Tom Shippey a Modena: ecco cosa dirà!

Tom Shippey al "Return of the Ring"Come annunciato da tempo in un precedente articolo, Tom Shippey, docente di filologia inglese all’università di Oxford, erede di J.R.R. Tolkien e maggiore studioso delle sue opere, è in Italia per tenere una conferenza dal titolo Lo Hobbit: dal film al libro. Sarà ospite dell’Istituto filosofico di studi tomistici oggi a Modena (venerdì 11 gennaio), alle ore 21, presso la sala conferenze dell’hotel Raffaello (strada per Cognento 5). Lo studioso inglese esaminerà il film confrontandolo col libro. Sarà disponibile il servizio di traduzione simultanea. L’ingresso è gratuito. Shippey però ha scritto un articolo sullo stesso tema, pubblicato nel numero di metà dicembre del Time Literary Supplement e intitolato Ancora non ritornato. Gentilmente, ha concesso che lo traducessimo in esclusiva per il sito della nostra Associazione. Buona lettura!

L’articolo: Ancora non ritornato

Conferenza di Toma ShippeyDa quando Peter Jackson ha annunciato che avrebbe realizzato non due ma tre film tratti da Lo Hobbit, i fan di Tolkien si chiedono come farà. Jackson ha girato tre film dal Signore degli Anelli, ma lì aveva a disposizione più di mille pagine di storia, contro le poco meno di 300 pagine dello Hobbit. È vero che Jackson ha tagliato o ridotto al minimo circa dodici dei sessantadue capitoli del Signore degli Anelli. È vero che nelle Appendici al Signore degli Anelli e nei Racconti Incompiuti ci sono numerose aggiunte allo Hobbit. Tuttavia, la sproporzione rimane molto notevole. Ci sono altre problematiche: Il Signore degli Anelli ha pochi personaggi femminili, cosa cui Jackson ha reagito espandendo i ruoli di Galadriel, Arwen e soprattutto Éowyn. Lo Hobbit, invece, non ha alcun personaggio femminile. Nemmeno uno. La “povera Belladonna”, madre di Bilbo, è menzionata un paio di volte nelle prime pagine, ma dopo di quelle non c’è una singola elfa, nana o femmina umana. Nel 1937, forse, a nessuno importava, ma nel ventunesimo secolo una tale situazione non è accettabile. Un altro problema è dato da quella che potremmo chiamare la massa indifferenziata di Nani: dodici, più il loro capo Thorin. È probabile che nemmeno il più attento lettore dello Hobbit possa ricordare molto, se non che Bombur è quello grasso, Fili e Kili sono quelli giovani, Balin è quello che va in avanscoperta ed è relativamente ben disposto verso Bilbo, e forse che Dori è «proprio un buon diavolo nonostante tutto il suo brontolare». Insomma, non molto su cui lavorare per gli attori che interpretano i nani.
Il problema più serio, però, è l’insistenza di Jackson che ogni personaggio abbia un “percorso”. Nei film del Signore degli Anelli questo ha spesso
comportato riscrivere la storia per imporre un cambio di opinione in Elrond, Théoden e Faramir, e conseguentemente ampliare il ruolo di quelli che li hanno persuasi a cambiare, ovvero Galadriel e Samwise. Lo Hobbit, però, è già il racconto di un percorso. Non può fare a meno di trasformarsi in un “road movie”. Oltre tutto, descrive un viaggio psicologico molto sviluppato per Bilbo, i cui punti di svolta sono chiaramente esposti. Sembrerebbe quindi che non ci sia molto su cui lavorare per gli sceneggiatori. E c’è un’ultima difficoltà, ed è che Jackson ha le mani in qualche modo legate dalla necessità di rimanere consistente con i film del Signore degli Anelli, e forse, per riportare i successi conosciuti, anche di includere nei film molti degli attori del cast precedente.
L’asso nella manica di Jackson, nella mano difficile che si trova a giocare, è che Lo Hobbit è pieno di punti non chiariti, allusioni indirette e domande provocanti, e tutte si possono sviluppare. Gandalf dà a Thorin una chiave e una mappa nel primo capitolo, ma queste creano una considerevole storia: la distruzione di Erebor da parte di Smaug 170 anni prima (vedi SdA, Appendice B); le morti di Thráin e di Thror, padre e nonno di Thorin (Appendice A III); il recupero della mappa e della chiave da Dol Guldur. Un fatto curioso nello Hobbit è la sparizione di Gandalf per otto capitoli, chiamato via da «affari pressanti». È necessario consultare le Appendici del Signore degli Anelli per scoprire che gli affari erano un incontro del Bianco Consiglio e la decisione di attaccare Dol Guldur, casa del Necromante, più tardi rivelatosi essere Sauron: chiaramente, anche qui c’è una storia.

Conferenza di Tom ShippeyCiò che Jackson ha fatto con le sue opportunità non piacerà, ahimè, alla maggior parte degli appassionati di Tolkien, che concluderanno che questo primo film dello Hobbit giustifica le accuse di volgarizzazione che erano state mosse (con meno forza) contro i film del Signore degli Anelli. Jackson spunta un buon inizio con una graziosa scena che lega Lo Hobbit all’inizio del Signore degli Anelli: Bilbo in età avanzata (ancora Ian Holm) decide di raccontare l’intera storia della sua prima avventura. Seguono vari minuti di pressanti retroscena sulla fondazione e la distruzione di Erebor, la morte di Thror (spostata alla Battaglia di Azanulbizar): fin qui tutto bene. L’incontro tra Gandalf (Ian McKellen) e il giovane Bilbo (Martin Freeman) è sufficientemente aderente al libro di Tolkien, con un unico malaugurato cambiamento: Bilbo non è più il prospero cinquantenne della storia di Tolkien, ma un teenager.
Da qui in poi, l’impulso di Jackson ad ammiccare al suo pubblico di adolescenti non fa che aumentare. La scena in cui i nani invadono Casa Baggins oltrepassa il comico e scade nel volgare: è tutto un ingozzarsi, ruttare e tracannare. Da qui in poi, la regola è che ogni opportunità di mostrare un combattimento prolungato deve essere sfruttata. La cattura dei Nani da parte dei Troll è gonfiata da una pagina a svariati minuti di girato; Orchi cavalcalupi disturbano il viaggio verso Granburrone; i “giganti di pietra” appena menzionati nel quarto capitolo diventano una scena intera; la città dei goblin fornisce la scusa per una lunga scena di inseguimenti e battaglie, piena di effetti speciali. Uno dei personaggi traslocati dalle Appendici del Signore degli Anelli è Azog: anziché essere ucciso ad Azanulbizar, come voleva Tolkien, sopravvive vendicativo, e dà la caccia a Thorin per tutto il film. Gli inseguimenti si trasformano in un confronto, aggiunto alla scena in cui i Nani e Bilbo sono “inalberati” dai
loro inseguitori e vengono salvati dalle Aquile. Ma questa cataclismatica scena di duello cristallizza i timori riguardo ai percorsi del film. Il “percorso” su cui Jackson si è concentrato è la relazione fra Thorin (Richard Armitage), che non vuole Bilbo nella spedizione e che lo considera completamente inutile, e Bilbo stesso, che esita nei suoi tentativi di dimostrarsi valido. All’inizio rifiuta di firmare il contratto dei Nani; poi cambia idea; ma più tardi decide di abbandonare i Nani e di tornarsene a casa, ma viene convinto a restare da (credo) Bofur (James Nesbitt). Il momento critico, però, è quello in cui Thorin è a terra, abbattuto da Azog, e Bilbo scende dal suo albero per provare a salvarlo, agitando la sua lama elfica in modo inesperto. Quest’azione fa sì che Thorin cambi idea ed accetti Bilbo, mentre Bilbo, nella scena finale piena di sentimentalismo hollywoodiano, spiega perché vuole aiutare i Nani: perché egli ha una casa, e loro hanno perso la loro. Il Bilbo di Tolkien era già ben avviato sul suo percorso nel quale scopriva la sua forma di coraggio. Ma i punti di svolta del Bilbo di Tolkien sono tutti solitari, silenziosi e nel buio. Strisciare verso i Troll; avanzare (e trovare l’anello) nelle caverne dei goblin; più tardi, combattere i ragni giganti, scendere nel tunnel di Smaug, consegnare l’Archepietra. Queste scene quiete sono molto più eroiche di agitare una spada, come possono capire anche i lettori bambini. Quella che Jackson ha compiuto è una diminuzione. Nulla di tutto questo nega che Jackson abbia inventato buoni momenti e effetti impressionanti. Il confratello stregone di Gandalf, Radagst il Bruno (Sylvester McCoy), fornisce un legame con quella che sarà certamente una sequenza a Dol Guldur, ed è disneyano quando cura il riccio e con la sua slitta trainata da conigli. In una prima scena di “Bianco Consiglio”, Galadriel (Cate Blanchet) e Gandalf si contrappongono a Elrond (Hugo Weaving) e a Saruman (Christopher Lee), e Galadriel ancora una volta prova a convincere Elrond ad abbandonare le sue politiche isolazioniste. Andy Serkis torna come Gollum nella scena degli indovinelli, rimasta in gran parte inalterata rispetto all’originale; Jackson usa ancora una volta l’idea del “parlare all’altro sé nel riflesso” e funziona ancora una volta bene.

Se solo si fosse allenato a combattere la tentazione dell’ovvia ostentazione.
Tom ShippeyIn Tolkien, l’alba arriva a trasformare i Troll in pietra con «un forte cinguettio tra i rami» di uccelli. Nel film, Gandalf spacca un macigno per far passare la luce del sole. In Tolkien il salvataggio dei Nani e di Bilbo dai goblin è annunciato solo da «una voce fiera e tranquilla», non da violente esplosioni e battaglie. Quale dei due, viene da chiedersi, è più drammatico? Anche la scoperta l’Anello, cui in Tolkien Bilbo presta lì per lì poca attenzione, è trasformata da Jackson in una rissa, in cui Gollum lascia cadere l’Anello mentre si occupa di un orco. Eppure, i momenti importati del viaggio della vita spesso non sono notati quando avvengono. A Jackson potrebbe far bene dare un’occhiata alla massa di libri in uscita sullo Hobbit scritti da accademici. È evidente che essi considerino Lo Hobbit molto più seriamente, e da molte angolazioni diverse. Uno studio come A Hobbit Journey di Matthew Dickerson scava in profondità considerando argomenti di etica, saggezza, amministrazione, giustizia sociale: problematiche importanti per Tolkien, molto probabilmente, e altrettanto interessanti, anche per gli adolescenti, degli inseguimenti e degli effetti speciali.

Traduzione di Lorenzo Gammarelli

 

– Vai al sito dell’
Istituto filosofico di studi tomistici di Modena
– IL CORSO SU J.R.R. TOLKIEN

Altri commenti sul film potete leggerli qui:
Recensione positiva dell’ARST.
Recensione negativa dell’ARST
Il film di Peter Jackson, secondo Franco Manni


 


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