Art contest Smaug, ecco i vincitori

Bilbo with Smaug“Si udì un sibilo assordante. Una luce rossa sfiorò le cime delle alte rocce. Giungeva il drago.”
Eccoci giunti infine al termine dell’Art Contest dedicato a Smaug! Delle cento illustrazioni che sono state presentate ne sono rimaste solo tre, quelle che il nostro pubblico ha scelto come più rappresentative della Principale e Massima Calamità. I tre artisti hanno raggiunto lo stesso numero di voti, portandosi in testa alla classifica a pari merito. Al termine di questo percorso, ringraziamo i nostri lettori che ci hanno seguito e che hanno partecipato numerosi. Molti hanno sottolineato quanto spesso non fosse una scelta facile decidere a favore di chi esprimere il proprio voto, specialmente nell’ultima fase. Di ciò non si può che rallegrarsi, poiché evidenzia l’alta capacità di affascinare degli artisti che si sono cimentati nel dare forma al drago Smaug.
Senza ulteriori indugi, vi presento i vincitori!

Art contest Smaug, seconda fase

Bilbo with SmaugDopo un viaggio lungo un mese, siamo giunti alla penultima tappa: la prima fase di selezione è terminata e in ognuna delle quattro manche sono state scelte cinque opere dai nostri lettori. Le illustrazioni scelte differiscono sotto ogni aspetto: variano le tecniche usate, dal sanguigno all’acquarello alla china, cambia il momento in cui si è scelto di catturare il drago, il movimento del corpo e la sua stessa forma, ma in tutte Smaug esercita il suo fascino e la sua malia, tipiche della stirpe a cui appartiene.
Tolkien esprime molto chiaramente quanto forte sia per lui l’attrattiva del drago nel saggio On fairy-stories (Sulle fiabe), contenuto nella raccolta The Monsters and the Critics and other essays della HarperCollins (in italiano Il Medioevo e il fantastico, casa editrice Bompiani). Tra tutte le terre che da bambino conobbe attraverso le fiabe, spicca infatti il grande Nord di Sigurd e soprattutto di Fáfnir, che egli definisce principe di tutti i draghi. “I desired dragons with a profound desire.[…] the world that contained even the imagination of Fáfnir was richer and more beautiful, at whatever cost of peril.” (desideravo i draghi con un desiderio profondo. […] il mondo che conteneva anche solo l’idea di Fáfnir era più ricco e più bello, quale che fosse il pericolo). Il drago diviene quasi il simbolo stesso del Paese delle Fate, il cui segno inconfondibile contraddistingue la leggendaria creatura: “The dragon had the trade-mark Of Faërie written plain upon him. In whatever world he had his being it was an Other-world.” (Il drago portava su di sé il marchio di Faërie, scritto chiaramente. In qualsiasi mondo egli esista, esso è un mondo Altro).
Il drago è protagonista anche del primo tentativo di Tolkien di scrivere una storia, come racconta egli stesso nelle lettere 163 e 165, quando aveva circa sei o sette anni. Di questo primo drago altro non si conosce che il colore, verde, e ad esso è legato un aneddoto che Tolkien stesso definisce filologico. Pare infatti che Mabel, la madre del futuro professore, altro non abbia detto in merito all’opera del figlio a parte che l’ordine delle parole green great dragon era errato, correggendolo in great green dragon. A seguito di tale episodio, per lungo tempo Tolkien non provò a scrivere altre storie.
Sempre attraverso la corrispondenza del professore, emerge l’origine del nome del drago dello Hobbit: Smaug è infatti il passato del verbo proto-germanico *smugan, “far entrare a forza in un buco”, quello che Tolkien definisce una battuta filologica. In merito, Tom Shippey nota che il termine antico inglese sméogan, affine a *smugan, appare in un incantesimo protettivo assieme alla parola worm, che in questo caso potrebbe indicare tanto un drago quanto, in una visione più pragmatica, un parassita. Eppure il drago dell’avventura di Bilbo non si è sempre chiamato Smaug. Nelle prime versioni del racconto, il nome del drago era Pryftan, nome composto dai termini gallesi prŷf, verme, e tân, fuoco.

Art contest Smaug, quarta settimana

Bilbo with SmaugCon questo quarto articolo, siamo giunti alla fine della prima fase del nostro viaggio esplorativo nell’arte di ispirazione tolkieniana, alla ricerca dell’illustrazione che più rappresenti, secondo i nostri lettori, Smaug. Vedremo in questa occasione le ultime 25 immagini, prima di passare, dalla prossima, settimana alla seconda fase di selezione.
Tra gli artisti qui presentati compaiono in particolare due figure di cui si è parlato molto recentemente, in ambito tolkieniano: il veterano Alan Lee, che il 9 aprile è stato fatto socio onorario dalla Tolkien Society, e Tomás Hijo, vincitore del Best Artwork dei Tolkien Society Awards 2016 con l’opera “The Prancing Pony”.

Alan Lee, illustratore del fantastico specialmente nella sua forma mitica, annovera tra le opere a cui collaborò varie edizioni delle narrazioni dei miti dei Mabinogion gallesi e The Wandering of Odysseus (narrazione in inglese dell’Odissea, per la Frances Lincon Children’s Book, 1995), senza dimenticare il volume Faeries (1978, casa editrice Abrams NY), scritto e illustrato assieme a Brian Froud.
In ambito tolkieniano, Alan Lee ha illustrato alcune tra le opere principali del professore, tra cui, The Hobbit (HarperCollins, 1997, in italiano Lo Hobbit, Bompiani 2003), The Children of Húrin (HarperCollins, 2007, stesso anno in Italia I figli di Húrin per la Bompiani) e The Lord of the Rings (HarperCollins, 1991, in italiano Il Signore degli Anelli, Bompiani 2003).
Dell’esperienza di illustrare quest’ultimo libro e da quella di concept designer per la trilogia Jacksoniana ad esso ispirata nacque il volume The Lord of the Rings Sketchbook (HarperCollins Publishers 2005), tradotto in italiano per la Bompiani (2005) col titolo Il Signore degli Anelli. Schizzi e Bozzetti. In questo volume l’autore racconta il suo primo incontro con il capolavoro del professore, letto a diciassette anni, quando lavorava come giardiniere in un cimitero.
Come avevamo notato parlando di John Howe nel secondo articolo di questa serie (Art Contest Smaug, seconda settimana), anche per Alan Lee illustrare la Terra di Mezzo risulta un compito ardito:
“I was pleased to be offered the chance to illustrate one of my favorite books, but also a little daunted by the responsability involved in placing my illustration alongside a text that was so deeply loved by its many admirers, and which had already demonstrated that it worked very well on its own, without any pictures.”
(Ero contento che mi venisse offerta la possibilità di illustrare uno dei miei libri preferiti, ma anche un po’ scoraggiato dalla responsabilità insita nel porre le mie illustrazioni a fianco di un testo che era così profondamente amato dai suoi tanti ammiratori e che aveva già dimostrato di funzionare molto bene da solo, senza nessuna immagine.) (t.n.)
Alan Lee spiega altresì il suo approccio nell’illustrare l’opera tolkieniana, in cui l’immagine è al servizio della parola:
“What I wanted to do with the book illustrations was support and embellish the readers’ interpretations rather than offer radically new ideas, and so I followed the text quite carefully in order that the protagonists’ movements could be tracked across the surface of the pictures and into the distance.
The satisfaction for me comes from the process of finding that initial composition and then building up the atmosphere with successive washes of watercolor until the feelings evoked by the words, and those evoked by the image, start to merge.”
(Ciò che io volevo fare con le illustrazioni del libro era supportate e abbellire le interpretazioni dei lettori piuttosto che offrite idee radicalmente nuove e perciò seguii il testo piuttosto attentamente così che i movimenti dei protagonisti potessero essere seguiti attraverso il piano dell’illustrazione o in profondità.
La soddisfazione per me viene dal processo di trovare quella composizione iniziale e poi costruire l’atmosfera con successive velature di acquarello finché le sensazioni evocate dalle parole e quelle evocate dall’immagine cominciano a fondersi.) (t.n.)

Art contest Smaug, terza settimana

Bilbo with SmaugBentornati all’appuntamento settimanale con l’art contest dell’AIST, alla ricerca dell’illustrazione che meglio, secondo i nostri lettori, rappresenti il drago Smaug. In questa terza raccolta di immagini spicca il nome di una coppia di autori, un caso raro nel mondo della pittura, ovvero i fratelli Greg e Tim Hildebrandt. Conosciuti in ambiente tolkieniano per aver illustrato tre dei Tolkien Calendars per la Ballantine Books, dal 1976 al 1978, il loro rapporto con le opere del professore ebbe inizio con la rappresentazione di un altro drago: Chrysophylax, nella copertina del volume della Ballantine Books contenente Farmer Giles of Ham (in Italia Il cacciatore di draghi, edito dalla Bompiani) e Smith of Wootton Major (Il fabbro di Wootton Major, Bompiani) del 1975. I fratelli Hildebrandt realizzarono anche, nel 1977, una delle copertine per la prima biografia di Tolkien, The biography of J. R. R. Tolkien: Architect of Middle-earth scritta da Daniel Grotta e pubblicata nel 1976 dalla Ballantine Books. Del 1977 è l’edizione con la copertina dei fratelli Hildebrandt, nella quale è ritratto il professore stesso.
Il compito di realizzare il loro primo calendario dedicato a Tolkien, nel 1976, segnò per i fratelli Hildebrandt un cambiamento nel proprio stile e le memorie di quel periodo cruciale sono state raccolte nel volume Greg and Tim Hildebrandt: The Tolkien Years, edito dalla Watson-Guptill Publications nel 2001, la cui riedizione ampliata The Tolkien Years of Greg and Tim Hildebrandt della Dynamite Entertainment (2012) è stata tradotta in italiano nel 2013 col titolo Il Mondo di Tolkien visto dai fratelli Hildebrandt (Panini Comics). In questo libro la testimonianza del figlio di Greg, Greg Hildebrandt Jr., ci permette di scoprire molto sul metodo di lavoro dei fratelli e tra le riflessioni sulle illustrazioni sono presenti delle note anche su una delle due raffigurazioni di Smaug che in seguito proponiamo.
Greg Jr. ricorda come prese vita l’immagine che ritrae Smaug all’interno della Montagna Solitaria, sull’immenso tesoro custodito, e che venne inserita nel calendario del 1977 per il mese di gennaio:

“Smaug, the greatest of all dragons!
I had heard the name time and time again. His scaly hide glistened, encrusted with the gold and jewels of the treasure upon which he had slept for two centuries. His fiery breath could melt the hardest metal in the blink of an eye.
In contrast, the clay model of Smaug, only eighteen inches long, sculpted by my dad and uncle, looked pretty cool, but it didn’t appear all that threatening.
I watched as they painted carved pillars into the background. They squeezed yellow, orange, and red acrylic paints onto their homemade aluminum foil palettes.
Over the next few days, the image began to take form. The powerful figure of Smaug came into view: a dragon like no other, rearing back in his cavernous lair over a bed of gold coins, swords, gems, and diamonds.
Smaug was an image that took extremely long to paint. My father and uncle rendered each individual coin and jewel in the dragon’s hoard.
They worked tirelessly and seamlessly over a period of four weeks to complete this piece.
[…] Evil had come to the Hildebrandt Hall, in all its striking beauty…”

Smaug, il più grande di tutti i draghi!
Avevo udito questo nome più e più volte. La sua pelle squamosa brillava, incrostata dell’oro e dei gioielli del tesoro sul quale aveva dormito per due secoli. Il suo respiro di fuoco poteva sciogliere il più duro dei metalli in un battito di ciglia.
In contrasto, il modellino di argilla di Smaug, lungo solo una cinquantina di centimetri, scolpito da mio padre e mio zio, era forte, ma non appariva poi così minaccioso.
Li osservai mentre dipingevano colonne intagliate sullo sfondo. Spremettero acrilici gialli, arancioni e rossi sulle loro tavolozze di alluminio fatte in casa.
Nei giorni successivi, l’immagine iniziò a prendere forma. La possente figura di Smaug venne alla luce: un drago come nessun altro, nell’atto di sollevarsi sulle zampe posteriori nella sua tana cavernosa, sopra un letto di monete d’oro, spade, gemme e diamanti.
Quella di Smaug fu un’immagine che richiese tantissimo tempo per essere dipinta. Mio padre e mio zio realizzarono ogni singola moneta e gioiello nel tesoro del drago.
Lavorarono instancabilmente e senza interruzione per un periodo di quattro settimane per completare questo pezzo.
[…] Il male era giunto nella Sala degli Hildebrandt, in tutta la sua straordinaria bellezza…(t.n.)

Ciò che emerge è una grande attenzione per i dettagli ed una profonda dedizione alla propria arte: Greg Jr infatti sottolinea che essa era per i fratelli Hildebrandt una connessione che li univa ancor più di quanto non siano legati la maggior parte dei gemelli. Purtroppo, uno dei due artisti non è più in vita. Tim si è spento nel giugno del 2006.

Art Contest Smaug, seconda settimana

Bilbo with SmaugTrascorsa una settimana, come preannunciato, eccoci nuovamente immersi nel mondo dell’arte ispirata a Tolkien, alla ricerca dell’illustrazione che più catturi, secondo l’opinione dei nostri lettori, l’essenza del drago Smaug. In questa seconda manche troveremo altre 25 immagini, tra le quali sono presenti opere appartenenti ad uno degli illustratori più famosi del mondo tolkieniano, ovvero John Howe, conosciuto anche per la sua partecipazione alla realizzazione dei film di Peter Jackson. Howe ha pertanto influenzato più di altri artisti l’immaginario legato alla Terra di Mezzo, ma con quale spirito egli si è approcciato a questo mondo?

John Howe, nel suo Artbook edito dalla Nestiveqnen Éditions (2004), descrive il mondo della Terra di Mezzo come intensamente visivo ed allo stesso tempo difficile da rappresentare, in quanto secondo l’illustratore per Tolkien ciascuna parola vale un milione di immagini. Secondo l’illustratore, la relazione tra l’arte figurativa e le opere di Tolkien ha una caratterizzazione assai peculiare: “Le Seigneur des Anneaux et la Terre du Milieu ne peuvent pas être illustrés. Bien sûr, on peut dessiner des images, en aligner les tableaux dans des galeries, en faire des livres illustrés, en tirer des films, mais aucune de ces images ne saurait être définitives. Elles ne peuvent définir le monde lui-même, ou en faire la somme, ou le cartographier una fois pour toutes. Ce sont des esquisses, des aperçus imparfaits vus à travers des nuages ou de la brume changeante. Ce sont des réalisations partielles car la nécessité de fixer la vision sur une page la réduit à épingler sur une planche les papillons aperçus dans le jardin.” (Il Signore degli Anelli e la Terra di Mezzo non possono essere illustrati. Certo, si possono disegnare delle immagini, allineare i quadri nelle gallerie, fare dei libri illustrati, girare dei film, ma nessuna di queste immagini saprà essere definitiva. Esse non potranno definire il mondo stesso, o rappresentarlo per intero, o mapparlo una volta per tutte. Sono degli schizzi, degli scorci imperfetti visti attraverso le nuvole o la nebbia in continuo cambiamento. Sono delle realizzazioni parziali poiché la necessità di fissare la visione su una pagina la riduce all’appuntare su una tavola le farfalle scorte nel giardino.).
Questa riflessione potrebbe portare ad abbandonare l’idea di tentare di rappresentare il mondo creato dal professore, ma così non è: Howe rimarca che Tolkien stesso, seppure fosse generalmente scettico nei confronti della rappresentazione visiva delle opere di fantasia, prese in mano matita e pennello per illustrare i suoi scritti. Spostando il focus dall’autore ai moderni illustratori, Howe espone la propria opinione in merito: “« Illustration » est cependant un terme adéquat pour décrire la peinture des Terres du Milieu. Étymologiquement, cela signifie apporter la lumière, c’est l’acte de rendre lumineux ou clair, de semer un peu de clarté ici ou là. Ne pas être obligé d’en montrer trop; éviter le besoin de compter les virgules, mais choisir où iront la lumière et l’obscurité. Permettre à l’intuitif de prendre le pas sur l’encyclopédique.” («Illustrazione» è, ciononostante, un termine adeguato per descrivere il dipingere la Terra di Mezzo. Etimologicamente, significa portare la luce, è l’atto di rendere luminoso o chiaro, di spargere un po’ di chiarezza qui o là. Non si è obbligati a mostrare troppo; evitare il bisogno di mettere i puntini sulle i, ma scegliere dove andrà la luce e l’oscurità. Permettere a l’intuitivo di prendere il sopravvento sull’enciclopedico.).
L’approccio di Howe alle opere tolkieniane spicca per la completezza della sua visione: gli scritti del professore non sono visti solamente come letteratura fantasy, ma come degni dello stesso rispetto riservato alla Storia e alla mitologia nel momento in cui l’artista si appresta ad illustrarli.

Smaug: scegli l’illustrazione migliore

Bilbo with Smaug“Allora, ladro! Ti fiuto e sento la tua aria. Odo il tuo respiro. Vieni avanti! Serviti ancora, ce n’è in abbondanza e d’avanzo!”
Ma Bilbo non era a tal punto ignorante in materia di draghi, e, se Smaug sperava di farlo avvicinare così facilmente, rimase deluso. “No, grazie, o Smaug il Terribile!” replicò. “Non sono venuto per ricevere regali. Volevo solo darti un’occhiata e vedere se tu fossi davvero così grande come si racconta. Non credevo a quello che mi dicevano.
(Lo Hobbit annotato, Bompiani, 2012)

Quando il piccolo hobbit deve mascherare il reale motivo della sua venuta, qual’è il primo pensiero che gli attraversa la mente, la prima scusa? La curiosità. La curiosità di vedere. Quanti lettori si saranno domandati come sarebbe vedere coi propri occhi i personaggi, le creature, gli eventi dei libri a loro cari? Quali emozioni susciterebbero? Perché la parola può tessere incantesimi, ma l’immagine trafigge l’animo diretta come una freccia. Si possono perdere ore ad ammirare le sfumature, l’accuratezza della prospettiva, la composizione intera di un quadro, ma l’emozione che esso regala è questione di un attimo, un battito di ciglia o del cuore. L’immagine ha un’immediatezza unica.
Verlyn Flieger nel suo saggio Tolkien e la filosofia del linguaggio (contenuto nel volume Tolkien e la filosofia, Marietti, 2011) fa riferimento proprio alla prima volta che Bilbo vede Smaug e all’impossibilità di rendere tramite le parole ciò che lo hobbit prova: “Il mio ultimo esempio viene dallo Hobbit e ci illustra un altro aspetto della filosofia del linguaggio di Tolkien; il fatto che la perdita di una cosa comporti la perdita dell’esperienza di quella cosa, e conseguentemente la perdita delle parole per entrambe: cosa ed esperienza. […] Vale inoltre la pena notare che Tolkien dovette inventare una parola nuova, staggerment, per esprimere il fatto che «non esistono più parole per esprimere». Sia la parola inventata sia la deficienza linguistica che essa non può compensare sono dovute al fatto che ciò che ha prodotto le parole perdute, lo choc viscerale prodotto dalla visione di un drago in tutta la sua terribile maestà, non è più disponibile all’esperienza degli Uomini in questi degenerati e de-draghizzati tempi moderni.”
Un quadro, come un testo, non potrà restituirci l’immensità dell’esperienza di incontrare un drago in carne, ossa e fiamme, ma sarà un altro frammento, diverso dalle parole, da raccogliere e conservare nella ricerca di quella sensazione.
Le rappresentazioni del drago tolkieniano più famoso che più facilmente vi sovverranno saranno probabilmente o una delle opere del professore stesso o la creazione della Weta Digital presente nel secondo e terzo film dello Hobbit di Peter Jackson, eppure moltissimi artisti si sono cimentati nell’impresa di dare forma a Smaug. Proprio su questa vasta produzione ci focalizzeremo in quello che sarà il secondo art contest, dopo quello organizzato nel 2014 sullo scontro tra Èowyn e il Nazgûl. Come la volta precedente, saranno i lettori a scegliere tra le illustrazioni che verranno pubblicate periodicamente quali meglio incarnino il terribile Smaug.

Éowyn e il Nazgûl: qual è l’immagine più bella?

Bollino 1: Éowyn e il Nazgul«Una spada risuonò mentre veniva sguainata. “Fa’ ciò che vuoi; ma io te lo impedirò se potrò”. “Impedirmelo? Sei pazzo! Nessun uomo vivente può impedirmi nulla!”. Allora Merry udì fra tutti i rumori il più strano: gli sembrò che Derhelm ridesse, e la sua limpida voce era come una vibrazione d’acciaio. “Ma io non sono un uomo vivente! Stai guardando una donna. Éowyn io sono, figlia di Eomund. Tu ti ergi fra me e il mio signore dello stesso mio sangue. Vattene, se non sei immortale! Vivo o morente ti trafiggerò, se lo tocchi”. […] l’elmo che nascondeva il suo segreto era caduto e i luminosi capelli sciolti sulle spalle brillavano come pallido oro. I suoi occhi grigi come il mare erano duri e spietati, benché sulla sua guancia scorressero delle lacrime. Reggeva in mano una spada, difendendosi con lo scudo contro gli spaventosi occhi del nemico». Questo è, secondo me, uno dei brani più belli del Signore degli Anelli. Vediamo la Dama di Rohan combattere la sua più grande battaglia: quella contro il Re Stregone.
Una donna che scontrandosi con il volere del proprio Re e zio intraprende una strada ardua ed in salita. La strada che la porterà alla guerra e a sconfiggere un nemico che, secondo una profezia, nessun uomo vivente avrebbe mai vinto. Sono stati moltissimi gli illustratori si sono cimentati nel riprodurre questa scena: Éowyn persa nella disperazione per la perdita dell’amato Re e zio, ma allo stesso tempo decisa a porre fine alla “vita”, se possiamo chiamarla così, del potente Re dei Nazgûl. Abbiamo scandagliato internet alla ricerca di queste illustrazioni ed abbiamo pensato di creare un art contest, semplicemente un concorso tra illustrazioni. Una gara alla quale siete chiamati per giudicare i vari lavori e decidere quali illustrazioni, secondo voi, siano più belle ed evocative di questo epico scontro.