripudiato delle sovvenzioni, in violazione del contratto. L’Estate ha risposto a sua volta che non avrebbe potuto ripudiare questi accordi, in quanto tali diritti non sono mai stati assegnati. La Warner Bros ha anche lamentato una minore visibilità per le trilogie jacksoniane, sebbene non si possa mancare di notare che la stessa causa legale abbia puntato i riflettori sui film in oggetto. La richiesta della Tolkien Estate di non accogliere la controquerela non era però stata accettata.
La conclusione
Così, dopo anni di contesa legali, infine le due parti in causa sono giunte a una risoluzione il 29 giugno. I termini dell’accordo non sono stati resi pubblici, sebbene la conclusione sia stata definita amichevole dal portavoce della Warner Bros. La richiesta presentata contro Warner Bros e contro Saul Zaentz Co. è stata interamente respinta, così come la controquerela della Warner Bros e di Zaentz, con il pregiudizio per tutte le parti in causa, e nessuna delle parti coinvolte ha ottenuto il diritto di recuperare eventuali oneri e costi (è possibile leggere per intero qui l’archiviazione del caso).
La volontà di collaborare in futuro sarebbe stata altresì ribadita, e l’uscita ad ottobre del videogioco Middle-earth: Shadow of the War, in cui farà la sua comparsa anche Shelob, può essere vista come una conferma di tale intento, in particolar modo se si considera che i videogiochi ispirati alle opere tolkieniane non sono mai stati apprezzati dagli eredi del Professore.
Mentre l’ultimo capitolo dell’epica di Peter Jackson tratta dallo Hobbit è uscito nelle sale, ecco una rassegna dei molti progetti di film tratti dalle opere di J.R.R. Tolkien, alcuni dei quali non sono mai stati girati. Infatti, solo con il regista neozelandese si è avuto un progetto saldo, con finanziamenti e tecnologia adeguati, e una passione tale da avere successo mondiale nelle sale cinematografiche. Ma prima delle due saghe di Jackson dedicate al Signore degli Anelli e allo Hobbit, sono stati molti gli adattamenti dei due maggiori romanzi di Tolkien. Prima di iniziare l’excursus, cerchiamo di capire cosa ne pensava l’autore stesso. Per Tolkien le parole erano l’habitat naturale della fantasia. Egli era un amante del linguaggio e un filologo di professione, uno che conosceva molte lingue e ne aveva inventate ancora di più. Per Tolkien ogni parola conteneva in sé la storia del suo stesso significato, quindi ha senso che le parole, scritte o pronunciate, detenessero per lui un potere che le immagini non potrebbero mai avere. Tolkien nutriva sempre sani sospetti sui tentativi di riduzione cinematografica dello Hobbit e Il Signore degli Anelli, anche se questo non vuol dire che fosse contrario. Semplicemente, non credeva che il cinema e la fantasia fossero compagni naturali, opinione naturalmente del tutto incomprensibile per la Warner Bros, i cui sei film tratti da opere di Tolkien hanno ad oggi incassato più di oltre 38 miliardi di euro in tutto il mondo (cui si aggiungono quelli dell’ultimo capitolo, Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate, che fino al 5 gennaio si è portato a casa 622 milioni di euro, di cui oltre 12 in Italia).
O l’arte o tanti soldi
Tolkien, tuttavia, aveva ben ponderato la sua posizione. La sua preoccupazione principale non era che raffigurare creature o mondi fantastici su schermo (o su tela) fosse troppo difficile, semmai piuttosto che non lo fosse abbastanza. «La rappresentazione visibile dell’immagine fantastica è tecnicamente troppo facile», aveva scritto nel saggio Sulle Fiabe del 1947. «Le mani tendono a correre più veloce della mente, e anche a sconfiggerla. Stupidità o morbosità sono risultati frequenti». Egli credeva anche che il fatto stesso che film e opere teatrali fossero recitati, piuttosto che semplicemente narrati, fosse un punto critico. Se stai già guardando un attore che finge di essere una persona completamente diversa, non ne consegue forse che sarà molto più difficile accettarne contemporaneamente un altro nella parte di un orco? «La drammatizzazione ha, per sua stessa natura, già tentato di creare una sorta di magia falsa, o dovrei dire almeno sostitutiva», egli proseguiva, e «Questo è già in sé un tentativo di contraffare la bacchetta del mago». C’è una prescienza inquietante nello scontento borbottare di Tolkien. Sebbene egli scrivesse ben prima dell’avvento degli effetti digitali, i suoi timori per «stupidità o morbosità» sono gli stessi regolarmente condivisi dagli spettatori quando si parla di personaggi generati al computer, come il Jar Jar Binks dei prequel di Star Wars o i passeggeri di Polar Express. Una delle critiche più diffuse ai nuovi film sullo Hobbit, di passaggio, è che la loro nitidezza visiva, soprattutto se proiettati a 48 frame al secondo, renda l’artificio troppo evidente soffocando così in culla la fantasia. Elfi e nani sembrano attori travestiti, ossia esattamente quel che sono. Nonostante la sua diffidenza, tuttavia, Tolkien non era del tutto contrario ai tentativi di adattare il suo lavoro allo schermo. Nel 1955 e 1956 aveva egli stesso fornito alla BBC una consulenza per una drammatizzazione radiofonica in 12 puntate del Signore degli Anelli, e aveva scritto al produttore Terence Tiller una serie di lettere sempre più ansiose, piene di descrizioni minuziose di come i personaggi avrebbero dovuto parlare e dei rischi legati ai tagli della trama (un suo tipico feedback su una sceneggiatura fu: «Per quanto mi riguarda, non credo che molti, o forse nessuno, degli ascoltatori che non conoscono il libro sapranno seguire la trama o comprendere del tutto quel che sta accadendo»).
Nel giugno del 1957 Tolkien era ancora dolorante per l’esperienza, ma quando Forrest J. Ackerman, Morton Grady Zimmerman e Al Brodax, un trio di aspiranti produttori (il primo sarà un famoso appassionato, collezionista e promotore di fantascienza, editore di diverse riviste, vincitore di un premio Hugo e attore come cameo in oltre 210 film, tra cui Vampirella e uno splatter di Peter Jackson; il terzo farà fortuna con i cartoni animati di Braccio di Ferro, Casper il fantasmino e soprattutto Yellow Submarine, il lungometraggio animato dei Beatles di cui fu anche co-sceneggiatore), contattarono i suoi editori, Allen & Unwin, circa la possibilità di trarre un film dal Signore degli Anelli, era anche pronto a rischiare la «volgarizzazione» del suo lavoro purché le relative royalties ne valessero la pena. «Sull’orlo della pensione, non si tratta di una possibilità sgradevole», scrisse a Stanley Unwin; «penso che dovrei trovare la volgarizzazione meno dolorosa rispetto alla banalizzazione compiuta dalla BBC». Tre mesi dopo, i produttori inviavano a Tolkien un mucchio di note di produzione che delineavano la loro visione. Una miscela di tre ore di attori veri e animazione, con due intervalli, girata in parte fra montagne e deserti degli Stati Uniti. Tolkien fu colpito dai disegni inviatigli «[Arthur] Rackham piuttosto che [Walt] Disney», osservò con approvazione, ma fu molto meno d’accordo con le pesanti modifiche alla trama. «Stanley e io abbiamo concordato la nostra politica», scrisse al figlio Christopher, «arte o contanti. Condizioni davvero molto redditizie, o veto assoluto dell’Autore su ogni caratteristica o alterazione sgradevole». Lo script, quando finalmente arrivò, costrinse Tolkien a ricorrere al veto, e stando al suo elenco di correzioni e critiche doveva essere veramente orrendo. Gandalf era un vecchio parruccone sputacchiante, gli elfi erano minuscoli, spiritelli scintillanti abitanti un “castello fatato”, e il temibile Balrog prendeva in giro Gandalf prima di tirarlo giù dal ponte. Peggio ancora, il finale era stato completamente riscritto, e ora Sam Gamgee, il servo leale di Frodo, abbandonava l’amico durante l’attacco del ragno gigante Shelob e si incammina da solo verso il Monte Fato con l’Unico Anello. «È stato, e non è una parola troppo forte, semplicemente assassinato» (Lettere, n. 210), scriveva Tolkien riguardo al finale, ma avrebbe potuto dire lo stesso dell’intero mal concepito lavoro.
Un Hobbit mai distribuito
Nel 1966 l’animatore Gene Deitch, inventore di Tom e Jerry, collaborò con l’illustratore ceco Adolf Born alla creazione del primo vero adattamento cinematografico dello Hobbit. Nel 1964, prima che chiunque salvo alcuni oscuri ragazzini britannici ne avesse mai sentito parlare, il produttore William Snyder aveva comprato i diritti per Lo Hobbit. Il progetto languì per due anni finché Deitch non ricevette da Snyder una richiesta impossibile: spedire a New York un adattamento a cartoni animati dello Hobbit entro 30 giorni. Nel contratto si affermava infatti che per mantenere l’opzione sul Signore degli Anelli Snyder doveva meramente «produrre una versione cinematografica a colori» dello Hobbit entro il 30 Giugno 1966: e così accadde. In poco meno di un mese Deitch riuscì a tirar fuori alla bell’e meglio uno scenario supercondensato, ma sempre raccontando gli elementi fondamentali della storia per una durata di 12 minuti: la trama naturalmente era del tutto stravolta. Dopo aver proiettato il film a New York («a ognuno che fosse disposto a offrirsi come cliente diedi dieci cent, che mi restituirono», racconta Deitch) e aver ottenuto la firma dei presenti («ai pochi perplessi spettatori fu chiesto di firmare una carta dove attestavano che il giorno 30 Giugno 1966 avevano pagato il biglietto per assistere al film d’animazione a colori Lo Hobbit!»), i diritti di Snyder sull’opera di Tolkien poterono essere estesi. Il produttore li vendette immediatamente e ci fece 100mila dollari. Deitch fece due soldi. Tutta la storia e il video possono essere letti qui.
I Beatles e Kubrick
I Beatles erano dei lettori appassionati di Tolkien e avrebbero voluto fare il loro adattamento del Signore degli Anelli. Tutto accadde tra il 1967 e il 1968, quando la band era all’ apice del successo. John Lennon iniziò a scrivere una bozza per quello che sperava sarebbe stato il quinto film dei Beatles dopo A Hard Day’s Night, Help!, Magical Mystery Tour e Yellow Submarine. Il piano di Lennon era piazzare ogni membro della band nell’esatto ruolo in cui chiunque lo avrebbe piazzato: Paul McCartney sarebbe stato Frodo, George Harrison Gandalf, Ringo Starr Sam e John Lennon a imperversare nella parte di Gollum anche se, secondo il libro Fab: An Intimate Life of Paul McCartney di Howard Sounes, John voleva tenere per sé la parte di Gandalf. Sembra anche che la nota modella Twiggy avrebbe impersonato Galadriel. Come tutti i migliori progetti dalla natura vana sarebbe poi stato una cosa in grande: dapprima i produttori contattarono David Lean, il quale però era troppo indaffarato con altre pellicole, poi Stanley Kubrick. Il regista disse con sincerità che non aveva letto il libro, per cui Dennis O’ Dell, numero uno di Apple la casa discografica della band, gliene spedì diverse copie. Alla fine, però, Kubrick rifiutò l’offerta perché il romanzo era troppo «vasto» per essere adattato in un film: «Chiedete piuttosto ad Michelangelo Antonioni». Apple Film , intanto, nel 1969 aveva effettuato passi presso Tolkien per comprare i diritti sulla trama. La sua risposta non è attestata, ma sembra che lo scrittore fosse contrario e non se ne fece più nulla. Intervistato sull’argomento, McCartney ritiene che il fallimento del progetto fu probabilmente una buona cosa, perché avrebbe fatto mettere tutti i riflettori su Lennon, che voleva il ruolo più appariscente, e questo potenzialmente avrebbe irritato gli altri Beatles: «La forza degli altri film che abbiamo fatto è proprio che in essi siamo tutti uguali». Anche se sembra un po’ azzardato, non è detto che quello dei Beatles sarebbe necessariamente stato un cattivo progetto. George Harrison era in realtà un produttore cinematografico abbastanza decente: la sua casa cinematografica HandMade Films ha prodotto Brian di Nazareth dei Monty Python, I banditi del tempo, Shakespeare a colazione e Mona Lisa con Bob Hoskins e Michael Caine. Sta di fatto che in quello stesso anno Tolkien vendette i diritti alla United Artists per 104.000 sterline. L’autore morì nel 1973, dopo aver usato il denaro per istituire un fondo fiduciario per i nipoti e senza mai aver visto un singolo fotogramma di un film basato sul suo lavoro.
Sesso, sesso, sesso
Già nel 1969 la United Artists non aveva però perso tempo. Quasi non avevano ancora avuto i diritti che già avevano contattato John Boorman, che stava progettando un film fantasy ispirato dalla leggenda di Artù, chiedendogli di presentare una proposta per un film tratto dal Signore degli Anelli. Ciò con cui Boorman si presentò, tuttavia, sembrava più un intervento di chirurgia ricostruttiva. Il film proposto da Boorman suona incredibile e non ha assolutamente nulla a che fare con Il Signore degli Anelli. Per dirne una, non appena Frodo giunge nel regno boscoso di Lothlórien viene sedotto da Galadriel che se lo porta a letto, mentre in un’altra scena Aragorn e Boromir si baciano vogliosamente sulle labbra. C’è anche una scena in cui Aragorn salva la vita di Éowyn facendole provare un orgasmo magico. Lo script trasudava di sesso, l’unica cosa che mai, mai si trova in Tolkien. Inoltre, il co-sceneggiatore di Boorman, Rospo Pallenberg, non vedeva l’ora di riportare nuovamente a bordo i Beatles, anche se nei ruoli dei quattro Hobbit principali: Frodo, Sam, Merry e Pipino. Ci vollero sei mesi a Boorman e Pallenberg per scrivere il copione, cosa che fecero rinchiusi in isolamento nella fatiscente canonica di Boorman nella contea di Wicklow. Per quando il lavoro fu completato, tuttavia, il dirigente che aveva scelto Boorman per l’incarico aveva lasciato lo studio, e i suoi ex colleghi si ritrovarono molto perplessi di fronte a quest’epica libidinosa di 700 pagine per un solo film atterrata una bella mattina sulle loro scrivanie (non che sapessero abbastanza del lavoro originale di Tolkien da riconoscere la stranezza del taglio datogli da Boorman: «Nessun altro aveva letto il libro», si lamentarono in seguito). Nel 1976 la United Artists staccò la spina, una decisione che fu davvero meglio per tutti. Boorman fu in grado di riciclare la maggior parte del lavoro di preparazione nel suo nuovo progetto su Re Artù, che divenne poi Excalibur, un film con più che sufficiente fantasy sessuale da inondare tutto il mondo fino all’arrivo di Game of Thrones.
Bakshi approda al cinema
Fu così che la United Artists vendette i diritti sul Signore degli Anelli per una somma di 3 milioni di dollari alla Saul Zaentz Company, che aveva già un proprio regista visionario in fila per rilevare il lavoro. Fin dal 1950 l’animatore Ralph Bakshi aveva sognato di adattare Il Signore degli Anelli, ed era ormai abbastanza famigerato e di successo per metterci davvero le mani. Bakshi poteva aver trovato la fama con cartoni animati a luci rosse come Fritz il Gatto e Coonskin, ma, a differenza di Boorman, voleva che il suo Signore degli Anelli fosse casto come l’opera originale di Tolkien. Il suo film però non avrebbe dovuto assomigliare a nessun altro film d’animazione precedente. Bakshi era andato sperimentando con il rotoscoping, una tecnica di animazione in cui gli artisti disegnano i loro personaggi a partire da scene con attori veri piuttosto che disegnarli a mano libera, convinto che quella tecnica avrebbe dato al film l’aspetto di un’illustrazione piuttosto che di un cartone animato. I risultati non raggiunsero del tutto gli obiettivi sperati, ma si rivelarono spesso molto inquietanti, in particolare per quanto riguarda gli Spettri dell’Anello, nei loro fluenti mantelli neri, e gli orchi, grottesche e indistinte masse di denti, corna e pellicce. Il film taglia troppi angoli, con nomi mal pronunciati e buchi di sceneggiatura, ma la sua oscurità e stranezza ti rimangono attaccate. Si conclude con la battaglia del Fosso di Helm, al culmine de Le Due Torri, ma sebbene avesse incassato 30 milioni di dollari il sequel previsto, che avrebbe completato la storia, venne annullato. «Io gridavo, ma era come gridare al vento», disse Bakshi all’AV Club nel dicembre del 2000, un anno prima del primo film di Peter Jackson. «Tutto perché nessuno ha mai capito il materiale. È stata una cosa molto triste per me».
Altri adattamenti
Sullo sfondo, altri adattamenti quasi legittimi dell’opera di Tolkien iniziarono a emergere. Lo studio di animazione giapponese Topcraft produsse una versione animata dello Hobbit per la televisione Usa nel 1977, e un sequel non ufficiale del film di Bakshi nel 1980, pochi anni prima che l’azienda fosse acquistata da un tale Hayao Miyazaki e trasformata nello Studio Ghibli. Nel 1985 la televisione sovietica trasmise un film di un’ora e 11 minuti intitolato Il Favoloso Viaggio del signor Bilbo Baggins lo Hobbit, con uno Smaug grande burattino, un Gollum vestito di lycra e Gandalf che sembrava il quarto dei Bee Gees. Il tutto era presentato da un attore con bastone e bombetta circondato dalla tipica nebbia londinese. In realtà, il film era stato girato nel 1984 come un programma per bambini inizialmente di 72 minuti e prodotto nell’ambito della serie televisiva Tale after Tale e presentava attori russi famosi come Zinovy Gerdt (Tolkien il Narratore), Mikhail Danilov (Bilbo), Anatoly Ravikovich (Thorin) e Igor Dmitriev (Gollum) e il corpo di ballo dell’Accademia di Stato di Leningrado. In una serie TV finlandese chiamata Gli Hobbit (Hobitit), in onda nel 1993, un avvizzito narratore legge brani dell’opera di Tolkien adattati per un pubblico di bambini, con scene occasionali recitate in soggettiva e in modo relativamente convincente (Kari Väänänen, una presenza regolare nei film di Aki Kaurismäki, interpreta un Gollum formidabile, rendendolo meno mostro e più reietto e buffone). Prodotta dall’emittente finlandese Yle, la miniserie di nove episodi è andata in onda sul canale Yle TV1. Scritta e diretta da Timo Torikka, includeva anche attori come Matti Pellonpää, Martti Suosalo, Vesa Vierikko, Ville Virtanen, e Leif Wager.
Le due trilogie di Jackson
Naturalmente tali sforzi furono ben presto eclissati dal Signore degli Anelli di Peter Jackson e dai prequel basati sullo Hobbit che seguirono. Nonostante il successo della serie, tuttavia, i rapporti tra il produttori dei film e la Tolkien Estate difficilmente potrebbero essere peggiori. Una lunga disputa legale sui profitti rivenienti dal Signore degli Anelli di Jackson venne a galla nel febbraio 2008, quando gli amministratori della Tolkien Estate citarono in giudizio la New Line Cinema per una cifra, si dice, di 170 milioni di euro. La causa fu risolta dal tribunale nel 2009 per una somma non resa pubblica, e tuttavia ciò non fu sufficiente per rendere Christopher Tolkien più incline a un atteggiamento benevolo verso il lavoro di Jackson. «Hanno squartato il libro rendendolo un film d’azione per giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni», Christopher ha dichiarato al francese Le Monde nel 2012. «L’abisso tra la bellezza e la serietà dell’opera e quel che è diventata mi ha sconvolto». «La commercializzazione ha del tutto azzerato l’impatto estetico e filosofico dell’opera. C’è solo una soluzione per me: voltare la testa dall’altra parte». E come suo padre avrebbe senza dubbio consigliato, volgerla verso le parole.
(L’articolo è stato scritto grazie alla traduzione di Giampaolo Canzonieri,
che ringraziamo per la collaborazione)
Arthur Rankin Jr., animatore, produttore e regista newyorkese, è scomparso all’età di 89 anni nella sua casa di Harrington Sound nelle Bermuda. Nato a New York nel 1924, figlio degli attori Arthur Rankin e Marian Mansfield (molto noti tra gli anni venti e trenta), raggiunse la celebrità grazie all’attività di produzione cinematografica operata dalla sua compagnia, fondata con Jules Bass, la Rankin/Bass Productions. Specializzata in animazioni stop-motion l’azienda produttrice di Rankin creò alcuni dei cartoni simbolo degli Stati Uniti, come Rudolf la Renna dal Naso Rosso (1964) e Frosty il Pupazzo di Neve (1969). Per citare un lungometraggio animato di successo si pensi a L’Ultimo Unicorno, ispirato all’omonimo romanzo di Peter S. Beagle, doppiato da star come Mia Farrow, Alan Arkin, Tammy Grimes, Angela Lansbury, Jeff Bridges e Christopher Lee. A lui sono accreditati oltre mille programmi televisivi. Perché ne parliamo? Perché fu grazie a lui se la casa di produzione creò le animazioni dello Hobbit e del Ritorno del Re, film inediti in Italia. Non tutti gli appassionati di J.R.R Tolkien conoscono questi due lungometraggi animati, così è bene riassumerne la storia.
Lo Hobbit a cartoni
Il 27 Novembre 1977 uscì negli Stati Uniti un film tv d’animazione ispirato a Lo Hobbit di Tolkien, mirato soprattutto al pubblico dei più piccoli. Vista la fascia degli spettatori, la storia narrata nel libro fu ridotta e semplificata, con l’inserimento di diverse canzoni basate sui componimenti di Tolkien. Nonostante i numerosi tagli e cambiamenti, il racconto segue le parole del Professore, tranne che per l’assenza di elementi fondamentali come il personaggio di Beorn e, quello che era il centro dell’opera tolkieniana, cioè la presenza dell’Archengemma. Una ulteriore nota si può fare sulla trasposizione di Bombur, che, oltre ad avere un ruolo principale nella compagnia di Thorin, muore durante la Battaglia dei Cinque Eserciti. Relativamente alle sembianze fisiche dei personaggi sono da segnalare gli Elfi, disegnati con caratteristiche nette come la pelle verdognola, la bassa statura, i capelli biondi e con un accento che ricorda quello tedesco; Elrond ha persino la barba. Altra figura da osservare è quella di Gollum che ha più le sembianze di un anfibio che del personaggio delineato da Tolkien. Il film costò circa 3 milioni di dollari, come riportato dal New York Times, Orson Bean diede la voce a Bilbo
Baggins, mentre Smaug venne doppiato dal celebre John Huston. L’animazione, di pregevole fattura per l’epoca, venne effettuata dalla Topcraft, una casa giapponese che sarà in futuro acquisita dal leggendario Hayao Miyazaki cambiando il nome in Studio Ghibli. Il cartone riscosse un discreto successo di pubblico e critica, grazie anche al doppiaggio di buon livello, ricevendo un Premio Peabody (premio annuale ed internazionale per le eccellenze nella trasmissione radiofonica e televisiva) e una nomination agli Hugo Award (premio di fantascienza e fantasy assegnato annualmente durante il World Science Fiction Convention) per la miglior prestazione drammatica, che quell’anno tuttavia andò, meritatamente, a Star Wars.
Il Ritorno del Re
Nel 1980 Rankin e Bass produssero un secondo cartone ispirato al Signore degli Anelli di Tolkien, più specificamente al Ritorno del Re. Il team che partecipò alla creazione della nuova animazione era lo stesso del precedente film, questo si nota dallo stile di realizzazione, del tutto simile a Lo Hobbit del 1977. Il lungo metraggio fu subito reputato dagli appassionati il seguito non ufficiale del Signore degli Anelli di Ralph Bakshi, che era basato sui primi due volumi del capolavoro di J.R.R. Tolkien. I produttori, però, hanno più volte affermato che il loro lavoro non ha legami con il film del 1978. Orson Bean prese stavolta il ruolo di Frodo Baggins, mentre John Huston diede la voce a Gandalf. Sebbene tutte le caratteristiche avvicinassero la nuova pellicola allo Hobbit, questa volta il lavoro non ebbe lo stesso successo di pubblico e critica, avendo un’accoglienza poco più che tiepida. Come curiosità si può segnalare che la Warner Bros. fece uscire in dvd la trilogia animata contenente Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e Il Ritorno del Re, legando così idealmente i lavori della Rankin/Bass a quello di Ralph Bakshi. La morte di Arthur Rankin Jr. lascia dunque un altro vuoto nella storia della cinematografia tolkieniana, dopo la recente scomparsa di Saul Zaentz. Entrambi questi produttori hanno saputo portare sullo schermo, in maniera differente, gli scritti del Professore di Oxford, regalando agli appassionati di Tolkien la possibilità di veder ritratte le gesta dei propri beniamini.
Era famigeratamente noto agli appassionati di J.R.R. Tolkien. Era il grande vecchio dietro tutte le versioni cinematografiche delle opere dello scrittore inglese, ma anche di porcate come gli hambuger alla Bilbo e le slot machine di Aragorn. Saul Zaentz, produttore cinematografico, si è spento a San Francisco all’età di 92 anni, per le complicazioni dovute al morbo di Alzheimer, di cui soffriva da tempo. Vincitore per tre premi Oscar (Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo, Amadeus e Il Paziente Inglese) fu un personaggio leggendario e singolare, entrato a pieno diritto nella storia del cinema, a cui i fan della trilogia di Peter Jackson devono sicuramente qualcosa.
Una carriera tra musica e cinema
Nato a Passaic (New Jersey) il 28 febbraio 1921 da immigrati ebrei, Zaentz frequentò da bambino la William B. Cruz Memorial school. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, seguì la sua passione per la musica lavorando per i concerti Jazz at the Philarmonic e per un’etichetta discografica controllata da Norman Granz, attività che portarono Zaetz a gestire tour di musicisti come Duke Ellington e Stan Getz. Nel 1955 si unì alla Fantasy Records, che acquisì, assieme ad alcuni partner, dodici anni dopo. Già in questi anni Saul Zaentz iniziò diatribe legali che segnarono larga parte della sua carriera musicale e cinematografica. Guidato sempre dal suo fiuto per gli affari e dalla passione per la letteratura, Zaentz entrò nel cinema e opzionò i diritti per le trasposizioni di due romanzi: Qualcuno volò sul nido del cuculo (K. Kesey) e Giocando nei campi col signore (P. Matthiessen). Il primo, co-prodotto con Michael Douglas, divenne un successo mondiale e gli valse l’Oscar per Miglior Film. La seconda statuetta arrivò nel 1984 con Amadeus, ancora in coppia con il formidabile regista ceco Miloš Forman. Entrò nella leggenda del cinema mondiale aggiudicandosi oltre all’Oscar per Il Paziente Inglese anche la statuetta dell’Irving Thalberg Award, primo produttore dai tempi Cecil B. DeMille (1952) a ottenere contemporaneamente entrambi i premi.
Le pellicole tolkieniane
Da molto tempo Zaentz cullava il sogno di vedere Il Signore degli Anelli al cinema. Lo realizzò già nel 1978, quando produsse la versione animata diretta da Ralph Bakshi. Il film era sperimentale e aveva molte soluzioni brillanti, ma non fu premiato dal pubblico, così la seconda parte della saga non venne mai realizzata. Nel 1982 il produttore statunitense firmò anche una licenza esclusiva con la Iron Crown Enterprises, cosa che permise la pubblicazione dei giochi di ruolo ispirati al Il Signore degli Anelli. Nel 1997 Zaentz concesse un’opzione sui diritti del capolavoro di
Tolkien alla Miramax, ma lo studio di Hollywood non fu però in grado di realizzare un nuovo lungometraggio. Così, il progetto fu proposto da Peter Jackson alla New Line, che prima accettò un piano per due film dalla saga, poi divenuti una trilogia. Da qui è storia nota: i film di Jackson sono stati un successo planetario e hanno incassato quasi 3 miliardi di dollari in tutto il mondo, diventando uno dei marchi (franchise) di maggior successo della storia del cinema e rilanciando il fantasy nell’olimpo dei generi cinematografici. Meno noto è che Zaentz citò in giudizio per ben due volte la New Line sulle percentuali di profitto del Signore degli Anelli. Zaentz comunque è rimasto sempre produttore dei film, guadagnando un’altissima percentuale sugli incassi dei vari capitoli. La mole di lavoro sui diritti di sfruttamento delle due opere maggiori di Tolkien è talmente ampio, che la Saul Zaentz Company ha creato una divisione separata per gestirle tutte, la Middle-earth Enterprises: in un primo momento si chiamava Tolkien Enterprises, ma fu cambiato dopo le dispute legali con la Tolkien Estate (la società degli eredi dello scrittore inglese). Il vizio per le dispute legali non hanno mai abbandonato la sua società. Nel 2011, con l’uscita imminente dello Hobbit, la Saul Zaetz Company si è scagliata contro molti piccoli esercizi commerciali, anche contro associazioni no profit. Le più famose sono quelle contro una caffetteria londinese, l’Hungry Hobbit cafè, e un pub di Southampton, che aveva «la colpa» di chiamarsi The Hobbit, un nome che il produttore statunitense riteneva essere di sua proprietà. Il caso ha scatenato le ire di molte personalità in Inghilterra, basti citare l’attore Stephen Fry (il Governatore di Pontelagolungo della Desolazione di Smaug) che definì l’azione legale di Zaetz come «inutile bullismo autolesionista».
La Warner Bros. ha vinto il primo round nella battaglia legale in corso con la Tolkien Estate, la casa degli eredi di di J.R.R. Tolkien, in relazione allo sfruttamento dei profitti accessorie del Signore degli Anelli e Lo Hobbit (ne avevamo parlato qui). La Tolkien Estate e l’editore HarperCollins hanno infatti citato in giudizio (qui si può leggere la versione completa) per 80 milioni di dollari la major, la sua sussidiaria New Line e il detentore dei diritti sulle due saghe, la Saul Zaentz Co., con l’accusa di aver oltrepassato i confini della loro licenza di sfruttamento delle opere dell’autore inglese, ottenuta nel ’69 e, secondo l’accusa, limitata ai soli beni di consumo materiali, come figurine, gadget, collezionismo ecc. I diritti sul merchandising concessi non erano invece concessi per prodotti come videogame scaricabili o giochi d’azzardo, come i giochi di slot machine online dal titolo Lord of the Rings Casino Game, che hanno recato un danno irreparabile all’eredità dell’autore e alla sua reputazione. Lo studio ha inoltre dichiarato che aveva già stipulato dei piani con la compagnia WMS Gaming, per la realizzazione delle slot machine con il tema di Lo Hobbit, ma non ha potuto procedere a causa della querela, perdendo così milioni di dollari in licenze. Nella controquerela, Warner e Zaentz sostengono che l’Estate ha precedentemente ripudiato delle sovvenzioni, in violazione del contratto. L’Estate ha risposto a sua volta che non avrebbe potuto ripudiare questi accordi, in quanto tali diritti non sono mai stati assegnati.
Giovedì scorso un giudice federale ha respinto la richiesta della Estate di non accogliere la controquerela della Saul Zaentz Co. che ha detto di aver perso milioni di dollari in spese di autorizzazione e di merchandising, perché a causa delle denuncia ricevuta, molti produttori hanno smesso di utilizzare i filmati dei personaggi di Tolkien nelle slot machine e nei giochi online. «Queste affermazioni nascono da “un’interpretazione divergente da parte di Warner Bros” e dei diritti di Zaentz sul Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Sono, reclami e querele di routine sul copyright», ha scritto il giudice distrettuale Audrey Collins nella sua sentenza. La Zaentz potrà così andare avanti. Questa decisione è una vittoria per lo studio, ma non pone fine alla disputa tra le due parti, sul non rispetto degli accordi per la creazione di merchandise lucrativo. Come si può immaginare, la disputa legale andrà avanti ancora per lungo tempo. Si può leggere la sentenza qui. La Tolkien Estate non ha ancora deciso se presentare appello contro la decisione emessa la scorsa settimana dal giudice.
I diritti delle opere di Tolkien
La denuncia espone poi la storia del contratto di sfruttamento dei diritti d’autore connesso allo Hobbit e al Signore degli Anelli, che ebbe inizio nel 1969, ma che vide il produttore cinematografico Saul Zaentz comprarli soltanto nel 1976. Nel 1978 l’azienda Usa produsse la versione animata del Signore degli Anelli, scritto principalmente da Peter S. Beagle e diretto dall’animatore Ralph Bakshi. Oggi, attraverso la Middle-earth Enterprises, Saul Zaentz possiede in tutto il mondo i diritti di sfruttamento di Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli nelle versioni per il cinema, il teatro e i diritti di merchandising. Nella denuncia la Tolkien Estate elenca diverse categorie di prodotti, ma è particolarmente irritata dai nuovi giochi d’azzardo, che sviluppano elementi non presenti nella storia del Signore degli Anelli. «Non solo la produzione di giochi d’azzardo superano palesemente la portata dei diritti d’autore degli imputati, ma questo comportamento illecito ha la conseguenza di indignare lo zoccolo duro dei lettori forti di Tolkien, causando un danno irreparabile per l’eredità dello scrittore e la reputazione delle sue opere».
A poche settimane dall’uscita del lungo atteso adattamento cinematografico di The Hobbit di J.R.R. Tolkien, gli eredi dello scrittore e l’editore del romanzo HarperCollins hanno sporto denuncia nei confronti di Warner Bros., New Line e del produttore Saul Zaentz, per quelle che ritengono violazioni dei diritti loro concessi. Nella denuncia (qui si può leggere la versione completa), che comporta un risarcimento danni per 80 milioni di dollari, depositata lunedì alla corte distrettuale di Los Angeles, la Tolkien Estate e l’editore inglese sostengono che sono stati violati i diritti d’autore, che la Warner Bros e la controllata New Line hanno in concessione da Saul Zaentz Co. Il punto cruciale della causa è che il contratto sui diritti d’autore vecchio di decenni: «Le parti contraenti del testo originale avevano previsto solo una licenza limitata sul diritto di vendere i prodotti di consumo del tipo regolarmente commercializzato all’epoca, come statuette, vasellame, articoli di cancelleria, abbigliamento e simili», afferma la denuncia. «Nel contratto non è inclusa la concessione di sfruttamento dei diritti d’autore elettronici o digitali, su media che ancora non erano stati inventati o altri beni immateriali come i diritti in materia di servizi». Quindi, tra questi non rientra Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’anello: gioco di slot online (potete vederne un video in fondo all’articolo). La Tolkien Estate ne è venuta a conoscenza tramite una e-mail di spam al suo avvocato nel settembre 2010, cosa che ha causato un esame sui limiti dell’accordo sullo sfruttamento dei diritti d’autore. La casa che tutela i diritti degli eredi di Tolkien ha poi fatto sapere di aver appreso che la Warner Bros ha realizzato slot machine tradizionali, con i diversi personaggi del Signore degli Anelli da far combaciare nelle combinazioni vincenti, così come di altri prodotti fuori dei limiti del contratto originale.
La denuncia espone poi la storia del contratto di sfruttamento dei diritti d’autore connesso allo Hobbit e al Signore degli Anelli, che ebbe inizio nel 1969, ma che vide il produttore cinematografico Saul Zaentz comprarli soltanto nel 1976. Nel 1978 l’azienda Usa produsse la versione animata del Signore degli Anelli, scritto principalmente da Peter S. Beagle e diretto dall’animatore Ralph Bakshi. Oggi, attraverso la Middle-earth Enterprises, Saul Zaentz possiede in tutto il mondo i diritti di sfruttamento di Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli nelle versioni per il cinema, il teatro e i diritti di merchandising. Ma
Zaentz, sostiene il legale, non ha diritti contrattuali riservati «non espressamente concessi nel contratto». Ma la Warner Bros e gli altri imputati si sono «con audacia crescente, impegnati in un modello costante e crescente di usurpazione dei diritti d’autore a cui non hanno diritto», è scritto nella denuncia. Ad esempio, i loro diritti prevedono solo merce “tangibile”, non videogiochi scaricabili disponibili solo su computer portatili, smartphone, tablet o per Facebook. «Gli imputati hanno anche affermato e continuano ad affermare di avere diritti relativi a una vasta gamma di beni e servizi al di là del loro contratto di copyright e hanno registrato marchi e depositato brevetti in categorie commerciali senza limitazione, tra cui alberghi, ristoranti, agenzie di viaggio, suonerie, giochi online/scaricabili e complessi residenziali: tutte categorie i cui diritti d’autore non sono stati chiaramente concessi loro». Nella denuncia la Tolkien Estate elenca diverse categorie di prodotti, ma è particolarmente irritata dai nuovi giochi d’azzardo, che sviluppano elementi non presenti nella storia del Signore degli Anelli. «Non solo la produzione di giochi d’azzardo superano palesemente la portata dei diritti d’autore degli imputati, ma questo comportamento illecito ha la conseguenza di indignare lo zoccolo duro dei lettori forti di Tolkien, causando un danno irreparabile per l’eredità dello scrittore e la reputazione delle sue opere». La causa intentata dalla Tolkien Estate giunge ora dopo lunghe discussioni e tentativi di transazione non andati a buon fine con le ditte Usa citate sopra e sarà l’inizio di una altrettanto lunga battaglia legale. Naturalmente, non sfugge la concomitanza con l’uscita del film, da cui la denuncia trarrà maggiore visibilità.
Il commento
In chiusura, contrariamente al nostro stile ci permettiamo un nostro commento, visto che siamo anche chiamati in causa, come la maggior parte dei nostri lettori. La Tolkien Estate è stata sempre molto rigida nel mettere i suoi paletti, soprattutto alle traduzioni straniere di alcune delle opere di J.R.R. Tolkien (la History of the Middle-earth ad esempio) oppure negando sempre i diritti di sfruttamento di tutte le altre dello scrittore (Il Silmarillion su tutti). Negli ultimi anni non si è nemmeno spenta quella critica persistente che ha dominato tutti gli anni Novanta, cioè fino all’uscita dei film di Peter Jackson: la critica a Christopher Tolkien, reo di voler pubblicare anche gli scontrini della lavanderia e le ricevute al ristorante fatte dal padre, pur di guadagnare soldi. Noi ci sentiamo di prendere posizione, soprattutto dopo aver visto come l’uscita del primo film sullo Hobbit abbia già portato con sé gli hamburger targati Gollum e le slot machine online e tradizionali del Signore degli Anelli. Ricordiamo l’intervista su Le Monde di Christopher in cui lamentava di come i film di Jackson avevano ridotto l’opera del padre a «un circo Barnum» e non possiamo che essere completamente d’accordo con la casa che difende gli eredi dello scrittore. Anche se dovessero vincere questa causa, lo scopo non è ottenere il risarcimento (sono briciole rispetto ai miliardi che film e indotto pubblicitario porteranno nelle casse di Warner Bros
e Middle-earth Enterprises), ma crediamo veramente che Christopher voglia tutelare l’eredità di un autore che deve ancora essere valorizzato appieno. Perché Tolkien non è «una vacca da spremere fino all’ultima goccia». E perché, grazie alla History of the Middle-earth, gli studiosi hanno potuto conoscere in profondità stile, idee e poetica di uno scrittore che, come ha scritto Tom Shippey, è veramente l’Autore del secolo.
Almeno una volta ogni sei mesi siamo costretti a farlo. Dobbiamo tornare su argomenti già trattati. In gergo si chiama “follow-up”: seguito, ancor meglio “sviluppo di una notizia”. Bene noi ne abbiamo troppe che premono per non occuparcene. Quindi, stavolta un bell’articolo composito, che rende giustizia a tutti i nostri “follow-up”, in attesa del Tolkien Reading Day di sabato 24 e domenica 25 marzo.
Se ne è andato M.A.R. Barker, il “Tolkien dimenticato”
Lo scrittore e linguista statunitense M.A.R. Barker è scomparso venerdì scorso nella sua casa di Minneapolis all’età di 83 anni. Ne avevamo parlato qui a proposito della crezione di “Empire of the Petal Throne”, uno dei primi giochi di ruolo inventati. Nato come Phillip Barker, professore in pensione dell’Università del Minnesota, dove ha insegnato lingua Urdu (lingua del Pakistan) e Storia dell’Asia meridionale, Barker è autore di una decina di romanzi fantasy, cinque dei quali dedicati a Tekumel, il mondo in cui si svolge “Empire of the Petal Throne”. Tekumel è stato paragonato alla Terra-di-mezzo di J.R.R. Tolkien e del “Signore degli Anelli”, non in termini letterari ma per quanto riguarda la profondità dell’ambientazione, i miti e il sostrato linguistico. Nel 2009 il quotidiano tedesco Der Spiegel ha pubblicato un articolo sulla vita di Barker intitolato “Il Tolkien dimenticato”. Baker iniziò la carriera accademica nel 1958 insegnando all’Institute of Islamic Studies della McGill University di Montreal (Canada), dove è stato professore fino al 1972. Nel 1960 venne inviato alla Punjab University, dove compì importanti studi sull’urdu. Barker utilizzò le sue esperienze in India e in Asia per creare Tekumel nel 1974. “Empire of the Petal Throne” era un gioco pieno di culture incredibilmente selvagge e totalmente estranee ai giocatori di ruolo medi americani. In esso il sistema e l’ambientazione lavoravano insieme per produrre un mondo che, per la sua forte caratterizzazione, faceva sentire chi ci giocava come se stesse davvero vivendo in Tekumel. Il gioco purtroppo non ebbe molto successo, forse perché tutte queste particolarità rendevano il gioco troppo complesso e alieno. Non erano probabilmente i tempi giusti per un gioco che ancora oggi è validissimo.
La malattia si espande: tocca a un pub di Southampton
Ci risiamo ancora una volta! Lo avevamo segnalato più volte, l’ultima volta qui. Si avvicina un nuovo periodo di vacche grasse, con la prossima uscita dei due film di Peter Jackson su Lo Hobbit, e subito sale la bramosia del famigerato copyright. La febbre a 40 stavolta ce l’ha la Middle-earth Enterprises, la divisione della Saul Zaentz Company, che detiene i diritti sul merchandising dei titoli dei due capolavori di Tolkien, dei nomi dei personaggi e dei luoghi, degli oggetti e degli eventi narrati nei romanzi. Secondo il punto di vista della compagnia californiana gli appassionati di Tolkien potrebbero confondere un pub con un gioco da tavola, un pupazzo di Gollum o un Dvd con un videogioco. Per questo ha iniziato a minacciare un’azione legale verso un pub di Southampton, nel Regno Unito, che da vent’anni a questa parte s’è sempre chiamato The Hobbit. Finora, però, non c’erano in ballo i milioni che con ogni probabilità genereranno tutte le attività collaterali ai film di Jackson, e quindi nessuno l’aveva disturbato. La Saul Zaentz ha così intimato ai gestori del pub di cambiare nome e rimuovere tutti i riferimenti all’opera di Tolkien entro la fine di maggio, oppure verranno portati in tribunale. «Non abbiamo le risorse per combattere» ha spiegato al Daily Echo la padrona del locale, Stella Roberts. «Non si tratta soltanto di cambiare il nome: riguarda la promozione, le decorazioni, proprio tutto. Non abbiamo mai pensato di rubare le idee a qualcuno: siamo dei grandi fan di Tolkien, e il nostro è un omaggio». Dovrebbero cambiar nome persino i cocktail serviti all’interno del locale. Il pub The Hobbit ha trovato diversi difensori: il quotidiano ha lanciato una campagna ed è nata anche una pagina su Facebook per difendere il locale. Gli attori Stephen Fry (che nel film Lo Hobbit interpreterà il Governatore di Pontelagolungo) e Ian McKellen (Gandalf naturalmente), ha fatto sapere Stella Roberts in un messaggio Twitter, hanno preso le difese del pub inglese, facendo sapere che dopo aver completato le riprese dei film faranno visita al pub. I due si sono offerti, se dovesse servire, anche di pagare i costi della licenza di sfruttamento (circa 76 euro l’anno). Su Twitter, Fry ha
commentato: «Ian e io siamo molto felici che la questione si stia risolvendo. Con il nostro contributo vogliamo soltanto che prevalga il buon senso».
Un mattoncino per domarli…
La frase incisa sull’Unico Anello sarà presto sulla bocca di tutti gli appassionati dei mattoncini Lego. Come avevamo già annunciato qui, da giugno 2012 la Lego rilascerà negli Stati Uniti una serie di set ispirati al Signore degli Anelli. Dopo i primi poster promozionali, sono state recentemente diffuse le schede di ben 19 personaggi e 7 scenari ricostruiti con i mattoncini danesi. Poi, in concomitanza con l’uscita al cinema di Lo Hobbit: un viaggio inaspettato, la cui premiere è prevista per il 14 dicembre 2012, arriveranno le serie dedicate alle avventure di Bilbo Baggins, ovviamente con lo stesso titolo. Inoltre, per febbraio 2013 sono attesi altri set aggiuntivi. Sul sito dalla Lego espressamente dedicato, si possono vedere tutti i personaggi nei minimi particolari. Si tratta di 13 personaggi “buoni”: Frodo, Sam, Merry, Pipino, Gandalf, Aragorn, Legolas, Gimli, Boromir, Re Théoden, Èomer, Haldir e un soldato di Rohan. Solo 6 i personaggi “cattivi” (non del tutto riusciti, a dir la verità): Gollum, uno dei Nazgûl, un Orco di Mordor, un Uruk-hai, un “Berserk” Uruk-hai e Lurtz, personaggio, mai apparso nei libri, ma che nei film di Jackson è a capo di una banda di Uruk-hai. I sette set della serie sono: – “L’arrivo di Galdalf”‚ la scena d’apertura del primo film, in cui lo stregone arriva nella Contea con il suo carretto carico di fuochi d’artificio;
– “Attacco a Colle Vento”‚ in cui Aragorn e gli Hobbit si difendono dall’arrivo degli Spettri;
– “Miniere di Moria”‚ il set che riproduce l’ingresso alle minirie e lo scontro contro il Troll di Caverna;
– “La fornace degli orchi”‚ la scena in cui gli orchi plasmano le proprie armi bianche;
– “L’esercito degli Uruk-Hai”‚ gli orchi di Saruman che marciano su Rohan;
– “La Battaglia del Fosso di Helm”‚ la scena del grande scontro tra l’esercito di Rohan e quello di Saruman;
– “L’attacco di Shelob”‚ in cui il gigantesco aracnide attacca Frodo avvolgendolo in un bozzolo di ragnatela.
Da qualche tempo molte persone su Facebook stanno diffondendo il gioco chiamato “The One Ring”, che è chiaramente dedicato agli appassionati di J.R.R. Tolkien. Il gioco è realizzato dalla Mgames, casa gallese specializzata in videogiochi e applicazioni per i social network. “The One Ring” è un bel gioco fantasy inspirato al Signore degli Anelli, creato su licenza della Middle-earth Enterprises, che viene pubblicizzato come gioco di combattimento ed esplorazione. Non è esattamente così perché non si tratta di un gioco pieno d’azione dalla grafica tridimensionale e paesaggi ricostruiti alla perfezione. Si tratta, invece, di un’avventura a carattere testuale, dove si deve scegliere con cautela la propria tattica. Ecco la traduzione di un’intervista, pubblicata su Tolkien Library con Sam Roads, il direttore creativo della Mgames.
L’intervista a Sam Roads
Puoi dirci in poche parole in cosa consiste questo gioco?
«È un gioco d’esplorazione e combattimento. Si impersona un personaggio all’interno della trama del Signore degli Anelli, viaggiando insieme a Frodo, Aragorn e Gandalf e seguendo il racconto dei libri. Ci si unisce a loro nella lotta contro gli Nazgul, si condivide il peso dell’Unico Anello e si esplorare la Terra di Mezzo. Si può anche interagire con altri giocatori, o l’utente stesso può decidere di partecipare come sparring partner in partite altrui, oppure può collaborare alla sconfitta di uno dei grandi antagonisti della storia, come l’Osservatore nell’acqua o il Balrog di Moria». Dicci qualcosa su di te?
«Mi sono formato come compositore di musica classica, ma da venti anni sono uno sviluppatore di giochi. In questo tempo, ho fondato quattro imprese e due volte il Premio “Origins” della Game Manufacturers Association (che è la cosa più vicina agli Oscar per i giochi non elettronici). Ho fatto tutto questo con Clint Oldridge, che è presidente della Microcosm Games; a noi si è unito anche Jeffries Mark come direttore tecnico. Tutti e tre ci siamo incontrati all’Università nei primi anni novanta!». Se non sbaglio sei anche dietro a un gioco per posta del Signore degli Anelli? Che cos’è questa storia?
«Ooh. Si tratta di un gioco di quelli tosti! Le partite possono durare mesi e ogni turno può richiedere ore di pianificazione. Ci piace a seconda del momento ed è così che abbiamo sviluppato una prima relazione con una licenza commerciale sulle opere di Tolkien. Il giocatore prepara il suo turno a casa, non al computer e poi invia il risultato a un server e-mail. In questo modo i turni sono molto, molto più lenti di quanto non siano in “The One Ring“, ma questo è il vantaggio di Facebook!». È titolare di una licenza della Tolkien Enterprises, e questa è una buona notizia per gli appassionati di Tolkien. Ma cosa significa in realtà?
«Vuol dire che ci è permesso usare il mondo della Terra di Mezzo e raccontare la storia dei libri. I responsabili della Tolkien Enterprises devono controllare e approvare tutto quel che facciamo e, occasionalmente, ci dicono di mettere in maiuscola una parola o di cambiare un nome. Penso di aver sviluppato un buon rapporto con loro e mi sembrano davvero interessati a far sì che gli appassionati di Tolkien ottengano solo il meglio dai giochi da loro approvati. Visto che hai creato il gioco The One Ring si può concludere che sei un appassionato di Tolkien?
«Quando ero piccolo, mio padre mi lesse Lo Hobbit. Sulla parete della mia camera da letto è appesa una mappa della Terra di Mezzo: quindi penso che la risposta sia un sì!». Quanti giocatori si sono iscritti al gioco. Non avete alcune delle vostre favolose statistiche da condividere?
«Attualmente abbiamo 20mila giocatori e il numero sta crescendo come sta crescendo lo stesso mercato degli appassionati di Tolkien su Facebook. La domenica è il giorno in cui il gioco è più frequentato ed è una cosa buona perché durante la settimana non vogliamo distrarre tutti dal lavoro!». Ogni tanto rilasciate un aggiornamento e un extra per il gioco. Mi sembra che spendiate un sacco di tempo per creare questi aggiornamenti. Anche le diverse missioni seguono i racconti dei libri, a volte anche con spunti presi dalle Appendici o dalle opere pubblicate successivamente… potete dirci un po’ della ricerca che state facendo? «Il responsabile della storia è John Davis, che è un’autorità assoluta sulle opere di Tolkien. Egli studia tutto. E dico tutto! Ci sono note, calendari, liste, post-it, fogli di calcolo e ogni sorta di dettagli su cui lavorare. Non facciamo quasi mai una citazione diretta da Tolkien, ma la scrittura di Davis è così sorprendente che si ha la sensazione che si stia leggendo lo scrittore inglese. Ancor di più, Davis dà tutto il merito allo stesso Tolkien!». Quali sono i tuoi piani futuri per il gioco?
«Stiamo aspettando proprio in questi giorni il via libera dai responsabili della Middle-earth Enterprises su un nuovo sviluppo. Non posso dir nulla finché non avremo il consenso, ma posso anticipare che si rivolge a quegli appassionati del Signore degli Anelli che amano il lato “più oscuro”. Posso però dirvi tutto su Crafting! Abbiamo introdotto la prima missione agli inizi di gennaio e la prossima espansione sarà piena zeppa di cose nuove da fare. Siamo molto eccitati!».
GUARDA L’INTERVISTA SU YOUTUBE: -PRIMA PARTE:
-SECONDA PARTE:
-TERZA PARTE:
– Pagina su Facebook di The One Ring
– Sito della casa di videogiochi gallese Mgames
Ci risiamo. Si avvicina un nuovo periodo di vacche grasse, con la prossima uscita dei due film di Peter Jackson su Lo Hobbit, e subito schizza alle stelle la bramosia per i milioni di euro che verranno sborsati dagli appassionati di J.R.R. Tolkien. La Tolkien Estate e la Middle-earth Enterprises sono già partite alla carica. La prima è la società che gestisce i diritti degli scritti di Tolkien per conto degli eredi dello scrittore inglese, sempre più impegnata in battaglie legali contro fan e autori, per lo più sconosciuti, che producono opere ispirate al “Legendarium” tolkieniano o che contemplano la presenza del professore stesso come protagonista. Il caso più eclatante riguarda la novella Mirkwood, scritta dall’americano Steve Hilliard, facendogli guadagnare però molta notorietà e moltissimi dollari. Nel 1968, Tolkien aveva venduto i diritti di commercializzazione de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli alla United Artists, che a sua volta li vendette a Saul Zaentz nel 1976. La Middle-earth Enterprises (che prima si chiamava Tolkien Enterprises) è, così, la divisione della Saul Zaentz Company, che detiene, in esclusiva mondiale, tutti i diritti dei titoli dei due capolavori di Tolkien, dei nomi dei personaggi e dei luoghi, degli oggetti e degli eventi narrati nei romanzi. Negli anni la compagnia ha ceduto a destra e manca le licenze di sfruttamento per la realizzazione di film, di videogiochi e di tutto il vasto indotto che si è creato dalla trilogia di Peter Jackson. Così, ecco che si moltiplicano le azioni legali contro chiunque nel mondo osi utilizzare il nome Tolkien a fini commerciali.
Diffidato Lo Hobbit affamato
L’ultima notizia giunge da Birmingham, dove una caffetteria con sede vicino ai luoghi in cui lo stesso Tolkien visse, ha ricevuto una lettera che minaccia azioni legali da parte di avvocati che lavorano per la Middle-earth Enterprises. The HungryHobbit a Moseley è stato, infatti, accusato di violazione del
copyright. La caffetteria ha cambiato nome sei anni fa. La sua attuale proprietaria, Wendy Busst, ha comprato l’attività da appena sei mesi e questa è la sua prima impresa commerciale. I suoi dipendenti l’hanno descritta sconvolta mentre leggeva la lettera. «Pensano che siamo un grande impero, ma siamo solo un caffè», ha detto Debbie Shuttleworth, che ha aggiunto che per una piccola attività come la loro sarebbe costoso dover cambiare insegna, menù, grembiuli e tutti gli altri oggetti con il logo del locale. «Vogliamo solo rendere omaggio al nostro patrimonio letterario e la zona in cui siamo. I nostri clienti pensano che questa vicenda sia veramente stupida», ha concluso. Tolkien crebbe nel vicino villaggio di Sarehole, che nella prima parte del XX secolo era ancora prevalentemente campagna, prima che tutto venisse inghiottito dalla periferia di Birmingham. Si pensa che Sarehole Mill e Moseley Bog (ne abbiamo parlato qui) abbiano fornito all’autore l’ispirazione per i luoghi rappresentati nelle sue opere. In una lettera, con il titolo «Uso non autorizzato di Hobbit», gli avvocati Usa hanno intimato al locale di “eliminare gradualmente” l’uso del nome dalle vetrine, dal menù e da “altri materiali” in cui è presente il termine “Hobbit”. Nella lettera è scritto che «solo coloro che hanno acquistato una licenza possono usare “Hobbit” e gli altri marchi registrati da SZC». La lettera continua dicendo che l’uso del termine “Hobbit” «può causare confusione, errore o inganno tra i potenziali acquirenti, che sono propensi a credere che la vostra attività è concessa su licenza, autorizzata, sponsorizzata o approvata dalla SZC». Si aggiunge che usando quel nome «si trae vantaggio in maniera indebita ed è dannoso per la reputazione del marchio “Hobbit” di proprietà della SZC». La proprietaria del locale ha detto di aver risposto alla lettera, cercando di chiarire alcuni dei punti sollevati. Tra le altre cose, ha evidenziato la rilevanza del nome per quella zona e il fatto che il locale è conosciuto e frequentato da sei anni come The Hungry Hobbit, tenuto in precedenza da due diversi proprietari. Gli interni del piccolo ristorante mostrano alcuni quadri tratte dal Signore degli Anelli, ma nessuno è in vendita. «Erano qui quando mi sono trasferita e tutto quel che ho fatto è stato semplicemente riorganizzare un po’ la cucina», ha aggiunto la signora Busst.
Il campo estivo non può avere elfi e hobbit
Dall’altra parte dell’Atlantico, la musica era stata praticamente la stessa quando, una bella mattina di aprile, Peggy Rupert, nuova direttrice dell’associazione no-profit che gestisce il Bragg Creek, un parco naturale vicino Calgary, in Canada, in cui l’estate si organizzano campi estivi per i bambini, ha aperto una lettera proveniente dalla Gran Bretagna. «Questa faccenda è ridicola, ma ottiene l’attenzione di moltissime persone. Da mesi il telefono non smette di squillare», ha detto Rupert. La sua costernazione è legata all’attenzione della Tolkien Estate, che appunto nella lettera non si era detta divertita dal nome del
campo estivo dell’associazione, Rivendell, né i nomi scelti per i gruppi divisi in base all’età: hobbit, nani ed elfi. Rupert, madre di tre figli, era nel suo nuovo lavoro solo da pochi giorni quando ha aperto la lettera da Steven Maier da Oxford, dello studio legale Manches LLP. Maier, che agisce per conto del Tolkien Estate, ha scritto un lettera dai toni gentili, ma fermi, in cui chiedeva all’associazione di eliminare qualsiasi riferimento a Tolkien. La faccenda ha interessato molti quotidiani canadesi e britannici. Lo Herald Tuesday di Calgary ha contattato Maier, chiedendogli tra l’altro un parere sullo spropositato aumento dei siti internet che accusano la Tolkien Estate di essere un po’ troppo litigiosa. «Non è corretto dire che la Tolkien Estate sia litigiosa, in quanto molto raramente è stata coinvolta in procedimenti giudiziari», ha risposto Maier in una e-mail. «La Tolkien Estate persegue solo azioni legali in casi molto rari di soggetti che, per qualsiasi motivo, sono decisi a negare il diritto della Estate di proteggere i suoi copyright». Rupert nota, però, che da qui a inviare una lettera di “cease-and-desist” (una diffida legale usata nel campo giuridico Usa) a un associazione no-profit per un campo estivo è «un po ‘strano’» e anche abbastanza ridicola: «Non ho nemmeno visto i film del Signore degli Anelli». In ogni, caso, «al posto di hobbit, nani ed elfi ora abbiamo scoiattoli, linci e orsi grigi», conclude.
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Il diritto su un nome?
I quotidiani canadesi hanno anche intervistato Robert Thompson, esperto di cultura pop e docente alla Syracuse University dello Stato di New York: «Molti pensano che il sistema del copyright sui nomi sia arcaico e sbagliato: è uno dei grandi temi aperti di questo secolo». Il professore cita l’esempio famoso di Pamela Anderson e della sua lotta per farsi riconoscere il diritto alla proprietà di www.pamanderson.com. «Il suo non è un nome raro: su Facebook ci sono altre 40mila Pam Anderson. Perché solo l’attrice avrebbe il diritto esclusivo su un dominio il cui nome è condiviso da migliaia di altre donne?». Thompson ritiene, inoltre, che diritto d’autore sui nomi comuni si stia spingendo troppo oltre: «Donald Trump ha cercato di ottenere il copyright di “you’re fired” (“sei licenziato”). È una cosa semplicemente ridicola». Ricordiamo che la Tolkien Estate possiede i diritti d’autore su nomi come “The Shire” (la Contea), oltre che Tolkien e hobbit…
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