Grazie per la tua risposta articolata e molto lucida — apprezzo davvero il modo in cui hai messo in luce…
Andrej Januškievič e la libreria Knihauka
La Bielorussia rappresenta una piccola ma notevole eccezione per il mondo tolkieniano: qui, infatti, la norma sul copyright delle opere letterarie prevede che ogni diritto decada dopo soli 50 anni dalla morte dell’autore contro i 70 previsti altrove, pertanto dal 2023 le opere di J.R.R. Tolkien sono legalmente di pubblico dominio e possono essere tradotte e distribuite. Questa situazione non susciterebbe grandi interessi se non dal punto di vista delle politiche editoriali, eppure fa da sfondo a una vicenda di respiro ben più ampio che ha a che fare con la lotta, la libertà e l’identità linguistica e culturale di un popolo.
Ma andiamo con ordine. Siamo nel 2014: nella capitale Minsk, Andrej Januškievič fonda una piccola casa editrice indipendente specializzata in saggistica storica, letteratura bielorussa e letteratura straniera in traduzione. Sono gli anni d’oro della “bielorussizzazione soft”, durante i quali la causa della lingua e della cultura nazionale trova crescente sostegno da parte degli intellettuali in contrapposizione alla sempre più massiccia russificazione imposta dal presidente Aleksandr Lukašėnka (saldamente – e tutt’altro che limpidamente – al potere dal 1994). Nel giro di poco tempo, Januškievič mette in fila una serie di colpi editoriali a dir poco clamorosi, pubblicando le saghe di Harry Potter e The Witcher nonché classici internazionali come 1984, ben presto diventato un bestseller. Le cose, però, cambiano nel 2020, quando la sesta rielezione consecutiva di Lukašėnka scatena proteste di massa contro i brogli elettorali e la corruzione del governo, cui il presidente risponde sommariamente con l’intimidazione e la violenza. In questo clima di palpabile tensione, Januškievič entra nel mirino del governo con l’accusa – probabilmente pretestuosa – di aver pubblicato “materiale estremista”. Tra perquisizioni in casa e congelamenti temporanei dei fondi, l’uomo non si dà per vinto e il 16 maggio 2022 apre una nuova libreria a Minsk, Knihauka. Il nome contiene un gioco di parole poiché in bielorusso ‘knihauka’ designa la pavoncella – simbolo della primavera ma anche e soprattutto della rinascita nazionalista in Bielorussia dopo la caduta dell’Unione Sovietica – mentre ‘kniha’ significa “libro”. Passano solo poche ore dall’inaugurazione, però, e due giornalisti filogovernativi si presentano da Januškievič contestandone le idee politiche e i gusti in fatto di libri; la situazione degenera in pochi minuti e interviene la polizia. Il finale è francamente orwelliano: Knihauka viene chiusa il giorno stesso della sua apertura e Januškievič arrestato insieme a un impiegato. Dopo un mese di detenzione e la revoca della sua licenza da editore e libraio in patria, l’uomo si trasferisce in Polonia – destinazione prediletta da decine di migliaia di suoi compatrioti fuggiti dal governo di Lukašėnka – e riprende a pubblicare libri in bielorusso sotto una nuova casa editrice, la Andrej Januškievič Publishing. Tra il 2023 e il 2024, la casa editrice pubblica a Varsavia Il Signore degli Anelli; di questi giorni, inoltre, è la notizia della pubblicazione di Sir Gawain e il Cavaliere Verde, mentre Lo Hobbit è attualmente in fase di lavorazione.
La situazione del bielorusso
L’Atlante Mondiale delle Lingue dell’UNESCO ha classificato il bielorusso (беларуская мова, bělaruskaja mova o semplicemente mova) come una lingua «potenzialmente vulnerabile» all’interno del suo stesso Paese: non sarebbe, quindi, in pericolo imminente ma la sua sopravvivenza è tutt’altro che assicurata. Sebbene il russo e la mova – entrambi appartenenti, insieme all’ucraino, al sottogruppo orientale delle lingue slave – godano teoricamente di pari status come lingue ufficiali dello Stato, Lukašėnka ha sempre sostenuto il primo – da lui definito una lingua di “livello mondiale”, paragonabile solo all’inglese – e screditato l’altra come una lingua “povera”. Si tratta, a ben vedere, di un tema costante sin dalla sua ascesa al potere nel 1994, segnata da politiche culturali tese ad allineare l’identità bielorussa a quella russa. Secondo Ethnologue, attualmente la mova è parlata complessivamente da circa 8 milioni di persone, la maggior parte delle quali vive in Bielorussia. Qui, nel 2001, si contavano 6,72 milioni di parlanti attivi ma il dato si è ridotto considerevolmente fino a dimezzarsi negli ultimi anni. Nel Paese non ci sono università in lingua bielorussa e l’insegnamento nelle scuole è fortemente osteggiato dal governo: tant’è che, se a metà degli anni Novanta quasi tre quarti degli scolari iniziavano la prima elementare con la mova come lingua di insegnamento, un decennio dopo erano appena un quarto. A fronte di questa situazione, il bielorusso è diventato un potente strumento di opposizione culturale al governo filorusso di Lukašėnka e, sebbene i suoi parlanti abbiano subito non poche repressioni, ha persino conosciuto una recente rinascita letteraria.
Gli oppositori politici di Lukašėnka prendono la questione molto seriamente e non nascondono che la rinascita della lingua e della cultura bielorussa costituisca un passo fondamentale per raggiungere i loro obiettivi a lungo termine. «Se vogliamo liberare il nostro Paese, dobbiamo promuovere la nostra identità nazionale, con una migliore comprensione del luogo storico della Bielorussia», ha affermato Alina Koushyk, funzionaria responsabile della cultura nel governo bielorusso in esilio. «Senza una lingua nazionale, la rinascita dei bielorussi sarà difficile». Il governo in esilio ha anche affermato che la decisione se mantenere due lingue ufficiali o ripristinare la mova come unica lingua ufficiale dovrà essere presa dal popolo bielorusso, tramite referendum. Il giurista Ihar Sluchak è invece tra i sostenitori della campagna per l’abbandono del sistema bilingue, temendo che il bielorusso resti sempre oscurato dal russo. E cita il destino del gaelico d’Irlanda come monito. «Quando il bielorusso sarà la lingua più parlata, non ci saranno dubbi sull’indipendenza del Paese», ha affermato Sluchak. «La storia ci insegna che il bielorusso deve essere l’unica lingua di Stato se vogliamo che la Bielorussia sia veramente forte».
Tolkien in Bielorussia
Andrej Januškievič, dal canto suo, afferma perentoriamente: «Vedo che il bielorusso di oggi non è più alla ricerca di un’identità, ma di pilastri su cui fondarla. E credetemi, i libri svolgono un ruolo importante come pilastro». E aggiunge: «Quando leggi in bielorusso, sai per certo di essere bielorusso e ti immergi in quest’acqua della cultura bielorussa. Leggendo in un’altra lingua, ti immergi nel contesto di un’altra cultura, in un modo o nell’altro». Dunque, anche la pubblicazione di opere straniere tradotte in mova risponde a un’esigenza profondamente identitaria. Né è un caso, forse, che a diventare strumento di una lotta per l’identità linguistica e culturale siano proprio le opere di Tolkien – il quale, com’è noto, considerava il suo capolavoro «principalmente un saggio di “estetica linguistica”» (Lettere, n. 165). Attualmente, Knihauka distribuisce Il Signore degli Anelli (Валадар Пярсцёнкаў, Valadar Pjarscionkaw) nella traduzione di Igar Kulikow: tre splendidi volumi con rilegatura rigida, carta di buona qualità, nastri segnalibro colorati e caratteri cirillici di facile lettura che faranno la felicità anche dei collezionisti che non leggono la mova. Ma oltre al capolavoro del 1954, anche Lo Hobbit è presente in Bielorussia con ben tre traduzioni in mova: la prima (Хобіт, або Вандроўка туды і назад, Hobit, abo Vandroŭka tudy i nazad) risale al 2002 e pare sia ormai introvabile; una seconda, pubblicata dall’editore indipendente Knizhny rys (che ha già dato alle stampe Le Cronache di Narnia), è stata tradotta da Franz Korzun e illustrata da Iryna Drazhyna ed è attualmente ordinabile online; la terza, ancora per i tipi di Knihauka, è in lavorazione con la traduzione di Igar Kulikow.
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