Da oltre due settimane i media – prima britannici, poi mondiali, seguiti da un’enormità di siti web – stanno riportando a spron battuto la notizia del ritrovamento e poi della vendita all’asta di una copia rara di The Hobbit. Se la notizia della scoperta di una primissima edizione è vera e può far molto piacere, anche se un poco romanzata, suscitano perplessità i molti titoli sensazionalistici sul nuovo record di vendita, che avrebbe «triplicato la stima all’asta nel Regno Unito» per la prima edizione del volume, pubblicata nel 1937 e ormai rarissima. Si è parlato di una copia «incredibilmente rara» (The Guardian l’ha chiamata addirittura «Unimaginably rare», la BBC «Astonishingly rare», sull’Oxford Mail e altri quotidiani si è parlato di una sorta di «Santo Graal»), venduta per «una cifra da record», come riporta il Business Times. Insomma, è la vendita del secolo!
Eppure, a ben guardare, non è così.
Un ritrovamento molto gonfiato
Come è nostro costume, proviamo a separare il grano dal loglio. Prima la scoperta della copia del libro. Il volume è stato ritrovato, messo all’asta e venduto da Auctioneum Ltd., una casa d’aste a Bristol e Bath. Caitlin Riley, specialista di libri, opere e carta, di Auctioneum, ha presentato così il libro raro: «Abbiamo trovato questo libro durante un normale sgombero per la vendita di una casa nel Somerset, dopo la morte della proprietaria. Nessuno sapeva che fosse lì. Era solo una normale libreria, contenente i soliti libri che ci si aspetterebbe di trovare. Non è mai stato messo in vendita prima, quindi è sul mercato delle aste per la prima volta. Era in una proprietà con migliaia di libri su ogni argomento: manuali veterinari, manuali e dizionari da consultazione, libri su opere d’arte, edizioni della Folio Society. Ma questa era l’unica vera gemma. Curiosamente, c’era anche una seconda edizione prima impressione di The Lord of the Rings, ma quella di The Hobbit era semplicemente appoggiata da sola su uno scaffale. Evidentemente era lì da molto tempo, mai messa in commercio, mai vista prima. È una vera prima edizione». Riley ha continuato: «Crediamo che la defunta fosse la pronipote di un famoso esploratore artico». Il libro proveniva dalla biblioteca di famiglia del botanico Joseph Hubert Priestley (1883-1944), il cui fratello, Sir Raymond Edward Priestley (1886-1974), era geologo ed esploratore antartico. Non è stato confermato se uno dei due fratelli conoscesse personalmente Tolkien, ma Sir Raymond Priestley aveva legami con l’Università di Oxford ed era noto per la sua corrispondenza con il caro amico di Tolkien, C.S. Lewis, autore della serie Le Cronache di Narnia, quindi è possibile che conoscesse anche Tolkien, il che potrebbe spiegare come abbiano acquisito questa copia. «Si ritiene che meno di 50 copie siano sopravvissute. Questa, in particolare, è in condizioni eccezionali: sembra mai letta. Non si vedono spesso copie così lucide e brillanti». La storia è davvero affascinante: il botanico Priestley era al massimo a un paio di gradi di separazione da Tolkien. Quindi non sorprende che Priestley abbia ricevuto una delle prime copie di The Hobbit. Ancora più sorprendente è però che la rara prima edizione sia arrivata a casa di un parente di Priestley. E che fosse appoggiata da sola su uno degli scaffali. E che stesse lì da molto tempo, senza che nessuno se ne fosse accorto prima… È proprio una bella storia, di quelle che piacciono ai giornali, ma tutta da verificare. Storie simili compaiono ormai con una frequenza di una ogni due anni circa. Ma prima di passare a quest’aspetto della vicenda, bisogna trattare la vendita «da record».
Il Santo Graal delle copie non è per nulla così raro
Certo, il collezionismo di Tolkien si concentra principalmente su due libri: Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Questi titoli, anche le loro edizioni e stampe successive, costituiscono il nucleo di ogni collezione. La prima tiratura di The Hobbit nel 1937 – quasi 90 anni fa! – fu di sole 1500 copie (per la precisione, 1488 copie rilegate, più altre 21 copie con copertina rigida per la revisione) e andò a ruba in meno di tre mesi. La seconda tiratura fu pubblicata subito dopo, nel dicembre dello stesso anno, in un’edizione di circa 2300 copie (1900 copie rilegate; altre 423 copie non rilegate andarono distrutte in un incendio in un magazzino nel novembre 1940 a causa dei bombardamenti tedeschi su Londra). Chissà quante di queste furono impacchettate come regalo e trascorsero la notte sotto l’albero di Natale, in attesa di essere scoperte dai giovani lettori. Si ritiene che circa un centinaio di copie siano sopravvissute, non «meno di 50 copie», come riportato.
Detto questo, i titoli riportati sopra rimangono comunque troppo sensazionalistici perché queste copie compaiono anche una o due volte l’anno. Una delle notizie meno evidenziate da tutti gli articoli è, infatti, che la copia 1ª/1ª edizione “sorprendentemente” rara di The Hobbit sia senza sovraccoperta. Le sovraccoperte dei libri più vecchi erano lì solo per pubblicizzare altri libri degli editori e per proteggere le copertine di stoffa. Lo Hobbit, in particolare, sembra soffrire il maggior logoramento, probabilmente perché era un libro per bambini. Nel 1937 l’editore forse decise che non valeva la pena spendere troppi soldi per la qualità visto che i principali lettori del romanzo – i bambini – lo avrebbero subito rovinato. Questo è uno dei motivi principali per cui le prime/prime edizioni sono così rare. Delle migliaia originali stampate, oggi ne esistono solo centinaia in condizioni da collezione. Le prime edizioni con copertina rigida venivano stampate a buon mercato, sia i libri che le relative sovraccoperte. Nel 2024, una prima edizione di The Hobbit aveva già triplicato la sua stima all’asta venendo acquistata per oltre 31mila sterline (36mila euro) dopo essere stata trovata a prender polvere in un cassetto. Le copie con sovraccoperta appaiono ogni paio d’anni. La vera notizia era trovarne una su uno scaffale, improbabile ma non impossibile. Ecco perché, ormai, ciò che una volta veniva considerato uno scarto ora è un tesoro raro. Proprio l’ultimo volume citato era un volume di The Hobbit 1°/1°, ma con una sovraccoperta terribile, ed è stato venduto comunque. Nel 2023 la BBC riportò di una copia di The Hobbit senza sovraccoperta “trovata” tra le donazioni a un negozio di beneficenza (Oxfam) in Scozia, venduta all’asta raggiungendo più di 10mila sterline. La storia suonava familiare: era già stata pubblicata dal Guardian 20 anni prima, con anche lo stesso negozio menzionato. E poi ancora nel 2018 sempre dalla BBC.
Accade spesso anche con altri grandi media: una volta che la storia viene ripresa, viene ritrasmessa più volte. Perché? I motivi sono tanti. “Tolkien” è una delle parole più ricercate online e inconfondibile. Per attirare clienti, iscritti o lettori, le testate usano storie civetta per generare traffico. L’IA ha cambiato il funzionamento di Google e i social: i risultati non sono più evidenziati come prima, e link a vecchi articoli possono perdersi; un giovane giornalista può non sapere di notizie vecchie su record nei prezzi di The Hobbit. Forse il prezzo è vero, ma il modo in cui è stato trovato è un’altra storia da verificare. Sembra troppo una fiaba.
Un nuovo record raggiunto?
Smontati due piedi dell’impalcatura fasulla, togliamo anche l’ultimo. La copia di The Hobbit 1ª/1ª edizione “sorprendentemente” rara è stata venduta per 43000 sterline (50mila euro), un prezzo record. Come scritto, non è stato menzionato che fosse priva di sovraccoperta, e quel prezzo, pur essendo un nuovo massimo, è in linea con la tendenza per una copia senza sovraccoperta. Una rapida ricerca mostra che copie di The Hobbit con sovraccoperta sono state vendute recentemente per cifre molto più alte. Nel 2015, una prima edizione di The Hobbit, contenente un’iscrizione in elfico di Tolkien, è stata venduta all’asta a Londra per 137mila sterline (220mila euro). Ha infranto il precedente record di vendita di The Hobbit, stabilito nel 2008, quando una prima edizione fu venduta per 60mila sterline (70mila euro). Nel 2019 sono state vendute tre copie prima/prima di The Hobbit per £50.000-£70.000 ciascuna (da 58 a 81mila euro): prezzi da record. Tutti gli acquirenti erano investitori e tutte le copie avevano la sovraccoperta. Attualmente, ci sono dozzine di articoli di notizie, diversi siti web e rivenditori specializzati e molti programmi televisivi – anche sulla stessa BBC – che chiariscono che il valore di una prima/prima di The Hobbit parte ormai da una base di almeno 100.000 sterline, superando appunto le 200.000 sterline nelle aste pubbliche.
Conviene acquistare una prima tiratura senza sovraccoperta rispetto a una seconda, terza o quarta con sovraccoperta? I dati di vendita dimostrano come sia ancora una buona opzione! Quanto alla rarità delle copie senza sovraccoperta, come scritto, appaiono regolarmente in vendita, ma sono molto meno richieste dai collezionisti seri, perché incomplete. L’aspetto “raro” di questa copia e il motivo per cui è finita nei titoli dei media è soprattutto il fatto che sia stata trovata su uno scaffale di casa! Considerata la popolarità di Tolkien nella cultura moderna e la costante attenzione che riceve, è difficile credere che possa essere rimasta lì così a lungo senza che nessuno la notasse prima — improbabile! Come scritto, i media riprendono queste notizie popolari soprattutto perché attirano visitatori sui loro siti, indipendentemente dall’accuratezza. In questo caso, hanno volutamente omesso che fosse una copia incompleta e che quelle complete valgono molto di più. Non è un prezzo record per un The Hobbit 1ª/1ª completo! Lo Hobbit è una grande fiaba, ma ancora più fiabesca è l’idea che un esemplare spunti all’improvviso dalla libreria della nonna o in un negozio dell’usato locale. Non impossibile, ma altamente improbabile. Ultima nota: qualunque sia, infine, la storia dietro la viralità di questa notizia, è comunque una cosa positiva per il mercato dei libri rari di Tolkien!
La Bielorussia rappresenta una piccola ma notevole eccezione per il mondo tolkieniano: qui, infatti, la norma sul copyright delle opere letterarie prevede che ogni diritto decada dopo soli 50 anni dalla morte dell’autore contro i 70 previsti altrove, pertanto dal 2023 le opere di J.R.R. Tolkien sono legalmente di pubblico dominio e possono essere tradotte e distribuite. Questa situazione non susciterebbe grandi interessi se non dal punto di vista delle politiche editoriali, eppure fa da sfondo a una vicenda di respiro ben più ampio che ha a che fare con la lotta, la libertà e l’identità linguistica e culturale di un popolo.
Ma andiamo con ordine. Siamo nel 2014: nella capitale Minsk, Andrej Januškievič fonda una piccola casa editrice indipendente specializzata in saggistica storica, letteratura bielorussa e letteratura straniera in traduzione. Sono gli anni d’oro della “bielorussizzazione soft”, durante i quali la causa della lingua e della cultura nazionale trova crescente sostegno da parte degli intellettuali in contrapposizione alla sempre più massiccia russificazione imposta dal presidente Aleksandr Lukašėnka (saldamente – e tutt’altro che limpidamente – al potere dal 1994). Nel giro di poco tempo, Januškievič mette in fila una serie di colpi editoriali a dir poco clamorosi, pubblicando le saghe di Harry Potter e The Witcher nonché classici internazionali come 1984, ben presto diventato un bestseller. Le cose, però, cambiano nel 2020, quando la sesta rielezione consecutiva di Lukašėnka scatena proteste di massa contro i brogli elettorali e la corruzione del governo, cui il presidente risponde sommariamente con l’intimidazione e la violenza. In questo clima di palpabile tensione, Januškievič entra nel mirino del governo con l’accusa – probabilmente pretestuosa – di aver pubblicato “materiale estremista”. Tra perquisizioni in casa e congelamenti temporanei dei fondi, l’uomo non si dà per vinto e il 16 maggio 2022 apre una nuova libreria a Minsk, Knihauka. Il nome contiene un gioco di parole poiché in bielorusso ‘knihauka’ designa la pavoncella – simbolo della primavera ma anche e soprattutto della rinascita nazionalista in Bielorussia dopo la caduta dell’Unione Sovietica – mentre ‘kniha’ significa “libro”. Passano solo poche ore dall’inaugurazione, però, e due giornalisti filogovernativi si presentano da Januškievič contestandone le idee politiche e i gusti in fatto di libri; la situazione degenera in pochi minuti e interviene la polizia. Il finale è francamente orwelliano: Knihauka viene chiusa il giorno stesso della sua apertura e Januškievič arrestato insieme a un impiegato. Dopo un mese di detenzione e la revoca della sua licenza da editore e libraio in patria, l’uomo si trasferisce in Polonia – destinazione prediletta da decine di migliaia di suoi compatrioti fuggiti dal governo di Lukašėnka – e riprende a pubblicare libri in bielorusso sotto una nuova casa editrice, la Andrej Januškievič Publishing. Tra il 2023 e il 2024, la casa editrice pubblica a Varsavia Il Signore degli Anelli; di questi giorni, inoltre, è la notizia della pubblicazione di Sir Gawain e il Cavaliere Verde, mentre Lo Hobbit è attualmente in fase di lavorazione.
La situazione del bielorusso
L’Atlante Mondiale delle Lingue dell’UNESCO ha classificato il bielorusso (беларуская мова, bělaruskaja mova o semplicemente mova) come una lingua «potenzialmente vulnerabile» all’interno del suo stesso Paese: non sarebbe, quindi, in pericolo imminente ma la sua sopravvivenza è tutt’altro che assicurata. Sebbene il russo e la mova – entrambi appartenenti, insieme all’ucraino, al sottogruppo orientale delle lingue slave – godano teoricamente di pari status come lingue ufficiali dello Stato, Lukašėnka ha sempre sostenuto il primo – da lui definito una lingua di “livello mondiale”, paragonabile solo all’inglese – e screditato l’altra come una lingua “povera”. Si tratta, a ben vedere, di un tema costante sin dalla sua ascesa al potere nel 1994, segnata da politiche culturali tese ad allineare l’identità bielorussa a quella russa. Secondo Ethnologue, attualmente la mova è parlata complessivamente da circa 8 milioni di persone, la maggior parte delle quali vive in Bielorussia. Qui, nel 2001, si contavano 6,72 milioni di parlanti attivi ma il dato si è ridotto considerevolmente fino a dimezzarsi negli ultimi anni. Nel Paese non ci sono università in lingua bielorussa e l’insegnamento nelle scuole è fortemente osteggiato dal governo: tant’è che, se a metà degli anni Novanta quasi tre quarti degli scolari iniziavano la prima elementare con la mova come lingua di insegnamento, un decennio dopo erano appena un quarto. A fronte di questa situazione, il bielorusso è diventato un potente strumento di opposizione culturale al governo filorusso di Lukašėnka e, sebbene i suoi parlanti abbiano subito non poche repressioni, ha persino conosciuto una recente rinascita letteraria.
Gli oppositori politici di Lukašėnka prendono la questione molto seriamente e non nascondono che la rinascita della lingua e della cultura bielorussa costituisca un passo fondamentale per raggiungere i loro obiettivi a lungo termine. «Se vogliamo liberare il nostro Paese, dobbiamo promuovere la nostra identità nazionale, con una migliore comprensione del luogo storico della Bielorussia», ha affermato Alina Koushyk, funzionaria responsabile della cultura nel governo bielorusso in esilio. «Senza una lingua nazionale, la rinascita dei bielorussi sarà difficile». Il governo in esilio ha anche affermato che la decisione se mantenere due lingue ufficiali o ripristinare la mova come unica lingua ufficiale dovrà essere presa dal popolo bielorusso, tramite referendum. Il giurista Ihar Sluchak è invece tra i sostenitori della campagna per l’abbandono del sistema bilingue, temendo che il bielorusso resti sempre oscurato dal russo. E cita il destino del gaelico d’Irlanda come monito. «Quando il bielorusso sarà la lingua più parlata, non ci saranno dubbi sull’indipendenza del Paese», ha affermato Sluchak. «La storia ci insegna che il bielorusso deve essere l’unica lingua di Stato se vogliamo che la Bielorussia sia veramente forte».
Tolkien in Bielorussia
Andrej Januškievič, dal canto suo, afferma perentoriamente: «Vedo che il bielorusso di oggi non è più alla ricerca di un’identità, ma di pilastri su cui fondarla. E credetemi, i libri svolgono un ruolo importante come pilastro». E aggiunge: «Quando leggi in bielorusso, sai per certo di essere bielorusso e ti immergi in quest’acqua della cultura bielorussa. Leggendo in un’altra lingua, ti immergi nel contesto di un’altra cultura, in un modo o nell’altro». Dunque, anche la pubblicazione di opere straniere tradotte in mova risponde a un’esigenza profondamente identitaria. Né è un caso, forse, che a diventare strumento di una lotta per l’identità linguistica e culturale siano proprio le opere di Tolkien – il quale, com’è noto, considerava il suo capolavoro «principalmente un saggio di “estetica linguistica”» (Lettere, n. 165). Attualmente, Knihauka distribuisce Il Signore degli Anelli (Валадар Пярсцёнкаў, Valadar Pjarscionkaw) nella traduzione di Igar Kulikow: tre splendidi volumi con rilegatura rigida, carta di buona qualità, nastri segnalibro colorati e caratteri cirillici di facile lettura che faranno la felicità anche dei collezionisti che non leggono la mova. Ma oltre al capolavoro del 1954, anche Lo Hobbit è presente in Bielorussia con ben tre traduzioni in mova: la prima (Хобіт, або Вандроўка туды і назад, Hobit, abo Vandroŭka tudy i nazad) risale al 2002 e pare sia ormai introvabile; una seconda, pubblicata dall’editore indipendente Knizhny rys (che ha già dato alle stampe Le Cronache di Narnia), è stata tradotta da Franz Korzun e illustrata da Iryna Drazhyna ed è attualmente ordinabile online; la terza, ancora per i tipi di Knihauka, è in lavorazione con la traduzione di Igar Kulikow.
Il 16 Gennaio 2025 nell’ambito della due giorni di aste per Antichità e Decorazioni d’interni tenute da Fielding Auctioneerssono state battute due cartoline postali di J.R.R. Tolkien. La casa banditrice con sede a Stourbridge (West Midlands) tiene mensilmente aste per antichità e collezionabili e offre settimanalmente la valutazione di materiale d’incanto includendo ceramiche, oggettistica da collezione, arredamento, vetro, gioielleria, oggettistica marina, scientifica e militare, materiale in argento e opere riguardanti le belle arti (prevalentemente quadri e sculture).
Le due cartoline del Professore
I due lotti riguardanti il materiale tolkieniano erano contrassegnati dai numeri 31 e 32. Partendo da una stima di valore compresa per entrambi tra le 500 e le 800 sterline, sono stati battuti rispettivamente per 3.528 e 5.292 sterline (tasse incluse). Il lotto 31 consta di una cartolina postale del Merton College firmata da J.R.R. Tolkien ed indirizzata ad Allen & Unwin Ltd. Il testo della cartolina (TCG Letter #2422), datata 10 Ottobre 1957, riporta:
«Would it be possible for us to collect “Rocket” on Saturday morning (October 12th)? If I manage to come at all, this would be about 11.45 a.m. & this may be inconvenient or impossibile».
«Sarebbe possibile per noi ritirare “Rocket” Sabato Mattina (12 Ottobre)? Se mai riuscissi a venire, sarebbe per le 11:45 circa e questo potrebbe essere scomodo o impossibile».
Il “Rocket” menzionato dovrebbe riferirsi alla Rocket Statuette dell’International Fantasy Award, premio conferito al Professore nell’ambito della 15ma edizione del World Science Fiction Convention (WorldCon) del 1957. Tolkien, premiato in quanto autore de Il Signore degli Anelli, descrisse come “assurda” la statuetta mentre definì “molto più intelligenti” i discorsi che si tennero durante la Convention, motivo per il quale conservò il premio che è tutt’ora in possesso della famiglia.
Il lotto 32 consta, invece, di una cartolina postale del Merton College firmata da J.R.R. Tolkien ed indirizzata a Mr. Leslie Smith (capo responsabile della Sezione Advertising & Publicity per Allen & Unwin Ltd.). La cartolina (TCG Letter #2423), datata 27 Ottobre 1957, riporta:
«Thank you for your specimen facsimile, and for your kindness in thinking of me. I should indeed find these specimens of considerable use in Class-Work and should be very grateful if you would let me have them».
«La ringrazio per il suo campione facsimile e per la gentilezza nel pensare a me. Dovrei davvero trovare questi campioni di considerevole utilità nel lavoro in classe e le sarei molto grato se me li facesse avere».
Questa cartolina è stata ritrovata da Simon Smith nella corrispondenza conservata dal padre nella sua dimora a Malvern (Worcestershire), insieme ad altre missive tra le quali quelle che A.A. Milne, autore di Winnie the Pooh, scambiava con il suo illustratore ed il suo editor.
Il collezionismo tolkieniano
Il prezzo a cui sono state battute le due cartoline mostra quanto sia ancora vivo l’interesse per il collezionismo tolkieniano. Esso spazia dalla raccolta di edizioni rare e pregiate delle operee della corrispondenza dell’autore, al collezionismo delle opere derivate legate alla trasposizione nel Mondo Primario di elementi provenienti dalla creazione immaginifica del Professore (si pensi per esempio alle collezioni di spade ed anelli), per arrivare all’oggettistica posseduta da Tolkien e dalla sua famiglia – qui il confine tra passione e feticismo morboso si fa sempre più sfumato. Altre importanti vendite di Tolkien includono il manoscritto dell’autore di poesie calligrafiche con note in elfico (Sotheby’s, 2024, £ 228.000), una prima edizione de Lo Hobbit dedicata da Tolkien a uno dei suoi ex studenti (Sotheby’s, 2015, £ 137.000) e quella che Christie’s ha descritto come la lettera “Stele di Rosetta della Terra di Mezzo” in cui Tolkien spiegava lo sviluppo delle rune e dei linguaggi utilizzati ne Lo Hobbit (1943, $ 107.100). Se il dato biografico è sicuramente d’interesse per la comprensione dell’autore e, in misura minore, della sua opera, forse certe posizioni rischiano di sfociare in forme di fanatismo ed idolatria dello scrittore. Esse chiaramente non possono professarsi come depositarie di un valore accademico di studio del Legendarium tolkieniano e del suo autore (né, spesso, hanno tale ambizione) ma sono da inscrivere nella più ampia concezione di fandom che caratterizza universi come quelli creati dal Professore di Oxford.
Giunge alle stampe The Collected Poems of J.R.R. Tolkien, in un’edizione curata da Christina Scull e Wayne G. Hammond; un’opera – certamente tra le più importanti degli ultimi anni nel panorama tolkieniano – attesa a lungo dagli studiosi e dagli appassionati. Tre corposi volumi, per un totale di 1500 pagine, presentano gran parte dell’opera poetica dello scrittore inglese con un ricco apparato di annotazioni storico-biografiche. I pregi sono evidenti; non mancano, tuttavia, alcuni aspetti che lasciano perplessi.
Premessa: Tolkien come poeta
Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli accolgono al loro interno quasi un centinaio di poesie che, cantate o recitate dai personaggi a beneficio di un’audience specifica, rappresentano un aspetto persino preponderante dell’interazione comunicativa e, in senso metanarrativo, paiono spesso riconducibili a specifiche tradizioni poetiche del Mondo Primario. Alcune, infatti, richiamano metri e stilemi dell’antica poesia anglosassone, altre ripropongono forme tradizionali del folklore inglese, altre ancora esprimono più di una complanarità con la lirica romantica, per la loro capacità di suggerire esperienze interiori o trascendentali. L’aspetto più interessante, in ogni caso, è la forte connessione che, nei romanzi, la poesia intrattiene con la prosa: «the characters do not just recite or listen to poetry, they usually set about commenting on it or interpreting it. Their interpretations do not primarily consist in elucidating the meaning; indeed, sometimes uncertainties are left as they are. What interests the characters more is the provenance of these poetic texts. The poems and songs of The Lord of the Rings have a history which is often discussed by the listeners and sometimes proves to be relevant to the plot; […] they also appear to be part of a living tradition, as some of the characters are shown as being engaged in translating and communicating ancient as well as more recent poetry» (Kullmann e Siepmann 2021: 240). Si direbbe, dunque, che la poesia costituisca un elemento fondamentale nel worldbuiling tolkieniano e contribuisca a creare quel senso di antichità e profondità storica perseguito dall’autore. Eppure, a dispetto di tanta importanza, molti lettori dello Hobbit e del Signore degli Anelli tendono ancora oggi a trascurare o persino a saltare le parti in versi per non interrompere il ritmo del racconto, perdendo così elementi integrali che illuminano di senso le trame e rimarcano gli stati d’animo dei personaggi, spesso più di quanto non faccia la prosa stessa. Tutto ciò costituisce uno strano paradosso, di cui lo scrittore inglese in persona ebbe modo di lamentarsi: «La mia “poesia” è stata poco apprezzata: i commenti, anche di alcuni ammiratori, sono più che altro sdegnosi (mi riferisco alle recensioni di tizi che si dicono letterati). Forse in gran parte perché nel clima contemporaneo, in cui la “poesia” deve riflettere solo l’agonia personale della mente o dell’anima, e le cose esteriori hanno valore solo per le loro “reazioni”, non si riconosce mai che i versi nel S.d.A. sono tutti drammatici: non esprimono la ricerca dell’anima del povero vecchio professore, ma sono adatti nello stile e nel contenuto ai personaggi della storia che li recitano o li cantano, e alla situazione in cui si trovano» (Lettere: n. 306).
Occorre sottolineare che, a differenza di quanto potrebbe evincersi dalla lettura (distratta) delle sue “opere maggiori”, l’importanza della poesia di Tolkien non dipende solo da una pretesa funzione ancillare nei confronti della prosa; ciò è peraltro dimostrato dal fatto che gli interessi poetici dello scrittore inglese hanno inizio già negli anni alla King Edward’s School di Birmingham, dove le lingue e le letterature classiche venivano studiate come preparazione a Oxford e Cambridge. Il giovane Ronald, a dire il vero, aveva già appreso i primi rudimenti di latino dalla madre ma in questo periodo ebbe modo di approfondire la poesia inglese, da Beowulf ai Racconti di Canterbury, fino alle opere di autori moderni come Tennyson, Swinburne, Hardy, Kipling e i poeti georgiani; è noto, inoltre, che egli soleva «intrattenere gli amici recitando passi del Beowulf, da Pearl e Sir Gawain and the Green Knight; raccontava episodi terrificanti tratti dalla nordica Völsungasaga, e già che c’era prendeva in giro Wagner, del quale disprezzava l’interpretazione dei miti» (Carpenter 2009: 77). A quegli anni risale anche la prima poesia scritta da Tolkien di cui si abbia notizia, Morning / Morning Song (Collected Poems, n. 1), acclusa in una lettera all’amata Edith Bratt datata 28 marzo 1910. Di un anno dopo è The Battle of the Eastern Field (n. 6), cronaca di una partita scolatica di rugby in uno stile che riprende, parodiandolo, quello di The Battle of Lake Regillus di Macaulay; si tratta del primo testo pubblicato da Tolkien, che vide la luce nel numero 26 della King Edward’s School Chronicle (1911). Fu, però, l’incontro col Kalevala ad accendere la fantasia del giovane: oltre a ispirare una riscrittura del poema stesso, The Story of Kullervo (n. 17), esso lo incoraggiò a comporre versi propri che a posteriori possono considerarsi a buon diritto l’inizio letterario del Legendarium: The Grimness of the Sea, poi sviluppatasi in The Horns of Ylmir (n. 13), e The Voyage of Éarendel the Evening Star (n. 16). Nel giro di un anno, i testi poetici dedicati alla nascente mitologia di Arda arrivarono a venticinque, tra cui You and Me and the Cottage of Lost Play (n. 28), Kôr: In a City Lost and Dead (n. 30) e The Shores of Faery (n. 31). Occorre dunque considerare due elementi di notevole rilevanza: anzitutto che il Tolkien ventitreenne «embraced poetry as a favoured mode of expression» (Scull, Hammond 2024: xvii) e inoltre che la ricerca di una cifra poetica procedette, almeno in questa fase, di concerto al primo sviluppo del Legendarium. L’opera certamente più nota di questa fase giovanile è Goblin Feet (n. 27), che comparve nel numero del 1915 di Oxford Poetry e nel successivo Book of Fairy Poetry curato da Dora Owen e illustrato da Warwick Goble (Londra, Longmans, Green & Co. 1920). Incoraggiato dalla stessa Owen, Tolkien provò persino a pubblicare un intero volume di poesie, intitolato The Trumpets of Faërie, ma la sua proposta alla casa editrice londinese Sidgwick and Jackson ricevette un garbato rifiuto. Ulteriori tentativi presso la Swann Press di Leeds e Blackwell ad Oxford non avrebbero avuto, d’altro canto, maggior fortuna (Anderson 2006: 549).
Iniziava, frattanto, la carriera accademica di Tolkien: a Leeds, egli lavorò a importanti traduzioni – Beowulf, Sir Gawain – e pubblicò varie poesie in giornali locali e riviste universitarie; insieme al collega E.V. Gordon, inoltre, egli «encouraged students to sing verses in Old, Middle, and Modern English, Gothic, Old Norse, and Latin at social gatherings, at which they also read sagas and drank beer» (Scull, Hammond 2024: xxxi), dimostrando una volta ancora la sua spiccata propensione per gli aspetti performativi e musicali della poesia. Risalgono al 1921 circa diversi poemi del “Silmarillion”, come The Lay of the Fall of Gondolin (n. 66), The Children of Húrin (n. 67), il Lay of Leithian (n. 92), The Flight of the Noldoli e un lai su Earendel (questi ultimi non sono stati inclusi nei Collected Poems ma erano stati già pubblicati in I lai del Beleriand). Di poco successivi sono The Lay of Aotrou and Itroun (n. 116), The Homecoming of Beorhtnoth Beorhthelm’s Son (n. 129), i “nuovi lai” sulla Völsungasaga (n. 131), la fondamentale Mythopoeia (n. 136) e The Fall of Arthur (n. 140), oltre a varie poesie per l’Oxford Magazine come The Adventures of Tom Bombadil ed Errantry. Anche questa seconda fase poetica non trovò un felice esito: il Lay of Leithian fu, com’è noto, respinto dalla Allen & Unwin, pur desiderosa di pubblicare altre opere del fortunato autore dello Hobbit, col risultato che Tolkien dovette attendere ancora a lungo perché un suo libro di poesie fosse finalmente pubblicato. Si tratta di The Adventures of Tom Bombadil and Other Verses from the Red Book, che vide la luce solo nel 1962 e solo grazie all’enorme successo del Signore degli Anelli, del quale era stato presentato al pubblico come “appendice” poetica.
Insomma, la vicenda compositiva dell’opera di Tolkien appare paradossale non solo sul versante narrativo del Legendarium, ma anche su quello specificamente poetico: anni di scritture e riscritture mai coronati da una completa pubblicazione che, vivente l’autore, ne avrebbe espresso appieno la volontà ultima. Del resto, a dispetto dell’impegno profuso dallo scrittore inglese nella sua produzione poetica, il responso della critica è stato tutt’altro che entusiastico. Ne è un esempio eclatante Brian Rosebury, il quale ha lamentato lo stile eccessivamente derivativo della produzione giovanile dello scrittore (cfr. Rosebury 1992: 82) e l’ha squalificata come l’opera di un talento genuino ma limitato, incapace di conciliarsi con il gusto del ventesimo secolo (cfr. Ivi: 84). Allo stesso modo, lo studioso ha espresso un parere tranchant su The Adventures of Tom Bombadil (con l’eccezione di The Sea-Bell) e su Mythopoeia, a suo parere niente più che un «semi-pastiche» (cfr. Ivi: 110). Certo: da allora gli studiosi hanno espresso pareri più equilibrati, ma hanno anche manifestato la tendenza a lavorare su campioni ristretti e consolidati del corpus poetico tolkieniano – «evidently a zone of comfort», dicono Scull e Hammond, «even after other verse was published by Christopher Tolkien in The History of Middle-earth» (2024: lv) –. Proprio qui si gioca la battaglia dei due editori dei Collected Poems: offrire un’ampia visuale della poesia tolkieniana che possa essere utile tanto ai lettori e agli appassionati quanto agli studiosi.
Cosa c’è nei Collected Poems (e cosa manca)
La storia dei Collected Poems è raccontata nella lunga introduzione al testo e ha inizio molto tempo fa. Già nell’aprile del 2016, infatti, Christina Scull e Wayne C. Hammond ricevettero un invito dalla HarperCollins per discutere sulla realizzabilità di uno o più volumi che raccogliessero le poesie di Tolkien. Gli interessi della casa editrice convergevano felicemente con quelli della Tolkien Estate, ansiosa (ça va sans dire) di pubblicare nuove opere dello scrittore inglese, e con quelli di Christopher Tolkien, il quale ambiva a rivelare una volta per tutte il talento poetico del padre di fronte al grande pubblico. La scelta era ricaduta su Scull e Hammond in quanto biografi e bibliografi di Tolkien (cfr. Hammond e Anderson 1993, Scull e Hammond 1995 e 2017) nonché curatori delle sue opere (cfr. Tolkien 1998, 2004 e 2014a) e autori di saggi (Scull e Hammond 2005). I due, inoltre, si erano già confrontati con la poesia tolkieniana curando The Adventures of Tom Bombadil (Tolkien 2014b) in un’edizione ampliata con prime versioni dei testi e note storico-biografiche.
Le fonti più importanti a disposizione degli editori consistevano in due raccolte in possesso della Bodleian Library di Oxford, i Blue Poetry Books I and II, contenenti i versi giovanili di Tolkien (dagli anni Dieci agli anni Trenta), e i Verse Files I and II, comprendenti riscritture e testi della maturità (dagli anni Trenta agli anni Sessanta). La Bodleian Library, inoltre, fornì agli editori scansioni ad alta risoluzione di altre poesie provenienti dai suoi archivi tolkieniani, mentre altri materiali giungevano dall’Archival Collections and Institutional Repository della Marquette University di Milwaukee e dall’E.V. and Ida Gordon Archive dell’Università di Leeds. Ulteriori ricerche avrebbero dovuto concentrarsi sui materiali in possesso di Christopher Tolkien, ma la morte di quest’ultimo rese impossibile ogni iniziativa in tal senso.
Ma veniamo, finalmente, ai Collected Poems. L’opera che è giunta alle stampe nel settembre 2024 (mi riferisco, nello specifico, all’edizione inglese) si presenta in tre corposi volumi stampati dall’italiana Rotolito con carta FSC Mix e una robusta rilegatura cartonata (ma non rivestita in tela). Ciascuno di essi presenta piatti color crema, impreziositi dai disegni di Tolkien, e dorsi di un blu intenso; negli uni e negli altri sono presenti impressioni dorate, mentre all’interno un segnalibro in seta blu conferisce un tocco di classe all’insieme. I volumi non hanno sovraccoperta ma sono raccolti in un cofanetto robusto e ben realizzato che riprende il design delle copertine. Ci troviamo, insomma, di fronte a un bell’oggetto, certamente pensato anche per far felici i collezionisti e i bibliofili.
Quanto ai contenuti, i tre volumi coprono rispettivamente gli anni 1910-1919, 1919-1931 e 1931-1967 e, come affermano Scull e Hammond, includono «the earliest and latest versions of each poem, if extant and legible, as well as any significant intermediate texts, either in full or in summary, as seemed best for each individual work» (Scull e Hammond 2024: lxiii). E non c’è che dire, il materiale è abbondante: parliamo di 195 testi (senza contare le prime versioni e le intermedie), tra cui si contano anzitutto ben 77 poesie inedite, come Morning / Morning Song (n. 1), The Dale-lands (n. 2), A Fragment of an Epic: Before Jerusalem Richard Makes an End of Speech (n. 7), The New Lemminkainen (n. 8) e Lemminkainen Goeth to the Ford of Oxen (n. 9) nonché poesie della Grande Guerra come The Thatch of Poppies (n. 49), I Stood upon an Empty Shore (n. 57), e Build Me a Grave beside the Sea / Brothers-in-Arms (n. 58). Ad esse si aggiungono non poche poesie finora pubblicate solo in parte, come Wood-sunshine (n. 4), fuori catalogo da tempo, come quelle del ciclo Songs for the Philologists, edite in versioni non originali, come The Complaint of Mîm the Dwarf (n. 185) o già diffuse ma adesso corredate da versioni alternative, come The Battle of the Eastern Field (n. 6); né mancano versioni inedite dei poemi del Legendarium, ad esempio The Grey Bridge of Tavrobel (n. 56) o l’incompiuto The Children of Húrin (n. 130) in metro allitterativo. Inoltre, le Appendici contengono limerick, clerihew e adagi in latino (I e II) nonché la gustosa Bealuwérig, una traduzione in Antico Inglese della celebre Jabberwocky di Lewis Carroll (V). Particolarmente preziose anche le Appendici III e IV, contenenti rispettivamente degli elenchi delle poesie tolkieniane stesi dall’autore stesso ed una “lista di parole” tratte da opere antiche e moderne (con una sorprendente presenza di Shakespeare!) che egli approntò da studente universitario in vista di futuri utilizzi. Tuttavia, il metodo di lavoro di Scull e Hammond – di cui parlerò tra poco – impone alcune economie di spazi: così, i Collected Poems accolgono solo una ristrettissima selezione di testi dallo Hobbit e dal Signore degli Anelli e pochi estratti dei poemi del ‘Silmarillion’ già disponibili nella History of Middle-earth o in altre opere. Così, ad esempio, gli editori ammettono che «The Children of Húrin cannot be printed here in its entirety» (Scull e Hammond 2024: 487) in quanto già pubblicato altrove: ma ciò, a ben vedere, varrebbe anche per la maggior parte delle poesie incluse nei Collected Poems; dunque, non ci troviamo di fronte a una scelta editoriale oggettiva e perseguita in maniera omogenea all’interno dell’opera. Altre omissioni riguardano testi che «for one reason or another are problematic» (Ivi: lxi) e un numero imprecisato di poesie giovanili perdute o ancora sconosciute, presumibilmente contenute nelle carte in possesso di Christopher Tolkien al momento della sua morte. Ciò considerato, gli editori ribadiscono che «The Collected Poems of J.R.R. Tolkien is not a Complete Poems, though it represents most of the works of poetry Tolkien is known to have written» (Scull, Hammond 2024: lxi).
Veniamo, dunque, alla filosofia editoriale e al metodo di lavoro di Scull e Hammond: i Collected Poems raccolgono le poesie in voci identificate da un numero, un titolo (o, quando non ve ne sia uno, dal primo verso) e un intervallo cronologico che individua le date di composizione, revisione o pubblicazione del testo. All’interno di ogni voce, inoltre, è fornita ogni versione disponibile del testo, identificata da una lettera. Così, ad esempio, la voce n. 1 è Morning / Morning Song (1910-15) ed accoglie le versioni A, B, C e D della poesia, ciascuna con un commento degli editori che riguarda per lo più il Sitz im Leben del testo e le principali variazioni tra una versione e l’altra; quasi inesistente, invece, è l’analisi metrica (ridotta, per lo più, all’individuazione dello schema di rime) e contenutistica. Ne consegue che ogni voce costituisca essenzialmente una sequenza cronologica dalla prima versione di una poesia alla più recente: un approccio che, dunque, ripropone grossomodo quello adottato da Christopher Tolkien nella Storia della Terra di Mezzo. Gli stessi editori ammettono che non si tratta di un metodo perfetto, dal momento che poche poesie, se non pochissime, possono essere datate con assoluta certezza; tuttavia, giustificano la propria scelta sostenendo che l’ordine cronologico «best serves to illustrate Tolkien’s development as a poet, rather than, say, arranging his works by subject or theme» (Ivi: lxii). I Collected Poems assumono perciò un taglio più storico-biografico che letterario, rispetto al quale Scull e Hammond prevengono le critiche ammettendo candidamente: «We have not analysed every poem in this collection according to its metre, lest our book become overly technical. No doubt there will be readers eager to do that work for themselves. It has already been done for selected poems» (Ivi: xlviii). Così, si limitano a restituire lo stato dell’arte citando studi immancabili ma parziali come quelli di Deyo (1986), Russom (2000), Eilmann e Turner (2013), Lee e Solopova (2015), Cawsey (2017) etc. ma di fatto non offrono interpretazioni dei testi se non nel quadro della parabola biografica di Tolkien.
Pregi e difetti di quest’edizione
Alcuni libri, forse la maggior parte, devono “lottare” per conquistarsi un pubblico ma di certo i Collected Poems non hanno bisogno di affrontare una simile difficoltà: il nome di Tolkien è sufficiente a garantire a un’opera certamente non economica un sicuro riscontro di vendite presso gli studiosi, i lettori vecchi e nuovi, gli appassionati e i collezionisti bibliofili. Non solo: rende accettabile l’evidente, e per certi versi necessaria, provvisorietà del testo proposto da Scull e Hammond. Non è difficile prevedere, considerando anche l’andamento recente delle pubblicazioni tolkieniane, che nei prossimi anni saranno pubblicate versioni aggiornate ed ampliate dei Collected Poems o che ne saranno estratte singole sezioni in volumi tematici (un po’ come dal Signore degli Anelli, dal Silmarillion, dai Racconti incompiuti e dalla Storia della Terra di Mezzo è stato ricavato, ad esempio, The Fall of Númenor). A pensar male si fa peccato, diceva qualcuno, ma…
Eppure, i Collected Poems non costituiscono solo un’abile mossa commerciale. Fino ad oggi, l’accesso alla poesia di Tolkien è stato relativamente limitato e il lavoro di Scull e Hammond offre certamente uno strumento essenziale per averne una maggior comprensione. Sotto questo profilo, i due studiosi hanno il chiarissimo merito di rendere disponibili a uno sguardo d’insieme testi inediti, pubblicati solo in parte o fuori catalogo; l’approccio cronologico permette, inoltre, di entrare nel “laboratorio” di Tolkien e di appurare come le sue poesie siano cambiate nel tempo. Il lettore ne trae così l’idea – interessante anche in chiave performativa – che il “processo” sia in fin dei conti più importante del “prodotto”, a dispetto della rassicurante evidenza di quest’ultimo. Se da questo punto di vista la filosofia editoriale di Scull e Hammond appare stimolante – e lo è senz’altro – i risultati non sembrano tuttavia pienamente convincenti. Il principale limite dei Collected Poems, infatti, risiede nel fatto che essi non costituiscono né una normale raccolta di poesie, comprendente solo i testi finiti in ordine di pubblicazione, né un’edizione critica in senso stretto, volta a ristabilire per via congetturale la forma originale o ottimale delle opere e, con essa, la volontà ultima dell’autore. Ne consegue un’identità stranamente ibridata che si traduce in una difficoltà a comprendere con esattezza a quale pubblico sia destinata un’opera così imponente. In aggiunta, occorre constatare come i Collected Poems risentano negativamente di una notevole ripetitività, assommando versioni su versioni sulla sola base della disponibilità di testimoni da chiamare in causa. Considerando quante delle 1500 pagine dei tre volumi sono dedicate alla riproposizione di versioni anche solo leggermente diverse della medesima poesia, appare decisamente strano che le opere più lunghe (come le traduzioni di Sir Gawain, Pearl, Beowulf e i grandi poemi del Legendarium) finiscano per non trovarvi posto se non patendo un’indebita mutilazione. Per il lettore interessato solo al piacere della poesia, la presenza di più versioni e il commento incorniciato rendono la lettura decisamente ardua; per lo studioso, la frammentarietà dei testi più importanti rende i Collected Poems gravemente lacunosi.
Eppure, con una diversa filosofia editoriale – e senza riempire così tanto spazio con infinite varianti di poesie interessanti ma francamente minori – si sarebbero potute includere tutte le opere per intero. In generale, sarebbe stato auspicabile che Scull e Hammond operassero una scelta editoriale “forte”: o favorire il piacere della lettura approntando dei Complete Poems che presentassero il testo “pulito” e leggermente annotato di tutte le poesie note di Tolkien in ordine cronologico, oppure prediligere le esigenze dello studio scientifico e fornire un’edizione critica degna di questo nome, con tanto di presentazione dei testimoni, analisi degli aspetti tecnici (linguistici, metrici, retorici etc.) dei testi e via dicendo. Certo: considerando che Tolkien revisionò molto pesantemente molte delle sue poesie, spesso nel corso di decenni, sarebbero state necessarie delle decisioni editoriali abbastanza arbitrarie per scegliere solo una versione delle poesie inedite. Perciò, credo che la seconda opzione sarebbe risultata vincente: ad esempio, si sarebbero potuti presentare i testi nella loro versione definitiva (o, in assenza di quest’ultima, in una ritenuta dagli editori artisticamente compiuta), presentando le varianti – aggiunte, sostituzioni, permutazioni e soppressioni – in un apposito apparato a pie’ di pagina o a fondo testo (un po’ come avviene, ad esempio, nei Meridiani Mondadori, che non sacrificano la leggibilità all’attrezzatura critica nè viceversa). Il rischio, adombrato da Scull e Hammond, di ottenere un volume troppo tecnico sarebbe stato minimo: il lettore interessato esclusivamente ai testi li avrebbe letti nella versione fissata dagli editori, lo studioso avrebbe potuto spingersi oltre consultando l’apparato critico.
In definitiva, i Collected Poems non sono un’edizione perfetta – posto che ciò sia possibile – della poesia di Tolkien. Nonostante ciò, costituiscono un’impresa editoriale necessaria che, al netto dei molti limiti, potrà favorire una generale (e auspicabile) riconsiderazione del talento poetico di Tolkien e costituire nel tempo il punto di partenza di ricerche e studi. Anzi, a dire il vero, qualcosa già si muove: infatti, il Digital Tolkien Project, un progetto accademico di digital humanities, ha da poco lanciato una sezione sulla poesia tolkieniana che, mettendo a frutto i dati raccolti nei Collected Poems, permetterà in futuro di avere informazioni sulla metrica di ciascuna poesia e di catalogare le poesie per tema.
Bibliografia
Anderson, D.C. 2006. ‘Publishing History’. In M.C. Drout, J.R.R. Tolkien Encyclopedia. New York-London: Routledge, pp. 549-50.
Carpenter, H. 2009. J.R.R. Tolkien. La biografia. Torino: Lindau.
Cawsey, K. 2017. ‘Could Gollum Be Singing a Sonnet?:The Poetic Project of The Lord of the Rings’. Tolkien Studies, 14, pp. 53–69.
Deyo, S.M. 1986. ‘Niggle’s Leaves: The Red Book of Westmarch and Related Minor Poetry of J.R.R. Tolkien’. Mythlore 12, no. 3, 45 (Spring 1986), pp. 28-31, 34-37.
Eilmann, J. e Turner, A. (eds.) 2013. Tolkien’s Poetry. Zollikofern: Walking Tree Publishers.
Hammond, W.G. e Anderson, D.G. 1993. J.R.R. Tolkien. A Descriptive Bibliography. New Castle, DE: Oak Knoll Press.
Kullmann, T. e Siepmann, D. 2021. Tolkien as a Literary Artist: Exploring Rhetoric, Language and Style in The Lord of the Rings, London: Palgrave Macmillan.
Lee, S.D. e Solopova, E. 2015. The Keys of Middle-earth: Discovering Medieval Literature through the Fiction of J.R.R. Tolkien, 2nd ed. London: Palgrave Macmillan.
Rosebury, B. 1992. Tolkien. A Critical Assessment. London: Palgrave Macmillan.
Russom, G. 2000. ‘Tolkien’s Versecraft in The Hobbit and The Lord of the Rings’. in G. Clark e D. Timmons (eds.), J.R.R. Tolkien and His Literary Resonances. Santa Barbara, CA: Praeger, pp. 53-70.
Scull, C. e Hammond, W.G. 1995. J.R.R. Tolkien. Artist and Illustrator. London: HarperCollins.
Scull, C. e Hammond, W.G. 2005. The Lord of the Rings. A Reader’s Companion. London: HarperCollins.
Scull, C. e Hammond, W.C. 2017. The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, 2nd ed. London: Harper Collins.
Tolkien, J.R.R. 1998. Roverandom. Ed. by C. Scull and W.G. Hammond. London: HarperCollins.
Tolkien, J.R.R. 2004. The Lord of the Rings, 50th anniversary edition. Ed. by C. Scull and W.G. Hammond. London: HarperCollins.
Tolkien, J.R.R. 2014a. Farmer Giles of Ham, 50th anniversary edition. Ed. by C. Scull and W.G. Hammond. London: HarperCollins.
Tolkien, J.R.R. 2014b. The Adventures of Tom Bombadil. Ed. by C. Scull and W.G. Hammond. London: HarperCollins.
«I wisely started with a map, and made the story fit (generally with meticulous care for distances). The other way about lands one in confusions and impossibilities, and in any case it is weary work to compose a map from a story – as I fear you have found».
«Saggiamente sono partito da una mappa, e ho fatto in modo che la storia le si adattasse (in genere con una meticolosa attenzione alle distanze). Fare le cose al contrario porta a confusione e impossibilità, e ad ogni modo trarre una mappa da un racconto è un lavoro faticoso, come temo lei abbia scoperto».
Come Tolkien stesso spiega alla scrittrice Naomi Mitchison (a destra) nella lettera sopra citata, il primo passo nella stesura del Signore degli Anelli fu la redazione di una mappa. Tolkien la abbozzò inizialmente egli stesso, per poi passarla al figlio Christopher perché ne creasse una versione esteticamente più attraente – quella che tutti conosciamo – che fosse degna di essere allegata al romanzo per far da guida ai lettori così come aveva fatto da guida all’Autore. Successivamente, e a stretto contatto con il Professore di Oxford, una nuova e ancor più attraente mappa fu redatta dall’illustratrice e scrittrice Pauline Baynes. Anche in questo Tolkien fu un precursore, come testimoniato dal fatto che una saga fantasy che non abbia ad accompagnarla una mappa più o meno dettagliata è oggi praticamente inconcepibile.
Luoghi reali e luoghi immaginari (e birra)
Facciamo ora un piccolo salto e spostiamoci da Oxford a Londra, e precisamente al n. 4 di Bury Street nel St James’s district. Tra le tantissime cose che rendono affascinante la capitale del Regno Unito vi è di sicuro l’abbondanza di librerie antiquarie, e fra queste una che occupa una posizione sicuramente speciale è la Daniel Crouch Rare Books. Peculiare fra le peculiari librerie della capitale, DCRB – fondata nel 2010 da Daniel Crouch e Nick Trimming – è specializzata in «mappe rare, atlanti antichi, piante, carte nautiche e libri di viaggi d’antiquariato del periodo compreso tra il XV e il XIX secolo». Dalle immagini in mostra sul sito si intuisce facilmente che non si tratta di un luogo per tutti, ma bisogna anche ammettere che è proprio questo quel che la rende un luogo dal fascino così speciale, quasi un museo piuttosto che una semplice attività commerciale. Accade tuttavia che, tra un portolano e una planimetria, padre e figlia proprietari della libreria si ritrovino in un pub davanti a una pinta di birra e inizino a discutere del fatto che “tutti i libri migliori iniziano con una mappa”. Da cosa nasce cosa, ed eccoli mettere insieme, e in vendita, una collezione di mappe di “luoghi mai esistiti”, carte fra le più disparate che tracciano luoghi fantastici e bizzarri distribuiti nell’arco di 2.700 anni, tra cui anche quella particolarmente singolare del Poyais, nazione inventata di sana pianta da un truffatore per pagarsi la pensione – tra l’altro con successo – a scapito di tanto sfortunati quanto incauti “investitori”.
«Madamina il catalogo è questo»
In una collezione siffatta Tolkien naturalmente non poteva mancare, così, tra Narnia e Atlantide, Inferno Dantesco e Oz, Asterix (sì, anche lui!) e Dune, non solo troviamo le mappe del Signore degli Anelli (sia quella di Christopher Tolkien sia quella di Pauline Baynes), dello Hobbit e del Silmarillion, ma vediamo Tolkien stesso onorato addirittura del titolo del catalogo che, riprendendo il passo della Lettera sopra citata, recita “Saggiamente sono partito da una mappa!” (punto esclamativo aggiunto dai curatori).
La cattiva notizia è che la collezione si vende in blocco per il modico prezzo di 1,1 milioni di sterline; la buona, tuttavia, è che il catalogo, di cui a sinistra potete ammirare la bellissima copertina, ha il prezzo molto più abbordabile di 50 sterline più spese di spedizione, e la buonissima è che il suddetto catalogo è scaricabile gratuitamente qui.
J.R.R. Tolkien è uno degli autori più venduti di tutti i tempi e non solo per i franchise cinematografici di successo arrivati dopo il 2000 e per la serie tv con budget faraonico di Amazon. È anche uno degli autori più preziosi per i collezionisti di libri, che ormai sono disposti a sborsare cifre da capogiro per le edizioni più rare. È il caso di una rarissima copia della prima edizione del Signore degli Anelli con le sovraccoperte originali, le mappe e le illustrazioni nel testo che è stata messa all’asta da Heritage Auctions. I preziosi volumi sono spuntati fuori dalla biblioteca di William “Bill” A. Strutz, avvocato di Bismarck, North Dakota, scomparso a 89 anni lo scorso 25 gennaio 2024. Per tutta la vita Strutz ha collezionato libri rari accumulando una collezione enorme. A stupire però è la qualità e la rarità dei libri. Per dire, la sua copia di Frankenstein di Mary Shelley è una delle sole tre della prima edizione originale del 1818, l’unica in possesso di un privato. Durante l’estate una prima selezione dalla sua biblioteca ha stabilito numerosi record e realizzato 5,65 milioni di dollari. Un’altra attesissima asta della collezione Strutz si terrà a dicembre, ma solo dopo l’asta Rare Books Signature del 10-11 ottobre, che presenta i tre libri di Tolkien per dominarli tutti.
Copie che restituiscono un’emozione
La biblioteca di William Strutz è composta da più di 15.000 libri, il risultato di un «lavoro durato una vita», come ha scritto una volta il giornale della città natale dell’avvocato, The Bismarck Tribune. Strutz ha iniziato a collezionare libri al college alla fine degli anni ’50, su argomenti che spaziavano dall’astronomia alla psicologia, dalla religione al diritto, dalla filosofia alla storia. Poco dopo, ha iniziato a concentrarsi su libri di grande importanza letteraria, in superbe condizioni originali e con una provenienza importante. Questo spiega la profusione di copie firmate e regalate dagli autori ad amici e parenti trovate nella sua biblioteca, molte delle quali sono molto rare. Strutz, infatti, voleva più di una semplice copia del libro in sé. Cercava copie possedute dai loro autori, toccate da loro, regalate da loro, amate da loro. Voleva che i libri fossero presentati da un personaggio importante all’altro. Di conseguenza, Strutz ha assemblato «una delle più importanti collezioni di letteratura inglese e americana che siano mai state immesse sul mercato negli ultimi decenni», come affermato da Francis Wahlgren, direttore internazionale di libri rari e manoscritti di Heritage Auctions.
«La collezione è probabilmente una delle poche grandi biblioteche private rimaste in America, formata in sei decenni», ha detto Wahlgren. «Sessant’anni di collezionismo non si vedono più di frequente, soprattutto con la sua attenzione alla profondità e alla qualità dei libri comprati. Alcuni di questi libri sono così rari che probabilmente non saranno mai più reperibili, o visti fuori da un’istituzione pubblica. Strutz era straordinariamente colto: faceva citazioni dalla sua vasta collezione durante i processi, e la scelta dei suoi libri riflette la sua cultura». A chi gli chiese cosa lo avesse spinto a costruire una biblioteca così mozzafiato, del tipo che attirava visite di studiosi e studenti fin dentro il remoto North Dakota, Strutz dava la migliore spiegazione possibile: «Sono un lettore». Ogni volta che Strutz usciva di casa, tornava con una valigetta piena di libri, le migliori copie dei titoli più grandi, che finivano sugli scaffali infiniti che riempivano due piani della sua casa attorno ai quali aveva costruito la sua biblioteca. Nonostante la distanza dai centri di raccolta di libri del mondo, Strutz strinse amicizia anche con i più grandi collezionisti e curatori del mondo, con i quali corrispondeva regolarmente per tenere traccia dei titoli che arrivavano sul mercato. «Non ha mai voluto separarsi dai suoi libri in vita perché erano una parte importante della sua vita», ha detto Wahlgren, «amava troppo i suoi libri».
Tolkien nella collezione Strutz
Nella collezione di William Strutz ci sono anche tre volumi di Tolkien. Ognuno di essi racconta una storia. Il primo è quello che è divenuto Lo Hobbit più prezioso al mondo, una prima edizione del romanzo che ha raggiunto i 300.000 dollari nell’asta dello scorso 27 giugno. Stampata nel 1937 è una di quelle copie di presentazione data dall’editore allo scrittore inglese e regalate da quest’ultimo ad amici, colleghi e parenti. La copia si presenta in uno stato ottimale con una sovraccoperta superlativa, una tavola in mezzatinta inserita dall’autore oltre le otto canoniche, e anche un foglio pubblicitario integrale alla fine. Tela verde dell’editore originale timbrata in blu, risguardi bianco sporco stampati con la mappa di Thror e una mappa delle Terre Selvagge da disegni dell’autore, bordo superiore macchiato di verde; sovraccoperta illustrata originale da un disegno dell’autore, con “Dodgeson” corretto a mano sul risvolto posteriore; custodito in un cofanetto realizzato a mano a cura di un precedente proprietario. La dedica sul risguardo anteriore è di Tolkien: «A Charles e Dorothy Moore / da / J.R.R.T. / con amore / settembre 1937». Secondo Wayne G. Hammond, Dorothy Moore era una vecchia amica della moglie di Tolkien, Edith. Nella nuova edizione delle Lettere di Tolkien (2023), “Dorothy e Charlie Moore” sono descritti come “amici di famiglia” che vivevano a Exeter, Devon, in relazione a una vacanza che il figlio più giovane dei Tolkien, Christopher, trascorse con loro. Dorothy morì nei primi anni ’40; i Tolkien rimasero in contatto con Charles ma persero i contatti con lui intorno al 1955. Molto interessante è anche la copia di Farmer Giles of Ham (Il Cacciatore di Draghi) regalata da Tolkien a Cyril Hackett Wilkinson, a cui è dedicato il libro, con una lettera manoscritta del 30 ottobre 1949. La dedica, sul risguardo anteriore libero, recita: «A C.H. Wilkinson / con i migliori / auguri / da / J.R.R.T.». Cyril Hackett Wilkinson (1888-1960) aveva ricoperto molti incarichi al Worcester College dell’Università di Oxford, tra cui tutor di inglese, bibliotecario del college e “Preside” del Worcester College. Frequentò il college come studente universitario, dove fu membro del Lovelace Club. Grazie al suo patrocinio sul club come Preside e Bibliotecario, invitò Tolkien a parlare a un incontro il 14 febbraio 1938. Tolkien ruppe con la tradizione e, anziché leggere “un articolo” Sulle fiabe, lesse una versione ampliata di Farmer Giles al club, con grande gioia degli studenti. Di quella serata scrisse ai suoi editori: «Sono rimasto molto sorpreso dal risultato. Ci è voluto quasi il doppio del tempo di un vero e proprio “articolo” per leggerlo ad alta voce; e il pubblico apparentemente non si è annoiato, anzi, era generalmente trasportato dall’allegria». (Lettere, n 31). Sebbene la storia sia nata come racconto per i suoi figli negli anni ’20, Tolkien ne lesse una versione ampliata al Lovelace Club nel 1938, precisando che la storia non era stata scritta per bambini, anche se avrebbe potuto comunque divertirli. Farmer Giles of Ham non fu pubblicato fino al 1949: Tolkien esaminò attentamente il manoscritto, apportando modifiche per migliorare sia lo stile sia la narrazione. Prima della pubblicazione, Tolkien scrisse all’editore Allen & Unwin il 5 luglio 1947: «Penso che potrebbe essere utile sottolineare il fatto che questo è un racconto composto appositamente per essere letto ad alta voce: va molto bene così, per coloro a cui piace questo genere di cose. Fu, infatti, scritto su ordinazione, per essere letto alla Lovelace Society al Worcester College; e fu letto loro in una seduta. Per questo motivo vorrei mettere una dedica a C.H. Wilkinson su un risguardo, poiché fu il colonnello Wilkinson di quel College a spingermi a farlo, e da allora mi ha costantemente spinto a pubblicarlo» (Lettere, n. 108). Finalmente il volume uscì il 20 ottobre 1949 e l’autore ricevette alcune copie da inviare a colleghi, recensori e giornalisti. Nel presentare questa copia a Wilkinson, Tolkien scrive nella lettera di accompagnamento: «… Nel frattempo, dopo infiniti ritardi, il sottile libro è finalmente venuto alla luce e, poiché mi hai permesso di dedicartelo in memoria di una serata molto piacevole (e della tua stessa sollecitazione alla pubblicazione), spero che accetterai anche questa copia. Molto sinceramente, JRR Tolkien». La copia è stata venduta all’asta il 27 giugno scorso per 42.500 dollari. Da fine settembre è invece posta all’asta da Heritage Auctions una rarissima copia della prima edizione del Signore degli Anelli con le sovraccoperte originali, le mappe e le illustrazioni nel testo. Si tratta dell’edizione in tre volumi. Inizialmente Tolkien voleva stampare l’intera storia in un unico volume, ma fu costretto dal suo editore a dividerla in tre libri diversi. Così, La Compagnia dell’Anello, Le Due Torri e Il Ritorno del Re furono pubblicati separatamente e in tempi diversi. Il primo libro della trilogia è stato pubblicato nel Regno Unito da George Allen & Unwin nel luglio 1954, con solo 3.000 copie che facevano parte della prima edizione (è la prima impression). Nel novembre 1954, sono state stampate 3.250 copie della prima edizione del secondo libro (anche in questo caso si tratta della 1/1: prima edizione, prima impression). Quando il terzo libro fu pubblicato nell’ottobre del 1955, la tiratura era ormai salita a 7.000 copie stampate (prima impression). A fine ’55 erano state pubblicate quindi quattro impression del primo volume, tre del secondo e due del terzo, per un totale rispettivamente di circa 9000, 8000 e 7000 copie. Le copie da collezione della prima edizione, prima impressione fin dall’inizio erano poche (cioè 3000) e ora, dopo 70 anni sono, quindi, estremamente rare. Per quanto riguarda i libri attualmente all’asta, tutti e tre sono considerati prime impressioni con le loro «sovraccolte antipolvere di primo stato estremamente rare”. La valutazione della casa d’aste fa capire che i libri siano in buone condizioni con usura minima. Un’inserzione per un set della prima stampa della trilogia è attualmente in vendita per più di 186.000 su AbeBooks.com. L’asta presso Heritage Auctions si è chiusa con l’offerta di 75.000 dollari,con commissione acquirente. Una prima edizione immacolata della trilogia del Signore degli Anelli è considerata infatti uno dei beni più preziosi tra i collezionisti di libri della Terra di Mezzo e di qualsiasi altro posto. Ciò è particolarmente vero negli ultimi anni, come dimostrato dalle vendite record dei tomi di Tolkien. All’inizio di quest’anno, una prima edizione (copie di presentazione) dello Hobbit è stata venduta per poco meno di 90.000 dollari, mentre una serie di prime edizioni firmate (copie di presentazione) del Signore degli Anelli (in cattive condizioni e senza sovraccoperta) sono state vendute per circa 60.000 dollari alla stessa asta. Queste prime edizioni, ciascuna nella sua rara sovraccoperta in stato ottimo, ciascuna dall’aspetto immacolato come quando arrivò per la prima volta sugli scaffali a metà degli anni ’50, sono pronte a raggiungere livelli record.
Le aste e le vendite di materiale firmato da J.R.R. Tolkien sono ormai eventi che si presentano di frequente, in particolare in occasione di ricorrenze significative legate alla vita o alla produzione editoriale del Professore di Oxford. Dopo quella di Heritage Auctions, di cui abbiamo dato conto qui, è adesso la volta di Bayliss Rare Books che, in occasione dei 70 anni dalla pubblicazione della Compagnia dell’Anello, propone, secondo la propria definizione, «la miglior raccolta giunta sul mercato da decenni».
Il materiale in vendita comprendeva prime edizioni dello Hobbit e del Signore degli Anelli, insieme a varie lettere inviate da Tolkien ad amici, all’editore Allen & Unwin e a Ken Jackson, direttore tecnico dell’adattamento musical-teatrale dello Hobbit portato sul palcoscenico nel 1967 dal coro della New College School di Oxford – Peter non è il primo Jackson ad aver a che fare con Tolkien, a quanto pare – a partire da una sceneggiatura di Humphrey Carpenter – più noto per le biografie autorizzate di Tolkien e degli Inklings – e con musiche di Paul Drayton. Tolkien stesso, che aveva autorizzato la rappresentazione, assistette insieme a Edith all’ultima replica il 17 dicembre 1967. Questa lettera (due pagine scritte a mano) è praticamente l’unica di tutto il lotto ad essere ancora in vendita, per la modica cifra di 17.862,95 euro.
I prezzi dei vari oggetti, infatti, sono lontani dalla portata del comune mortale, con le prime edizioni vendute tra i 10.000 e i 60.000 euro e le lettere tra i 15.000 e i 30.000 euro. Una prima edizione (prima edizione/seconda impressione) dello Hobbit di Tolkien che un tempo era appartenuta allo zio di Tolkien, Walter Incledon, è stata venduta per 10.108,95 euro. Pubblicata nello stesso anno della prima impressione, questa prima edizione illustrata a colori (seconda impressione in assoluto) mostrava per la prima volta la Terra di Mezzo a colori. Questa impressione è stata stampata nel dicembre del 1937 in un’edizione di 2300 copie (423 delle quali sono state distrutte nel magazzino del rilegatore, Key and Whiting, nel bombardamento di Londra del 7 novembre 1940). Si presume che il libro sia stato originariamente dato allo zio da Tolkien stesso. Walter Incledon era un mercante di Birmingham, marito di May Suffield, la sorella della madre di Tolkien. Aveva poco più di trent’anni quando nacque Tolkien, e fornì un aiuto finanziario alla madre di Tolkien e, in seguito, un sussidio a J.R.R. dopo la morte del padre. Walter in seguito regalò la copia a un amico. Il volume è stato poi conservato nella famiglia del destinatario per discendenza dal 1938. La dedica è di Walter Incledon: «CSC / da / WB Incledon. / Rottingdean / gennaio? 1938».
Lettere e conferme
La parte più interessante per appassionati e studiosi è rappresentata senz’altro come sempre dalle lettere, nelle quali, secondo quanto comunicato da Bayliss Rare Books, Tolkien parla di “teorie del linguaggio” (lettera manoscritta di sei pagine e firmata, datata 2 ottobre 1947 e intestata al Merton College, Oxford, venduta per 23.221,95 euro), di “un certo sentore di affettazione” che a suo dire circonda due “preziosi gentiluomini” dai ben noti nomi di Sherlock e Mycroft Holmes (lettera dattiloscritta e firmata, datata 2 ottobre 1947, indirizzata ad A.W. Riddle, venduta per 23.817,95 euro) – cosa che, per la gioia dei biografi, attesta che Tolkien aveva letto almeno qualcuna delle storie di Arthur Conan Doyle con protagonista il detective di Baker Street – e dell’origine del nome Bag End per la dimora di Bilbo e Frodo (lettera dattiloscritta, inviata a K. Jackson, datata 29 gennaio 1968, valutata 19.649,95 euro), ripreso dalla casa posseduta dalla zia Jane Neave nel Worcestershire, dettaglio tuttavia già noto perché riportato da Tolkien nella Guide to the Names in The Lord of the Rings, tuttora inedita in Italia:
«Era il nome con cui era conosciuta la fattoria di mia zia nel Worcestershire, posta alla fine di uno stradello che vi conduceva e non proseguiva oltre».
Tra le lettere vendute (lettera dattiloscritta e firmata agli editori di Tolkien, datata 24 luglio 1953 venduta per ben 33.939,95 euro) è compresa anche quella, molto veemente e molto famosa, con la quale Tolkien si lamentava con l’editore Allen & Unwin delle correzioni effettuate dagli editor al testo da lui inviato:
«So bene che dwarfs è il corretto plurale inglese moderno di dwarf; tuttavia intendo usare dwarves per buone ragioni mie proprie».
E anche: «Trovo ancor più insopportabile che i miei elven e elven- vengano rimpiazzati […] dal detestabile elfin spenseriano, che erano stati specificamente studiati per evitare».
E infine: «Penso che sarebbe molto meglio, e risparmierebbe alla fine tempo e fastidi, se si assumesse che tutte le apparenti stranezze e peculiarità […] sono intenzionali».
Il materiale ancora in vendita è visibile sull’apposita pagina del venditore, che potete trovare qui. Non fatevi tentare, o, se potete farlo, abbiate la nostra invidia.
«Fa parte dei ricordi più belli del collezionista il momento in cui comprò un libro, al quale in vita sua mai aveva dedicato un pensiero e ancor meno un desiderio, soltanto perché lo vide solo e abbandonato a se stesso in balia del mercato e come nelle fiabe delle Mille e una notte il principe fa con una bella schiava, lo acquistò per donargli la libertà. Per il bibliomane, infatti, la libertà di tutti i libri consiste nello stare da qualche parte sui suoi scaffali». Così scriveva Walter Benjamin – egli stesso appassionato collezionista – in un felice saggio che del collezionismo forniva una definizione, per così dire, nobile. Sono affermazioni che immancabilmente fanno ragionare su come il collezionismo stesso si sia evoluto nel tempo: in gran parte dei casi, le grandi collezioni – quelle milionarie – più che una passione costituiscono ormai una forma d’investimento che sempre meno ha a che vedere con l’amore per gli oggetti da raccogliere e salvare dall’oblio. Per certi versi, esse parrebbero ricordare in negativo gli Elfi di Lórien: «Imbalsamatori» (Lettere, 154) del tempo più che conservatori del passato.
Collezionare Tolkien
Il mercato del collezionismo, comunque, è particolarmente vitale nel settore tolkieniano e proprio in questo periodo si sono assommate diverse novità al riguardo che attirano gli investitori e fanno sognare i comuni mortali. La prima notizia riguarda un’asta, appena conclusasi presso Heritage Auctions, per una prima edizione dello Hobbit. Si tratta, in particolare, di una rara copia di presentazione del volume con tanto di dedica dell’autore: «Charles & Dorothy Moore / from. / J.R.R.T / with love / September 1937». Dorothy Moore era un’amica di Edith, e lo stesso Tolkien considerava i Moore degli amici di famiglia. A quanto si apprende dall’annuncio, il volume è in condizioni eccellenti: la copertina presenta un lievissimo scolorimento e la sovraccoperta mostra segni di usura del tutto trascurabili. Nel contropiatto anteriore e nella controguardia posteriore sono presenti i segni di piccole riparazioni, effettuate comunque con perizia. Il volume è stato battuto il 27 giugno scorso per la cifra monstre di 375.000 sterline.
Il secondo oggetto, proposto nientemeno che da Christie’s, è un manoscritto autografo di 4 pagine (240 x 184 mm) che documenta le lezioni tenute dal Professore sulle glosse al Vespasian Psalter – la più antica traduzione in Old English di materiale proveniente dalla Bibbia, risalente al IX secolo. Il manoscritto presenta dei diagrammi sullo sviluppo della vocale ‘a’ nel West Mercian, nel Kentish e nel West-Saxon. Il Professore era solito confezionare e distribuire note di questo genere ai suoi tutor di Old e Middle English, consentendo loro di conservarle. Il testo in questione, datato 1942, è offerto proprio dai discendenti di uno degli studenti del Professore. L’asta si aprirà il 10 luglio e Christie’s stima un prezzo di vendita del manoscritto tra le 6.000 e le 10.000 sterline. La terza notizia – assai più interessante per gli studiosi – riguarda un’asta di Sotheby’s comprendente due preziose calligrafie manoscritte delle poesie Namárië e A Elbereth Gilthoniel, accompagnate rispettivamente da 7 e 6pagine di commento storico e linguistico su 10 fogli di carta in quarto (254 x 201 mm) e ben 21 lettere (15 a mano e 6 dattiloscritte) inviate da Tolkien al compositore Donald Swann dal 1965 al 1973, che includono un’ampia discussione su The Road Goes Ever On, il ciclo di canzoni (uscito nel 1967 sia come spartito sia come disco) che musicavano le principali poesie del Signore degli Anelli. Ci sono molti estratti interessanti: la storia di Galadriel («… Fu l’ultima sopravvissuta dei principi e delle regine che avevano condotto i ribelli Noldor all’esilio nella Terra di Mezzo. Dopo la caduta di Morgoth alla fine della Prima Era, fu imposto un divieto al suo ritorno, e lei rispose orgogliosamente che non desiderava farlo…»), il metro del poema, la pronuncia, anche con un glossario («Varda: “l’Esaltata”, la più grande delle regine dei Valar…»; «Laurë è tradotta “oro”, ma non era una parola metallica. Era applicata a quelle cose che spesso chiamiamo ‘dorate’ anche se non assomigliano molto all’oro metallico…»). «…Come persona “divina”, si potrebbe dire che Varda/Elboreth “guarda lontano dal cielo” (come nell’invocazione di Sam); da qui l’uso di un participio presente. Spesso si pensava, o si raffigurava, che si ergesse su una grande altezza guardando verso la Terra di Mezzo, con occhi che penetravano le ombre e ascoltava le grida di aiuto degli Elfi (e degli Uomini) in pericolo o nel dolore. Sia Frodo (I 208) che Sam la invocano nei momenti di estremo pericolo. Gli Elfi cantano inni a lei. Si dice che non ci sia religione in The LR ., ma se questa non è “religione”, cos’è?…». A Elbereth Gilthoniel è in Sindarin, scritto in caratteri Tengwar con inchiostro nero con il titolo in rosso, comprendente titolo, sottotitolo e cinque righe di testo, su 1 pagina; con 6 pagine di commento su 3 fogli di carta, con altre due pagine mancanti ma fornite in fotocopia, che discutono la pronuncia e la lingua Sindarin (questa sezione è in parte in fotocopia), fornendo note esplicative e un glossario. Particolare interessante: la calligrafia di Namárië adesso all’asta è proprio quella scelta come immagine di copertina per il libro-disco di Swann. Sotheby’s aprirà l’asta l’11 luglio prossimo, con una puntata iniziale di 120.000 sterline e un prezzo di vendita finale previsto intorno alle 150.000-200.000 sterline. Lo stesso giorno verrà battuto anche il lotto 248, contenente una lettera autografa di Tolkien e indirizzata ad Arthur Humphry House, del 16 maggio 1952, con invito manoscritto di Tolkien e FJP Wilson a «Mr. e Mrs. House». Mentre stava cercando un editore per il suo capolavoro, Tolkien era anche alle prese con la rigidità delle norme universitarie e impegnato nell’idea di modernizzare il programma di studi. Come rivela questa lettera, in quel momento Tolkien era anche nel mezzo di una lotta parallela per convincere i suoi colleghi a sostenere le riforme dei programmi accademici. Indirizzata ad Arthur Humphry House (1908-1955), Senior Research Fellow al Wadham College, la lettera risponde a una recente cancellazione da parte di Tolkien di un “FM” (Faculty Meeting) dopo un periodo di «seria riflessione». Egli nota che «entro la data fissata (3/5/52) meno di un terzo dei docenti della Facoltà si era preoccupato di inviare proposte di lezioni», rendendogli impossibile «presentare… un elenco ordinato di proposte». Lettera e invito avranno un prezzo di partenza di tremila euro e la stima di vendita è tra le 3.000 e le 5.000 sterline, vale a dire tra i 3500 e i 6000 euro. L’ultimo oggetto di questa carrellata non è messo all’asta, ma merita comunque attenzione. La Folger Shakespeare Library di Washington, infatti, ha inaugurato il 25 giugno la sua nuova galleria, esponendo alcune opere della collezione Mimi and Stuart Rose. Tra un Libro dei Morti dell’Antico Egitto risalente al I secolo AC, una prima edizione del De revolutionibus di Copernico e una di Winnie-the-Pooh con dedica di A.A. Milne al figlio, compare un’interessantissima bozze di stampa del 1953, 1954, 1955 della prima edizione del Signore degli Anelli con le correzioni a mano di Tolkien. Ogni volume contiene annotazioni scritte dagli editori di Tolkien, insieme ad alcune correzioni apportate dallo stesso scrittore. Tolkien stava lottando con i correttori e gli editor su moltissime questioni editoriali: ci sono domande sulla rappresentazione delle rune, domande su come descrivere creature che non esistono. Alcune delle modifiche di Tolkien hanno portato alla creazione di frasi che risuonano come iconiche oggi, come le prime righe de La Compagnia dell’Anello , che cambiano in queste correzioni da «…and in the shadows bind them» a «and in the darkness bind them», come si può vedere nell’immagine qui accanto.
Una copia della prima edizione de Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien ha triplicato la sua stima all’asta ed è stata venduta per oltre 31mila sterline (36mila euro) dopo essere stata trovata a prender polvere in un cassetto. La copia di 87 anni fa era una delle sole 1500 copie della prima edizione, prima impressione, pubblicate il 21 settembre 1937 in Gran Bretagna da Allen & Unwin. Il primo romanzo dello scrittore inglese in questa edizione include solo alcune illustrazioni in bianco e nero disegnate da lui stesso, è stato trovato nascosto in una cassettiera di una casa nello Berkshire. La sua proprietaria non aveva idea del suo valore o della sua rarità perché l’aveva ereditato da un membro della famiglia, quindi è rimasta scioccata nello scoprire che poteva valere migliaia di euro. E questo ha fatto alzare ancor di più la febbre del collezionismo tolkieniano.
L’asta del libro
Il famoso libro era stimato tra le 7 e le 10mila sterline (circa 16mila euro) quando è stato battuto venerdì scorso. Alla fine è stato venduto però a un totale di 31.200 sterline da Kinghams Auctioneers con sede a Cotswold, a Moreton-in-Marsh. Il libro presenta anche una correzione fatta a mano sul lembo interno posteriore della sovraccoperta per “Dodgeson”. Il termine si riferisce a Charles Dodgson, un professore di Oxford meglio conosciuto con il suo pseudonimo Lewis Carroll e autore di Alice nel Paese delle Meraviglie. «George Allen & Unwin pubblicò la prima edizione il 21 settembre 1937 con appena 1.500 copie», ha detto uno dei banditori. «Questa tiratura era esaurita già a dicembre del 1937. Il volume è illustrato in bianco e nero da Tolkien che ha anche disegnato la sovraccopertina». Successivamente, «durante la guerra il libro non fu disponibile a causa del razionamento della carta. Collezionisti e appassionati di Tolkien dominano il mercato delle prime edizioni rare con prezzi d’asta che vanno da 6000 a oltre 20000 sterline per Lo Hobbit. Il volume è stato trovato da uno dei nostri periti nella casa di una signora nel Berkshire durante una visita a domicilio di routine». Una volta pubblicato, il primo romazo di Tolkien è stato nominato per la Carnegie Medal e ha ricevuto un premio dal New York Herald Tribune per la migliore narrativa per ragazzi.
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Il mercato dei collezionisti
Il collezionismo di Tolkien si concentra principalmente su due libri: Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Questi titoli, anche le loro edizioni e stampe successive, costituiscono il nucleo di ogni collezione. La prima tiratura dello Hobbit nel 1937 fu di sole 1500 copie e andò a ruba in meno di tre mesi. La seconda tiratura fu pubblicata in un’edizione di 2300 copie subito dopo, nel dicembre dello stesso anno. Chissà quante di queste furono impacchettate come regalo e trascorsero la notte sotto l’albero di Natale, in attesa di essere scoperte dai giovani lettori. Sappiamo che 423 copie non arrivarono ai lettori, perché andarono distrutte in un incendio in un magazzino durante il blitz di Londra durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 2015, una prima edizione de Lo Hobbit, contenente un’iscrizione in elfico di Tolkien, è stata venduta all’asta a Londra per 137mila sterline (220mila euro). Nel 2019 sono state vendute tre edizioni primo/primo de Lo Hobbit per £50.000-£70.000 ciascuno: prezzi da record. Tutti gli acquirenti erano investitori. Attualmente, ci sono dozzine di articoli di notizie, diversi siti web e rivenditori specializzati e molti programmi televisivi – anche sulla stessa BBC – che chiariscono che il valore di un primo/primo Lo Hobbit è arrivato al punto di partire nelle aste pubbliche da una base di almeno 100.000 sterline, superando ormai 200.000 sterline nelle vendite finali. Le prime edizioni con copertina rigida venivano stampate a buon mercato, sia i libri che le relative sovraccoperte. Nonostante ciò, ai loro tempi i libri con copertina rigida erano molto costosi. Il primo Signore degli Anelli, a metà degli anni Cinquanta, costava al lavoratore medio circa due mesi di stipendio. Solo fino a quando la stampa non diventò più economica negli anni ’60, essi divennero più accessibili. Le sovraccoperte dei libri più vecchi erano lì solo per pubblicizzare altri libri degli editori e per proteggere le copertine di stoffa. Lo Hobbit in particolare sembra soffrire il maggior logoramento, probabilmente perché era un libro per bambini. Nel 1937 l’editore forse decise che non valeva la pena spendere troppi soldi per la qualità visto che i principali lettori del romanzo – i bambini – lo avrebbero subito rovinato. Questo è uno dei motivi principali per cui le prime/prime edizioni sono così rare. Delle migliaia originali stampate, oggi ne esistono solo centinaia in condizioni da collezione. Queste stanno portando al restauro delle sovraccoperte. Questa pratica, da un punto di vista collezionistico, è considerata un falso, perché manomette l’opera originale e sminuisce quelle sovraccoperte che invece sono tenute in condizioni perfette. Ecco perché, ormai, ciò che una volta veniva considerato uno scarto ora è un tesoro raro. Proprio il volume in questione, infatti, è un volume de Lo Hobbit 1°/1°, ma con una sovraccoperta terribile è stato venduto comunque per più di 30mila sterline. Una copia simile è stata venduta all’asta lo scorso anno, raggiungendo più di 10mila sterline dopo essere stata trovata tra le donazioni a un negozio Oxfam. Questa ascesa delle quotazioni delle opere di Tolkien nelle aste devono far ragionare su come il collezionismo stesso si sia evoluto nel tempo: in gran parte dei casi, le grandi collezioni – quelle milionarie – più che una passione costituiscono ormai una forma d’investimento che sempre meno ha a che vedere con l’amore per gli oggetti da raccogliere e salvare dall’oblio. Per certi versi, esse parrebbero ricordare in negativo gli Elfi di Lórien: «Imbalsamatori» (Lettere, 154) del tempo più che conservatori del passato.
Come scrisse Oronzo Cilli in calce a un precedente articolo, «il collezionismo è una cosa seria e richiede molto studio, più di quanto si possa immaginare e che solo chi si avvicina seriamente riesce a capire, così come richiede una indescrivibile pazienza».
I set del Signore degli Anelli
Per quanto riguarda i set della prima edizione del Signore degli Anelli, cioè la raccolta dei tre volumi che nel 1954 e ’55 vennero pubblicati in tre volumi separati, la maggior parte degli esemplari rimasti è stata messa insieme negli ultimi settant’anni, molto tempo dopo la pubblicazione. Questo perché i collezionisti hanno spesso cambiato e mischiato i libri, di solito perché cercavano di creare le migliori condizioni possibili per il loro set. Non ci sono praticamente set che si possa dire siano stati insieme dal primo giorno. Poiché i tre volumi del Signore degli Anelli sono stati pubblicati uno dopo l’altro in un periodo di 15 mesi e in tiratura diversa, si stima che non ci siano stati più di 3.000 set disponibili alla fine nella prima impressione. Ci si può aspettare che 70 anni dopo molti siano andati persi nelle sabbie del tempo, quindi il numero ora sarà significativamente inferiore. Le copie da collezione, quindi, sono veramente rare. Le copie da collezione che si può dire con quasi certezza siano state insieme dal primo giorno sono rare come l’Anello!
Un esempio brillante è il set precedentemente di proprietà di Margaret Bennet-Clark (che in seguito cambiò di nuovo il suo nome in Carey, che si presume fosse il suo cognome da nubile), che ha lavorato in un ruolo di alto livello al British Museum, a Londra, a due passi dalla sede degli editori Allen & Unwin. Ora, ogni libro della sua serie ha il suo nome molto carino accanto a un mese e un anno incisi (anche Le Due Torri hanno una data). Il mese e l’anno in ogni libro coincidono con il mese e l’anno in cui ogni libro è stato pubblicato nella serie. Ora si può tranquillamente supporre che Bennet-Clark li abbia incisi nel momento dell’acquisto. Sarebbe altamente insolito e improbabile, del resto, aggiungere il proprio nome e poi a caso il mese in cui il libro è stato pubblicato (tanto meno perché l’iscrizione sulle Due Torri riporta una data 22/11/1954 che è poco meno di due settimane dopo la pubblicazione della prima edizione) quando i libri ovviamente presentano già la data di pubblicazione. Si può quindi supporre che Bennet-Clark li abbia incisi quando li ha acquistati, il che significherebbe che questa serie è rimasta insieme dal primo giorno, il che è incredibilmente raro. Data la vicinanza dell’ufficio di Allen & Unwin, al numero 40 di Museum Street, al British Museum (un minuto a piedi al massimo) e dato l’editore aveva una propria libreria con una vetrina direttamente in strada, non è irragionevole supporre che Bennet-Clark li abbia acquistati direttamente da Allen & Unwin. Date tutte le informazioni a nostra disposizione, questa teoria sembra essere quasi una certezza e accresce notevolmente la rarità di questa serie già sbalorditiva. Non è un caso che attualmente sia valutata101.222,95 euro.
Oltre a ciò, questo è facilmente uno dei migliori set che sia in circolazione. Ogni sovraccoperta ha anche mantenuto il colore grigio/verde molto tenue che aveva quando è stata pubblicata per la prima volta. Molti credono, infatti, che i volumi siano bianchi, ma in realtà non è così! La maggior parte dei volumi sono diventati bianchi solo nel corso degli anni, ma in origine erano di colore grigio/verde.
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