Ancora uno sforzo se volete essere tolkieniani

Ma la debolezza degli Elfi in questi termini consiste naturalmente nel rimpiangere il passato, e nel non essere disposti ad affrontare il cambiamento: come se un uomo dovesse odiare che un lungo libro vada avanti, e desiderasse fermarsi al suo capitolo preferito.
(J.R.R. Tolkien, Lettera n. 181)

1. Je t’aime moi non plus

Com’era stato ampiamente predetto, la nuova traduzione de La Compagnia dell’Anello ha suscitato la reazione immediata di molti appassionati della Terra di Mezzo. Immediata in senso letterale, cioè senza nemmeno darsi il tempo di leggere il libro. Un certo numero di opinioni negative all’insegna della più assoluta soggettività è apparso nello spazio commenti di Amazon dopo appena ventiquattr’ore dall’uscita in libreria. Ecco quella che si dice “una reazione di pancia” (ma non bisogna essere così ingenui da non vederci anche l’impronta del pregiudizio e della premeditazione, soprattutto se si considera che la “guerra” a questa traduzione è stata dichiarata già da un anno). Le successive due settimane hanno visto una pioggia di reazioni che però raramente si è discostata dalla critica alla ritraduzione dei nomi di luoghi e personaggi del romanzo e soltanto adesso inizia a entrare nel merito della prosa. Di come il nuovo traduttore Ottavio Fatica ha reso lo stile di Tolkien si è detto ancora poco o nulla. Per questo bisognerà aspettare che il libro venga letto davvero, anziché setacciato alla ricerca della nuova nomenclatura.
Questo fenomeno – come si è detto, del tutto prevedibile e previsto – dimostra indiscutibilmente due cose.

La prima è l’immensa affezione che un pubblico variegato di lettori nutre per Il Signore degli Anelli ancora a mezzo secolo dalla sua pubblicazione in Italia. Proprio la reazione istintiva di molti fan è il sintomo di come questo romanzo faccia parte del bagaglio di ormai due-tre generazioni di lettori, i quali sentono il bisogno di “partecipare” attivamente alle sue vicende editoriali nel nostro paese. Bisogna avere la lucidità di valutare questo dato positivamente. Le proteste per la nuova traduzione dei nomi dei personaggi o della celebre poesia dell’Anello (altro oggetto del contendere che prescinde dalla lettura del libro, trovandosi in esergo e perfino sulla quarta di copertina della nuova edizione), valgono come una dichiarazione d’amore per il romanzo. Un amore geloso, in questo caso, ma comunque un fenomeno di cultura partecipativa che dimostra la vitalità della letteratura e che va “alla maggior gloria” di Tolkien, per così dire. Come andrà alla maggior gloria della nuova traduzione la caccia all’errore che si è scatenata sul web, uno sforzo collettivo che, scremato dalle segnalazioni pretestuose, produrrà verosimilmente una lista di correzioni e migliorie per la prima ristampa, come già fu per la traduzione precedente (vedi §2).

Lord of the Rings 1954-55La seconda cosa che queste reazioni (alcune delle quali davvero creative, bisogna ammetterlo) dimostrano è che quando un amore sincero si perverte in gelosia, tende al parossismo. Una schiera di lettori cresciuta con certi nomi o certi versi poetici nelle orecchie non accetta di vederli cambiare, lo vive come un tradimento di Tolkien. Ma ogni traduzione è un tradimento, ci insegnavano a scuola; ogni traduttore riscrive la prosa che traduce, ci suggerisce la ragione. Dunque il tradimento che si è consumato, in realtà, è quello del particolare “Tolkien” che i lettori italiani hanno conosciuto nel mezzo secolo scorso. Ciò che è stato tradito non è The Lord of the Rings – un romanzo che pochissimi nel nostro paese hanno letto in lingua originale, data la mole immensa -, bensì la sua traduzione italiana consolidata.

2. Ipse dixit?

È arcinoto che la traduzione storica del Signore degli Anelli è frutto della stratificazione di almeno tre interventi.
Il primo fu la traduzione stessa per opera di Vittoria Alliata di Villafranca, una diciassettenne alla sua prima esperienza professionale di traduzione letteraria. Alliata cercò di applicare le indicazioni compilate da Tolkien stesso ad uso dei traduttori del romanzo, laddove ad esempio l’autore suggeriva di rendere nelle lingue locali i nomi degli Hobbit. Così in quel volume pionieristico comparivano Frodo Sacconi (Frodo Baggins), Samio Gamigi (Samwise Gamgee), Felice Brandibucco (Merry Brandibuck), la famiglia Borsi-Sacconi (Sackville-Baggins), ecc.
Nella traduzione della celebre poesia dell’Anello saltano agli occhi in particolare i “Re Gnomici” per “the Elven-Kings”:

Tre Anelli per i Re Gnomici
Che dominano nell’eternità,
Sette per i Principi dei Nani
Che nei manieri di pietra sono,
Nove per i Miseri Uomini
Destinati alla mortalità,
L’Unico per l’Oscuro Signore
Seduto sull’oscuro trono
Nella Terra di Mordor
Dove l’Ombra incombe.
L’Unico Anello per dominarli,
L’Unico Anello per afferrarli
E vincolarli nell’oscurità
Nella Terra di Mordor
Dove l’Ombra incombe.

Di quella traduzione nel 1967 venne pubblicato però soltanto il primo volume, La Compagnia dell’Anello, dall’editore Astrolabio, che successivamente, non riuscendo a proseguire l’operazione editoriale, cedette i diritti a Rusconi. La pubblicazione dunque poté riprendere nel 1970, ma soltanto dopo che la traduzione di Alliata era stata sottoposta all’editing di Quirino Principe. Principe, tra l’altro, re-inglesizzò alcuni nomi di personaggi e luoghi, rivide massicciamente le traduzioni dei versi poetici presenti nel romanzo (tra cui quelli dell’Anello), e ridisegnò la mappa della Terra di Mezzo realizzata originariamente da Christopher Tolkien, figlio dell’autore, creandone di fatto una versione italiana.
Il Signore degli Anelli: Edizione LussoLa traduzione Alliata-Principe è quella dunque che si è consolidata nell’immaginario nostrano e a cui tutti si sono affezionati. Ovviamente era ben lungi dall’essere perfetta, presentava errori e refusi di stampa, che sono rimasti in essere fino al nuovo millennio, quando, nel 2003, un gruppo di volontari che facevano riferimento alla Società Tolkieniana Italiana ne ha corretto una parte per conto del nuovo editore Bompiani. In seguito gli appassionati hanno composto ancora un elenco di ben 53 cartelle di potenziali errori, consultabile qui.

Ora, uno degli argomenti più irrazionali portati da chi oggi si sente tradito, è che la traduzione Alliata-Principe sia intoccabile in quanto approvata da Tolkien in persona.
Il semplice buon senso suggerisce che se si dovesse assumere questo argomento non si dovrebbe ritradurre alcun autore defunto, in quanto costui sarebbe impossibilitato ad approvare una nuova traduzione delle sue opere. È un’assurdità che non avrebbe nemmeno bisogno di essere commentata. Se c’è una cosa che caratterizza i classici della letteratura è proprio che periodicamente un nuovo traduttore si cimenta con essi.

En passant, sarà forse il caso di ricordare che la prova dell’approvazione da parte di Tolkien del lavoro di Alliata-Principe finora è la parola dei traduttori stessi, dato che la corrispondenza intercorsa tra loro e Tolkien non è stata conservata o non è stata ancora resa pubblica, e dunque non è dato conoscerne i dettagli. Ad ogni modo è assai improbabile che tale approvazione nascesse da una valutazione diretta di Tolkien, il quale quando poteva diceva la sua (lo fece ad esempio con i traduttori in lingue germaniche: tedesco, olandese e svedese), ma per la traduzione italiana si affidò a un conoscente italofono. Wayne Hammond e Christina Scull, i massimi studiosi della vita di Tolkien, riportano che il 19 febbraio 1968, Tolkien scrisse alla responsabile dei diritti esteri del suo editore dicendo di essere confortato da una lettera ricevuta da un conoscente, di cui stimava l’opinione, il quale lodava la traduzione italiana (Tolkien Companion & Guide, Vol. 1: Chronology, p. 718). Secondo la ricostruzione è assai probabile che la persona in questione fosse un collega di Tolkien a Oxford, il professore italiano Camillo Talbot D’Alessandro, al quale in seguito Tolkien regalò una copia autografa dell’edizione Libro: copertina Lettere 1914-1973italiana. Del resto, è lo stesso Tolkien, in una lettera in cui ricorda la frequentazione della Dante Society di Oxford, ad ammettere che la sua conoscenza dell’italiano era ampiamente sopravvalutata dall’amico e collega C.S. Lewis (Lettere, n. 294).
È facile ipotizzare che un filologo che conosceva il latino, apprezzava l’italiano (ma gli preferiva lo spagnolo) e lo parlava anche un po’, potesse valutare la traduzione delle singole parole e dei nomi, ma da lì a stimare la resa del proprio stile letterario in italiano moderno ce ne passa, e questo lo spinse a delegare il parere a una persona di fiducia.
In definitiva, con buona pace degli amanti traditi, l’argomento del principio d’autorità non sta in piedi né dal punto di vista logico né da quello storico. È a tutti gli effetti un non argomento.

3. Cantami, o Diva

Molte proteste sono scoppiate per la ritraduzione della celebre poesia dell’Anello che apre il romanzo. Anche in questo caso è comprensibilissimo l’istintivo rigetto di una nuova versione, che però non risulta tanto più libera dell’elegante versione storica, nella quale le licenze poetiche dei traduttori erano finalizzate a salvaguardare le rime, laddove invece la versione di Fatica tende a salvaguardare il ritmo cadenzato dell’originale. È chiaro che i versi così emblematici reinterpretati da Ottavio Fatica hanno shockato non pochi lettori, almeno quanto è chiaro che ogni traduttore poetico fa precisamente questo: interpreta. Così era stato per Alliata e per Principe, è così per Fatica.
Tuttavia le poesie, canzoni e filastrocche nel romanzo sono numerose e bisognerebbe darsi il tempo di andarle a cercare all’interno della storia. Così facendo ci si potrebbe anche imbattere nella resa della seconda poesia più famosa del romanzo, quella che Bilbo compone per Aragorn. E allora si scoprirebbe che metrica, rima e forza espressiva, nella versione di Fatica non temono alcun confronto:

Non tutto quel che è oro poi risplende,
Non si smarriscono tutti gli errabondi,
Il vecchio che ha la forza non s’arrende,
Non gelan le radici più profonde.
Rinascerà un fuoco dalle ceneri,
Una favilla dall’ombre sprigiona;
La lama infranta nuova vita ottiene,
Tornerà re chi è senza corona.

Questo vale anche per tutte le altre parti in versi presenti nella Compagnia dell’Anello. Che si scelga la poesia di Beren e Lúthien recitata da Aragorn agli Hobbit e che suona come un canto omerico (p. 335); o la poesia comica sul Troll recitata da Sam, con il suo ritmo sincopato, allitterazioni e rime a cascata, da sembrare uno scioglilingua (p. 359); o ancora la salmodia di Bilbo sul marinaio Eärendil, così “montiana”, e nella quale sembra ancora di sentire cantare un aedo o uno scaldo, con quei versi brevi, per ciascuno un’immagine netta, in una sequenza strepitosa (p. 401)… il risultato della traduzione poetica ottenuto da Fatica è qualcosa di davvero inedito. Il suggerimento è di provare a leggerle a voce quelle poesie e canzoni, come se si dovesse recitarle. Apparirà forte e chiaro cosa significa far tradurre poesia a un traduttore-poeta e le polemiche sulla giusta accezione del singolo verbo “to lie” verranno subito ridimensionate.

4. Here comes the sun

Quando il dramma della gelosia avrà finito di consumarsi e si riusciranno a osservare le cose con più serenità, queste appariranno in una diversa prospettiva. Già adesso, in mezzo allo strazio dei cuori infranti serpeggiano pareri più motivati e apprezzamenti sinceri, non soltanto da parte degli appassionati di traduzione (ché quelli un po’ erano scontati). Ma bisogna anche dire che le uscite attese sono ancora due, il secondo e terzo volume del romanzo (in quest’ultimo si spera che l’editore vorrà inserire le mappe, dato che per quel momento la traduzione della toponomastica sarà ultimata), ai quali seguirà il volume unico. Quindi stiamo parlando di un’uscita editoriale spalmata su un arco di tre anni.

Il consiglio per tutti, dunque, è di mettersi comodi. E anche di riflettere su un dato: i lettori di Tolkien sono molti di più di quanti riusciamo a immaginare e di quanti si facciano sentire sui social media, ma diventano ancora più numerosi se ci proiettiamo in avanti, come fa un’operazione editoriale di ampio respiro. Chi leggerà il Signore degli Anelli per la prima volta, quindi con uno sguardo “vergine”, più limpido e più libero, potrà fare le sue valutazioni, probabilmente diverse da quelle che oggi vengono messe in piazza dai veterani. Sono i nuovi lettori di Tolkien che decideranno se premiare oppure no questa nuova traduzione. Ebbene, è facile immaginare che a costoro non importerà così tanto del cambiamento di un nome, e che apprezzeranno invece la prosa ariosa e la scorrevolezza che adesso Tolkien ha anche in italiano. Certo, è pure vero che qua e là questa fluidità della lingua è impreziosita da termini antiquati. Ma questo è ancora il tentativo di rendere lo stile di Tolkien, che ricorreva spesso alla quinta o sesta accezione dell’Oxford English Dictionary, quando non inseriva nel suo inglese medio dei veri e propri arcaismi e versi ben mimetizzati di prosa poetica. Dunque Fatica ha scelto di provare a restituircelo così in italiano. Come ci ha restituito la diversità dei registri linguistici presenti nel romanzo, che in italiano non avevamo ancora conosciuto. È precisamente questo il senso di ogni nuova traduzione: provare a rendere aspetti della lingua letteraria di un autore che le traduzioni precedenti non avevano colto.

Soprattutto, però, chi si accinge per la prima volta a leggere l’opus magnum tolkieniano avrà il vantaggio di poterlo leggere in due traduzioni diverse…non fosse altro che per farsi venire la voglia di leggerlo in lingua originale.
Per tutto il resto, c’è da aspettare che passi la buriana. Il tempo è il miglior alleato.
Auta i lómë, Aurë entuluva!

Redazione

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Esce oggi la nuova traduzione della Compagnia dell’Anello
– Leggi l’articolo Bompiani: le novità tolkieniane ottobre 2019
– Leggi l’articolo La traduzione della Compagnia a ottobre
– Leggi l’articolo Ritradurre Il Signore degli Anelli: l’intervista

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145 Comments to “Ancora uno sforzo se volete essere tolkieniani”

  1. Marius ha detto:

    Aggiungo al punto 2 che se la lettera in cui Tolkien in cui dice di fidarsi del suo conoscente italiano riguardo alla qualità della traduzione è del 1968, vuol dire che è riferita alla traduzione Astrolabio, quella che Principe modificò radicalmente. Quindi, secondo la pseudo-logica che qui sopra, giustamente, l’AIST smonta, già Principe cambiò una traduzione “autorizzata” (per modo di dire) da Tolkien. Quella che adesso viene difesa a spada tratta in nome del presunto volere di Tolkien, è già una traduzione che andava contro quel volere. Quindi, perché Principe sì e Fatica no?

  2. Anfotero ha detto:

    Ma siete in cerca di altri insulti? Ma vi pare che derubricare a fanatismo nostalgico le critiche argomentate che sono uscite – alcune da traduttori competenti – sia corretto e onesto? Critiche a cui NON avete risposto se non così? Buffonate. Scendete dal vostro piedistallo di snobismo e spocchia, fate ridere.
    Tutti bravi a dire “eh, ma alcune poesia gli sono riuscite meglio!” senza affrontare le critiche a quella dell’Anello o tutte le altre, che qui e altrove volutamente ignorate. Siete solo presunzione e marketing.

    • Marius ha detto:

      Io, da lettore che sta seguendo questa discussione, finora di “critiche argomentate, alcune da traduttori competenti” non ne ho viste quasi nessuna (e comunque non è di quelle che parla quest’articolo). Ho visto molti insulti e sfoghi di bile accompagnati a una stellina su Amazon, ho visto attacchi basati sul pure “sentito dire” oppure che trasformavano in dati di fatto indiscutibili quelle che erano solo preferenze e percezioni soggettive di chi commentava (ed è di questo genere di commenti che parla quest’articolo).

      Commenti seri che entrassero nel merito, a parte qui sopra, in giro per la rete ne ho letti due.

      Non so se Catà sia un traduttore, forse quando scrivevi “alcune da traduttori competenti” ti riferivi a lui? Nel caso fosse così, faccio notare che nella sua analisi della traduzione di Fatica, che pure critica e dice di non amare, scrive questo:

      “c’è da parte di Fatica un lavoro certosino su ogni termine del racconto… nella versione di Fatica il lettore si accorgerà di come si cerchi di utilizzare differenti registri linguistici italiani per restare fedele a tale caratteristica del testo inglese…

      In ultima analisi, a mio avviso questa di Bompiani è una iniziativa editoriale quanto mai encomiabile. In primo luogo, in quanto la traduzione di un classico, per quanto bella e riuscita, necessita dopo un quarantennio di una diversa versione (le traduzioni volant, i classici manent).

      Secondariamente, in quanto la fatica di Fatica, pregevole e attentissima, fornisce al lettore una pietra di paragone quanto mai preziosa rispetto alla traduzione di Alliata.

      Inoltre, questa traduzione potrà far scaturire un dibattito – si spera finalmente al di fuori di fazioni ideologiche – sullo stile di Tolkien, sul concetto di genere letterario, sull’idea stessa del tradurre.”

      https://www.huffingtonpost.it/entry/perche-non-amo-la-nuova-traduzione-de-il-signore-degli-anelli_it_5dcd0da9e4b03a7e0295233d

      Un’altra analisi della traduzione che mi sembra entri nel merito è qui:
      https://parladellarussia.wordpress.com/2019/11/13/nuovo-signore-degli-anelli-luci-e-ombre/

      E dice questo:

      “Per quanto riguarda la filosofia tolkeniana, questo nuovo testo mi sembra in effetti più fedele. Basta qualche esempio. Quando Gandalf sprona Bilbo a lasciare l’Anello, dopo la festa, dice: “Parti e mollalo qui. Smetti di possederlo” (originale: “Go away and leave it behind. Stop possessing it” – vecchia traduzione: “Parti e lascialo qui: separatene”). Ora, questa nuova versione, oltre alla maggiore aderenza all’originale, rispecchia meglio la vera natura del potere dell’Anello: se vuoi possederlo, non portarlo, è lui che possiede te. Allo stesso modo, il contestato “avvincerli” della poesia dell’Anello rende bene l’influenza dell’Unico sugli altri anelli: legarli a sé. Un altro passaggio, quando Galadriel rifiuta l’offerta di Frodo, dice: “ho superato la prova, mi sminuirò” (invece di “perderò i poteri”); chi ha amato anche il Silmarillion e i Racconti non può non ricordare che gli Elfi, in questo mondo, rimpiccioliscono diventando fate.

      Per quanto riguarda lo stile, mi sembra in generale scorrevole, seppur con l’inserimento di qualche parola desueta, a volte forse troppo buttata là; comunque, i periodi sono fluidi, mai troppo lunghi, e la sintassi ben costruita. Le descrizioni, fiore all’occhiello di Tolkien, mantengono il loro fascino, soprattutto quando si riferiscono a Elfi o a luoghi elfici (restiamo a bocca aperta come Sam!). Le narrazioni delle battaglie, ad esempio a Moria, o delle fughe fra foreste tumuli montagne, sempre avvincenti. Nei dialoghi, il traduttore cerca di mantenere la differenza di parlato non solo fra i personaggi, ma anche in base alla persona con cui sta colloquiando il personaggio; così, ad esempio, Merry e Pippin parlano in modo più semplice e scherzoso fra loro, più forbito con gli Elfi. Il famoso intercalare di Sam, poi, “non so se mi spiego” diventa “non so se ci capiamo”.

    • Marius ha detto:

      Se c’è un luogo della rete dove diverse persone si sono sforzare di rispondere, argomentando e dimostrando, a critiche spesso superficiali e pregiudiziali e a volte proprio sballate, quel luogo è questo blog, e la differenza coi flame che ci sono sui social si vede subito, basta scorrere questa discussione:
      https://www.jrrtolkien.it/2019/10/30/esce-oggi-la-nuova-traduzione-della-compagnia-dellanello/#comment-537373

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Umh… Lasciati dire che la tua ricostruzione del dibattito non corrisponde affatto alla realtà. In questo blog sono giunte critiche argomentate e a tutte è stato risposto con argomentazioni. Basta rileggersele. Insulti ne sono giunti, infatti, ma questo appartiene al malcostume da social media, che qui non accettiamo e che scoraggiamo. Per altro anche sulla pagina FB dell’Aist i moderatori seguitano da giorni a rispondere alle critiche, non evidentemente agli insulti, che scivolano via, come dev’essere. Nell’articolo qui sopra però si nobilitano perfino quelli, perché una reazione cattiva e isterica, è comunque segno di grande passione e amore per Il Signore degli Anelli. È quello che c’è scritto, se leggo bene. Dunque dov’è il problema?

  3. Atrus ha detto:

    Essendo stato tra quelli che hanno contribuito alla ‘correzione’ Bompiani conosco benissimo tutti gli errori della traduzione Alliata/Principe e non starò certo a dire che è perfetta. Però questi articoli in difesa di Fatica a spada tratta mi lasciano un po’ il tempo che trovano.

    Avendo letto LotR sia in italiano che in inglese diverse volte, direi che un paio di capitoli e un elenco di nomi sono più che sufficienti per poter dire se, a me, quella traduzione piace o meno rispetto alla vecchia e all’originale.

    Ma anche un lettore ‘vergine’ o che ha visto solo i film può farsi la stessa impressione in base all’anteprima dei primi capitoli.
    Tra i diritti del lettore c’è proprio quello di abbandonare un libro in qualsiasi momento, e se la voce di un traduttore non ti piace, potrà essere anche il più bravo del pianeta, ma continuerà a non piacere dopo tre libri come dopo trenta pagine.

    D’altro canto non dubito che ci saranno lettori vecchi e nuovi entusiasti di leggere dei Brandaino di Landaino e del valoroso corpo dei Forestali. Buon per loro!

    • Marius ha detto:

      Senz’altro chiunque ha il diritto di dire che un capitolo o poche frasi non lo hanno invogliato alla lettura, come ha il diritto di interrompere la lettura dove vuole. Quel che non ha il diritto di fare è:
      – spacciare queste impressioni (legittime ma impulsive) per riflessioni approfondite;
      – fingere di aver letto l’intero libro;
      – emettere sentenze sommarie (ma in realtà solo somare, e mi perdonino i ciuchi) sull’intero lavoro del traduttore;
      – insultare.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      “Tra i diritti del lettore c’è proprio quello di abbandonare un libro in qualsiasi momento, e se la voce di un traduttore non ti piace, potrà essere anche il più bravo del pianeta, ma continuerà a non piacere dopo tre libri come dopo trenta pagine.”

      Su questo non ci piove. Ed è altrettanto vero che a certi lettori “vergini” potrebbero non piacere i nomi Landaino e Forestali e ciò nononstante potrebbe piacere tutto il resto (che è tanto di più). Non trovi?

      • Atrus ha detto:

        Beh, la base del libro è certamente buona, ma quello a prescindere da Fatica, Alliata, o Principe. 😉

        Poi ripeto, non sto a criticare a chi piacerà la tradizione nuova, ma continuo a chiedermi se una rottura così totale col passato fosse veramente necessaria o se sia piuttosto un voler “marchiare il territorio”.

        • Wu Ming 4 ha detto:

          In che senso “necessaria”? A me pare che ritradurre un classico sia una sfida, prima che una necessità. Oggi sappiamo che Tolkien può essere tradotto anche in un altro modo. In realtà lo sapevamo già, in parte, visto che almeno per quanto riguarda i nomi la primissima traduzione pubblicata della Compagnia dell’Anello presentava tutti i nomi e cognomi hobbit tradotti e Tolkien l’aveva approvata. Ma non è quella che si è consolidata dal 1970.
          Sinceramente mi risulta oscuro anche il riferimento al “marchiare”…

      • Francesco Sili ha detto:

        Proprio a proposito dei nomi, nell’articolo viene proposta la poesia di Bilbo ad Aragorn, come esempio di cambiamento positivo.
        Nella poesia si parla di “errabondi”, con ovvio riferimento ad Aragorn e alla sua condizione di esule.
        Perchè dunque il traduttore che abbia afferrato questo concetto poi non si accorge della ovvietà di non lasciare la cosa isolata, ma estenderlo a tutta la traduzione?
        Insomma, in una parola, se stiamo parlando di errabondi, raminghi, girovaghi, esuli, come diavolo può saltare in mente il termine “forestali”?
        Non è una questione di gusto, si tratta proprio di perdere il contatto con la natura del personaggio e ciò che la sua definizione vuole dirci di sè.
        È più “forestale” Legolas di Aragorn, per dire.
        Come si fa a scivolare così?

        • Giampaolo Canzonieri ha detto:

          La risposta è semplice. “Errabondi” rende “wanderers”, “Forestali” rende “Rangers”. Due diverse parole, due diverse rese. Forestali non piace neanche a me (sono /letteralmente/ il primo cui non è piaciuto) ma se si vuole attaccarlo ci vogliono argomenti più forti (che peraltro non sono mancati).

          • Triceratopo Volante ha detto:

            Francesco Sili, come si fa a scivolare così?
            Riprova, sarai più fortunato.

  4. Claudio Testi ha detto:

    Aggiungo solo un ragionamento logico.
    SE (e sottolineo “se”) Tolkien ha “approvato” qualcosa, questa è la versione della Alliata ante modifiche di Principe, per cui Tolkien avrebbe approvato anche SAMIO GAMIGI, FELICE BRANDIBUCCO E THORINIO OCHENSCUDO. Quindi:
    1- se qualcuno pensa che sono meglio i nomi Sam Gamgee, Merry Brandybuck o Thorin Scudodiquercia, allora starebbe ANDANDO CONTRO TOLKIEN STESSO.
    2- Se invece qualcun altro pensa che esiste una sola traduzione approvata da Tolkien la quale va mantenuta, doveva iniziare questa “guerra” già dal 1970 e farla CONTRO PRINCIPE E LA RUSCONI, che appunto cambiarono i nomi come sopra accennato.

  5. Aragorn78 ha detto:

    “Ancora uno sforzo se volete essere tolkieniani” che significa? della serie che se a uno non piace la nuova traduzione non si è tolkieniani? suvvia siate seri, la verità è che non vi aspettavate una presa di posizione (critica ed estetica) così marcata da molti, anzi troppi, lettori di Tolkien contro questa traduzione. Mettersi a fare i filologi, o i finti esperti di questo e di quello non aiuta e non cambia il fatto che “forestale” fa un po’ schifo a tutti. Detto questo ecco un articolo di una persona competente che approvo e che dimostra senza troppe pretese perchè questa traduzione poteva andare molto meglio. Ps. anche un’altra cosa, non vi nobilita pretendere di far passare tutti coloro che non hanno gli occhi lucidi per questa nuova traduzione come dei cavernicoli che giudicano senza leggere o che si esprimono solo perchè ormai sono gelosi e affezionati in maniera irrazionale solo alla vecchia traduzione senza capacità di discernimento.
    https://www.huffingtonpost.it/entry/perche-non-amo-la-nuova-traduzione-de-il-signore-degli-anelli_it_5dcd0da9e4b03a7e0295233d?utm_hp_ref=it-homepage

    • Marius ha detto:

      È davvero sconcertante l’arroganza di chi pensa che i commenti sui social rappresentino tutto il mondo dei lettori di Tolkien, o dei lettori in generale. Una tempesta nel bicchier d’acqua di una parte del fandom più conservatore presentata come un’insurrezione di tutti quelli che amano Tolkien. C’è solo da sperare che questa manipolazione si ritorca contro a chi, con la bava alla bocca, la sta portando avanti.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      @Aragorn78,
      qui non siamo su Facebook, come ho già avuto modo di ricordare. Qui resta memoria di tutto ciò che si scrive.
      Le prove che la reazione da parte dei fan tolkieniani era ampiamente prevista e accettata sono proprio su questo blog.
      Cito da un post del 30 settembre 2019, un mese prima dell’uscita del libro:

      “…conoscendo l’ambiente del fandom, le polemiche sorgeranno sulla resa del nome del tal personaggio o del tal luogo; le resistenze saranno forti, dopo cinque decenni durante i quali ci si è affezionati a certi nomi e toponimi. È probabile che alcune scelte verranno rigettate, contestate, ecc. Se siamo cresciuti con un certo nome hobbit nelle orecchie, fa effetto vederlo reso diversamente in italiano (anche se magari avviene su una base etimologica svelata da Tolkien stesso nei suoi consigli ai traduttori, come nel caso della parola «buck», presente in molti nomi composti). Ci sta. Parte della sfida di una nuova traduzione era questa ed è stata accettata.”

      Qui l’articolo completo: https://www.jrrtolkien.it/2019/09/30/tra-un-mese-la-nuova-traduzione-della-compagnia/

      Anche i punti di disaccordo con la traduzione di Fatica da parte dell’Aist erano stati anticipati già il 30 ottobre, giorno dell’uscita in libreria:

      “Naturalmente non bisogna pensare che tutte le scelte ci trovino d’accordo. Forestali per Rangers, per quanto tecnicamente ineccepibile, trasmette a nostro parere una visione riduttiva e prosaica del ruolo dei Dúnedain, ben più alto e complesso di quello che la parola italiana ricorda; Cutèrrei e Nerbuti per Fallohides e Stoors, pur entrambi fondati, suonano un po’ inappropriati per un popolo gioviale come quello Hobbit, e Circonvolvolo per Withywindle sostituisce il Salice (withy) con il convolvolo (withywind), che Tolkien cita sì nella Guide ma come modello per la forma e non per il significato del nome.”

      Qui l’articolo completo:
      https://www.jrrtolkien.it/2019/10/30/esce-oggi-la-nuova-traduzione-della-compagnia-dellanello/

      Come ti è stato fatto notare da altri, e come è scritto nell’articolo qui sopra, attenzione a scambiare il flame su Facebook per la realtà. I lettori di Tolkien sono molti di più di quelle decine che stanno rimostrando contro la nuova traduzione sulla pagina FB dell’Aist.

      Infine, hai fatto benissimo a linkare la recensione di Cesare Catà, l’avrei fatto io. La preferenza espressa da Catà è dichiaratamente di “gusto”, dato che apprezza e riconosce il gran lavoro di Ottavio Fatica. Marius aveva già riportato qui nel thread alcuni passaggi dell’articolo, ma evidentemente la foga ti ha impedito di accorgertene. Non c’è problema, rieccoli copiaincollati:

      “c’è da parte di Fatica un lavoro certosino su ogni termine del racconto… nella versione di Fatica il lettore si accorgerà di come si cerchi di utilizzare differenti registri linguistici italiani per restare fedele a tale caratteristica del testo inglese…”

      “In ultima analisi, a mio avviso questa di Bompiani è una iniziativa editoriale quanto mai encomiabile. In primo luogo, in quanto la traduzione di un classico, per quanto bella e riuscita, necessita dopo un quarantennio di una diversa versione (le traduzioni volant, i classici manent).”

      “Secondariamente, in quanto la fatica di Fatica, pregevole e attentissima, fornisce al lettore una pietra di paragone quanto mai preziosa rispetto alla traduzione di Alliata.”

      Last but not least: la citazione – che Marius qui sopra ti ha già svelato – è a un celebre opuscolo del marchese De Sade, ovvero una sua provocazione iperbolica nei confronti dei rivoluzionari francesi lanciata nel 1795. “provocazione”…”iperbolica”… e si sa che De Sade era un matto, no? 😉

  6. Amarvudol ha detto:

    Ho letto l’estratto dell’ebook di Amazon e l’ho fatto perché non ero sicuro di aver voglia di rileggere ISdA per la ventesima volta, incompleto perché mancano due volumi, e avventurarmi nella nuova traduzione, considerando il costo del libro che non è proprio regalato (e pure senza mappa). Così ho fatto un assaggino e il mio giudizio non può che essere parziale. Però anche il giudizio di coloro che stanno difendendo a spada tratta la nuova versione non può che essere parziale, perché nessuno ha ancora letto “Le due torri” e “Il ritorno del re” 🙂
    Devo dire però che dopo poche pagine ero sul punto di mollare. Arrivato a “Grossa Gente” ho fatto un salto sul divano e quando ho letto “Boscuro” pensavo a un refuso, poi ho controllato qui e ho visto che è voluto.
    Vabbè, la forza dell’abitudine.
    Sullo stile devo dire che scorre molto bene, è meno forzatamente aulico della versione Alliata/Principe e in generale promette bene se, come sembra, risulta rendere meglio quello di Tolkien. Davvero un bel lavoro. Ma siamo solo all’inizio. I primi due libri (cioè il primo volume) sono scritti in un modo, poi lo stesso Tolkien cambia registro quando arriva a Rohan e al Fosso e inizia la fase delle grandi ed epiche battaglie e quando gli hobbit stessi crescono all’ombra di Gandalf e di Passolungo o come cavolo si chiama adesso. Sarà lo stile epico di Tolkien la vera prova del nove per la nuova traduzione. Vedremo.

    Non conosco così bene la lingua inglese da potermi permettere di assaporarlo in originale, Peccato, ma è così per un sacco di gente. Non è questione di gelosia. ISdA in italiano è stato letto da milioni di italofoni, è un’opera letteraria fatta e finita, con i suoi pregi e i suoi difetti, ed è una pietra miliare della letteratura, in italiano, per chi parla e legge italiano. E quest’opera letteraria è la traduzione italiana di LotR fatta dalla Viki e rivista massicciamente da Principe e trent’anni dopo, forse un po’ troppo tiepidamente, dagli amici della STI. In tal senso merita rispetto. Ok, quella di Fatica la prendiamo come una roba diversa, dice qualcuno, una traduzione diversa che mette in luce aspetti del libro che erano passati inosservati o sepolti dalla vecchia traduzione. I nuovi lettori leggeranno la versione Fatica e forse se ne innamoreranno. Non è la versione “definitiva” del Signore degli Anelli in italiano.
    Io, che non sono geloso perché non mi considero poi nemmeno un fan tolkeniano così assiduo e nemmeno di così vecchia data, ma abbastanza da aver evitato la visione dei due fim finali dello Hobbit dopo aver visto il primo, pessimo, spero che prima o poi esca una versione che prende il meglio delle due traduzioni: quella corretta, aderente al linguaggio e allo stile letterario di Tolkien, professionale e pure moderna di Fatica, ma che non butti via il bimbo con l’acqua sporca e che mantenga anche qualche traduzione storica dei nomi, perché davvero non c’è davvero nessun motivo, nemmeno il rispetto del più puro spirito tolkeniano, per leggere di un Cavallino Inalberato o di un hobbit che si chiama Samplicio.
    Come ho scritto nell’latro post, attendo con ansia di scoprire come Fatica tradurrà “sister-son” e “sister-daughter” che Alliata e/o Principe avevano sbagliato di brutto e che fine farà quel “but not for me” di Frodo.

  7. ha detto:

    Che la nuova traduzione suscitasse critiche era scontato, considerato che la versione «tradizionale» del Signore degli Anelli è uscita da quasi cinquant’anni e che quindi almeno due generazioni di lettori identificano l’opera con quella traduzione.
    E anche il tenore delle critiche era prevedibile. Solo chi ha letto l’opera nella versione originale inglese, nella traduzione di Alliata-Principe e in quella di Fatica è in grado di apprezzare gli eventuali progressi compiuti: ma si tratta di una ridotta minoranza di lettori. È abbastanza ovvio che i più colgano soltanto le differenze più evidenti tra le due traduzioni italiane (come i nomi di persona e di luogo). Ed è anche comprensibile che proprio queste differenze risultino indigeste a molti: è un po’ come se dopo aver ascoltato per tutta la vita la favola di Biancaneve, da oggi ci trovassimo ad ascoltarne una versione in cui la protagonista si chiama «Nevechiara»…
    Quanto al linguaggio con cui le critiche vengono esposte, è il solito rovescio della medaglia degli strumenti di comunicazione come quello che sto utilizzando ora per questo commento. Trent’anni fa la nuova traduzione sarebbe stata presentata in una libreria, si sarebbe presentato forse un centinaio di persone, e sicuramente nessuna di esse avrebbe urlato «Che schifo!» o «Fa pena!». Oggi il post che ne parla viene letto immediatamente da migliaia di persone, alcune (molte) delle quali non riescono a resistere alla tentazione dell’insulto, protette dall’anonimato di Internet.
    Come traduttore, mi tolgo il cappello davanti al lavoro di Fatica.
    Come lettore… be’, forse mi terrò la traduzione vecchia con tutti i suoi difetti!

  8. Matteo Leoni ha detto:

    Riguardo alla mappa, sulla pagina FB dell’editore Bompiani è stato scritto che questa sarà presente solo nella futura edizione del libro in volume unico e non in quelle in tre volumi, come era anche nelle precedenti.

  9. Davide Prette ha detto:

    Anni? A me pare di aver letto un po’ di tempo fa che i due restanti libri sarebbero usciti, rispettivamente, tra sei e dodici mesi. È cambiato qualcosa o è la mia speranza che mi ha fatto vedere ciò che mai è stato detto?

    • Giuspee ha detto:

      Qualche giorno fa sulla pagina facebook dell’AIST è spuntata un’immagine che mostra, dal sito online del negozio Feltrinelli, la scheda per la nuova traduzione della seconda parte “Le due torri” per fine marzo 2020. Quindi immagino i sei e i dodici mesi di distanza saranno rispettati, con il volume unico forse come strenna natalizia per il 2020? O magari andrà a inizio 2021.

  10. Andrea ha detto:

    Dopo tutto questo scalpore siamo in molti sui social che ci facciamo una semplice domanda: “Quando avremo una risposta diretta da Ottavio Fatica in merito tutte le questioni sorte riguardo la sua traduzione?”

    Ancora non sono riuscito a leggere tutta la nuova traduzione, sono appena al quarto capitolo, e da aspirante traduttore sarebbe interessante avere un confronto, una spiegazione, un commento diretto da parte di Fatica.
    Se si riuscisse perché non organizzare magari anche una specie di dibattito tra Fatica e la Alliata in merito la questione. Magari con interventi di vari critici, traduttori ed anche interventi di figure importanti del mondo Tolkieniano Italiano.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Il dibattito tra Fatica e Alliata credo che puoi scordartelo, dato che la reazione di Alliata alle critiche mossegli da Fatica è stata una querela.
      Per quanto riguarda un intervento di Fatica sul suo lavoro, mi pare avesse detto che avrebbe parlato alla fine della traduzione. Non so se con questo intendesse anche la “pubblicazione”.

  11. Amarvudol ha detto:

    Ok, ho mollato. Finito l’estratto ho deciso di non comprare la nuova versione. Non ne vale la pena. Non avrà «500 errori a pagina per 1.500 pagine» come la tradizionale, ma se leggo che i tetti delle case hobbit sono coperti di cotica preferisco passare. E questo non mi rende meno tolkeniano.
    Se c’è un solo lettore, uno solo, che quando ha letto “cotica” non ha pensato al maiale ma alle zolle d’erba, allora cambio idea. Ma non ci credo…

    • Giuspee ha detto:

      Confesso di aver pensato pure io al maiale, ma appunto, non quadrandomi la frase, e vedendo che in inglese c’è “turves” (se non sbaglio), sono andato sul dizionario e ho visto che esiste anche quest’altra accezione nel termine, che ignoravo totalmente (e che il Nuovo De Mauro, a differenza di altri vocabolari, segna come tecnico-specialistico); se uno confronta il termine inglese vede che forse la scelta di Fatica sia la più adatta, benché zolla sia ovviamente più comprensibile. Sarà che per me la lettura in generale ha sempre rappresentato anche il piacere di scoprire nuove parole e significati, ma non mi ha dato fastidio sospendere un attimo la lettura (tanto siamo nel Prologo ancora 😀 ) e cercare la parola (specie oggi con gli smartphone e internet, non serve manco più prendere il pesante dizionario e sfogliare e cercare, com’era prima).
      Risultato? conosco una nuova accezione del termine e la lettura è andata avanti come prima. Noto in generale l’insofferenza delle persone quando nel testo trovano parole non consuete, lontane dai registri colloquiali e quotidiani della lingua; ma la scrittura letteraria-artistica non dev’essere sempre calibrata sul nostro vocabolario di base, sennò ci sarebbe un appiattimento di lingua che danneggerebbe la lingua italiana. Almeno, questo è il mio pensiero.

      • Amarvudol ha detto:

        Anche a me piace scoprire parole nuove, nuove sfumature, ed è uno dei tanti motivi per cui la lettura è in generale un piacere. Altro è costringere il lettore a fare lo stesso percorso tecnico del traduttore. Cioè trovarsi di fronte la parola inglese “turves” in un certo contesto, quello dei tetti delle case hobbit, forse maltradotta dalla Alliata con “muschio”, cercare sul dizionario, capire che ha il significato, tra i tanti, di “zolle di terra con l’erba attaccata sopra”, prendere un vocabolario italiano alla ricerca di un sinonimo che possa rendere “zolle d’erba” e scovare “cotica erbosa”, cioè l’insieme di erba, terra e radici con cui tecnicamente si indica quella roba lì, usata anche a rotoli per coprire i campi da calcio. Il tutto perché tra i 500 errori per pagina la Alliata aveva usato “muschio” per non ripetere la parola erba. Se non andava bene muschio bastava dire che gli hobbit coprivano i loro tetti con due cose invece che con tre (com’è nell’originale inglese). Il Professore non si sarebbe di certo rivoltato nella tomba. Il tutto con un risultato persino comico se il 99% dei lettori capisce un’altra cosa.

        • Marius ha detto:

          Fatica ha tenuto come riferimento il testo originale, non la traduzione Alliata/Principe. Se la maggioranza delle scelte si discosta da quelle di Alliata/Principe, è proprio perché Fatica le ha fatte partendo dal testo originale, dalle accezioni che dava Tolkien ai termini che usava. Come ha scritto qualcuno, Fatica ha “giocato il gioco di Tolkien”.

          • Amarvudol ha detto:

            Sì grazie, l’avevo capito. Il gioco è quello. Fatica conosce probabilmente le regole alla perfezione, meglio dei suoi predecessori. Ma a volte non basta conoscere le regole. A volte si può guardare anche a chi quel gioco l’ha già giocato, anche se in modo diverso. Fatica è partito dal testo originale e ha ignorato la versione Alliata-Principe in modo quasi ostinato.

        • Giuspee ha detto:

          Qui mi spiace ma la penso diversamente: nel senso che, se Tolkien dà quei tre elementi, li riporto, anche col rischio di comicità involontaria; mi parrebbe una mancanza di rispetto verso il testo originale. Non mi sembra giusto espungere una parola dal testo solo per una “difficoltà” di traduzione. Ripeto, se ci sembra strano quel termine o un altro, non ci vuol nulla ormai a cercare una parola su google, che ci fornirà aiuto (e in questo caso siamo fortunati visto che cotica ha solo due accezioni, quindi balza subito all’occhio il secondo significato). Va bene che il traduttore deve fare un lavoro rispettoso nei confronti del lettore, ma anche quest’ultimo si dovrebbe anche sforzare di “ricevere” quella traduzione e colmare qualche lacuna del lessico (come nel mio caso questa di “cotica”).

          • Francesco ha detto:

            Scopro solo ora questo obbrobrio. Più imparo cose della nuova traduzione, più mi convinco che ho fatto bene a non comprarla ed a sconsigliare a chiunque di leggerla.

            Non mi trova d’accordo, ovviamente. La resa sonora e di immagine non è assolutamente indifferente, anzi.
            Un lettore che non abbia accesso alla versione originale e legge dei tetti coperti di “cotiche” rimarrà assolutamente interdetto, ed anche per un lettore colto la parola “cotiche” ha una resa completamente diversa da muschio.
            Usare “cotica” per “muschio” rende il testo inutilmente più ostico, meno scorrevole e soprattutto meno fedele all’intento originario. Faccia un esperimento: cerchi online qualche immagine relativa a “Turf House” e si chieda: “Cotica è la parola giusta per descrivere quel che vedo?”

          • Marius ha detto:

            Tu sei lo stesso che qui sotto ci invita a smetterla con ” l’atteggiamento ‘Chi critica è perché non l’ha letta’”

            Adesso scrivi:

            “Più imparo cose della nuova traduzione, più mi convinco che ho fatto bene a non comprarla ed a sconsigliare a chiunque di leggerla.”

            Cioè, per tua stessa ammissione, la critichi (e la diffami) senza averla letta.

            A ennesima riprova che l'”atteggiamento” che ci imputi coglie abbastanza nel segno.

          • Wu Ming 4 ha detto:

            A me certe obiezioni fatte paiono davvero di una pretestuosità disarmante (ma del resto se uno non ha letto la traduzione, non può fare altro che attaccarsi a singole parole). Ma davvero qualcuno può pensare che le case degli Hobbit abbiano il tetto di cotenna di maiale? Suvvia… Se leggo “tetti di cotica” il mio cervello ci metterà, quanto?, mezzo secondo a scartare l’immagine dei tetti di cotenna suina e a immaginare che significa qualcos’altro. Di certo non muschio, com’era nella vecchia traduzione. Il “turf” non è muschio, è uno strato di zolle, radici ed erba usato appunto anche per ricoprire i tetti. Il secondo significato della parola “cotica” è precisamente quello. Troppa fatica? Eppure Tolkien di arcaismi ne usa svariati, è proprio il suo stile. Si pensi a “Thain” che noi traduciamo “Conte”, o “Shire -muster” o “Shire-moot”.
            Ma pare che non vadano bene nemmeno le traduzioni più banali: perché “Barrow-Downs” (letteralmente “Tumuli-colline”) non potrebbe essere tradotto “Poggitumuli” e invece andrebbe benissimo tradotto “Tumulilande”? Le colline possono diventare lande, ma guai a mettere la cotica sui tetti… Bah.

          • odino23 ha detto:

            In risposta a wu ming4 sulla frase:

            “Ma pare che non vadano bene nemmeno le traduzioni più banali: perché “Barrow-Downs” (letteralmente “Tumuli-colline”) non potrebbe essere tradotto “Poggitumuli” e invece andrebbe benissimo tradotto “Tumulilande”? Le colline possono diventare lande, ma guai a mettere la cotica sui tetti… Bah.”

            Secondo la mia modesta opinione nel tradurre un’opera del genere è necessario si prestare attenzione alla corretta trasposizione dei termini quanto alla “musicalità” di quello che poi è il risultato finale.

            Per spiegarmi meglio: “tumulilande” richiama alla mente scenari di gran lunga più leggendari e fantastici di “poggitumili”.

            Dove nel primo è compresa la parola “lande”; da sempre facente parte del vocabolario “fantasy” universale, nel secondo compare a sostituzione la parola “poggi”; decisamente più consueta e che rimanda a immagini che di epico suscitano ben poco nell’immaginario collettivo…

  12. Francesco ha detto:

    Odo un discreto rumore di unghie sulla lavagna. L’arte, se è bella, non ha bisogno di spiegazioni o giustificazioni. Non ho bisogno di lunghi articoli e profondi studi per capire perché il David o il Cristo Velato siano capolavori, ma se trovo “Brillo Box” nella mia cantina, in mancanza di una nota del curatore finisce immediatamente nella differenziata.
    Una risposta punto per punto sarebbe parecchio complessa, ma mi pare che si stia iniziando ammettere che la reazione del pubblico – che, ricordiamolo, è quello che pagando tiene in vita l’opera – è stata piuttosto negativa, per non dire a tratti sprezzante.
    Da un certo punto di vista è anche una questione di marketing abbastanza suicida: prima si parte con una lite con la traduttrice originale (quella, giova ricordarlo, che è famosa per una traduzione amata da milioni e milioni di persone) e la si accusa di “500 errori per pagina per 1500 pagine” come se i lettori fino ad oggi avessero avuto il prosciutto sugli occhi e solo oggi fosse giunto il Redentore. E questo alza di molto la barra che la nuova traduzione dovrà saltare. Poi si presenta l’opera con una copertina inguardabile, e la si accompagna con una traduzione non troppo riuscita di una poesia che sanno anche i sassi. Ed anche qui, il popolo dei lettori “si inalbera”.

    Perché qui parliamo comunque di un opera d’arte, e nell’arte il risultato non è la media dei singoli elementi ma la visione d’insieme, ed in un’opera come il Signore degli Anelli nessuno si accontenta del “Buono” se abbiamo già un “Eccellente”. Un orecchio che sanguina per scelte di cui si è già ampiamente discusso non guarisce certo per la (bella!) traduzione della poesia dello Spettro dei Tumuli, soprattutto se sono stato costretto ad affrontare i “Poggitumuli” per arrivarci.

    Credo si sia sprecata un occasione, e dubito che continuare con l’atteggiamento “Chi critica è perché non l’ha letta” serva a conquistare nuovi lettori

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Francesco, scusa, ma tu l’hai letta?

      • Marius ha detto:

        Lo ha già ammesso lui di non averla letta, ha anche dovuto chiedere scusa per aver riportato critiche sbagliate orecchiate qui e là.

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Magari nel frattempo l’ha letta… Certo che se uno che non ha letto la nuova traduzione viene qui a criticarla, avvalora proprio l’affermazione “Chi critica è perché non l’ha letta”. Com’è possibile che non se ne renda conto?

      • Francesco ha detto:

        Veramente qui mi pareva di non essere entrato minimamente nel merito dell’opera, ma ragionavo come la sua presentazione ha contribuito non poco a rendere la strada impervia ed accidentata….

        Comunque ho letto anteprima + ascoltato numerosi video che sono entrati nel merito + i testi reperibili online. Certo, se lei mi scrive qui che “E allora si scoprirebbe che metrica, rima e forza espressiva, nella versione di Fatica non temono alcun confronto” per un testo che ho letto e trovato inferiore al precedente senza argomentare minimamente, mi perdoni se ritengo la mia critica del tutto fondata.
        La cosa bella delle recensioni e delle anteprime è che permettono di decidere in antcipo se è il caso di spendere 20 (+20 +20, per la solita, simpaticissima tradizione italiana di spezzare in più libri un opera unica…) euro per una nuova traduzione. Il verdetto abbastanza unanime è: “ok, ci sono cose belle, ci sono cose brutte e MOLTO brutte. Nel complesso, meglio prima”.
        Ah, una piccola nota: qui continua a dire che il Signore degli Anelli originale è poco conosciuto a causa della sua “mole immensa”… Mi permetto di ricordarle che oggi molti seguono serie televisive inglesi lunghe intere stagioni, e oggi una saga fantasy media (penso a Robert Jordan, a The Malazan Book of the Fallen, ai Dresden Files ecc) supera di gran lunga un libro come The Lord of the Rings.

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Eh, magari seguire serie tv in inglese equivalesse a leggere letteratura in inglese. Purtroppo non è così. Quando guardo una serie in inglese di fatto devo capire solo i dialoghi, moltissimo è affidato alla visione, all’espressività, ecc. Quando leggo un romanzo in inglese è *tutto* affidato alla lettura: dialoghi, descrizioni, discorso indiretto libero, ecc. ecc.
          Sarei curioso di sapere quanti in Italia hanno letto per intero The Lord of the Rings…io credo siano un’esigua minoranza rispetto ai lettori del Signore degli Anelli.

          Quanto al volersi fare un’idea di un testo prima di spendere bei soldi per acquistarlo, mi pare oltre che legittimo perfino saggio.
          Quello che non quadra è NON LEGGERE un libro e volerne però disquisire per sentito dire. Questo non è né leggitimo né saggio.

        • Finrod ha detto:

          Francesco, grazie per quello che scrivi.
          I miei più sinceri complimenti per lo sforzo che fai. Anche se serve a niente, purtroppo.

          • Wu Ming 4 ha detto:

            Ma no, Finrod, tutto serve, invece. Le discussioni non servono a convincersi gli uni con gli altri, ma a renderci più consapevoli di ciò che pensiamo. Inoltre servono per chi ha voglia di leggerle e farsi un’idea.

          • Francesco ha detto:

            La ringrazio profondamente.

          • Marius ha detto:

            A casa mia lo sforzo da fare, prima di disquisire per giorni e giorni di un libro, consiste nel leggerlo. A casa mia non ci accontentiamo di opinioni di seconda mano, basate sulla visione di un video su YouTube e sulla lettura di flame in giro per la rete. Tutto questo può servire a convincersi di non voler leggere il libro, certamente non basta a simulare un parere approfondito.

    • Giuspee ha detto:

      Scusi Francesco però la questione non mi sembra si possa risolvere semplicemente con la reazione del pubblico “è stata piuttosto negativa, per non dire a tratti sprezzante.” Bisognerebbe chiedersi innanzitutto se è stata negativa a ragion veduta o se superficialmente a causa di pregiudizi di cui si parla pure nell’articolo qua sopra. Nel primo caso ognuno è legittimo che si esprima e non l’apprezzi, e anzi leggerei volentieri le loro critiche o idee a riguardo; nel secondo, ritengo siano opinioni che si possano considerare abbastanza irrilevanti sulla questione, visto che non aggiungono nulla al dibattito.

      • Marius ha detto:

        Ma poi si continua a far finta che alcune decine di persone che intervengono ovunque in rete siano “il pubblico”. Ripeto, io spero che quest’arroganza, questo autonominarsi interpreti di una volontà generale, si ritorca contro chi sta portando avanti questa mini-campagna che a questo punto non esito a definire diffamatoria.

  13. Amarvudol ha detto:

    @Giuspee. Hai ragione, ci ho messo meno di un minuto a trovare il legame tra “turves” e “cotica” con san Google. Un tempo non avrei potuto farlo e mi sarei convinto che gli hobbit allevano maiali o cacciano cinghiali come Obelix, se li mangiano e, poiché “non si butta via niente”, con la cotenna ci coprono i tetti delle case, almeno di quelle non scavate sottoterra. Una bella immagine, ma sbagliata, perché Tolkien voleva solo dire che gli hobbit fanno i tetti con erba, paglia e zolle di terra (un vero tetto verde) e non con ardesia, legno o tegole di terracotta. Ma non è che per capire un libro devo stare sempre connesso a internet 🙂

    • Giuspee ha detto:

      Io posso capire che non piaccia come termine per l’immagine che può suscitare, è soggettivo e lo accetto. Ma se uno scrive: “Tolkien voleva solo dire che gli hobbit fanno i tetti con erba, paglia e zolle di terra (un vero tetto verde)” mi sembra strano non gradire il fatto che, per esprimere ciò che il Professore intendeva, la parola scelta da Fatica renda questo concetto pienamente, come i dizionari attestano.
      Per rispondere all’affermazione “Ma non è che per capire un libro devo stare sempre connesso a internet “:mica serve sempre internet! io ad esempio tengo sempre un dizionario nel comodino accanto al letto, pronto per ogni evenienza (ma so di non essere normale 😀 ). Poi, se non ce l’ho a portata di mano, o mi sottolineo la parola che cercherò successivamente, o me l’appunto da qualche parte. Non mi sembra diverso da come potevamo fare da ragazzi quando leggevamo i classici o altri libri, e scoprivamo termini inconsueti. Torno a dire: a mio avviso un traduttore deve venirci incontro, ma siamo pure noi che, in caso sia necessario, dobbiamo fare un piccolo sforzo su alcuni punti.

  14. Andrea ha detto:

    Per fortuna siete arrivati voi, i custodi dell’ortodossia tolkieniana, a spiegare a noi, poveri ignoranti, che non abbiamo mai capito Tolkien.
    State usando l’Anello, vi ha corrotto e nemmeno ve ne siete accorti.

    • Marius ha detto:

      Strano commento, visto che tutti gli attacchi sbracati alla nuova traduzione sono fatti in nome della conservazione di una supposta ortodossia del modo di leggere Tolkien in Italia.

    • Giuspee ha detto:

      Più che l’Anello che avrebbe corrotto qualcuno, per rimanere alle metafore Tolkieniane, io in questi giorni ho visto tanti “Vermilingui” che avvelenano i dibattiti e diffondono falsità. 😉

      • Wu Ming 4 ha detto:

        Mozione d’ordine: cerchiamo di non trascendere, su. Qui si discute. Possibilmente argomentando e non insultando. Qua non ci sono custodi di alcuna ortodossia, né servi di Sauron o Vermilingui. E soprattutto non siamo su Facebook.
        Come ho già detto, la discussione non è una partita di tennis, non si segnano i punti. Argomentare e controargomentare serve a (s)chiarirsi le idee e a mettere alla prova le reciproche argomentazioni, appunto. Non siamo noi che poi potremo trarre le conclusioni, ma soltanto chi ci legge.

        • Giuspee ha detto:

          Chiedo scusa, non capiterà più. È che mi ha dato fastidio il tono del messaggio di Andrea, quando invece in questo sito altre persone, anche con idee diverse da chi ha gradito questa nuova traduzione, hanno espresso civilmente le loro opinioni nel corso delle discussioni di questi giorni.

  15. odino23 ha detto:

    Quante discussioni per una questione di cosi poca importanza, leggetene una delle due e festa finita. Se IL SIGNORE DEGLI ANELLI ha riscosso l’evidente successo di cui ancora oggi gode è risultato di una traduzione che ha dunque colto nel segno; in caso non conveniate comperate THE LORD OF THE RINGS, che di sicuro metterà tutti d’accordo….

  16. Alex ha detto:

    La nuova traduzione l’ho presa a scatola chiusa nonostante le critiche online e la nuova versione della poesia dell’Anello (che non mi piace per niente) proprio perchè sono un appassionato ed è comunque un’occasione di rileggerlo con freschezza. Un’ennesima versione dell’edizione “classica” non l’avrei ricomprata, ma piuttosto avrei continuato a rileggerlo direttamente in inglese.

    Però non sono affatto d’accordo sul fatto che “Sono i nuovi lettori di Tolkien che decideranno se premiare oppure no questa nuova traduzione.” Questa frase è disonestà intellettuale perchè quando l’opera di pubblicazione sarà completa, la Bompiani metterà nel cassetto la versione Alliata-Principe-STI e manterrà in stampa solo la versione Fatica-AIST quindi non ci sarà niente da decidere.

    E’ inevitabile che un nuovo lettore, affacciandosi per la prima volta sul libro fra 10 anni, comprerà la nuova traduzione, a meno di andarsi a cercare una versione precedente fra i libri usati (ma questo presuppone già scelta e conoscenza su cosa si va a comprare).

    • Marius ha detto:

      Se la versione Alliata-Principe-STI finirà in un cassetto sarà per volontà (esplicitamente espressa) della Alliata che non vuole rinegoziare i diritti con la Bompiani, anzi, vuole trascinare in tribunale la Bompiani, Fatica e chiunque abbia criticato la sua traduziione.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Nessuna disonestà intellettuale, caro Alex, dato che quello che scrivi è falso.
      Personalmente ho già risposto alla stessa obiezione in un altro thread nei giorni scorsi. Probaiblmente ti è sfuggito. Stando a quanto è uscito pubblicamente già nel gennaio scorso, Bompiani ha offerto ad Alliata di rieditare la sua traduzione con tanto di nota della traduttrice. Lo ha comunicato a mezzo stampa tramite una dichiarazione della direttrice editoriale Beatrice Masini. Ecco un estratto dalla sua dichiarazione:

      “È dunque compito della casa editrice intraprendere la via di una nuova traduzione dopo cinquant’anni dalla prima. L’abbiamo annunciato, invece che agire in silenzio, proprio perché questo non escludeva e non esclude il mantenimento della traduzione storica in catalogo. Abbiamo proposto a Vittoria Alliata non solo di rinnovare il contratto di traduzione (scaduto di recente e per una svista non immediatamente rinnovato) ma anche di rivedere il suo lavoro, com’è giusto fare dopo tanti anni, in vista di una nuova edizione, e non abbiamo ottenuto alcuna risposta certa da parte dei suoi legali; un confronto diretto non è mai avvenuto perché non è mai stato accettato.”

      Qui il pezzo integrale:
      http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/leditore-bompiani-nessuna-lettura-ideologica-jrr-tolkien-1629525.html

      È chiaro che se Alliata non vorrà più concedere i diritti di riproduzione della sua traduzione a Bompiani, certamente la “sostituzione” avverrà per forza di cose, perché certo Bompiani non può continuare a ristamparla senza rinnovare il contratto. Ma se questo dovesse avvenire non sarà appunto per volontà di Bompiani.

  17. Marius ha detto:

    Odino23, questo su “lande” è il solito equivoco legato allo stile di Tolkien che però… è lo stile forzosamente “elevato” di Alliata/Principe. In inglese Tolkien usa “downs”, che non evoca niente di più epico del dovuto. La pretesa tutta italiana che nel SdA ogni parola suoni epica deriva dalle scelte arbitrarie che furono fatte cinquant’anni fa nel tradurre il libro.
    Non è nemmeno vero che la parola “lande” sia presente in un vocabolario fantasy “universale”, dal momento che è una parola italiana che suona “epica” solo in Italia. In inglese “lands” è una parola di uso comunissimo.

    • Giuspee ha detto:

      Aggiungo che non si capisce poi perché coloro che preferiscono “tumulilande” e la parole “lande” non si lamentino del fatto che pure il luogo della Contea che in inglese è “White Downs” non sia stato tradotto come “Landebianche/Bianchelande” ma in un comune, e giusto, “i Poggi bianchi”.

  18. ha detto:

    «Cotiche» mi sembra una scelta difficilmente difendibile.
    D’accordo, «cotica erbosa» significa sicuramente quella cosa lì (e lo scopro oggi all’alba dei cinquant’anni), ma è un termine rigorosamente specialistico, da agronomi (come può confermare qualsiasi motore di ricerca), a differenza di «turf» che è un termine di uso comune. Per il lettore italiano anche colto (agronomi esclusi) è inevitabile pensare al maiale…
    È verissimo che Tolkien usa sovente arcaismi o termini desueti: ma dove NON li usa (come in questo caso), non mi pare abbia senso servirsene in traduzione.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Anch’io l’ho scoperto nello stesso modo. E come ha scritto qualcuno qui, adesso so una cosa in più. Ma al di là di questo, anch’io mi sono chiesto qual è la ragione di una scelta del genere. Perché non tradurre semplicemente “zolle erbose”?
      Per quel poco che può contare, la riposta che ipotizzo è questa:
      1) “turf” è una parola sola e la sfida per il traduttore è anche quella di trovare un possibile corrispettivo;
      2) è una parola sì di uso comune, ma di origine antica, viene dall’Old English e la si ritrova più o meno simile in tutte le lingue germaniche, dunque il traduttore ha voluto cercare un termine arcaico che potesse corrispondervi (mi chiedo se addirittura “piota” non sarebbe calzato ancora meglio).
      3) “cotica” non è solo un termine tecnico dell’agronomia, ma in generale dell’agricoltura e di uso frequente nel giardinaggio (due attività a cui gli Hobbit si dedicano con solerzia, tra l’altro).
      Questi i miei due centesimi.

      Non mi pare, per altro, un caso isolato, anzi, sembra che Fatica abbia lavorato così in vari punti del testo.

      • Francesco ha detto:

        Vede, qui però non stiamo disquisendo del fatto che la traduzione sia tecnicamente corretta: non mi pare che qualcuno metta in dubbio che Fatica scriva in un italiano colto e grammaticalmente ineccepibile. E’ un problema di scelte che favoriscano o meno l’immersione del lettore ed il suo godimento dell’opera.
        Se uso il termine “tetto di zolle erbose” il lettore capisce immediatamente di cosa si tratti, l’immagine nella sua mente è una casa di campagna dal tetto verde, se è stato (come me) in Islanda ne ricava anche piacevolissime sensazioni nordiche.
        Se trovo invece “tetto coperto di cotiche”, magari nel mezzo di una delle ricchissime ed efficacissime descrizioni dei paesaggi, la mia mente si ferma di colpo. Sono costretto ad uscire “dal momento”, perdo la mia immersione, e sono costretto a compiere un tragitto mentale piuttosto tortuoso, a combattere con l’immagine di una casa col tetto di pelle di maiale e, finito tutto questo, posso tornare a godermi il libro.
        La domanda è: “Perché?” Qual’è il vantaggio del lettore? E’ migliorata la sua immersione nel racconto? A me non pare ci siano vantaggi, ed anzi qualcuno potrebbe pensare pure ad un refuso.
        E se questo è, come dice lei che è estremamente esperto del testo, “non un caso isolato”, peggio mi sento e capisco sempre meglio perché questa traduzione abbia sollevato molti dubbi.

        • Giuspee ha detto:

          Francesco, le correggo però una cosa. Quando incontriamo quel termine non siamo nel mezzo di una descrizione particolareggiata di paesaggio che possa essere rovinata, ma siamo ancora nel Prologo e Tolkien sta parlando in generale degli Hobbit. Siamo perciò fuori dal racconto, come fosse il brano di un lavoro antropologico su un determinato popolo. In tal senso forse è più accettabile trovare la parola dove ancora l’immersione del racconto vero e proprio non è richiesta.

      • ha detto:

        Idealmente il traduttore (mestiere che faccio da vent’anni) dovrebbe effettivamente trovare un corrispettivo quanto più calzante per forma, significato e registro. Ma spesso è impossibile salvare tutti e tre gli ambiti, e in tal caso mi sembra più sensato – salvo che in poesia, dove il rispetto della forma può risultare indispensabile – rinunciare all’aspetto formale (nel caso specifico, usare due parole, «zolla erbosa», invece di una) salvando senso e registro, piuttosto che rinunciare al registro («turf» è comune, «cotica (erbosa)» è specialistico).
        Volendo usare per forza una sola parola, «piota» sarebbe stato indubbiamente meglio. È un’altra parola che i più non conoscono, ma rispetto a «cotica» ha il vantaggio di avere un unico significato che non chiama in causa indebitamente la carne suina. Il mio vecchio Garzanti inglese-italiano dà infatti nell’ordine «piota», «zolla erbosa», «tappeto erboso» e «torba» (ma non «cotica») come traduzioni di «turf», di cui segnatamente indica entrambi i plurali «turfs» e «turves».
        E poi, oggettivamente «turf» non è affatto un termine arcaico/desueto/antico: è una parola che chiunque parli inglese capisce, a differenza di «cotica» (che chiunque parli italiano ricollega al porcello). È vero che deriva dall’Old English, ma lo stesso si può dire di tutte le parole inglesi che non hanno un’origine latina, francese, scandinava ecc., la maggior parte delle quali sono di uso comunissimo.
        …Insomma, le cotiche sul tetto non mi vanno proprio giù e credo sia legittimo criticarle; il che ovviamente non implica NULLA in termini di valutazione generale della traduzione nel suo insieme.

    • Marius ha detto:

      Ho controllato, “turf” è senz’altro una parola di uso comune, ma il suo plurale “turves” molto meno. Normalmente si usa “turfs”. “Turves”, aggiungo, si usa solo nel British English. Anche questa volta Tolkien non ha scelto una parola a caso.

      • ha detto:

        Ehm… Tolkien ERA britannico. Per lui «turves» era il plurale normale, immagino…

        • Marius ha detto:

          No, a quanto risulta è una forma meno comune di “turfs”, anche nel British Engish.

          • Wu Ming 4 ha detto:

            Sì, Marius, mi sa che hai colto nel segno, e ha colto nel segno Fatica nello scegliere una parola come “cotica” per rendere “turves”. Tolkien ricorreva a volte a plurali arcaici e ci teneva moltissimo, soprattuto per quanto riguardava le parole che finivano in -f. Lo fa con “dwarves” usato al posto di “dwarfs”, e con il corrispettivo “dwarvish” invece di “dwarfish”. Quando i correttori di bozze del LOTR glieli corressero andò su tutte le furie e pretese che venissero ripristinate le forme arcaiche. Cito dal più celebre libro del più celebre studioso di Tolkien:

            “La sua tesi era che nell’inglese contemporaneo molti vocaboli di origine antica terminanti in -f possono essere spesso distinti da quelli di origine moderna tramite le forme plurali: infatti, tali parole antiche (o almeno le parole appartenenti a una particolare classe dell’anglosassone) si comportano come “hoof” [zoccolo] e “loaf” [pagnotta] divenendo al plurale “hooves” e “loaves”, mentre le più recenti (che non hanno subito mutamenti fonetici in epoca anglosassone) aggiungono semplicemente -s, come “proofs [correzioni], “tiffs” [arrabbaiture] e “rebuffs” [rimproveri]. Per l’acuta e allenata sensibilità di Tolkien, scrivere “dwarfs” era dunque equivalente a negare alla parola la propria storia e le proprie origini.” (T. Shippey, La Via per la Terra di Mezzo, p. 94).

            Fatica dunque traducendo quel plurale arcaico “turves” con “cotica” nella sua accezione meno comune, anziché semplicemente con “zolle d’erba”, cerca di riprodurre l’effetto prodotto nell’iinglese moderno dal plurale anomalo.
            Chapeau.

  19. ha detto:

    Francamente, mi sembra un po’ tirato per i denti…
    Esiste un’intera classe di sostantivi inglesi (anche estremamente comuni) in -f che fa il plurale in -ves. Altri hanno entrambe le forme (è il caso di turf: il mio dizionario, non specialistico, le dà entrambe). I sostantivi in -f che hanno solo -fs sono una minoranza.
    Perciò «turves» non si può definire propriamente un plurale arcaico o anomalo; e di sicuro non anomalo come l’accezione non suina della «cotica» per il 98% dei lettori italiani…
    Comunque, per me la battaglia delle cotiche finisce qui… Cedo il campo. Buona continuazione!

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Sì, sì, certo che esistono quei plurali, ma quello che mi è sovvenuto oggi è che *per Tolkien* non era affatto indifferente usare gli uni o gli altri. E sono andato a ripescare il passo in cui Shippey lo spiega. Può non convincere l’uso di “cotica”, io stesso ho detto che avrei preferito “piota” per evitare associazioni suine, ma comunque tradurre con un semplice “zolle erbose” non avrebbe reso l’effetto “arcaizzante” a cui Tolkien teneva molto. Il suo uso dell’inglese, in particolare per quanto riguarda le parole derivanti dall’Old English non è mai banale o casuale. Dunque è corretto cercare di renderlo in italiano.

  20. Davide ha detto:

    Da “appassionato” del settore (bastano 24 anni di traduzione, con milioni di parole, anche in ambito tolkeniano?)… un conto è tradire, un altro ammazzare. Magari a mente fredda sarete voi a rendervi conto della cosa.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Be’, non so quanto sia conveniente metterla sul piano del curriculum con Ottavio Fatica, ma comunque complimenti. Senz’altro “a mente fredda” potremo tutti renderci conto di molte più cose. In effetti mi pare sia quello che c’è scritto nell’articolo in cima al thread.

      • Francesco ha detto:

        Potrei avere Millanta Anni di esperienza di traduzione, ma qui il termine chiave è “appropriatezza”.

        Se dovessi ritradurre Guerre Stellari, e nel rendere Darth Vader scegliessi “Babboscuro”, sarei filologicamente ineccepibile. Potrei anche mettere il link all’intervista all’autore che dimostra che la mia scelta è corretta e coerente con l’intenzione dell’autore.
        Ovviamente (e giustamente) verrei però lapidato sulla pubblica piazza a colpi di pupazzatti di Jar Jar Binks da una folla di fans inferociti.

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Chi l’ha detto che i fan hanno sempre ragione? Si possono anche fare delle scelte particolari e accettarne le conseguenze (pupazzetti e quant’altro). Anche perché ci sono poche categorie antropologiche più conservatrici e identitarie dei fan.
          Detto questo, l’esempio che fai non mi sembra calzante. È vero che “Darth” ricorda il suono di Dark (e infatti il significato dovrebbe essere quello) e “Vader” nelle lingue di origine germanica suona molto simile alla parola che sta per “Padre”. Però il personaggio non si chiama Dark Father, quindi tradurlo Padrescuro sarebbe una licenza poetica eccessiva, direi. L’autore ha scelto due parole che suggeriscono vagamente quel significato, ma non lo evocano apertamente.
          Se invece traduco Mirkwood con Bosco Atro / Bosco Tetro / Boscuro sto rispettando il significato diretto voluto dall’autore.

        • Giuspee ha detto:

          Sì ma chi ci assicura che i fan sappiano qual è il giusto grado di “appropriatezza” nella resa del termine, su che base? Solo perché amano l’opera e sono abituati da quella cosa da sempre?

          Sennò io potrei andare da Fatica a dirgli “Giù le mani da Gran Burrone e dalla locanda ‘il Portico dorato! Mi sembrano più appropriati i vecchi nomi e ci sono affezionato” salvo poi scoprire che sono due traduzioni non fedeli alle indicazioni della “Guide” di Tolkien ai traduttori della sua opera.

          • Francesco ha detto:

            Assolutamente nessuno. Ad alcuni la nuova traduzione piacerà da impazzire. Ad altri decisamente no. L’arte è così: ad alcuni l’arte moderna piace. Altri come me ritengono che andrebbe sepolta nella più profonda miniera del mondo circondata da cartelli che recitano: “attenzione; fa male all’anima”

            Trattandosi di una traduzione nata per problemi di copyright, capisco che debba differenziarsi abbastanza dalla precedente abbastanza da poter essere “brevettata” (mi scuso, so che non è il termine tecnicamente corretto) separatamente. Questo spiega, almeno per me, la deludente resa finale.
            Ed alla fine sarà una questione puramente commerciale: se la nuova edizione venderà abbastanza, sopravviverà. Se rimarrà invenduta sugli scaffali, l’editore dovrà agire di conseguenza.

          • Marius ha detto:

            Non credo proprio che copyright c’entri nulla nella decisione di ritradurre il SdA, dato che dell’esigenza di ritradurlo si parla da decenni, ci sono stati anche convegni sull’argomento in tempi non sospetti e molti lettori, me compreso, speravano in una nuova resa in italiano.Il lavorio precedente è stato un lavorio di rattoppi che ha prodotto una stratificazione. E un vero traduttore non lavora sulle traduzioni precedenti, ma direttamente sul testo originale. Se lo stile di Fatica si discosta parecchio da quello della Alliata e di Principe, è semplicemente perché si accosta molto a quello di Tolkien, dal quale Alliata e Principe erano distantissimi. Inoltre, come è stato spiegato qui più volte con tanto di link a dichiarazioni ufficiali, l’intenzione di Bompiani era di affiancare la nuova traduzione a quella vecchia. Se questo non succederà, sarà perché non vuole la Alliata.

          • Giampaolo Canzonieri ha detto:

            La nuova traduzione è stata decisa e avviata quasi un anno prima che uscissero fuori i famosi “problemi di copyright”. Tra le due cose non c’è alcun nesso se non per chi lo vuole vedere.

        • Giampaolo Canzonieri ha detto:

          Se George Lucas avesse scritto una “Guide to the Names of Star Wars” e avesse spiegato che Darth Vader significa Dark Father e va tradotto, avresti licenza di raccattare i pupazzetti e rilanciarli ai lapidatori con mira migliore della loro. Per fortuna dei doppiatori Geroge Lucas non l’ha fatto; Tolkien sì, and that’s it

      • Marius ha detto:

        Ecco il curriculum di Fatica, è una buona occasione per mostrare di chi si sta sparlando a vanvera nelle cerchie di chi urla “Cannarsihhh!!!!”
        https://it.wikipedia.org/wiki/Ottavio_Fatica

  21. Giuspee ha detto:

    Sul termine “turf” segnalo che nel capitolo quarto, “Una scorciatoia per i funghi”, quando Pipino/Pippin, mentre Frodo fa colazione, si mette poi a cantare e a ballare, Fatica traduce “green turf” come “tappeto verde” nella frase. Insomma, è fortemente voluto quel “cotica” lì nel Prologo.
    Aggiungo che per me non avrebbe fatto differenza trovare piota…nel senso che ignorando pure quel vocabolo avrei dovuto cercare pure quello in un dizionario! 😀

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Esatto, Giuspee. Lì “turf”, al singolare e con l’aggettivo “green” accanto, è stato tradotto con una parola di uso più comune (“tappeto”). Mi sembra confermare la mia ipotesi, e cioè che il “cotica” di Fatica non sia un vezzo, ma una scelta per rendere il plurale arcaico “turves”.

  22. Giuspee ha detto:

    Chiedo un’altra volta un aiuto a chi possiede l’edizione cartacea per fare un confronto su un passo dove mi pare ci sia stata una svista: siamo all’inizio del quarto capitolo, “Una scorciatoia per i funghi”, Frodo sta spiegando a Sam e Pippin/Pipino il percorso che ha in mente di fare e dice nella nuova traduzione ” “Il Traghetto è a est di Boscasilo; ma la strada prende a destra: laggiù a nord si scorge la curva. Costeggia l’estremità settentrionale della Marcita per incontrare il sentiero rialzato che viene dal Ponte sopra Magione.” Ma nell’originale, che incollerò ora, dice “left” per il percorso che prende la strada: ” ‘The Ferry is east from Woodhall; but the hard road curves away to the left – you can see a bend of it away north over there. It goes round the north end of the Marish so as to strike the causeway from the Bridge above Stock. ). “

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Sì, Giuspee, è una svista evidente. Mi pare che qualcuno l’avesse anche già segnalata. Si dovranno raccogliere questi errori e inviarli a Bompiani perché li corregga nelle ristampe.

      • Giuspee ha detto:

        Sì certo, io li sto segnando qui nei commenti man mano che ne trovo. Se poi ci sono luoghi più adatti e ordinati per le segnalazioni, fatemelo sapere.

      • doctorJoJo ha detto:

        Quando farete questo file per raccogliere questi errori e inviarli a Bompiani perché li corregga nelle ristampe?

        • Giampaolo Canzonieri ha detto:

          Le segnalazioni vengono raccolte (nel senso: io le raccolgo) man mano che vengono fatte e saranno sottoposte all’Editore quando si potranno ritenere consolidate. Che poi l’Editore ne faccia uso è tutto da vedere, ma di sicuto gli verranno trasmesse.

    • Giampaolo Canzonieri ha detto:

      La svista in questione è già stata segnalata sul Gruppo Facebook dell’Associazione, e ne è stata presa buona nota.
      Grazie comunque

      • Giuspee ha detto:

        Ah ecco, non avendo Facebook mi perdo purtroppo le discussioni del vostro gruppo. Vi chiedo allora di scusarmi se ripeterò cose già dette lì. 😀

  23. Giuspee ha detto:

    Volevo chiedervi un’opinione sulla traduzione di due nomi che ho trovato all’inizio del quinto capitolo “Una congiura smascherata”. Non mi riferisco al Sinuosalice/Circonvolvolo 😀 (già ne avete parlato anche nell’altro articolo), ma alle rese dei nomi “High Hay” e “Haysend”. Alliata/Principe presentavano “Frattalta e “Finfratta”, ora Fatica traduce “Alto Strame” e “Finistrame”. Ho letto che “hay” (parola che non conoscevo) ha quel senso lì. Però, secondo voi Fatica ha fatto bene a cambiare il senso da “fratta/siepe” a “strame” in quei toponimi? Lo chiedo perché mi pare “hay” nella “Guide” fosse da intendere come “fence” e non come “grass”. Ma correggetemi se sbaglio, ovviamente.

    • Giampaolo Canzonieri ha detto:

      Questo è probabilmente il primo vero errore che viene segnalato. “Hay”, nel contesto dato, significa effettivamente “siepe”. La cosa verrà opportunamente segnalata all’Editore a tempo debito.

      • Giuspee ha detto:

        Grazie per la risposta.
        In tal senso anche “Circonvolvolo” (per i motivi sopradetti da voi sulla questione di “withywind” solo come forma fonica della parola) può essere inteso come errore da segnalare all’editore?

        A proposito ancora del quinto capitolo, non m’è dispiaciuta la resa di Rushey, che passa da Sirte a Vinciglio con l’elemento del giunco e un adattamento dell’-ey toponomastico in -iglio (almeno così lo interpreto). Voi che ne dite?

        • Giampaolo Canzonieri ha detto:

          “Circonvolvolo”, “Magione” e “Vinciglio” sono scelte precise di Fatica decise all’ultimissima ora e quindi non discusse. Francamente ho delle riserve su tutte e tre, ma dubito che a questo punto possano subire cambiamenti.

          • Giuspee ha detto:

            Capisco, grazie del chiarimento.

            Su “Magione” posso chiedere come mai non ti convince? Ricordo che a suo tempo era già un’ipotesi di traduzione sul sito bracegirdle.it.

          • Giampaolo Canzonieri ha detto:

            Degli svariati significati di “stock” francamente non ne trovo uno che mi faccia venire in mente una magione. Trattandosi di un villaggio collocato in un area boschiva il significato originario che mi sembra più probabile, in assenza di indicazioni di Tolkien nella “Guide”, è “A tree-trunk deprived of its branches; the lower part of a tree-trunk left standing, a stump” (OED), ossia un tronco o un ceppo.

  24. D.T. ha detto:

    Buongiorno, sfrutto l’area commenti per chiedere due piccoli chiarimenti sulla nuova traduzione; non so se sono stati già trattati in altri commenti o altri articoli, o se sono solo mie sviste, ma nel dubbio chiedo:

    1) L’originale Milo Burrows che non rispondeva mai alle lettere di Bilbo, da Milo Rintanati diviene Milo Scavieri, ma Scavieri mi pare che sia la nuova traduzione per Grubb, i vecchi Scavari; mentre Burrows/Rintanati ora mi pare che sia Covacciolo. Non dovrebbe essere Milo Covacciolo?

    2) In Concerning Hobbits/A proposito degli Hobbit, in molte vecchie edizioni inglesi e italiane (e quindi credo anche in altre lingue) Bandobras Took viene definito “figlio di Isengrim Secondo” che però in realtà ne è il nonno, mentre ho visto che in un’edizione inglese più recente e nella nuova traduzione italiana è stato corretto con “figlio di Isumbras Terzo”. Sapete dirmi quando è avvenuta la correzione in inglese e se quella in italiano è avvenuta indipendentemente da quella inglese?

    • Giuspee ha detto:

      Ti rispondo per quanto ne so io:

      1)In effetti quest’errore è presente anche nella mia edizione digitale, dovrebbe essere Covacciolo come dici tu. Sarà una piccola svista come alcune segnalate anche sopra. Io non l’avevo notata perché quella parte l’avevo letta un po’ in maniera ingorda quando era uscita l’anteprima nei siti dei rivenditori online e non l’ho riletta bene. Magari è stata anche già segnalata sul gruppo Facebook, chissà.

      2) Sì anch’io all’inizio ero rimasto perplesso ma ho visto che è tra gli errori da correggere del file dell’AIST (https://www.jrrtolkien.it/wp-content/uploads/2013/01/erroriSdA.pdf) ricondotti all’edizione del cinquantennale del 2004 che ha apportato alcune modifiche (o tipografiche con maiuscole, oppure numeri di distanze, o qualche parola cambiata ecc.). Quindi bisogna stare attenti a questi casi di discrepanza tra le due traduzioni dovuti a questi cambiamenti del 2004. 😀

  25. Doctor Nerd ha detto:

    Vi consiglio di cambiare questo frase nelle prossime ristampe:”Nel sorvolarli in una massa così fitta che la loro ombra li accompagnava oscura sul terreno sottostante si udì un aspro gracchio”in “Nel sorvolarli in una massa così fitta che la loro ombra li accompagnava oscura sul terreno sottostante si udì un aspro gracchiare” che era meglio.

    • Giampaolo Canzonieri ha detto:

      “Gràcchio” è il nome del verso di corvi, cornacchie, etc., quindi penso che Fatica tratti lo stormo come fosse un singolo animale.
      Francamente anch’io preferisco “gracchiare” in una frase così, ma credo proprio che sia voluto.

      • Marius ha detto:

        È un uso comunissimo, in italiano. Si dice spesso «il pianto degli anelli», «l’ululato dei lupi», «il belato del gregge», «il ringhio del branco», non capisco perché non possa andare bene «il gracchio [della massa così fitta ecc.]»

  26. matteo de benedittis ha detto:

    Ciao a tutti.
    Insegno lettere alle superiori e scrivo libri per bambini.
    Allego alcune riflessioni non specialistiche.

    1. Nessuno di noi sarebbe tolkeniano senza Alliata/Principe/Zolla. C’è poco da fare: è così. Quindi, ogni critica al loro lavoro deve prima fare i conti con una somma gratitudine, e poi sciogliersi nella riconoscenza.

    2. Le nuove traduzioni non sono sfide, come dice WuMing4 (che leggo sempre volentieri, specialmente su Tolkien), sono abbagli. Sono abbagli perché sono frutto di una minoranza di specialisti che, per motivi più o meno filologici per lo più non percepiti dalla massa dei lettori, impongono (in modo un po’ dittat… unilaterale) cambiamenti ad un immaginario.
    Il commento più frequente che leggo è: perché? Il tolkeniano medio (non iscritto ad alcune associazione tolkeniana, per intenderci) non capisce il senso di questa traduzione, non ne sente la necessità. Al tolkeniano medio non interessa avere una nuova traduzione, gli va benissimo quella vecchia, con tutti i suoi difetti: non vuole avere la possibilità di scegliere fra due traduzioni. E ha ragione lui, non gli specialisti. Quando le cose funzionano, bisogna lasciarle stare: certe volte “star fermi” è un valore.
    E la traduzione di Alliata/Principe/Zolla, con tutte le critiche che si possono muovere, funziona, c’è poco da fare. Anche tu, che a fatica difendi Fatica, lo sai che Aragorn è un Ramingo, dai: non ci crederò mai che preferisci “forestale”, e più lo ripeti meno ci credo.

    3. Inoltre, una nuova traduzione non è una sfida ma un abbaglio perché, invece di affiancarsi alla traduzione classica, la sostituisce (a meno che Bompiani non intenda continuare a pubblicare entrambe le traduzioni, lungimiranza che mi stupirebbe). Quindi, fra nel giro di qualche decennio, la traduzione classica sarà andata perduta, senza che i nuovi lettori abbiano avuto reale possibilità di scelta. Io e i miei figli avremo letto opere diverse, ci saremo innamorati di personaggi e panorami differenti. E ciò è male, perché è divisivo, perchè rende individuale un’esperienza che poteva essere comune.

    4. I classici legano le generazioni fra di loro, e nell’attuale società liquida mi sembra che ci sia più bisogno di unità intergenerazionale di quanta non ce ne fosse un secolo (o anche solo trent’anni) fa. Un’amica di mia nonna aveva letto il Signore degli Anelli, e passammo un’estate a commentarlo: io avevo diciassette anni, lei sessanta – sentire la parola Nazgul in bocca ad una signora (che, all’epoca, percepivo come “anziana”) mi commosse e consolò profondamente, e ricordo l’episodio a distanza di vent’anni.
    Ritradurre il Signore degli Anelli, ritradurre Harry Potter, ritradurre il Padre Nostro sono operazioni delicatissime e che hanno come primo effetto di dividere, diacronicamente e sincronicamente. Lo dico anche da insegnante: dare da leggere Harry Potter ai miei studenti crea varie difficoltà, perché metà classe legge una traduzione e metà l’altra, dividendo un’esperienza che poteva essere comune per tutti: per metà è il buon vecchio TassoRosso, per metà è il vomitevole TassoFrasso. Non è ricchezza, è caos.
    Il valore transgenerazionale (che mi sembra sia ignorato dalla maggior parte dei commenti che ho letto) di un classico straniero si basa, ovviamente, sulla sua traduzione. Un classico andrebbe ritradotto solo quando la lingua in cui è stato tradotto è cambiata talmente da rendere incomprensibile (al grande pubblico, non agli specialisti) la prima traduzione: ed è un fenomeno che avviene coi secoli, non con i decenni. È giusto, forse, ritradurre l’Iliade, perché l’italiano di Monti è diverso da quello di oggi, mentre non ha senso ritradurre Harry Potter (ma nemmeno il Signore degli Anelli o il Padre Nostro – entrambe traduzioni più recenti di quelle dell’Iliade).
    (E comunque, per il lettore non specialista, l’Iliade inizia sempre con “Cantami o diva”.)

    5. Proprio per questo valore popolare e diacronico della traduzione, le critiche alla nuova traduzione, giustamente, si appuntano soprattutto sui nomi propri e sulla poesia dell’anello: ovvero due elementi che il pubblico conosce a memoria. Come per la ri-traduzione della Bibbia, il senso di tradimento del lettore comune si muove sugli aspetti che conosce a memoria, non sugli altri. Al pubblico dei tolkeniani medi non interessa quasi per nulla l’aspetto prosaico, la sintassi o le scelte lessicali di parole che non ricorda, e sarà difficilissimo trovare crociate per difendere la riformulazione di una sintassi. Al contrario -giustamente- il pubblico si sente tradito, si offende e scaglia i suoi scudi se gli cambi gli elementi che ha imparato a memoria: ovvero i nomi propri e la poesia che ogni lettore ricorda a memoria (chissenefrega della poesia di Beren e Luthien o di quella su Earendil: mica le so a memoria, ritraducetele pure). Ciò vale sia che si parli della preghiera-base del cristianesimo, sia che si parli di una casata di Hogwarts. Per cui, ri-traducete pure tutto, voi studiosi di Tolkien, ma lasciate a noi tolkeniani medi la nostra memoria. Lasciateci i nomi con cui abbiamo imparato ad amare, lasciateci le filastrocche che culliamo in mente: che vi costa?

    6. Ancora una sforzo, tolkeniani medi: anche questa bolla passerà. Portate pazienza, e se Dio vorrà anche questa nuova traduzione verrà dimenticata, sopraffatta dalla potenza trentennale della traduzione classica. Il tempo è il miglior alleato.
    Perché non importa se mia moglie ha fatto il lifting e ha due taglie in più di reggiseno: la amavo coi suoi difetti, così com’era.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      1. Si può essere grati e riconoscenti ad Alliata e Principe per averci regalato la possibilità di leggere Il Signore degli Anelli da ragazzi, poi da grandi averlo letto in inglese ed essere quindi oggi grati a Fatica per averlo tradotto in uno stile più vicino all’originale, che restituisce la varietà di registri linguistici e la scorrevolezza della prosa, emenda alcune sviste, ecc. Fasi della vita diverse, traduzioni diverse. È il divenire della storia, e per quanto possa spaventare, accade anche senza il nostro consenso.

      2. Le traduzioni sono fatte dagli specialisti, certo. La traduzione Alliata-Principe, con il suo stile aulico e ridondante, ha formato il nostro immaginario di tolkieniani, e in maniera talmente forte (anche grazie al cinquantennio intercorso) che oggi le reazioni di conservatorismo radicale si sprecano. Non è dato sapere perché quel condizionamento andava bene mentre la ritraduzione di Fatica sarebbe lesa maestà dell’immaginario italo-tolkieniano. Cos’è, diritto di primogenitura? Non è mica obbligatorio morire conservatori, eh. Se uno vuole stare fermo, faccia pure, ma il mondo si muove lo stesso, e magari qualcun altro vorrebbe dell’altro.
      BTW: Aragorn non è né un Ramingo né un Forestale. È un Ranger, e il significato che Tolkien attribuì a quel termine e sfuggevole perché lui ha voluto che fosse così, cioè sia un dispregiativo usato dagli abitanti di Bree per definire Aragorn & company (quindi invece dell’aulico ed elegante Ramingo sarebbe più adatto “Vagabondo”, “Girovago”) sia il nome connotativo di un corpo paramilitare con compiti di sorveglianza di un territorio, che ha il suo corrispettivo più evidente nei Ranger dell’Ithilien, inquadrati nell’esercito di Gondor. In italiano non esiste una parola che salvaguardi entrambe le accezioni possibili, quindi il gioco di Tolkien non è riproducibile, e ogni traduttore fa la sua scelta. Quella di Fatica non piace a nessuno, è un dato di fatto. Se uno vuole giudicare la sua traduzione dalla resa di un nome, faccia pure, direi che la cosa si commenta da sé.

      3. È la terza volta che lo ripetiamo in queste discussioni: Bompiani ha dichiarato a mezzo stampa di voler mantenere entrambe le traduzioni. Riecco il link all’articolo in cui la direttrice editoriale di Bompiani Beatrice Masini afferma questo: http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/leditore-bompiani-nessuna-lettura-ideologica-jrr-tolkien-1629525.html
      Al momento però i diritti della traduzione Alliata-Principe sono scaduti e Alliata non sembra intenzionata a rinnovarli. Senza la sua firma di certo Bompiani non può seguitare a stampare la sua traduzione, commetterebbe un illecito. Da quanto si legge, questo è l’inghippo e non sembra dipendere da nessun altro che da Alliata (nel link qui sopra c’è anche la sua risposta).
      Quanto ai panorami e ai personaggi, nella traduzione di Fatica sono esattamente gli stessi, il romanzo è lo stesso, e se qualche personaggio ha un nome diverso, si farà presto a intendersi (uno lo chiamerà Grampasso, un altro Passolungo, mentre Samvise e Samplicio saranno per tutti Sam, dato che è così che viene nominato nel romanzo per il 98% dei casi). Inoltre leggere una traduzione non esclude di leggerne un’altra. Il vantaggio di figli e studenti rispetto ai padri e professori conservatori e nostalgici è che avranno più scelta: potranno affezionarsi a una o all’altra traduzione, o magari a una terza, quando verrà fatta.
      Ma per certi padri e professori la scelta è un rischio, può portare al caos, all’eresia… Meglio allora una sola via e nessun conflitto generazionale. Meglio un’unica versione dei testi, che così diventano sacri e indiscutibili. Harry Potter e Il Signore degli Anelli come Il Padre Nostro…
      Davanti ad argomentazioni come queste viene proprio da sperare in un sano conflitto generazionale (facendo pure il tifo).

      4. I classici legano le generazioni e infatti da sempre vengono ritradotti. Chissà com’è? Bisognava restare alla traduzione dell’Iliade di Vincenzo Monti, al “Cantami o diva”…ma stiamo scherzando? Ciò che non muta è il testo nella lingua originale, ma per fortuna si traduce e si ritraduce. Pare lo facesse anche un certo J.R.R. Tolkien, entrando in polemica con altri traduttori filologi sulla resa consolidata di certi termini dell’Old English e proponendo (udite udite) una resa diversa.

      5. Con quale arroganza poi ci si erge a dar voce al “pubblico tolkieniano medio”? Chi è il tolkieniano medio? Uno a cui non dovrebbe interessare la scorrevolezza, il piacere di leggere una prosa più prossima allo stile di Tolkien o poesie più belle? Si avesse almeno il buon gusto di stare a vedere (e di leggere) prima di emettere sentenze. E comunque, nessuno toglie memoria e ricordi a nessuno: basta convincere Alliata a firmare il rinnovo della traduzione e la sua seguiterà a esistere. Se qualcuno può spendere una buona parola lo faccia. Amen.

      6. La moglie non ha fatto il lifting. È proprio un’altra donna, cinquant’anni più giovane. E non è priva di difetti nemmeno lei, come ogni donna. E prima di augurarle una morte prematura bisognerebbe almeno conoscerla. Attenzione, però, perché si corre il rischio di apprezzarla… e allora il conservatore potrebbe andarmi un po’ in crisi. Non sia mai.

    • Giuspee ha detto:

      Premetto che comprendo le ragioni delle sue opinioni e che, come dice, ci siano altri “tolkieniani medi” a pensarla così, ma le ritengo pure assai conservatrici e anche egoistiche, per certi versi.

      Cercherò di rispondere ai punti:
      1) Va bene ringraziare quelle figure (non capisco poi perché Zolla, in quanto non ha partecipato alla traduzione rispetto ai primi due, ma al massimo ha svolto il ruolo di promotore, peraltro con interpretazioni molto arbitrarie come si vede nella sua introduzione al testo) ma a questo punto, visto che ogni operazione editoriale parte da quella volontà, bisognerebbe prima ringraziare Astrolabio e poi la Rusconi (e la Bompiani in ultimo che ha poi preso i diritti dalla precedente) per aver reso possibile che i lettori italiani leggessero il Tolkien del Signore degli Anelli. Poi certo, come tanti altri hanno già detto prima, bisogna ammirare il fatto che una diciassettenne si sia cimentata nella traduzione di un’opera così complessa, con un discreto risultato. Ma di qui a dire somma gratitudine, peraltro solo ai traduttori, mi sembra eccessivo; ma è una mia idea.

      2) Sulle traduzioni come abbagli mi pare un’affermazione molto riduttiva. Una traduzione nuova dovrebbe rappresentare un’opportunità attraverso cui un’opera può essere riletta e riconsiderata, e in tal modo dirci anche cose nuove, scoprendo magari aspetti che non erano stati ben osservati in precedenza, specialmente per i classici. Sul motivo per cui non è stata capita questa nuova traduzione, be’ mi sembrano un po’ miopi questi “tolkieniani medi”, oltre al fatto che un editore decide lui cosa vuol fare. Ma se siamo qui in questo blog a parlare di Tolkien è perché riteniamo sia un autore che vada oltre il mero gusto personale e sia una delle personalità letterarie più rilevanti del XX secolo, uno che penso possiamo dire abbia scritto un classico della letteratura di tutti i tempi. E perciò, come già detto da altri, perché non ritradurlo – specialmente a distanza di 50 anni- come avviene per Melville, per Dickens, per Flaubert ecc.? Pazienza se l’immaginario sarà diverso, in una traduzione bisogna mostrare innanzitutto rispetto verso l’autore e verso la sua opera più che ai lettori e una data ricezione, almeno la penso così.
      In ultimo, chi stabilisce che la traduzione di Alliata/Principe funziona in maniera così assoluta? Ha pregi e difetti, così come quella nuova di Fatica. Ma non è che siccome è andata bene finora o è stata fruita in quanto l’unica finora presente nel nostro paese allora merita a prescindere di essere mantenuta per un secolo.

      3) Su questo punto già si sono espressi numerose volte quelli dell’AIST. Bompiani vorrebbe tenerle entrambe, ma forse non andrà così (e non per causa sua).
      Sulla possibilità di scelta: ma avete paura che verranno bruciate tutte le copie in un falò generale di qui a qualche tempo? Sembra che non esistono biblioteche che conserveranno le copie che finora possiedono, ossia quelle con la traduzione Alliata/Principe. A titolo d’esempio posso dire di aver visto in una biblioteca vicino a dove abito che per il libro “Furore” di Steinbeck, dopo aver posseduto la sola traduzione esistente fino a qualche anno fa, ora le tiene entrambe (anche se in prima fila ci va la più recente e integrale, ma questo è un altro discorso). Insomma questa paura mi sembra un po’ ingiustificata, come se poi non esistessero mercatini dell’usato, ecc.

      4) Io spero che i classici stranieri leghino le generazioni fra loro per i contenuti che hanno, per i personaggi e mille altri motivi più che per la traduzione in sé. Moby Dick affascinerà sempre, immagino, anche se uno lo legge tradotto da Pavese, da Ceni o da Fatica. Ma come ho detto, come fa di classico ad esserci una sola traduzione, visto che ogni casa editrice se vuole pubblica la sua? Aboliamo tutte le altre e decretiamo la migliore che potrà rimanere in commercio?

      5) Questi “tolkieniani medi”, se giudicano quasi irrilevanti l’aspetto della prosa per la sua sintassi e il lessico – cioè i mezzi attraverso cui le lingue trovano forma e quindi diventano opere letterarie -, allora non considerano “Il signore degli anelli” come un capolavoro letterario nel suo complesso quale esso è.

      6) Mi ricollego al punto 4 facendo una riflessione sul futuro: il tempo è il miglior alleato? Allora sì che ne vedremo delle belle per i “tolkieniani medi” quando nel 2043 scadranno i diritti di copyright su Tolkien, chissà quante altre traduzioni affiancheranno quella Alliata/Principe (e anche la nuova di Fatica). E chissà quante altre critiche verranno fatte pure a queste eventuali del futuro, invocando sempre la gloriosa traduzione classica.

      • Wu Ming 4 ha detto:

        Giuspee, a scanso di equivoci e per essere molto molto chiari, visto che il concetto fatica a passare… sulla questione Alliata/Bompiani “quelli dell’Aist si sono espressi” semplicemente citando le dichiarazioni di Bompiani del gennaio scorso. Se nel frattempo la situazione si è sbloccata non lo sappiamo, perché non ne è uscita notizia. Tutti ci auguriamo che si sblocchi e che le due traduzioni possano coesistere. E chissà che i cultori delle traduzioni sacre non se ne facciano una ragione.

        • Giuspee ha detto:

          No certo, mi scuso perché in effetti pare un passaggio ambiguo (purtroppo era ormai un’ora tarda quando ho finito di scrivere il messaggio) dove sembra che siate voi a sostenerlo e basta, quando intendevo dire solamente che siete stati fra i pochi a mettere sempre il link dell’articolo con quelle dichiarazioni di Beatrice Masini quando si parla della questione della coesistenza delle due traduzioni.
          Anch’io mi auguro le mantengano, sia perché così i tradizionalisti potranno avere per sempre la loro versione preferita sia perché così se uno vorrà in futuro fare un bel confronto tra le due, be’…noterà molte differenze di sicuro, poi starà a lui giudicare la sua preferita.

          • matteo de benedittis ha detto:

            Ringrazio WuMing4 e Giuspee per il tempo passato a rispondermi.

            Molti degli aspetti sollecitati mi spingono a riflettere, cosa che farò.

            Inoltre mi scuso per il tono un po’ perentorio per alcuni passaggi del mio primo messaggio, che riletti a mente fresca mi paiono un po’ eccessivi.

            Non sapevo che la Bompiani volesse procedere ad una doppia traduzione: mi stupisco per la lungimiranza e spero che Vittoria Alliata sia ugualmente lungimirante. (Spesa buona parola: amen.)

            Il problema del proliferare delle traduzioni è un problema più generale della nostra epoca, dove l’offerta è eccessiva. In ogni ambito. Che un nuovo prodotto dia maggiore libertà è un’idea vecchia, che andava bene in epoca di fame e di desiderio.
            In epoca di fame, è benedetto tutto ciò che viene prodotto in più, ma in un tempo di bulimia come il nostro occorre fare meno, stare fermi, non produrre.
            Se no, è tutto consumismo: non solo economico, ma consumismo culturale. Lo dico da padre e da insegnante.
            Vedo ogni giorno adolescenti disorientati dal vortice di sirene contrastanti, in spasmodica ricerca di una guida con le idee chiare. E visto che guide con le idee chiare ce ne sono poche, spesso vanno dietro a chi urla più forte.
            Viene proprio da sperare in un sano conflitto generazionale, caro Wu, e, credimi, entrambi faremmo il tifo per i ragazzi. Ma il conflitto generazionale non ci sarà. Per fare uno scontro ci vogliono due corpi solidi, non uno solido e uno liquido. I miei studenti sono liquidi, e vedo più desiderio di prendere forma, piuttosto che di prendere le armi.
            Magari rischiassero di scegliere! Oggi il rischio è esattamente l’opposto.

            Mi colpisce, ad esempio, che in quindici anni di insegnamento (in ogni ordine di scuola) io non abbia mai subito scherzi. Nè io, né i miei colleghi più severi. Nessuno degli insegnanti che ho conosciuto ha mai subito uno scherzo dai suoi studenti.
            Eppure quando andavo a scuola io (e così pare anche dai racconti di chi è di qualche anno più grande di me) c’era la possibilità che gli insegnanti ricevessero scherzi, anche pesanti.
            Oggi no. Venendo meno la società gerarchica, viene meno anche lo scontro generazionale, ma tutto si dissolve, si liquefà.
            Ecco perché chi ha a cuore le nuove generazioni dovrebbe sperare che, in generale, ma anche in ambito letterario, le cose rimanessero come sono: non per nostalgia o conservatorismo, ma per non creare ulteriore disorientamento (spacciandolo per libertà).

            Non sono certo il primo ad essere un critico del progresso: infatti, non sempre ciò che nuovo è meglio di ciò che è vecchio solo perché è nuovo.
            (Allora, in nome della libertà di scelta, potremmo invertire il sol con il fa, così i musicisti hanno più possibilità di scelta, o invertire il posto del cobalto e del nichel sulla tavola periodica, così i chimici hanno più scelta.)

            Per quel che riguarda l’arrog*nza, beh, mi sembra speculare a quella di chi propone sforzi per “continuare ad essere tolkeniani”… 🙂

            Vi saluto con le parole di Gandalf a Saruman:
            “Colui che rompe un oggetto per scoprire cos’è, ha abbandonato il sentiero della saggezza”

            Un Mellon di cuore a tutti.

          • Marius ha detto:

            Vengo a sapere, leggendo questo commento di Benedittis (che mi sembra al 95% del tutto OT, ma forse sbaglio) che l’esistenza di più traduzione di un classico della letteratura sarebbe qualcosa di apocalittico che mette a repentaglio la psiche dei giovani. Se davvero ormai le obiezioni si sono ridotte a questo, la traduzione di Fatica può veleggiare tranquilla.
            Lo sa, l’insegnante, che (faccio solo un esempio) di “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust esistono un sacco di traduzioni in italiano, che con quel testo si sono cimentati nostri grandi poeti e scrittori, e il cielo non risulta sia caduto sulla testa di nessuno?

          • Wu Ming 4 ha detto:

            Invocavo un sano scontro generazionale… in absentia, in effetti. Ma la speranza è l’ultima a morire! Soprattutto se la risposta al disorientamento giovanile è l’arroccamento sull’ortodossia, su una sola e unica versione data, per paura della libertà.

            Tutta la riflessione sembrerebbe OT, in effetti, se non fosse che alla fine si pone proprio in termini etici. E cioè (cito dall’articolo di un professore di traduzione che sto editando in questi giorni):
            “non esiste un buon motivo per cui non si debba ritradurre, operazione sempre giusta e arricchente. Conoscere un libro attraverso due interpretazioni e altrettante versioni non toglie niente a nessuno. Anzi, moltiplica le chance di piacere e di crescita intellettuale legate a quel libro. Nessuna traduzione, ancorché magnifica, ha il diritto di impedirne altre.”

            Tra l’altro se una nuova traduzione più fluida e scorrevole – in questo caso più vicina all’inglese di Tolkien – aiutasse un ragazzo di oggi ad appassionarsi a un romanzo lungo e complesso come il SdA, sarebbe al tempo stesso un bel servizio alla letteratura e alla narrativa di Tolkien. In effetti non potrebbe non essere considerato un progresso, e solo uno sciocco o un vero snob lo disdegnerebbe.

            La lingua cambia, le teorie della traduzione cambiano, la conoscenza dell’autore in questione cambia (basti pensare che nel 1970 non era stato pubblicato nemmeno Il Silmarillion e da allora gli inediti tolkieniani pubblicati postumi non si contano più, per non parlare degli studi critici…), e pensare di fossilizzare per sempre un testo nella sua versione italiana di mezzo secolo fa risponde soltanto alla paura del cambiamento. È la patologia degli Elfi, questa: la nostalgia per il passato perduto, che spinge a volerlo imbalsamare. Così la descrive Tolkien in una celebre lettera. Quindi sì, ancora uno sforzo se si vuole essere tolkieniani. Proprio così. Tanto più che ritradurre un romanzo non significa affatto romperlo, ma restituircelo in altra veste. E se la veste nuova non piace, nessuno ci impedisce di continuare a contemplare la vecchia. Ché la libertà di scelta è una cosa fondamentale, altroché.

  27. Giuspee ha detto:

    Segnalo una svista nella mia edizione digitale (da controllare se sia presente anche nella cartacea): nel capitolo settimo, “Nella casa di Tom Bombadil”, quando c’è la descrizione dei sogni degli hobbit, dopo quello di Pippin ci sarebbe quello di Merry ma per ben due volte viene ripetuto erroneamente il nome di Pippin (sia al posto di un “Merry” che di un “he” presenti nel testo originale).
    Mi scuso eventualmente se già nel gruppo Facebook è stato citato.

    • Giampaolo Canzonieri ha detto:

      Puoi postare il passaggio originale, per favore?

      • Giuspee ha detto:

        Certamente!
        Nella mia copia digitale ho, a inizio del capoverso e poi nella frase prima del successivo col sonno di Sam: “Era il rumorio dell’acqua quello che Pippin sentiva nel suo sonno tranquillo […] Pippin fece un sospiro profondo e si riaddormentò (originale: “It was the sound of water that Merry heard falling into his quiet sleep […] He breathed deep and fell asleep again.”).

        • Matteo Leoni ha detto:

          Sì, è un errore presente anche nell’edizione cartacea, l’avevo segnalato anch’io sia qui in un mio commento che a Bompiani tramite la loro pagina Facebook

          • Giuspee ha detto:

            Ah, avevo controllato solo nei commenti di quest’articolo, dimenticandomi purtroppo degli altri.
            La prossima volta starò più attento. 😀

        • Giampaolo Canzonieri ha detto:

          Grazie. Ho preso nota

    • Giuspee ha detto:

      Nella mia edizione digitale ho trovato alla fine dello stesso capitolo che il povero Merry è stato scambiato un’altra volta con Pippin! 😀
      Riporto i passaggi, siamo al punto in cui Frodo si infila l’anello al dito dopo che l’ha mostrato a Tom Bombadil: “Pippin si girò verso di lui per dirgli qualcosa e trasalì, trattenendo un’esclamazione. Frodo era soddisfatto (in un certo senso): doveva essere proprio il suo anello se Pippin fissava imbambolato la sedia senza riuscire ovviamente a vederlo.” (orig.: “Merry turned towards him to say something and gave a start, and checked an exclamation. Frodo was delighted (in a way): it was his own ring all right, for Merry was staring blankly at his chair, and obviously could not see him.” )

      • Giuspee ha detto:

        La faccenda s’infittisce e non capisco se sia solo merito di questa copia digitale. Anche un paio di pagine dopo l’inizio dell’ottavo capitolo, dopo che gli hobbit guardano verso nord mentre attraversano i Poggi, si ripresenta lo stesso errore:
        ” “È un filare d’alberi,” disse Pippin, “e deve segnare la Strada, che per molte leghe a est del Ponte è costeggiata da alberi. C’è chi dice che li piantarono in antico.” ” (orig. ” ‘That is a line of trees,’ said Merry, ‘and that must mark the Road. All along it for many leagues east of the Bridge there are trees growing. Some say they were planted in the old days.’”).
        È un complotto anti-Merry? 😀

  28. Giuspee ha detto:

    Segnalo nel cap. IX della mia edizione digitale la mancanza di una parte di frase, che dev’essere caduta un po’ come quella che avevo indicato nel secondo capitolo in un altro mio commento.
    Siamo poco dopo il primo dialogo tra Frodo e Aragorn, quando l’attenzione del primo è richiamata dal racconto che Pippin sta facendo della festa di compleanno di Bilbo agli avventori della locanda.
    “Era senz’altro un racconto abbastanza innocuo per la maggior parte degli hobbit locali; ma qualcuno (il vecchio Farfaraccio, tanto per dire) la sapeva lunga e probabilmente molto tempo prima aveva sentito dicerie sulla sparizione di Bilbo.” (orig. “It was a harmless enough tale for most of the local hobbits, no doubt: just a funny story about those funny people away beyond the River; but some (old Butterbur, for instance) knew a thing or two, and had probably heard rumours long ago about Bilbo’s vanishing.”).
    Chi ha la versione cartacea potrebbe vedere se anche lì è assente? Grazie in anticipo.

  29. Giuspee ha detto:

    Segnalo un’altra imprecisione nella mia edizione digitale che andrebbe corretta. Non so se sia stata già segnalata.
    Siamo nell’undicesimo capitolo, un po’ di pagine dopo l’inizio, quando i nostri escono da Brea e Tolkien sta parlando di ciò che gli hobbit hanno capito del percorso che Aragorn vuole fare. Nel passo italiano tradotto da Fatica si legge così: “Il suo piano, per quel che ne potevano capire senza conoscere il paese, era dirigersi prima verso Archet, mantenendosi però sulla destra e superandolo a est, per poi puntar più dritto che poteva oltre la Selvalanda su Colle Svettavento.”. Ora, a prescindere momentaneamente dal testo originale, c’è una perplessità in senso geografico: finora nel volume il termine Selvalanda/Selva (“Le Terre Selvagge” della traduzione precendente) ha reso l’inglese “Wilderland/Wild”, quindi l’area a nord est delle Montagne Nebbiose, dove si svolge la seconda metà delle avventure dello “Hobbit”. Ma appunto quest’area non si trova tra Brea/Bree e Colle Vento/Svettavento!
    Nel testo originale c’è “wild lands” minuscolo, quindi immagino ci sia stata una svista di Fatica ad averlo associato all’area più grande. Riporto l’originale: “His plan, as far as they could understand it without knowing the country, was to go towards Archet at first, but to bear right and pass it on the east, and then to steer as straight as he could over the wild lands to Weathertop Hill.”

  30. Kíli ha detto:

    ne scrivono oggi sulla Lettura

    • Giuspee ha detto:

      Gli ho dato una rapida lettura. Contando lo spazio a disposizione e l’utenza generalista a cui si rivolge, mi è sembrato un buon articolo di sintesi (con una piccola imprecisione quando si riferisce alla poesia dell’anello tradotta da Alliata come quella già dell’edizione Astrolabio), anche se per noi che ne stiamo discutendo da settimana la gran parte dedicata alla nomenclatura non ci dice granché di nuovo. Ho gradito più la parte finale dedicata alla comparazione dello stile di traduzione e soprattutto l’esortazione finale a leggerla senza troppi preconcetti.

      Piuttosto, a parte il Venerdì di qualche settimana fa e la Lettura di questa domenica, sono stati pubblicati articoli sulla traduzione ( dopo l’effettiva uscita editoriale di fine ottobre) su altri quotidiani cartacei?

  31. Giuspee ha detto:

    Una domanda, se mi legge Giampaolo Canzonieri, visto che mi sono imbattuto nel nome degli Easterling nel capitolo del Consiglio di Elrond: come mai non è stato tradotto visto le indicazioni di Tolkien nella “Guide”? M’aspettavo di trovarlo reso tipo “Uomini dell’est/Orientali” e ci sono rimasto un po’ male. Anche questa è una scelta autonoma di Fatica rispetto ai tuoi consigli?
    Grazie per l’attenzione.

    • Giampaolo Canzonieri ha detto:

      Confesso che mi era sfuggito. Sono talmente abituato a chiamarli Easterling per conto mio che non ci ho proprio fatto caso.

      • Giuspee ha detto:

        Grazie mille per la risposta e la disponibilità! Certo è un’inezia ma m’aveva incuriosito in relazione al rapporto di Fatica con la “Guide”.
        Se posso abusare ancora un poco del tuo tempo, volevo sapere se sei a conoscenza del motivo dper cui le colline vicino a Fornost Erain, le “North Downs” che nella precedente traduzione erano state tradotte come “Lande del Nord”, ora sono “le Dune settentrionali”. Siccome duna è un termine particolare dal punto di vista geologico, e non mi sembra dall’Atlante della Terra di Mezzo della Fonstadt (ma dovrei ricontrollare) che ci sia quella conformazione, mi chiedo come mai sia stato scelto quello al posto di “Poggi” già usato in altri toponimi da Fatica.

  32. Giuspee ha detto:

    Segnalo un’altra svista legata alle direzioni, per lo meno nell’ebook. Nel capitolo “L’anello va a sud”, quando i nostri vedono i tre picchi delle Montagne davanti a loro, si legge ““Ma abbiamo le montagne davanti,” disse Pippin. “Durante la notte dobbiamo aver preso la direzione ovest.”” ma nell’originale è l’opposto punto cardinale (orig. ‘But the mountains are ahead of us,’ said Pippin. ‘We must have turned eastwards in the night.’).

  33. Giuspee ha detto:

    Riporto una piccola svista nell’edizione digitale legata al nome di Pippin nel capitolo quattro del libro secondo. Dopo che è stato gettato il sasso nel pozzo, si sentono i deboli colpi in lontananza e Gandalf dice ” “Sì,” disse Gandalf, “e non mi piace. Magari non ha niente a che fare con lo stupido sasso di Pippin; ma probabilmente abbiamo disturbato qualcosa che era meglio lasciare in pace. Vi prego, non fate più una cosa del genere! Speriamo di riposarci senza ulteriori incidenti. Come premio tu, Pippin, farai il primo turno di guardia,” ringhiò, avvolgendosi in una coperta.”; ma in originale all’inizio c’è il nome completo dello hobbit: “‘Yes,’ said Gandalf, ‘and I do not like it. It may have nothing to do with Peregrin’s foolish stone; but probably something has been disturbed that would have been better left quiet. Pray, do nothing of the kind again! Let us hope we shall get some rest without further trouble. You, Pippin, can go on the first watch, as a reward,’ he growled, as he rolled himself in a blanket.”.

  34. Giuspee ha detto:

    Riporto un’altra piccola svista geografica, dal capitolo “Lothlòrien”. In caso fosse stata già segnalata mi scuso.
    Così leggo dalla copia digitale, qualche pagina dopo l’inizio, quando parla Legolas: ” “Molto tempo è trascorso da quando qualcuno dei miei tornò nella terra da noi abbandonata tanti secoli fa,” disse Legolas, “ma sappiamo che Lórien non è ancora deserto, poiché c’è qui una forza segreta che tiene il male lontano dalla contrada. Tuttavia gli abitanti si mostrano di rado e forse adesso vivono in mezzo ai boschi e lontano dal confine occidentale.” In originale è diverso nel finale: “‘It is long since any of my own folk journeyed hither back to the land whence we wandered in ages long ago,’ said Legolas, ‘but we hear that Lórien is not yet deserted, for there is a secret power here that holds evil from the land. Nevertheless its folk are seldom seen, and maybe they dwell now deep in the woods and far from the northern border.’ “.

  35. Kelo ha detto:

    Segnalo una svista nel secondo verso della traduzione di “The Riddle of Strider”: «smarriscono» è qui riportato con una “o” finale aggiunta, la cui caduta per apocope è funzionale a rendere quel verso un endecasillabo – al pari gli altri.

    Infatti, si legge «smarriscon» in entrambe le occorrenze nel testo (cfr. “La Compagnia dell’Anello”, Bompiani 2019, pp. 299 e 425).

    P.S. Ne sto preparando un’analisi poetica, casomai dovesse dovesse interessare a qualcuno.

  36. Giuspee ha detto:

    Segnalo un’altra piccola svista dall’edizione digitale. Nel capitolo “Lo specchio di Galadriel”, dopo che i nostri hanno incontrato Celeborn e Galadriel e discutono tra loro prima di dormire, si legge nella traduzione: ““Non parlar male di Lady Galadriel!” disse Aragorn con durezza.”
    Ovviamente quel “Lady” è una dimenticanza visto che nel resto delle occorrenze il “Lady” del testo originale diviene sempre “Dama”.

  37. Giuspee ha detto:

    Ho una domanda per Giampaolo Canzonieri se mi legge. Mi piacerebbe un chiarimento su una piccola cosa: nel capitolo in cui la Compagnia arriva a Lòrien e sta passando il fiume con le tre corde fornite dagli elfi, Sam commenta e si riferisce a una cosa che diceva il padre affermando “come diceva il mio vegliardo”. Lì per lì mi ha stupito perché finora avevamo trovato “Veglio” per la traduzione di “Gaffer”; ho pensato che potesse essere per differenziare il fatto che qui era minuscolo e con l’aggettivo possessivo (“my gaffer”), come se fosse più generico, rispetto al soprannome che ha ad Hobbiton. Nel capitolo successivo, “Lo specchio di Galadriel”, Sam ricorda altre parole di suo padre e questa volta, a fronte di “my old gaffer”, troviamo però “il mio veglio” come traducente.
    Volevo capire se quindi anche nel capitolo precedente sarebbe dovuto comparire “il mio veglio” e sia stata perciò una svista durante la fase di editing; ipotizzo magari che Fatica volesse tradurre inizialmente “gaffer” con “vegliardo” e lì sia rimasto dove invece altrove è stato modificato con “veglio”. O sono completamente fuori strada?

    • Triceratopo Volante ha detto:

      Oppure, semplicemtente, lì suonava meglio (come assonanze e ritmo) “vegliardo”, e dato che era semplicemente “gaffer”, senza l’iniziale maiuscola a fare di “Gaffer” un nome proprio, Fatica ha potuto permettersi di cambiare parola.

  38. Giuspee ha detto:

    Sì, non avevo pensato a questa motivazione di ritmo, può essere.

    Segnalo un errore nella mia edizione digitale che mi ha stupito (ma dirò tra poco il perché!).
    Nel capitolo dell'”Addio a Lòrien”, quando gli elfi stanno donando il cibo e il vestiario alla Compagnia, si legge in Fatica: “Avevano dato a ognuno un manto col cappuccio su misura, di una seta leggera ma calda tessuta da Galadriel.” (orig. “For each they had provided a hood and cloak, made according to his size, of the light but warm silken stuff that the Galadhrim wove.). Quello che mi ha stupito è che quest’errore di scambio Galadhrim-Galadriel si trova uguale anche nella precedente traduzione (basta confrontare l’elenco delle possibili modifiche alla traduzione del SDA dell’Aist, a pag. 23 del pdf).

  39. Giuspee ha detto:

    Altra piccola svista geografica dal capitolo “Addio a Lòrien” nella parte finale del seguente periodo, quando la Compagnia ha appena lasciato Caras Galadhon. Da Fatica: “Poi lasciarono la strada lastricata e presero un sentiero che s’inoltrava in un fitto boschetto di alberi mallorn per poi proseguire serpeggiando attraverso terreni boschivi e ondulati immersi nell’ombra argentea, conducendoli sempre più in basso, a sud e a ovest, verso le sponde del Fiume.” (orig. “Then they turned away from the paved road and took a path that went off into a deep thicket of mallorn-trees, and passed on, winding through rolling woodlands of silver shadow, leading them ever down, southwards and eastwards, towards the shores of the River”).

  40. Giuspee ha detto:

    Volevo segnalare due brani verso la fine del capitolo “Il Grande Fiume” in cui sembrerebbero esserci state delle parole perse nella traduzione di Fatica. Che ne dite?
    Nel primo pezzo si legge in originale così: “They sat beside the water listening to the confused rush and roar of the Rapids hidden in the mist; they were tired and sleepy, and their hearts were as gloomy as the dying day.”
    In Fatica: ” Sedettero vicino all’acqua ad ascoltare il croscio e il rombo delle Rapide celate dalla foschia; erano stanchi e assonnati e d’animo cupo come il giorno morente.” E’ andato perso ‘confused’ o croscio potrebbe sottintendere anche il senso di confusione?
    L’altro pezzo, quando parla Aragorn verso la fine: “I hear the endless voice of Rauros calling.’”.
    In Fatica si legge: “Odo la voce di Rauros che chiama”.

  41. Giampaolo Canzonieri ha detto:

    Penso che siano entrambe sviste.
    Ho preso nota.
    Grazie

  42. Stefano G.A. Annibali ha detto:

    grazie giuspee stai facendo un gran lavoro per tutti.

    • Giuspee ha detto:

      Grazie a te Stefano per le belle parole. In realtà approfittando di questa mia prima lettura in lingua originale non mi costa nulla trascrivere qualche osservazione che faccio comparando i vari testi.
      Anzi, ringrazio io Giampaolo Canzonieri che mi legge e annota ciò che segnalo (o che segnalano altri) così che grazie alla raccolta che sta facendo avremo forse in futuro tra le mani una bella edizione a volume unico con meno sviste ed errori possibili.

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