Il terribile segreto di Tom Bombadil

In questo giorno di FerragosTom Bombadilto nel quale in pochi, crediamo, si sentiranno portati per cose serie, proponiamo ai nostri lettori un divertissement tolkieniano d’annata – è stato scritto il 20 febbraio del 2011 – che, o almeno così speriamo, potrà allietare con la sua garbata arguzia chi non riesce a star lontano dal nostro sito neanche al riparo dell’ombrellone (ce ne sono, ce ne sono…).

L’articolo che segue è stato postato sul diario online di KM_515 (potete trovare l’originale qui). Sul diario non compaiono né nome né indirizzo e-mail, quindi, nonostante varie ricerche, non siamo riusciti a contattare l’autore; confidiamo in ogni caso che non gli dispiacerà se abbiamo tradotto il suo pezzo, per il quale lo ringraziamo.

La Terra di Mezzo, un mondo di orfani

Mappa Terra di Mezzo - Scritto a Mano 2Tra le varie caratteristiche che contraddistinguono il mondo subcreato da J.R.R. Tolkien, ce n’è uno che merita particolare attenzione e che non viene molto spesso indagato: la perdita dei genitori, in tenera età, da parte di moltissimi protagonisti delle storie tolkieniane. Un aspetto, questo, presente sia nel Signore degli Anelli sia nel Silmarillion, e persino ne Lo Hobbit (benché accennato di sfuggita).
Un particolare che certamente riflette anche l’esperienza personale del Professore: egli, infatti, perse il padre nel 1896, all’età di quattro anni; poi, quando di anni ne aveva 12, perse anche la madre, Mabel, nel 1904. Due traumi, come si vede, subiti molto presto nella vita, e che non possono non averlo influenzato nella sua visione del mondo: ma qui preme notare come questi due tragici eventi abbiano contribuito a plasmare le storie della Terra di Mezzo. Infatti, come detto, un gran numero di personaggi chiave delle storie subisce almeno la perdita di un genitore, e spesso di entrambi, e quest’evento, molte volte, plasma pure le azioni che questi personaggi andranno a compiere; anzi, si può presupporre che senza quest’evento tragico, le azioni dei personaggi in questione avrebbero preso tutt’altra strada. Vediamo qualche esempio, più significativo di altri, per gli sviluppi che il lutto porterà.

Ioreth e la cugina: un dialogo nella TdM

Gossip IorethUna vignetta che gira da tempo su Facebook prende di mira il Signore degli Anelli, sostenendo che al suo interno “non ci sono due donne che dialogano tra loro”: questo particolare, suggerisce la vignetta, sarebbe la prova della scarsa considerazione di Tolkien verso le donne, il suo essere “misogino”, insomma. Questa teoria è smentita da molte prove, come le innumerevoli eroine delle saghe tolkieniane, ma in questo articolo vorrei invece confutare la teoria secondo la quale in Tolkien non ci sono due donne che parlano tra loro.

La Grande Peste che prese la Terra di Mezzo

PesteNelle storie di Tolkien non abbiamo solo i grandi eventi che conosciamo tutti, permeati di epica, ma anche accadimenti in cui possiamo ritrovare esperienze che gli uomini del mondo reale hanno vissuto, e che magari anche noi abbiamo vissuto o viviamo. Uno degli esempi più noti è l’epidemia, detta della Grande Peste, che avviene durante la Terza Era. Nell’Appendice A, al termine del libro, nella sezione “Annali dei Re e dei Governatori”, all’interno della storia di Gondor, ci viene descritta la sua origine e l’anno in cui sembra sia iniziata: l’anno 1636 della Terza Era.

Sulle orme di Aelfwine: 10 curiosità sugli Elfi

ElfiCosa avrà pensato Aelfwine quando, naufrago sulle sponde dell’Isola Solitaria, gettò lo sguardo su Tavrobel, e udì alcuni Elfi tirare in sacca la sua nave? Quanta deve essere stata la sua meraviglia nell’esser ricevuto come ospite (inatteso!) da Pengholodh dei Noldor ed aver udito i racconti e le tradizioni degli Eldar tanto da trasmetterli al suo popolo, una volta tornato in patria? Di certo, la narrazione della Musica degli Ainur e degli altri principali scritti di quel grandissimo erudito, per bocca di colui che li compose, è un evento raro per un mortale: così inusitato, da suscitare un’intensa curiosità in chiunque desideri apprendere qualche nozione circa i Primogeniti. Proprio seguendo le orme di Aelfwine e quanto da lui appreso, sarà possibile conoscerne dieci caratteristiche essenziali.

  1. Creature dotate di linguaggio

    Simona Calavetta: Per comprendere i Primogeniti, figli del Creatore Eru e primo popolo a risvegliarsi in Arda, “il Mondo”, è opportuno far attenzione alle parole: sono proprio gli Elfi a insegnarcelo. Il nome stesso che hanno scelto per se stessi, Quendi, dona gran valore al linguaggio e alla conversazione: esso significa “Coloro che Parlano con Voci”; fu scelto quando, al primo sguardo sulla volta stellata, non riuscirono a trattenere l’estatica meraviglia di fronte allo splendore del firmamento, dando voce al proprio stupore. Per un Elfo, le parole sono il fulcro dell’esperienza sensibile, il modo in cui lo spirito si desta e si mostra al Mondo, partecipando in esso. Così tanto il linguaggio esprime lo spirito che gli Elfi, se lo desiderano, tacciono la propria voce e parlano in silenzio. Quando praticano questa trasmissione del pensiero, il Sanwe-latya, lasciano che sia il mero movimento veicolo della propria volontà.

  2. Prediletti dai Valar

    Ted Nasmith: Il desiderio d’espressione, di intesa comune attraverso la parola consentì a tutti i Quendi di riunirsi attorno a tre gloriose figure carismatiche le quali si distinguevano non soltanto per maestà, ma soprattutto per il modo di intendere e di interpretare la propria vita. In ragione di queste manifeste virtù, i Valar, gli spiriti soprannaturali preposti alla cura del mondo, accettarono che il loro congiunto Orome recasse presso le loro dimore questi tre grandi Signori dei Quendi, ritenendo tale popolo il più prossimo a loro tra tutte le genti di Arda.

  3. I tre clan degli Elfi

    Tre Clan ElficiAl ritorno di Ingwë, Finwë ed Elwë, molti tra i primogeniti li acclamarono come sovrani, ne adottarono il modo di parlare e li seguirono nel loro viaggio verso le Terre Immortali nel lontano occidente per incontrare, all’unisono, i Valar. In quell’istante dai Quendi si formarono gli Eldar, il “Popolo delle Stelle”, divisi in tre stirpi – ognuna foggiando una lingua a propria immagine: i seguaci del primo si chiamarono Vanyar, “I Luminosi”, per le loro chiome chiare e dorate; quelli del secondo Noldor, “I Saggi”, in ragione dell’amore per la conoscenza e per l’arte che dimostravano; quelli del terzo Teleri, “Gli Ultimi”, i più tardi – e numerosi – a unirsi al lungo pellegrinaggio. Alcuni degli Elfi, pur tuttavia, si mostrarono nolenti e restii a lasciare le placide sponde di Ciuviénen, “Le Acque del Risveglio” da cui tutti i Primogeniti si erano affacciati alla vita per obbedire alla chiamata dei Valar: essi decisero di abbandonare gli Eldar, procedendo sparsi e poco uniti: per questo, vennero denominati Avari, “I Riluttanti”: anch’essi sancirono questa scelta modellando a loro piacere una lingua d’uso. Tra le molte, due spiccano sulle altre, per importanza: il Quenya, l’ “Alto Elfico” praticato dai Noldor, e il Sindarin, la “Lingua Grigia” dalla stirpe di Elwë.

  4. La divisione degli Elfi

    La divisione dei QuendiNon fu certo, però, questa l’unica spaccatura fra i Quendi: percorrendo la Terra di Mezzo, furono proprio i Teleri a dividersi: Elwë, che ormai governava i Teleri col fratello Olwë per il gran numero dei suoi congiunti, fu l’ultimo ad arrivare presso il Beleriand, la vasta regione costiera dai cui approdi gli Eldar avrebbero solcato le acque per Aman. Di lì a poco Elwë si smarrì, còlto dall’amore per Melìan la Maia, e abbandonò il fratello alle Terre Immortali. Olwë divenne così il signore dei Falmari “Il Popolo delle Onde”, quei Teleri che giunti nel dominio dei Valar amano più di tutti il Mare, pur perdendo, a sua volta, seguito: Lenwë, che era con lui, ed altri congiunti che lo apprezzarono, presero a cuore le foreste, divennero i Nandor, “Coloro che Ritornano” dimorando nelle selve; Nowë, accompagnò il suo signore fino alle sponde del Beleriand, ma si innamorò di quei lidi e scelse quella come sua dimora, divenendo il signore dei Falathrim, “Il popolo della Baia”, i più abili armaioli tra gli Eldar. Elwë, ricomparso alcuni anni dopo in compagnia di Melian, reclamò un’ampia parte del Beleriand per sé e i seguaci che si erano attardati, in sua assenza, a cercarlo: egli divenne quindi il sovrano dei Sindar, “I Grigi” come ebbero nome coloro che lo seguivano, in onore dell’argentea chioma del loro re.

  5. La strada della violenza: i fratricidi

    Alberto dal Lago: Gli Eldar, tuttavia, così divisi, non erano soliti perdersi in lotte intestine. Il loro sentimento di fratellanza, sebbene non assoluto e incontestato, non vacillò mai così tanto da squassare irrimediabilmente l’indole pacifica e nostalgica con la quale trascorrevano la propria esistenza. Il prezzo che pagheranno quando sceglieranno la via della violenza reciproca sarà tanto orribile da essere ineffabile, onta indelebile nella loro eterna memoria: tre volte gli Eldar hanno trovato la morte per mano dei propri simili: la prima, quando Fëanor, coi suoi sudditi, massacrò i Falmari ad Alqualondë, l’“Attracco del Cigno” e sarà chiamato Il Fraticidio di Alqualondë; la seconda, allorché i figli di Fëanor attaccarono il regno dei Sindar, nel tentativo di recuperare uno dei maestosi Silmaril (i fulgenti gioielli di pura luce) chiamato Il Secondo Fratricidio; la terza, mentre, inseguendo Elwing che proprio quel casto gioiello aveva sottratto alla loro brama, misero a sacco il rifugio dove i sopravvissuti tra i Grigi trovarono accoglienza, chiamato Il Terzo Fratricidio.

  6. Una vita lunga ma non eterna

    Film Peter Jackson: gli Elfi lasciano la Terra di MezzoNonostante questa grave onta, che tormenta senza riposo la loro perpetua longevità, gli Elfi restano ad ogni buon conto uniti nei costumi. Racconta infatti Aelfwine, non senza stupore, che queste questi usi sono generalmente osservati come leggi da tutti gli Eldar per l’eternità: l’invecchiamento essendo lento quanto quello del mondo, crescano nel corpo molto lentamente, non così nello spirito. Difatti, non periscono se non nel corpo e solo di morte violenta, reincarnandosi dopo molto tempo.

  7. L’amore per la creazione

    Elfi FabbriAdorano ed eccellano nelle arti, senza distinzione; e sebbene le donne si dedichino maggiormente alla guarigione alla filatura e alla preparazione del pane, prediligendo gli uomini altre forme di artigianato e il mestiere delle armi, tali divisioni non impediscono alcuna commistione d’interessi reciproca: se occorre, gli uni possono dedicarsi alla medicina e le altre brandire una spada. Il loro ingegno creativo è senza pari, eguagliato talvolta, soltanto da alcuni maestri artigiani dei Nani.

  8. Quattro nomi per ogni Elfo

    Simona Calavetta: ElfaL’estro che dimostrano, del pari ad ogni altra caratteristica che li definisce tra i loro simili – e per le altre schiatte – è svelato nei loro nomi. È assai comune che gli Eldar ne abbiano più d’uno. Secondo Aelfwine, i Noldor sono coloro che meglio rappresentano questa tradizione. I genitori concedono alla propria prole un nome ciascuno: per primo il padre donerà al figlio un nome che ne metta in risalto le caratteristiche fisiche, e che diventerà, di norma, quello d’uso regolare. Del resto, lo stesso Tolkien lo scrive in una lettera (n. 165): «Per me, prima viene il nome e poi la storia»». Quando i figli crescono, la madre ne sceglie per loro un secondo, ad uso quasi esclusivamente familiare e affettivo, l’amilessë: questo nome completava la descrizione fisica o caratteriale del pargolo, rivelandone talora i più reconditi moti dell’animo; una madre conosceva così profondamente ciò che muoveva i rampolli che esso poteva perfino lasciar intravedere scampoli del loro fato: l’amilessë si diceva tercenyë, “che conferisce discernimento”. La sua estrema rarità era equivalente alla sua importanza. Il matronimico ed il patronimico accompagnavano i bambini Anke Eissmann: dalla culla, ma una volta adulti, altri due nomi potevano comparire, liberamente scelti: il climessë, il “nome scelto”, coglieva infatti ciò che il singolo pensava di sé, o di ciò che aveva conseguito; l’epessë, il “nome seguente”, era un epiteto onorifico concesso da un congiunto o da un altro degli Eldar a celebrarne la fama.

  9. L’amore e il matrimonio

    Elfi matrimonioQuest’ultimo rivestiva particolare importanza nella trasmissione dei sentimenti: non era infrequente fosse l’amato o il coniuge a concepirlo. A tal riguardo occorre precisare che per gli Eldar l’amore interpersonale era annoverato tra le massime aspirazioni, parimenti alla paternità. La ricerca, l’espressione e il sugello del maggiore e più fulgido tra i loro sentimenti avveniva secondo le circostanze: essendo il connubio inscindibile tra carnalità e unione di spirito, in tempi di pace si procedeva a una cerimonia che riuniva le famiglie dei innamorati: dopo almeno un anno dal fidanzamento, avvenuto entro il primo secolo di vita, la coppia, in possesso del reciproco dono di due anelli d’argento a testimonianza della volontà di sposarsi, offriva un banchetto. Durante questa celebrazione, la coppia si mostrava ai convitati e, in presenza dei rispettivi genitori, riceveva la benedizione delle nozze: il padre dello sposo invocava Manwe, Signore dei Valar a testimone della sacra unione, e la madre della sposa si univa a quest’invocazione invocando Varda, sua consorte e Signora delle Stelle, prima di rivolgere una preghiera finale a Eru. Poi, gli sposi sfilavano dalle loro dita gli anelli d’argento, custodendoli comunque per sempre; ne ricevevano subito due in oro, che calzavano ciascuno al dito indice della mano destra. A questo dettame i Noldor aggiungevano un rituale ulteriore: oltre agli anelli d’oro, il padre dello sposo e la madre della sposa sommavano anche un gioiello contornato da una collana. Infine, marito e moglie univano le loro membra: e congiunti rimanevano anche oltre la morte. Se invece i tempi fossero stati ostili, era sufficiente l’unione del corpo per sancire, da sola, gli indissolubili vicoli nuziali.

  10. La reincarnazione degli Elfi

    Libri: Il tema della reincarnazione è di enorme importanza per la comprensione del suo Legendarium, tanto che ha impegnato Tolkien per oltre sessant’anni, che ha cambiato idea diverse volte. In una lettera del 1954 scrive: «La “reincarnazione” può ben essere cattiva teologia (sicuramente questo, piuttosto che metafisica) se è applicata all’umanità […]. Ma non capisco come persino nel Mondo Primario un teologo o un filosofo, a meno che non siano più informati sui legami tra spirito e corpo di quanto io non creda possibile, possa negare la possibilità della reincarnazione come modo di esistere, prescritta per alcuni tipi di creature razionali incarnate […]. Questa è una legge biologica del mio mondo immaginario». Quel che spinge Tolkien a molti cambiamenti non sono tanto convinzioni «confessionali», quanto motivazioni interne alla narrazione e alla ricerca di coerenza del mondo secondario. La tematica è fondamentale per comprendere le relazioni tra anima razionale (fëa) e corpo (hröa), e l’immortalità elfica, intesa come perenne legame degli Elfi con Arda, alla quale anche se uccisi potevano tornare reincarnandosi. Così, la maggior parte degli Elfi che muoiono nella Terra di Mezzo, rinascono sempre in Aman – la terra dei Valar – , da cui poi possono (Glorfindel) o meno (Finrod) ritornare nella Terra di Mezzo.

La parentela di Bilbo e Frodo, facciamo chiarezza

Compleanno Bilbo Baggins BaskhiRiceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo sulla vera parentela che intercorre tra Bilbo Baggins e suo nipote Frodo Baggins, da lui anche adottato. L’articolo di Alessandro Mazza è stato il tema di discussione sul gruppo FB dell’Associazione e ha portato a fare chiarezza non solo circa la corretta traduzione da fare per la parentela tra i due Hobbit, ma anche a far capire a moltissimi lettori come questo argomento sia trattato diversamente in italiano e in inglese. Il fatto è che gli inglesi sono veramente come gli Hobbit: sono loro, infatti, ad avere un interesse quasi patologico per la genealogia, e quindi hanno sviluppato una terminologia che permette di descrivere molto precisamente rapporti di parentela o affinità con persone a cui in Italia non manderemmo nemmeno una partecipazione di matrimonio! Questo articolo, tutto sommato, può quindi essere considerato un piccolo puntiglio dell’autore. Ma concordiamo con lui che, visto che a molti Hobbit queste cose piacciano, ci sembra giusto essere il più precisi possibile. Buona lettura!

L’elfo Fingolfin, anima tragica del Silmarillon

cop - la parola ai lettori

Il SilmarillionFingolfin, figlio di Finwë, è uno dei personaggi più interessanti, completi e intensi del Silmarillon. Secondo figlio maschio di Finwë, nato dal matrimonio con Indis, Fingolfin è un personaggio singolare e affascinante. Dei tre fratelli è quello la cui personalità appare meglio definita: dei tre figli di Finwë, il geniale, impulsivo ed egotico Fëanor e il saggio Finarfin, su cui tuttavia abbiamo meno informazioni (anche perché “i popoli felici non hanno storia”, e Finarfin è colui che raccoglierà in una pace dolente i frutti dell’operato della sua famiglia), Fingolfin è quello che appare più simile al padre, con cui condivide lungimiranza, capacità di analisi e senso della famiglia, dotato della capacità (e del coraggio) di porsi di fronte al fratello Fëanor (di cui condivide alcuni tratti di carattere, pur essendo più equilibrato) e di proseguirne i disegni. Due sono gli eventi che illuminano la figura di Fingolfin: la riconciliazione con Fëanor, a valle di una lunga contesa, e l’adesione alla ricerca dei Silmarilli. La prima è una necessità, dettata dal senso della famiglia e della gerarchia. Fingolfin crede fermamente nella doverosità della sua riconciliazione e nella promessa verso il fratello, anche se ciò non comporta una soverchia simpatia nei suoi confronti. Fingolfin è consapevole del ben scarso amore del fratello nei suoi confronti e, a sua volta, non ne nutre molto: come Fëanor, è dotato di sentimenti forti e radicati. Tuttavia, in una società che richiama fortemente i valori del clan, la posizione di un fratello maggiore, peraltro dotato di grandi meriti come Fëanor, deve essere rispettata. In modo non dissimile, Finwë si esilia volontariamente per tutta la durata dell’esilio di Fëanor a Formenos, al punto da dichiarare di non poter essere re fintantoché il figlio fosse stato esiliato. Fingolfin Leads the Host Across the Helcaraxë, by Ted NasmithL’adesione alla sostanzialmente fallimentare quête di Fëanor, che contrasta con la prudenza di Fingolfin, deve invece essere inquadrata non tanto (o non soltanto) nell’ambito di una vendetta familiare per la morte di Finwë e/o per il furto dei Silmarilli stessi, quanto invece una rivolta contro Melkor che ha compromesso in modo definitivo il mondo che Fingolfin ama. Fingolfin, infatti, è colui che cerca disperatamente lo status quo e che, se appena potesse, se lo terrebbe stretto, pur senza rinunciare né al suo rango, né alla sua parola, quale che sia: e quindi, anche di fronte al tradimento del fratello maggiore, al quale ha giurato fedeltà, non rinuncia a seguirlo, affrontando la traversata dell’Helcaraxë, impresa titanica che altri (Finarfin in testa, probabilmente, per il citato buonsenso) avrebbero abbandonato, preferendo tornare indietro. Fingolfin è quindi un personaggio tragico, mosso da un destino ineluttabile di distruzione al quale tuttavia non ci si può consegnare senza lotta. In una casata, quella di Finwë, caratterizzata fortemente da un daimon eroico, Fingolfin rappresenta la componente tragica, in opposizione a Fëanor, che ne rappresenta l’elemento maledetto, pretendendo di modificare il mondo con la propria volontà (in un orizzonte più schopenhaueriano che nietzschiano), e Finarfin, che raccoglie i resti della follia del mondo tentando di curarne le ferite (testimone raccolto da Finrod e, infine, da una rinsavita Galadriel che, nell’ultima parte della sua esistenza nella Terra di Mezzo, di preoccuperà di guarire, non di dominare). Fingolfin intuisce benissimo dove le sue scelte condurranno lui e la sua famiglia, tuttavia la strada da prendere è una e una soltanto, quella della parola data: il giuramento di Fingolfin non è da meno di quello di Fëanor, anche di fronte al tradimento, e Fingolfin e la sua famiglia ne pagheranno le conseguenze con sconcertante consapevolezza. Fingolfin e Morgoth - Ted NasmithÈ quindi la svolta drammatica della Dagor Bragollach a rivelarlo per ciò che è: la galoppata verso Angband, con una furia che lo rende simile ad Oromë, la sfida a Melkor, che ricalca la maledizione lanciatagli dal fratello, sono elementi che evidenziano certamente una mancanza di valutazione del pericolo che sfiora la follia, richiamando l’esaltata smania di Fëanor, ma che sono riconducibili ad un dovere che travalica la vita stessa, con, in più, un elemento interiore tragico e potente che induce ad un coinvolgimento emotivo e ad una pietas che a Fëanor, oggettivamente, non è possibile tributare. Una pietas eguagliata solo da quella provata per Fingon, altro personaggio di statura classica, il cui comportamento con Maedhros non a caso replica quasi pedissequamente (anche se con una componente maggiore di calore umano) il rapporto del padre e dello zio. Ma è l’invocazione lanciata a Manwë Súlimo nell’ora del dolore dei Noldor, toccante di pietas appunto, a suggellare il destino tragico della famiglia. Solo Éomer, a cavallo sulla collina, che canta disperato per la morte dello zio e della sorella contemplando la fine del proprio mondo, provoca lo stesso sentimento. Tuttavia c’è anche un altro elemento, veramente notevole e distintivo del personaggio: Fingolfin è l’unico a sfidare Melkor in persona, esattamente come Finwë, che fronteggia impavido Morgoth in cerca dei Silmarilli. Non Fëanor, al quale Melkor ha rubato i Silmarilli ma che non degna di uno scontro diretto. Non suo figlio Fingon, che, nella sua triste parabola, muore con ignominia, sfracellato dalle mazze dei nemici, senza che nessuno si muova per lui, per raccogliere il suo povero corpo. Fingolfin e Morgoth - Lucio ParrilloFingolfin è l’unico al quale Melkor risponda, esattamente come a suo padre (ci sarebbe anche Lúthien, ma è un’altra situazione). Fingolfin è considerato da Melkor se non un pari, quanto meno un nemico da considerare, la cui sfida è rilevante anche ai fini della sua immagine. Sconfiggere Fingolfin (e a caro prezzo, peraltro) è per Morgoth un punto d’onore, una sfida rilevante, una necessità quasi per affermarsi di fronte ai suoi, perché Finwë e Fingolfin sono gli unici a porsi di fronte all’abisso, al male e alla tenebra, chiedendo e sostenendo un confronto. E non è un caso che il corpo di Fingolfin sia recuperato da Thorondor perché non sia profanato: un onore che Manwë, cui Thorondor risponde, ha voluto tributare ad un eroe con statura da semidio. Il risultato è quello di un personaggio ricco di sfumature, che Tolkien destina evidentemente alla grandezza e al comando molto più di quanto non fosse Fëanor. È quindi naturale l’avvicendamento con il fratello, che per Maedhros, al quale non sfugge, dopo il rogo delle navi, il fatto che il giuramento sia incompatibile non solo con qualsiasi idea di governo ma quasi con la vita e il mondo, perché, così come concepito dalla mente paranoica di Fëanor, travalica ogni legge e ogni essere vivente. Del governo di Fingolfin, come in ogni romanzo cavalleresco che si rispetti, non si sa nulla, se non che fu un buon re, come nelle saghe arturiane. E Fingolfin, in fin dei conti, è, fra tutti, quello più simile a Re Artù.

Le 20 cose da sapere sul Signore degli Anelli

Tim Kirk: Il nostro sito web è inondato spesso dalle domande degli appassionati di J.R.R. Tolkien che vorrebbero saper tutto sul loro autore preferito. Molto spesso è sufficiente consultare le Lettere scritte da Humphrey Carpenter oppure le Appendici del Signore degli Anelli, altre è addirittura più semplice: basta leggere il libro! Prendendo spunto da un articolo di What Culture, eccovi le 20 cose che non sapevate sul capolavoro di Tolkien. E se le sapevate già, è sempre un bene ripassarle!