Shippey: Vita e morte dei grandi Vichinghi

Tom Shippey 2018Come vi avevamo annunciato nel nostro articolo sulle pubblicazioni autunnali fra pochi giorni, il 31 ottobre, sarà disponibile nelle librerie la traduzione italiana dell’ultimo libro di Tom Shippey, Vita e morte dei grandi Vichinghi. Considerato uno dei massimi studiosi di Tolkien al mondo, Shippey è stato professore di inglese e letteratura inglese medievale presso l’università di Leeds per 14 anni (la stessa cattedra che Tolkien ottenne nell’autunno 1920), ha insegnato anche in altre cinque università ed ha anche tenuto corsi online per la Signum University. L’Associazione Italiana Studi Tolkieniani ha avuto il piacere di ospitare Shippey in varie occasioni, l’ultima della quali è stata il convegno tenuto in collaborazione con l’università di Trento Tolkien e la letteratura della Quarta Era.
Per gentile concessione della casa editrice Odoya che pubblica l’edizione italiana del libro che vi abbiamo presentato, oggi vi proponiamo in anteprima parte dell’introduzione dell’autore: un piccolo assaggio di cosa troverete in questo interessantissimo studio!

L’introduzione di Tom Shippey

Vita e morte dei grandi Vichinghi - Tom Shippey OdoyaSappiamo tutti cosa sono i Vichinghi, e sappiamo perfino che aspetto avevano. Il loro volto barbuto, spesso sovrastato da un elmo decorato da corna o ali, ci fissa dalla copertina dei libri, dalle T-shirt e dalle scatole di sardine. Su di loro sono stati girati film e serie televisive, i nomi degli dei del loro pantheon – Odino e Thor, Balder e Loki – ci sono ben noti, e tutti hanno quanto meno sentito parlare del Ragnarok e del Valhalla. I Vichinghi sono diventati parte dello sfondo culturale del mondo moderno.
Naturalmente, buona parte di quello che crediamo di sapere è semplicemente errato, a cominciare dagli elmi dotati di corna, tutt’altro che pratici in un combattimento corpo a corpo. Più importanti degli elementi errati, però, sono quelli che mancano. C’è un interrogativo che è necessario porsi: come hanno fatto i Vichinghi a cavarsela tanto a lungo? O, per dirla diversamente, cosa li ha messi in vantaggio? Un vantaggio che hanno mantenuto per quasi tre secoli durante i quali sono diventati il flagello d’Europa, dall’Irlanda all’Ucraina, da Amburgo a Gibilterra e anche oltre, in entrambe le direzioni.
Non era certo una superiorità logistica. Con la sua breve stagione di crescita dei raccolti e il suo suolo sassoso, la scarsa e sparpagliata popolazione della Scandinavia era di gran lunga inferiore per effettivi e risorse ai regni anglosassoni, all’impero franco e ai regni moreschi della Spagna, per non parlare dell’Impero bizantino e del califfato musulmano che si stendeva al di là di esso. Si è allora trattato di un vantaggio tecnologico? Come spiegazione vengono spesso suggerite le splendide navi lunghe dei Vichinghi, sulle quali sappiamo ora molto più di un tempo.
Di certo esse davano ai Vichinghi il vantaggio della sorpresa e della mobilità, vitali per sferrare
attacchi lampo, vecchia abitudine dei predoni dei mari. I Vichinghi però cominciarono presto a predare sulla terraferma, e pur non disprezzando le scorrerie lampo erano anche pronti a ingaggiare combattimenti corpo a corpo, scontri in cui erano difficili da sconfiggere e ancor più difficili da intimidire. Se li si sconfiggeva, si limitavano a tornare alla carica.
E i loro avversari non erano certo semplici pacifisti. Soprattutto nell’Europa occidentale, le popolazioni native irlandesi e inglesi, franche, frisone e tedesche erano endemicamente bellicose, strutturate in società controllate da un’élite guerriera e da re la cui principale attività era sempre stata la guerra. In qualche modo, quando si trattava di violenza organizzata i Vichinghi riuscivano a dimostrare di avere standard più elevati.
Anche se spesso menzionate, la debolezza e la disorganizzazione dei loro nemici non costituiscono una spiegazione esauriente, perché se da un lato i Vichinghi erano pronti a sfruttare un vantaggio, dall’altro non erano particolarmente ben organizzati. Ben presto, i re occidentali impararono che era sempre possibile pagare un gruppo di Vichinghi perché combattesse contro un altro.
No, il loro vantaggio era di natura psicologica: io la chiamo “mentalità vichinga”. Per dirla in termini brutali, era una sorta di culto della morte. Spiegare tale mentalità è lo scopo di questo libro.

Non soltanto il Valhalla

In un certo senso, la risposta relativa al culto della morte appena fornita è stata evidente fin da quando la letteratura norrena ha cominciato a essere riscoperta, secoli fa. A mano a mano che la conoscenza dei poemi, delle saghe e soprattutto dei miti norreni ha cominciato a riaffiorare, ciò che ha colpito gli accademici europei è stato l’atteggiamento dei Vichinghi nei confronti della morte. Si è notato subito che questa letteratura da tempo dimenticata, preservata soltanto nella remota Islanda, era incentrata – più di qualsiasi altro scritto noto – su scene di morte, di cupa sfida, di famosi ultimi combattimenti e altrettanto famose ultime parole. Il canto di morte dell’eroe era di per se stesso una forma d’arte di cui si conservano molti esempi. Tutto questo era talmente ovvio che già nel 1689 qualcuno ha cercato di dargli un senso.
Si trattava di un danese, Thomas Bartholinus (il suo vero nome era Bertelsen, proveniva da una famiglia di medici e suo padre, anche lui Thomas Bartholinus, fu il primo a descrivere il sistema linfatico umano). Nel 1689 Bartholinus il giovane pubblicò un’opera, tutta in latino, il cui titolo si traduce come Tre libri, estrapolati da volumi e documenti antichi finora inediti, sulle cause del disprezzo della morte fra i danesi ancora pagani. Era una sorta di Reader’s Digest di tutte le grandi scene di morte allora conosciute presenti nella letteratura norrena, e riscosse un successo travolgente nel mondo accademico: centocinquant’anni dopo Walter Scott era ancora affascinato dalla sua lettura e se ne serviva.
La risposta data da Bartholinus all’interrogativo implicito nel titolo della sua opera era di carattere mitologico. Lo studioso pensava infatti che il “disprezzo per la morte” così evidente nelle fonti da lui usate fosse il risultato della credenza norrena che quanti morivano in battaglia con la spada in mano sarebbero andati nel Valhalla di Odino, la grande “Sala dei Morti in Battaglia”, per trascorrervi la vita ultraterrena banchettando e combattendo in attesa del giorno del Ragnarok, il combattimento finale.
Quest’idea è popolare da allora, e permea per esempio il film I Vichinghi (1958) con Kirk Douglas. Adesso però non siamo più sicuri della sua validità. Nel XVII secolo, in un’Europa completamente cristiana e ben ancorata alle convinzioni religiose, una spiegazione mitologica appariva naturale. Tuttavia, l’intero concetto è in vasta misura estrapolato da un solo brano del manuale di miti e leggende scritto da Snorri Sturluson nel XIII secolo, ed è improbabile che nell’era dei Vichinghi le credenze religiose e la loro pratica fossero generalmente accettate o universali come lo erano nell’Europa da tempo cristiana.
Bartholinus ha posto un valido quesito che però esige una risposta non limitata a una singola spiegazione. È necessario analizzare più da vicino la psicologia vichinga, come ci viene rivelata nella letteratura che i Vichinghi stessi e i loro discendenti si sono lasciati alle spalle e come viene espressa nelle storie, saghe e leggende individuali. E questo, ancora una volta, è l’argomento del volume. Ne emerge uno scenario spesso variegato, essendo relativo a persone in posti differenti in tempi differenti e poste di fronte a condizioni altrettanto differenti, ma al di sotto di tutto c’è una sorta di coerenza, un particolare atteggiamento che – e qui anticipo le mie conclusioni – non ritengo possa essere stato simulato.

Il problema con i “vichinghi”

Se si afferma che una domanda ha una risposta ovvia, è giusto spiegare perché tale risposta non sia stata già fornita, soprattutto dopo tanti decenni di studi accademici. Questo dipende dal fatto che esistono un problema di terminologia e uno di atteggiamento culturale, soprattutto nel mondo accademico moderno. Per dirla senza tanti giri di parole (di nuovo), la maggior parte dei libri accademici che contengono nel titolo il termine “Vichinghi” risulta poi non riguardare affatto i Vichinghi, che hanno un grande successo tra gli studiosi. Questo volume è diverso: parla davvero dei Vichinghi.
Il fatto è che nella lingua stessa dei Vichinghi, il norreno, il termine vikingr significava soltanto “pirata, razziatore”. Non era un’etichetta etnica ma piuttosto la descrizione di un’attività: questo significa che quando ci si imbatte – come oggi capita spesso – in titoli del tipo di I Vichinghi! Non più soltanto razziatori e saccheggiatori, quei titoli sono sbagliati. Se non razziavano e saccheggiavano (impadronendosi di territori ed esigendo il “pizzo” per la protezione che fornivano) allora avevano smesso di essere Vichinghi, erano soltanto Scandinavi. Se da un lato la maggior parte dei Vichinghi era scandinava, per contro la maggior parte degli Scandinavi di certo non era vichinga, neppure part-time. Non si devono confondere i due gruppi, neppure con l’intento di ingentilire “la storia dei Vichinghi”.
Il problema è che razzie e saccheggi, pirateria e azioni predatorie non sono (e per una volta questo significa minimizzare notevolmente) argomenti congeniali al mondo accademico moderno, motivo per cui gli studiosi spostano il tiro senza dare troppo nell’occhio. Questa tendenza e stata avviata nel 1970 da un libro intitolato The Viking Achievement, con capitoli su “Commercio e città”, “Mezzi di trasporto”, “Arte e ornamenti”, e così via. I risultati del titolo non sono stati affatto raggiunti dai Vichinghi, bensì dagli Scandinavi, sono opera – come dice un libro posteriore, dal titolo più onesto – dei Norreni dell’era vichinga. I Vichinghi, tuttavia, mettono a disagio il mondo accademico moderno.
A volte tale disagio non traspare dal titolo (cosa su cui insistono gli editori, che sanno cosa vende e cosa no), ma affiora nel sottotitolo. La mostra organizzata nel 2014 dal British Museum, accompagnata da un catalogo con un apparato iconografico davvero notevole, si intitolava I Vichinghi: vita e leggenda. La “vita” aveva però molto più spazio della “leggenda”, ed era presente una certa censura silenziosa. In A Brief History of the Vikings (2005) l’autore Jonathan Clements si chiede se essi fossero «gli ultimi pagani o i primi europei moderni», preferendo la seconda alternativa. I Vichinghi, ci viene detto, promossero l’integrazione europea. The Age of the Vikings (2014), di Anders Winroth, «guarda alle imprese dei Vichinghi nel campo del commercio, della politica, della scoperta e della colonizzazione». Qui è possibile vedere come sia stata aggirata la questione: quelle citate erano tutte imprese degli Scandinavi e non dei Vichinghi, ma si trattava di argomenti molto più accettabili della pirateria e delle razzie. In breve, molti libri che proclamano di riguardare i Vichinghi in realtà si allontanano dai veri Vichinghi, pirati e razziatori, per ritirarsi nelle varie comfort zone degli accademici, come l’esplorazione, il commercio, lo sviluppo urbano e una distaccata storia divulgativa. Questi aspetti, è vero, fanno parte della storia, però non ne costituiscono l’unica parte e decisamente non sono quella che ha catapultato i Vichinghi in primo piano nell’immaginario popolare.
Il risultato è che da lungo tempo gli studi sui Vichinghi risultano polarizzati. Fin dall’inizio c’è stato un approccio romantico, che si potrebbe perfino definire da fumetto, pieno di cliché e spesso di errori. Il film del 1989 Eric the Viking è la fonte della maggior parte di essi: berserker, teschi, elmi adorni di corna, valchirie, Valhalla e abbondanti libagioni, elementi a cui The Vikings ha aggiunto le veggenti (spaewives), le invocazioni a Odino, il morire con la spada in mano e il popolare sport di tranciare le trecce bionde delle signore nelle competizioni di lancio della scure.
Nel loro rifuggire con imbarazzo da tutto questo – che è di certo fondato abbastanza spesso su evidenti fraintendimenti, per non parlare delle pure e semplici invenzioni – gli accademici moderni hanno creato una scuola minimalista di studi sui Vichinghi. È facile immaginare come possano esporre il loro punto di vista nell’ambiente quanto mai raffinato dei club dei professori:
Razziatori pagani perennemente ubriachi di idromele e impegnati a violentare e massacrare? Ma niente affatto, che terribile esagerazione. È possibile che ci sia stato qualche problema con le popolazioni locali, come sempre succede con gruppi di giovani uomini lontani da casa, ma non bisogna credere a ciò che dicono le cronache stilate da quei monaci, le cifre che riportano devono essere tutte sbagliate, crederci sarebbe come credere alle richieste di indennizzo presentate alle assicurazioni, e quanto alle saghe…
Ho esagerato l’atteggiamento di questi studiosi, ma non troppo. Esso riguarda in particolare le prove letterarie – di cui esiste grande abbondanza – sulle quali si tende a chiudere un occhio e a discutere sull’esattezza delle date… che naturalmente sono importanti e di cui discuteremo in seguito.
In ogni caso, a questa visione da “club dei professori”, come io la definisco, sfugge una quantità di cose, incluso l’inevitabile interrogativo sulla mentalità, o perfino sull’ideologia, dei Vichinghi. È quanto meno la stessa visione unilaterale data dalle immagini di un fumetto. Le prove fornite da fonti inglesi, irlandesi, franche, greche e perfino arabe, in aggiunta a quelle native scandinave, mostrano un’assoluta coerenza, come alcuni hanno cominciato ad ammettere. Negli ultimi anni due o tre professori hanno osservato – correggendo in certa misura il generale consenso accademico – che i Vichinghi non avevano nessun obbligo di rispettare la Convenzione di Ginevra, e che se da un lato non erano pazzi, dall’altro erano spesso cattivi e sempre pericolosi da conoscere. Si è perfino ammesso che nella loro cultura ci fosse qualcosa di «psicopatico». A questo riguardo, si deve solo aggiungere che uno psicopatico del XXI secolo potrebbe essere un individuo ben integrato del IX secolo.

Concludiamo qui l’assaggio dell’introduzione a Vita e morte dei grandi Vichinghi di Shippey che abbiamo voluto proporvi, sperando di avere accesso la curiosità nei nostri lettori.
È inoltre possibile leggere la prefazione scritta da Wu Ming 4 online sul blog Giap.
Potrete trovare il libro anche presso lo stand AIST a Lucca Comics & Games, da mercoledì 31 ottobre a domenica 4 novembre, nel padiglione Carducci.
Vi aspettiamo!

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Un autunno tutto da leggere con Tolkien
– Leggi l’articolo Tolkien a Lucca C&G 2018: AIST e non solo
– Leggi l’articolo Parma e Trento: ecco i programmi dei convegni!
– Leggi l’articolo Tolkien e la letteratura il resoconto di Trento
– Leggi l’articolo Shippey a Modena: il video della conferenza

LINK ESTERNI:
– Vai al sito della casa editrice Odoya
– Vai al sito della Signum University
– Vai al blog di Wu Ming, Giap

.


 

Un autunno tutto da leggere con Tolkien

Libri BompianiGià la settimana scorsa vi avevamo proposto l’intervista a Roberta Tosi, autrice di L’Arte di Tolkien, libro dedicato ad un aspetto della creatività del Professore spesso sottovalutato e che si troverà nelle librerie a partire dalla seconda metà di novembre, ma le novità sono davvero tante e ce n’è per tutti i gusti. L’autunno 2018 si preannuncia un periodo davvero intenso per i lettori tolkieniani in Italia: tante le traduzioni in italiano, sia di narrativa che di critica, e anche una raccolta di saggi inediti. Non resta che l’imbarazzo della scelta!

Tolkien e i Classici II

Tolkien e i Classici IIDopo successo del primo volume, Tolkien e i Classici replica: nel gennaio 2016 avevamo lanciato il Call for papers ed in occasione di Fantastika 2018: Il risveglio del drago il frutto della nostra iniziativa ha visto la luce, disponibile negli stand AIST nonché presso il bookshop del Centro Studi – la Tana del Drago. Disponibile dal 22 settembre, Tolkien e i Classici II affronta in 18 saggi il confronto tra i grandi classici del nostro canone letterario e le opere del Professore oxoniense, dimostrandone ancora una volta il valore e la complessità. Suddiviso in quattro parti dedicate ai diversi periodi storici (Antiche figure eroiche, I grandi bardi, Idee romantiche, Tempi moderni), il prezzo di copertina del volume è di 17 euro.
Presto ve ne parleremo più approfonditamente!

J.R.R. Tolkien e Francis Morgan. Una saga familiare

J.R.R. Tolkien e Francis Morgan - José Manuel Ferrandez Bru - Edizioni Terra SantaVolume dedicato al rapporto tra il Professore e il suo tutore Padre Francis Xavier Morgan, una delle figure centrali nella sua vita data la precoce scomparsa del padre Arthur quando John aveva solo 4 anni e della madre Mabel quando ne aveva 12. Il legame tra Tolkien e Padre Morgan durò tutta una vita, fino alla scomparsa del religioso, un legame ricordato anche da Priscilla Tolkien. Figura spesso interpretata come troppo severa, Morgan fu per Tolkien una guida in molti aspetti affrontati in questo volume
Scritto da José Manuel Ferrández Bru scrittore, ingegnere informatico, nonché membro fondatore della Sociedad Tolkien Española. Lo studioso ha scritto vari articoli sui legami tra Tolkien e la Spagna, i saggi Wingless Fluttering: Some Personal Connections in Tolkien’s Formative Years (comparso nell’ottavo volume dei Tolkien Studies) e J.R.R. Tolkien’s ‘second father’ Fr. Francis Morgan and other non-canonical influences (pubblicato nella raccolta The Return of the Rings. Proceedings of the Tolkien Conference 2012).
Il titolo originale di J.R.R. Tolkien e Francis Morgan. Una saga familiare è El Tío “Curro”. La Conexión Española de J.R.R. Tolkien, ed è stato tradotto anche in inglese, quest’estate, come Uncle Curro. J. R. R. Tolkien’s Spanish Connection dalla Luna Press Publishing. Edito in Italia da Edizioni Terra Santa, è disponibile dal 27 settembre a 20 euro.

La Compagnia dell’Anello

La Compagnia dell'Anello - nuova traduzione di Ottavio FaticaProbabilmente la pubblicazione più attesta dell’anno tra i tolkieniani: la nuova traduzione della La Compagnia dell’Anello, ad opera di Ottavio Fatica.
Fatica esordì con Adelphi, lavorando poi anche per Theoria ed Einaudi, traducendo centinaia di scrittori inglesi e statunitensi. Ha vinto il Premio letterario internazionale Mondello per la traduzione di Limericks di Edward Lear, nel 2007 il Premio Monselice per la traduzione di La città della tremenda notte di Rudyard Kipling, nel 2009 ha vinto il Premio Nazionale per la Traduzione e nel 2010 il Premio Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante per la traduzione de Il crollo di Francis Scott Fitzgerald.
Dopo l’intervista di Loredana Lipperini sul ritradurre Il Signore degli Anelli e la conferenza tenutasi al Salone Internazionale del Libro di Torino sabato 12 maggio non c’è rimasto che attendere di potere finalmente leggere questa ritraduzione, e rivivere la Terra di Mezzo con occhi nuovi, sempre grazie alla casa editrice Bompiani.

La Caduta di Gondolin

La Caduta di Gondolin - J.R.R. Tolkien - BompianiDopo l’uscita il 30 agosto di The Fall of Gondolin! in inglese, un’altra grande attesa era cominciata per i lettori italiano. Ultimo in ordine di pubblicazione indipendente delle tre Grandi Storie del legendarium tolkieniano, The Fall of Gondolin fu in realtà il primo dei racconti della Prima Era che Tolkien scrisse, durante la convalescenza a Great Haywood nello Staffordshire (all’inizio del 1917). Si tratta dell’ultima opera tolkieniana di cui il figlio Christopher è stato curatore (il quale ormai ha raggiunto la veneranda età di 94 anni), e come I figli di Húrin e Beren e Lúthien è illustrata dal maestro dell’arte fantastica Alan Lee.
Anche questo volume è previsto per il 24 ottobre, edito da Bompiani. Prezzo di copertina: 22 euro.

Guida ai luoghi della Terra di Mezzo. Disegni da casa Baggins a Mordor

Guida ai luoghi della Terra di Mezzo - John Howe - BompianiUltima uscita prevista per il 24 ottobre, è l’ultimo artbook di John Howe: Guida ai luoghi della Terra di Mezzo. Disegni da casa Baggins a Mordor. Disegnatore che dagli anni 90 si dedica all’illustrazione tolkieniana, coinvolto anche nella realizzazione delle trilogie jacksoniane, per anni ha formato l’immaginario di Arda e di tanti altri mondi fantastici. Dopo il seminario tenuto a Lucca Comics & Games 2017 (e che abbiamo seguito) e i tre giorni di workshop a Milano nel 2016 cui è seguito un colloquio di cui vi abbiamo proposto il resoconto, ecco approdare in Italia, in forma cartacea, la preziosa esperienza e immaginazione di un grande illustratore, pronto ad affascinarci ancora una volta e a mostrarci l’operato di altre menti e altre mani. Come Il Signore degli Anelli. Schizzi e bozzetti. di Alan Lee (Bompiani, 2005), si tratta di un libro imperdibile per gli amanti dell’arte d’ispirazione tolkieniana, e degli appassionati delle trasposizioni cinematografiche.
Prezzo di copertina: 22 euro.

Difendere la Terra di Mezzo, seconda edizione

Difendere la Terra di Mezzo - seconda edizione - Wu Ming 4 - OdoyaTorna Difendere la Terra di Mezzo, il libro di Wu Ming 4 pensato come un’introduzione a Tolkien, sia da un punto di vista biografico che critico, che focalizzando l’autore, i valori del Signore degli Anelli, il lascito dell’opera e la sua diffusione offre un ampio panorama di approccio al mondo dei romanzi e oltre i romanzi tolkieniani. Tanti sentieri tracciati per trovare la propria strada per lo studio della Terra di Mezzo, nello stile fluente di Wu Ming 4.
Dal 31 ottobre, sempre per la casa editrice Odoya.
Prezzo di copertina: 18 euro.

Vita e morte dei grandi Vichinghi

Vita e morte dei grandi Vichinghi - Tom Shippey OdoyaDal 31 ottobre la casa editrice Odoya proporrà anche l’ultimo libro di un grande studioso di Tolkien, se non il più grande: Tom Shippey. Professore di inglese e letteratura inglese medievale presso l’università di Leeds per 14 anni, ha successivamente insegnato all’università di Saint Luois, negli Stati Uniti. Shippey ha dedicato tanti anni e infinite pagine allo studio delle opere di Tolkien, ed in italiano si possono trovare i suoi libri J. R. R. Tolkien. La via per la Terra di Mezzo (Marietti 1820, 2005) e J. R. R. Tolkien. Autore del secolo (Simonelli, 2004). Ospite lo scorso dicembre al convegno organizzato dall’AIST e dall’Università di Trento, ora sbarca in Italia la sua opera Laughing Shall I Die: Lives and Deaths of the Great Vikings (uscita in inglese soltanto questa estate), proposto col titolo Vita e morte dei grandi Vichinghi. Con una prefazione di Wu Ming 4, preparatevi ad esplorare l’eroismo dei vichinghi e l’immagine che abbiamo del loro coraggio, sopravvissuta attraverso i secoli.
Prezzo di copertina: 24 euro.

Tolkien. Mito e modernità

Tolkien. Mito e modernità - Patrick Curry - BompianiInfine, il primo novembre dopo la narrativa passiamo alla critica letteraria: Bompiani traduce per la prima volta in italiano il testo di Patrick Curry Defending Middle-earth. Tolkien: Myth and Modernity, col titolo Tolkien. Mito e modernità. Uscito in lingua originale nel 1997, il volume di Curry aprì a suo tempo il dibattito sul tema ecologico in Tolkien (si veda la recensione che ne da Testi nella nostra rubrica Le pillole di Claudio Testi), oltre a trattare altri aspetti quali la spiritualità e il senso di comunità.
Autore prolifico, Curry si occupa dei temi ambientali sotto vari aspetti e tra le sue pubblicazioni che toccano al contempo natura e fantastico troviamo anche Deep Roots in a Time of Frost. Essays on Tolkien (Walking Tree Publishers, 2014).
Con Tolkien. Mito e modernità la critica tolkieniana disponibile in italiano cresce, seguendo un trend che negli ultimi anni ha mostrato un aumento dell’interesse per questo settore nel nostro paese.
Prezzo di copertina: 13 euro.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo L’Arte di Tolkien: parla Roberta Tosi
– Leggi l’articolo Tolkien e i Classici 2: ecco il Call for papers
– Leggi l’articolo Fantastika 2018: Il risveglio del drago
– Leggi l’articolo Uncle Curro: la vita di padre Francis Morgan
– Leggi l’articolo Ritradurre Il Signore degli Anelli: l’intervista
– Leggi l’articolo L’AIST raddoppia, al Salone di Torino e col FAI
– Leggi l’articolo Esce in Gran Bretagna The Fall of Gondolin!
– Leggi l’articolo Nuovo libro di Curry in difesa dell’incantesimo
– Leggi l’articolo Difendere la Terra di Mezzo: il nuovo libro di Wu Ming 4
– Leggi l’articolo Di ritorno da Lucca Comics & Games 2017
– Leggi l’articolo Colloquio con John Howe: il resoconto
– Leggi l’articolo L’AisT con John Howe a Milano il 18 febbraio
– Leggi l’articolo Parma e Trento: ecco i programmi dei convegni!
– Leggi l’articolo Le pillole di Claudio Testi

LINK ESTERNI:
– Vai al sito di José Manuel Ferrández Bru
– Vai alla pagina facebook Centro Studi – la Tana del Drago
– Vai al sito della Sociedad Tolkien Española
– Vai al sito di Edizioni Terra Santa
– Vai al sito di Patrick Curry
– Vai al sito di John Howe
– Vai a Giap – il blog di Wu Ming
– Vai al sito della casa editrice Odoya

.


 

Odoya pubblica Wu Ming 4. Un altro libro su Tolkien?

RivendellLa casa editrice Odoya dà alle stampe Difendere la Terra di Mezzo, il libro che raccoglie e amplia gli scritti e gli interventi pubblici di Wu Ming 4 su J.R.R. Tolkien, che sarà in libreria il 28 novembre. Al suo interno sono contenuti anche i seminari che lo scrittore ha tenuto per la nostra Associazione a Lucca Comics and Games e che in precedenza avevamo anche pubblicato qui in forma breve. Chiude il libro un’appendice a firma di Tom Shippey, professore di Letteratura medievale e anglosassone, il più noto studioso di J.R.R. Tolkien, di cui parliamo spesso qui sul sito. Abbiamo chiesto a Wu Ming 4 di scrivere un testo in anteprima per il sito dell’ArsT per spiegare come ci sia ancora bisogno di un altro libro su Tolkien. Lo pubblichiamo qui di seguito, ringranziando lo scrittore per la gentillezza e il suo impegno del campo degli studi tolkieniani in Italia.

«Difendere la Terra di Mezzo nasce in risposta all’esigenza di divulgare le letture dei più grandi esperti internazionali dell’opera di Tolkien al di fuori dell’ambito ristretto dei cultori della materia. La cosa che ci si potrebbe chiedere dunque è se l’esigenza sia in qualche modo fondata. C’era bisogno di scrivere un altro libro per liberare Tolkien da decenni di incrostazioni ideologiche, sovrainterpretazioni, simbolismi, vulgate volgari? Ritengo evidentemente di sì. A conforto di questa mia convinzione voglio portare due prove. La prima è tratta dalla postfazione di un critico letterario a un saggio di una decina d’anni fa, che ricostruiva la mistificazione imbastita intorno a Tolkien dall’estrema destra italiana. Il critico si premurava di muovere ai due autori del saggio stesso un appunto tanto saccente quanto, forse, involontariamente premonitore: Copertina libro "L'anello che non tiene" edito da Minimun FaxVoglio dire che non c’è bisogno di condividere il pensiero […] che non esistano fatti – testi – ma solo interpretazioni, per nutrire qualche dubbio su quella che mi pare la salda convinzione di Del Corso e Pecere: che cioè, una volta passato il loro rasoio ermeneutico sull’immondizia incrostatasi su Tolkien, questo possa essere restituito a una leggibilità, diciamo, prima. Piacerebbe insomma, in casi come questo, poter nutrire ancora qualche illusione sull’autonomia del testo; ma dai bei tempi di quando eravamo strutturalisti troppa acqua è passata sotto i ponti per non pensare che le interpretazioni di ieri finiscano per deformare irrimediabilmente il senso che un testo ha per i suoi lettori di oggi. Almeno fino a quando gli hobbit, anziché scudieri della gioventù d’estrema destra, non diverranno icone di riferimento del popolo di Porto Alegre. Cioè fino a quando una nuova interpretazione forte non entrerà a sua volta nella compagine di senso attivata dal testo in questione, così attenuando la rilevanza di quella che prima teneva banco (come quella nazi ha fatto quasi dimenticare, almeno da noi, l’opposta – opposta? – lettura hippy degli anni Sessanta…)” (A. Cortellessa, postfazione a L. Del Corso, P. Pecere, L’Anello che non tiene: Tolkien fra
letteratura e mistificazione
, Minimum Fax, 2003).

Social forum Porto AlegreUna nuova interpretazione forte. Precisamente. E possibilmente fondata su ciò che Tolkien ha scritto e non su voli pindarici spiccati dai trampolini del citazionismo a singhiozzo, com’è stato per molti anni in Italia. Perché se ogni lettura è già un’interpretazione, com’è ovvio, e nessuno può nutrire una fede cieca nella lettera del testo “sacro”, è altrettanto evidente che si possono distinguere le letture articolate e argomentate da quelle cialtronesche e dozzinali. Se così non fosse, tanto varrebbe tacere per sempre. Quanto poi le tematiche affrontate da Tolkien nella sua narrativa potessero riverberare nelle battaglie del “popolo di Porto Alegre”, ieri, o ad esempio in quella degli abitanti della Val Susa, oggi, è faccenda che ciascuno può valutare da sé. L’applicabilità è il margine di libertà di ogni lettore, diceva Tolkien. La seconda testimonianza scritta è invece di più basso tenore, ma non meno indicativa di un modo di leggere e considerare l’opera di Tolkien, frutto delle sovrainterpretazioni a cui accennavo sopra. Sì, perché queste hanno lavorato a fondo, si sono sedimentate, fino a condizionare lo sguardo. Si tratta dunque di un messaggio rinvenuto due giorni fa su un social network, che è una vera “chicca”. Lo riproduco così com’è stato postato, senza editing: “I wuming che si fanno affascinare da tolkiene (e innpassato gli unici a cui era capitato sopra i 16 anni erano quelli di avanguardia nazionale) è davvero maledettamente triste. E dir che di temi al mondo ce ne sono. Evidentemente quando diventi interessante e sai di essere ascoltato, la testa inizia a girare all'”arrovescia”… Io ho giocato per 15 anninal gioco di ruolo del signore degli anelli. Ho letto tutti i libri, simmarillion compreso, nonchè sbirciato una tesi di laurea di una americana che attraverso i racconti di Tolkien ricostruiva le distanze chilometriche della terra di mezzo. Nemmeno io sono interesante. Però Tolkien parla, scrivendo malino per altro, di un mondo nel quale il popolo non esiste. Esistono solo gli eroi. I cattivi son cattivi e i buoni son buoni. Irrimediabilmente e senza possibilitá di redenzione. Vedi Orchi. Un mondo che rappresenta perfettamente quell’ambientalismo reazionario tipico della destra aristocratica. Il bel mondo che fu. Nel quale i re erano quelli veri, amato dal popolo, che facevano il bene, senza classi e con il nemico sempre rappresentato dall’impostore o dal nemico esterno… E visto che a wuming piace descrivere la sinistra in questi termini, non capisco questa ridicola passione adolescenziale“.
Tralasciando ora sintassi, ortografia e l’ironia involontaria dell’accusa di scrivere «malino» formulata in un messaggio che è quello che è, la cosa davvero emblematica è l’acquisizione della lettura della destra più retriva da parte di chi invece sembra porsi in tutt’altra area culturale. Ciò dimostra quanto tale lettura sia stata assunta nella vulgata corrente, perfino da chi il libro lo ha letto. Malamente, s’intende. Perché si può scrivere male, ma si può leggere malissimo. E sono in tanti a farlo. Dunque ci si imbatte in affermazioni di questo tipo: nell’opera di Tolkien il popolo non esiste, ci sono soltanto eroi… «I cattivi sono cattivi e i buoni sono buoni». L’ambientalismo presente nelle storie di Tolkien è «aristocratico» e il nemico sempre «esterno»… non esistono le classi sociali, i re sono sempre amati dal popolo e fanno sempre il bene…

John Howe: "Saruman of Many Colours"Il fatto che il vero eroe del Signore degli Anelli sia Samvise Gamgee, cioè un esponente delle classi basse, non viene registrato. Non pervenuti nemmeno gli Hobbit che insorgono contro l’usurpatore Saruman, evidentemente indegni d’essere considerati «popolo» (forse perché non impugnano una bandiera rossa). Quanto poi alla divisione carismatica tra buoni e cattivi, suona davvero paradossale imputarla a un romanzo il cui protagonista, Frodo Baggins, indubbiamente «buono» in partenza, viene alla fine sopraffatto dal male e sceglie di non distruggere l’Anello e di tenerlo per sé. Per non parlare di Boromir, Denethor, Saruman, e di tutti i buoni che diventano nemici «interni» e rappresentano una minaccia altrettanto grande di quella incarnata da Sauron. Significativa poi la qualifica dell’ambientalismo di Tolkien come destrorso e aristocratico, tanto più perché sarebbe interessante scoprire in cosa si distinguerebbe dall’ambientalismo d.o.c., che si immagina sinistrorso e «democratico». Quanto poi ai re, nel Signore degli Anelli ne compaiono tre. Uno è il Re Stregone, cioè il capo degli Spettri dell’Anello, che non è né buono né amato. Il secondo è Théoden, che quando entra in scena è completamente circuìto da un infido consigliere, sta mandando in rovina il regno e troverà riscatto nella morte. Il terzo è Aragorn, che diventa re soltanto alla fine della storia, e in precedenza floppa clamorosamente come guida della Compagnia, tanto da rinunciare a portare a termine la missione al fianco di Frodo. Libro: copertina "La realtà in trasparenza – Lettere 1914-1973"Alla faccia dell’infallibilità regale. Sulle classi… Nell’Appendice al libro che ho scritto compare un saggio del più importante studioso di Tolkien, che passa in rassegna proprio la rappresentazione delle classi sociali nella Terra di Mezzo.
Certo si può benissimo ritenere «triste» che qualcuno si lasci ancora affascinare dal racconto tolkieniano dopo avere compiuto e magari doppiato i 16 anni. Molti critici e commentatori lo affermano – anche al di fuori dei paratesti e dei social network – ogni volta che le opere di Tolkien tornano a far parlare di sé. Lo affermavano già negli anni Cinquanta, a dire il vero, liquidando Il Signore degli Anelli come «spazzatura giovanilista» (E. Wilson). Ma questo non fa che confermare l’urgenza di tornare a leggere Tolkien, sbarazzandolo di tutto il ciarpame che gli è stato accumulato attorno. Magari per arrivare un domani a permetterci il lusso di non sentire più certe stupidaggini. E chissà che prima ancora che di ambientalismo d.o.c., non si tratti di un’opera di bonifica e di ecologia mentale, oltreché, ovviamente, letteraria. «Ma gli hobbit non sono una visione utopistica, e non vengono nemmeno raccomandati come l’ideale della loro epoca o in altre. Essi, come tutte le popolazioni e le loro caratteristiche, sono un accidente storico –Naomi Mitchison come gli elfi dicono a Frodo – e anche temporaneo, alla lunga. Io non sono un riformatore e nemmeno un “conservatore”! Non sono un riformatore (attraverso l’esercizio del potere) dato che sembra si vada sempre a finire nel Sarumanesimo. Ma anche “imbalsamare” comporta, com’è stato
dimostrato, delle ripercussioni. Alcuni recensori hanno definito il libro semplicemente come una lotta fra Bene e Male, dove tutti i buoni sono buoni, e i cattivi sono cattivi. Scusabile, forse (anche se si sono lasciati sfuggire Boromir) in persone che hanno fretta, e con un unico frammento a disposizione da leggere e, naturalmente, senza le storie sugli elfi scritte in precedenza ma non pubblicate
».
(J.R.R.Tolkien, lettera alla scrittrice e poetessa socialista Naomi Mitchison, 25 settembre 1954)

P.S. Va da sé che oggi che quelle storie sono pubblicate, le scuse stanno a zero.
Come avremmo detto “noi” di Porto Alegre… La lucha sigue! 😉
.                                                                                                             Wu Ming 4

.

– Vai al sito della Wu Ming Foundation,
– Vai al sito della casa editrice Odoya

.