Smaug il drago, Aslan il leone, una ragazzina e il suo daimon, Harry e la sua cicatrice sulla fronte, più tutto un mondo in cui gli animali parlano e strane parole hanno il potere di creare e distruggere. Sono questi i protagonisti di Magical Books. From the Middle Ages to Middle-earth, la consueta mostra estiva inaugurata questa settimana dalla Bodleian Library di Oxford. Dedicata ai libri magici, è lo spunto per esporre il lavoro di alcuni dei più importanti esponenti della letteratura fantastica: J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis, Susan Cooper, Alan Garner e Philip Pullman. I cinque autori presenti in mostra hanno tutti studiato all’università di Oxford e sono noti informalmente parte di quella che viene chiamata la Oxford School. Ognuno di loro frequentò le sale della Bodleian per studiare, far ricerche o semplicemente creare i loro mondi di fantasia, ed è questo il legame che la mostra vuole celebrare. Tra i manoscritti esposti spiccano, però, quelli dell’autore del Signore degli Anelli, fra cui una mappa della Terra di Mezzo.
Cinque scrittori per una città
La mostra è stata inaugurata giovedì 23 maggio. «Abbiamo cercato di creare una biblioteca all’interno della biblioteca», racconta Judith Priestman, responsabile dei manoscritti letterari presso la Bodleian e co-curatore dell’esposizione insieme a Sarah Wheale. «La Bodleian ha cinque collezioni eccezionali che riguardano questi cinque autori». «Questa mostra è una favolosa opportunità per chi vuole venire a vedere una vasta gamma di tesori della Bodleian degli ultimi 900 anni», aggiunge Wheale, che è anche responsabile ad interim dei libri rari. «È stato un vero privilegio per noi come curatori di lavorare con persone come Philip Pullman, Alan Garner e Susan Cooper». Mentre Tolkien e Lewis sono molto noti anche in Italia, è necessaria una breve descrizione degli altri. Pullman è famoso soprattutto per Queste oscure materie, trilogia fantasy composta dai libri La bussola d’oro, La lama sottile e Il cannocchiale d’ambra. Garner è un autore noto per i suoi romanzi per ragazzi in cui reinterpreta l’antico folklore britannico: in Italia ne sono stati pubblicati solo tre, La pietra magica di Brisingamen, La luna di Gomrath ed Elidor, ma tra i più importanti è una fiaba del 1967, The Owl Service, che parla di una donna nata dai fiori e creata da un mago. Il risveglio delle tenebre è infine l’opera più nota di Susan Cooper, saga fantasy composta da 5 volumi ambientata in Inghilterra e Galles e ispirata al ciclo di re Artù.
Tolkien sotto i riflettori
La mostra espone molti dei tesori nascosti della Bodleian, alcuni dei quali mai mostrati al pubblico prima d’ora. Ci sono, oltre a materiale da Oscure materie di Pullman e da The Owl Service di Garner, una mappa delle Cronache di Narnia di Lewis e il manoscritto (il notebook Lefay) di una storia del ciclo che l’autore non continuò. Ma la vera e propria chicca sono i manoscritti di Tolkien. Tuffandosi nelle carte private dell’autore inglese, i curatori hanno voluto presentare al pubblico alcune pagine originali, i suoi dipinti e gli schizzi delle fascette per Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, l’iscrizione dell’Anello, la mappa Terre Selvagge e, in esclusiva, la pagina di apertura del manoscritto del poema incompleto The Fall of Arthur, appena pubblicato dalla casa editrice HarperCollins. La Mappa della Terra di Mezzo fatta da Pauline Baynes domina una parete intera di una sala. Ci sono anche alcuni dei materiali che hanno ispirato i cinque autori, contenenti i miti, le leggende e le pratiche magiche del passato. Si possono così ammirare manoscritti con incantesimi del XII secolo, grimori e bestiari riccamente miniati, i Ripley Scrolls, che illustrano la ricerca della pietra filosofale, insieme alla storica edizione First Folio delle opere di William Shakespeare, lasciata aperta sul Macbeth con le sue tre streghe. E non è finita. In mostra anche una varietà di veri e propri “oggetti magici”, tra cui: una copia del XVII secolo della «Tavola sacra» in marmo che l’astronomo reale della corte elisabettiana e alchimista John Dee utilizzava per conversare con gli angeli; l’«aletiometro» (il lettore simbolico in grado di rispondere a domande poste mentalmente da chi lo usa) originale posseduto da Pullman e da lui inserito in Queste oscure materie come oggetto usato da Lyra Belacqua; uno dei piatti originali della soffitta sopra la stanza di Alison di The Owl Service di Garner. Se questo non vi basta, sappiate che tutto questo materiale storico è ospitato nella Divinity School e nella Duke Humfrey’s Library, le sale in cui sono state girate le scene del film di Harry Potter. La mostra sarà aperta al pubblico a ingresso gratuito fino al 27 ottobre 2013. Questi gli orari: dalle 9 alle 17 dal lunedi al venerdì, dalle 9 alle 16:30 il sabato e dalle 11 alle 17 la domenica. Per maggiori informazioni scrivere a communications@bodleian.ox.ac.uk o andare sul sito web della Bodleian Library.
Un classico della letteratura si può riconoscere da tante cose. Tutti lo conoscono, almeno per sentito dire e probabilmente moltissimi conoscono anche la trama del suo capolavoro. Ma la sua opera di solito lavora a uno stadio più profondo della società. Normalmente, entra nella formazione degli studenti: nei curriculum scolastici, nei programmi e nelle tesi universitarie. Per J.R.R. Tolkien tutto questo accade da moltissimi anni. Peccato che accada in tutto il mondo, tranne che in Italia. Da noi manca ancora molta strada da fare. Gli insegnanti italiani dovrebbero considerare Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli qualcosa di più che testi di nicchia, guardando oltre la facciata della mera opera narrativa, per scoprire o verosimilmente non ignorare ciò che sta dietro alle parole di Tolkien, dal mondo linguistico a quello mitologico, dal livello etico al fantastico puro. Proponiamo un esempio che in maniera lampante può far vedere quanto Tolkien sia considerato un classico della letteratura nel resto del mondo e quanto l’Italia sia lontana da questi livelli. Ma per farlo dobbiamo trasferirci in Svezia!
Nelle scuole svedesi
Svenska i dag (la cui anteprima si può guardare qui), collana svedese di antologie scolastiche, è un valido strumento di insegnamento-apprendimento per la scuola dell’obbligo. Stando a quanto è scritto nelle recensioni svedesi, i quattro volumi che compongono la suddetta serie contengono una varietà di testi e attività che li rendono adatti ad ogni grado d’istruzione e, suggeriscono gli autori, l’obiettivo di queste antologie è far sbocciare l’amore degli studenti per la lettura usando testi che i giovani considerano interessanti e divertenti. A tal fine, il contenuto di Svenska i dag deve essere accessibile agli allievi delle scuole, dove necessariamente accessibilità e modernità devono fondersi per suscitare il maggior grado possibile d’interesse nei ragazzi. Inizialmente pensato per il grado scolastico senare del, approssimativamente corrispondente alle nostre scuole medie inferiori, il contenuto può essere sfruttato anche da chi sta studiando lo svedese o vuole conoscere la letteratura e la cultura della Svezia. Osservando la struttura dell’opera ci si trova indiscutibilmente al cospetto di una variegata selezione di fonti letterarie che soltanto nel primo volume Från Gilgamesh till Guillou («Da Gilgamesh a Guillou») vanno dal poema epico di ambientazione sumerica Gilgameš, alle intrigate trame dei romanzi storici di Jan Guillou (autore della famosa Saga delle crociate con protagonista il templare Arn Magnusson). Nel secondo tomo Från Boye till blogg («Da Boye al blog») si trovano tre capitoli interamente dedicati a poesie di poeti svedesi e stranieri, vi sono inoltre contenute canzoni e testi, un dramma, una sceneggiatura (Mötet di Mats Wahl), racconti e cinque spezzoni di blog. Nella sezione poetica si incontrano le straordinarie creazioni di August Strindberg, forse il più grande esponente della letteratura svedese, accostate a Bukowski, Verlaine, Shakespeare e Petrarca. La terza antologia, intitolata Från Tolkien till Thydell («Da Tolkien a Thydell»), è quella che naturalmente più ci interessa. Il volume si concentra maggiormente sui gusti letterari dei giovani
di oggi: vi sono contenuti i generi più popolari fra i ragazzi, come il fantasy, l’horror, il thriller, e dove è forte la presenza di suspence, amore e relazioni interpersonali. Esplorando la parte dedicata alla fantasia si notano frammenti di opere di selezione apparentemente eterogenea, poiché si parte da Tolkien con Le Due Torri sino a Blodsugarna di Mikael Niemi, ungdomsroman («romanzo per ragazzi») di chiara ispirazione vampiresca, più lontanamente avvicinabile a Twilight di Stephenie Meyer che al Signore degli Anelli. Si trovano inoltre brani dall’oscuro I doni di Ursula K. Le Guin, dall’avventurosa saga di ambientazione nipponica La Leggenda di Otori di Lian Hearn, dal futuristico Macchine mortali di Philip Reeve, dal gothic novelstile moderno American gods di Neil Gaiman e infine dal romanzo d’esordio Samael della scrittrice svedese Jorun Modén. Nelle sezioni dedicate ad altri generi è interessante citare la presenza di Jan Guillou, Dan Brown (con Angeli e Demoni) e Khaled Hosseini (Il cacciatore di aquiloni). Purtroppo, non ci è dato sapere, vista la difficile reperibilità dei testi, quale parte delle Due Torri sia stato scelto per rappresentare l’opera di Tolkien all’interno di questa antologia, ma nonostante ciò è doveroso notare quanto gli scritti del professore inglese siano adoperati all’estero per un uso didattico, liberi da qualsiasi pregiudizio ancora fortemente presente nel nostro paese. Per finire, il quarto volume Från Cras till Krog («Da Cras a Krog») si concentra sui testi lättläst, cioè i testi facilitati per gli stranieri che studiano lo svedese.
Tanti benefici per i piccoli lettori
Per tornare al terzo tomo, la domanda che uno scandinavista si potrebbe porre di fronte ad una selezione di testi come quella appena elencata sarebbe inevitabilmente: «Perché inserire così tanti scrittori stranieri in un’antologia per ragazzi svedesi? Non ci sono abbastanza autori locali di fantasy?». La risposta risulta abbastanza semplice. Dall’uscita della Compagnia dell’Anello di Peter Jackson, ormai una decina di anni fa, la popolarità di Tolkien fra i giovani è notevolmente aumentata anche in Svezia. Anche i più piccoli, dunque, conoscono almeno la trama del Signore degli Anelli se non altro indirettamente. Se non fosse così, dopo la lettura di questo estratto dell’antologia saranno sicuramente invogliati a guardare perlomeno i film della «saga tolkieniana». Il termine saga non è stato usato a caso dato che in svedese il capolavoro di Tolkien è meglio conosciuta come Sagan om ringen, dal titolo del primo dei tre libri che lo compongono. Nel dizionario svedese-italiano la parola corrisponde non solo alla voce italiana «saga», ma anche a «favola» (si veda il dizionario Zanichelli/Norstedts). Non c’è testo migliore di un’opera che svolge il ruolo di favola, nel senso più alto del termine, da inserire ufficialmente in un’antologia scolastica. La fama di Tolkien, inoltre, non raggiunge soltanto i ragazzi, ma anche la generazione dei genitori, che in larga parte conoscono i lavori dell’autore inglese, dividendosi fra coloro che ne hanno letto i libri e quelli che hanno visto le pellicole di Jackson. Si denota pertanto un connubio di popolarità e utilità dell’opera tolkieniana, argutamente sfruttata dai curatori di Svenska i dag per insegnare letteratura e lingua ai giovani in Svezia.
Quando accadrà lo stesso anche in Italia?
Nel 2001 Edward Castronova definiva se stesso “un economista fallito”: aveva scelto un campo poco popolare – la ricerca sul welfare – e pubblicato alcuni studi che, a quanto poteva dire, «non avevano mai influenzato nessuno». Aveva rimediato un insegnamento alla California State University, una scuola statale che non gli poteva offrire nemmeno un dottorato. Per giunta, la moglie lavorava in un’altra città e durante la settimana viveva da solo. Per riempire le serate, si mise a giocare ai videogiochi. Scelse un multiplayer online chiamato EverQuest, un “mondo virtuale” ispirato alle opere di J.R.R. Tolkien, frequentato all’epoca da più di mezzo milione di giocatori nel mondo. Poi gli venne un’intuizione. Oggi Castronova è docente associato in Telecomunicazioni presso la Indiana University, contribuisce al blog TerraNova e si dedica proprio allo studio, da un punto di vista economico e sociale, dei synthetic worlds, mondi virtuali dove più utenti si incontrano. Sull’argomento ha pubblicato alcuni libri d’enorme successo, il primo dei quali ha venduto milioni di copie ed è stato tradotto anche in Italia: Universi Sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società e l’economia (Mondadori, 2007). Cosa può dirci del mondo reale un gioco online, ispirato a Tolkien, pieno di elfi e nani guerrieri? Moltissimo.
Una società radicalmente nuova
Castronova oggi è fortemente convinto dall’idea di Tolkien che i miti siano usati per esprimere verità inesprimibili con altri mezzi. Per Tolkien esiste una parte di verità espressa attraverso l’arte; la capacità artistica è l’espressione più profonda della nostra specificità – cioè del nostro essere specie. La creatività artistica è quindi la parte essenziale della natura umana ed è in grado di esprimere verità parziali sulle cose. «Come scrive Tolkien nel saggio On Fairy-Stories (1939): “Perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e di tornare a casa?”. Fosse vissuto fino a oggi, sono sicuro che Tolkien non sarebbe rimasto sorpreso di come queste fughe sembrano infastidire i carcerieri». (Universi sintetici, p. 277). Ogni momento passato in un mondo fantasy potrebbe essere un momento speso cercando di arrivare a quelle verità ineffabili? Sarebbe così l’opposto di una perdita di tempo, come vengono solitamente considerati i mondi immaginari, e forse potrebbe essere uno dei modi migliori di
passare il tempo. Senza spingersi fino a tanto, si potrebbe accettare l’idea che gioco e fantasia siano per natura interessanti. Nell’utilizzo della fantasia e del mito, quindi, «non si evade dalla realtà. La si riscopre. È proprio nel momento in cui le storie indugiano nella nostra mente, che le cose divengono più vere». Applicando tutto questo ai videogiochi online, anche se non si condivide questa idea, non si può fare a meno di ipotizzare che in questi mondi virtuali ci si passerà sempre più tempo. Milioni di persone lo fanno già oggi. La tecnologia sta dando sempre più spazio ai mondi immaginari e gli effetti sulla realtà sono profondi. Secondo Castronova, quando milioni di persone lasciano una società, la società deve cambiare. Questa prospettiva “mitico-esistenzialista” porta anche a una predizione piuttosto drammatica, che vede una sempre più vasta espansione nel Ventunesimo secolo del numero delle popolazioni dei mondi sintetici, con conseguenze profonde e ampie, impossibili da prevedere. Quando si sente dire che “la vita moderna è noiosa”, s’intende, purtroppo, che molti fra coloro che vivono nella realtà attuale trovano che essa non conti nulla e non ci sia niente da fare. Se diciamo: “I mondi sintetici creano significato”, intendiamo dire che quasi tutti quelli che vi si immergono, trovano lì una loro soddisfazione. Forse i mondi sintetici hanno, quindi, cominciato a offrire una nuova mitologia. Se questa mitologia, infine, avesse successo, potrebbe essere credibile fino al punto che ci ritroveremmo in una sorta di Età della Meraviglia. Tuttavia una differenza sostanziale persiste tra le due mitologie, ad esempio, tra la creazione mitologica dell’eroe nei poemi epici e la creazione dell’eroe nella realtà virtuale. L’eroe virtuale si autonomina ed autocrea eroe con attributi sopattutto fisici e a suo piacimento, la creazione dell’eroe nell’epica, invece, è espressione della necessità di una mitologia che può dare spiegazioni su ciò che non si può comprendere o su ciò a cui non si può risalire , storicamente parlando. Così, negli ultimi decenni, e probabilmente sempre più in futuro, il corpo reale è e sarà costantemente soggetto a una domanda crescente di «modificazione» (estetica o, pensando a quello che la fantascienza anticipa da anni, funzionale a un aumento delle prestazioni fisiche). In un mercato che vede in costante ascesa la presenza di abitanti nei mondi virtuali dei MMORPG (giochi di ruolo multiplayer online), appare sicuramente vantaggioso per le multinazionali del videogioco interessarsi al fenomeno e continuare a fomentarlo. Solo nel 2009, la vendita di oggetti e personaggi virtuali dei videogiochi ha raggiunto i 7 miliardi di dollari. Del resto, il solo World of Warcraft, gioco ispirato alle opere di Tolkien, raccoglie circa 14 milioni di giocatori in tutto il mondo. Esiste addirittura un corso dell’oro virtuale nei confronti del dollaro, che varia di giorno in giorno, visibile sull’incredibile quanto autentico sito GameUsd. «È molto difficile fornire cifre globali precise perché la maggior parte degli acquisti non è rintracciabile. Ciò
che è certo, è che aumentano a una velocità straordinaria», spiega Castronova, secondo cui nella nostra epoca è del tutto «salutare e normale» il congiungimento delle economie virtuali e reali. Questo, inoltre, è terreno vergine e fertile sia per la ricerca accademica di carattere sociologico che per quella più banalmente tesa al commercio. Le potenzialità, pare, siano quasi infinite e pure un poco inquietanti, anche perché come dice lo stesso Castronova nel suo saggio Theory of Avatar: «Molti giocatori di MMORPG hanno dichiarato di vedersi non tanto come giocatori, ma piuttosto come cittadini di nuovi mondi. Per alcuni, la vita nella realtà virtuale sembra preferibile a quella nella realtà vera e propria».
J.R.R. Tolkien e i videogiochi
«Vale la pena notare che il progetto di Tolkien, per come è esposto in tutti i suoi scritti e non solo nelle sue opere per cui è divenuto famoso, è così vasto, così illimitato nelle sue aspirazioni, che non possiamo nemmeno immaginare le sue conseguenze sul lungo periodo. Nel breve periodo, oggi, tutto ciò che vediamo è il fatto che quasi ogni mondo virtuale che è stato creato è stato modellato sulla Terra-di-mezzo. È un fatto notevole, ma come ho detto, il cui significato è molto difficile da immaginare sul lungo periodo, ma che vale la pena considerare». (p. 298).
Sono molte le questioni legate ai mondi virtuali che si ispirano alla Terra-di-mezzo:
– Interpretazione: «Più penso alla vita e alle opere di Tolkien, più rimango impressionato dalla durata dei loro effetti. I suoi scritti hanno influenzato per una intera generazione opere letterarie, film e videogiochi, in particolare il genere MMORPG. Quest’ultimo passaggio mi crea ancora qualche perplessità, perché non mi pare aver funzionato alla perfezione. Ho incontrato parecchi elfi giocando online, e pochissimi erano in grado di comportarsi come elfi tolkieniani, intesi come umani prima della Caduta. La Terra-di-mezzo è così ricca di eroi senza macchia e acerrimi nemici che non può che essere un pessimo modello per un gioco con migliaia di persone caratterizzate in modo casuale. La naturalità e l’immersione nella parte auspicati dal role-playing comportano che le personali convinzioni e il modo di essere di ciascuno vengano necessariamente a galla».
– Coinvolgimento emotivo: Tolkien sosteneva (sempre in On Fairy Stories) che il dramma non era il genere più indicato per il fantasy: devi poter credere nel protagonista, prima di poter credere al mondo in cui vive, e questo secondo livello di incredulità, non presente in letteratura, previene l’immersione del giocatore. E di certo, se il giocatore medio non è in grado di interpretare un elfo, figuriamoci Se sarà in grado di interpretare un eroe complesso. «Forse ha qualcosa a che fare con lo stato della stessa arte del videogioco – scrive Castronova -. Ho pianto al cinema, ma non ho mai pianto durante un videogioco (o meglio, la morte di un mio personaggio mi ha spinto quasi fino alle lacrime una volta, ma non è questo il tipo di pianto di cui sto parlando). Non ho neppure mai riso ad alta voce in un videogioco. Quando ci sentiamo più immersi nel mondo inventato da Tolkien? Quando l’esercito di Rohan irrompe su quello degli orchi nel terzo libro, Il Ritorno del Re, o nel rispettivo capitolo di Peter Jackson, oppure quando giochiamo gli orchi del clan Crushbone tengono sotto assedio le foreste di Faydark in Everquest II? Nei primi due esempi, chiaramente, ma è davvero piuttosto scioccante che, nonostante questo, i videogiochi siano in grado di attrarre così tanto del nostro tempo, quando fanno un lavoro comparativamente pietoso nel coinvolgere le nostre emozioni. Ogni gioco che io abbia mai giocato non è paragonabile a un libro o a un film, ha una trama molto banale. Eppure in qualche modo è ancora più allettante di un film o di un libro». Due dei più grandi scrittori della letteratura mondiale, Tolkien e Shakespeare, sono stati trascinati di peso nei giochi di ruolo fantasy, con diverse conseguenze. Ma, dopotutto, è davvero possibile ricreare lo spirito della Terra-di-mezzo in un mondo online? E possiamo chiedere di interpretare Amleto al primo pivello che passa? Sia le opere di Tolkien, sia quelle di Shakespeare hanno molto a che fare con la realtà. «Essere online ci rende tutti degli Amleto: non realizziamo quanto il mondo virtuale sembri vero, ma piuttosto quanto quello vero sembri virtuale, e la distinzione si annulla. Voilà: immersione. Shakespeare non invoca semplicemente il virtuale, ma lo comprende in una caratteristica che accomuna tutti gli uomini. Il role-playing, dice, è naturale, qualcosa che facciamo senza neanche pensarci. Nessuno è davvero un eroe o un cattivo. Pertanto quando andiamo sul palcoscenico del mondo virtuale, non dobbiamo aspettarci di interpretare Amleto, ma piuttosto di essere Amleto, se è questo ciò che siamo». – Il mercato: «Nei primi giorni di mondi virtuali, c’erano due modi per il commercio tra gli utenti: uno basato sul concetto del mercante, dei personaggi semi-automatici il cui unico scopo è quello di stare in casa e vendere oggetti ai giocatori; l’altro era il baratto. Un personaggio si recava al mercato gridava la proprio disponibilità a vendere una certa merce per poi trattare direttamente con gli altri giocatori eventuali acquirenti. Probabilmente, il sistema del baratto è più di carattere per molti di questi mondi, per la loro atmosfera medievale. Tuttavia, il sistema delle aste su eBay si sono affermati, perché ancora più facili. Mentre le forze di mercato non possono essere combattute, forse possono essere integrate in un modo che sia più coerente all’atmosfera del mondo virtuale. Spero di sì. Mi piacciono i mondi virtuali ispirati a Tolkien e mi dispiacerebbe vederli trasformarsi solo in una vetrina per le aste di eBay».
– La morte permanente: Anche il New York Times, con un articolo
di Jonathan Glater, si è occupato del dibattuto sul problema frequente di come trattare la morte permanente dei personaggi nei mondi virtuali. L’articolo cita anche l’altro problema collegato del recupero del cadavere, spesso oggetto si sciacallaggio da parte di altri giocatori. La cosiddetta permadeath è l’impossibilità di tornare ad averli come prima della loro morte, cosa che invece accade comunemente nei videogiochi. La morte permanente è la questione più controversa nei MMORPG. A causa del desiderio dei giocatori di tenere il personaggio e le forze economiche coinvolte, videogiochi come World of Warcraft raramente prevedono la morte permanente. Everquest, il gioco esplicitamente ispirato alle opere di Tolkien, aveva un server speciale chiamato Discordia, creato nel dicembre 2003 come promozione per l’espansione Le Porte della Discordia, che prevedeva la morte permanente.The Lord of the Rings Online (LotRO), il ruolo online gioco rilasciato nell’aprile 2007 dalla Turbine, esclude del tutto la morte. «Prima di optare per questa strategia», ha detto Jeffrey Anderson, presidente e amministratore delegato della società, «gli sviluppatori hanno considerato a lungo la natura della Terra-di-mezzo di Tolkien e le aspettative dei giocatori, il target di riferimento. La prima cosa evidente è che in quel mondo immaginario la gente non può risorgere in modo casuale». Quindi, «questo poteva far pensare che il gioco ispirato al mondo di Tolkien avrebbe previsto la permadeath». Ma questa idea è stata respinta, ha spiegato Anderson, perché la morte permanente scoraggia i nuovi giocatori, che hanno maggiori probabilità di vedere uccisi i loro personaggi. «Così i personaggi non moriranno, ma lotteranno fino all’esaurimento delle loro forze. Poi cadranno in stato di incoscienza e si sveglieranno in un luogo sicuro», ha concluso l’Ad della Turbine, scusandosi anche con l’autore inglese: «Abbiamo dovuto trovare per forza un compromesso». «La presenza della permadeath nei mondi virtuali – ha però spiegato Taylor Carman, professore associato di filosofia presso Barnard – mi fa sospettare che la nostra mortalità, come sostenuto da alcuni filosofi esistenzialisti, sia una dimensione costitutiva della nostra auto-comprensione e che anche nelle fantasie utopistiche non possiamo immaginare la nostra vita senza la prospettiva della nostra stessa fine».
Tra pochi giorni, dal 25 al 26 novembre 2011 si terrà a Modena il primo dei Tolkien Seminar italiani, organizzato dall’Istituto filosofico di studi tomistici e dalla nostra Associazione, con il patrocinio della Tolkien Society inglese e della Provincia di Modena. Sarà anche l’occasione di un confronto diretto all’interno del Gruppo di studio sullo Hobbit con chi analizza e insegna negli Usa le opere del Professore di Oxford. Il momento pubblico del seminario si svolgerà venerdì 25 novembre, nella sede della Camera di Commercio di Modena (via Ganaceto, 134). Alle ore 21, a ingresso libero, sarà possibile ascoltare Verlyn Flieger e Giovanni Maddalena nella conferenza Mito e verità: la narrazione tra realtà e mistero. In vista del seminario, abbiamo già pubblicato un intervento del professor Maddalena. Ora, in esclusiva, pubblichiamo un’intervista alla professoressa americana, considerata la maggiore studiosa di Tolkien a livello mondiale insieme a Tom Shippey. Ha infatti curato Sulle Fiabe e Il fabbro di Wootton Major, dirige la rivista accademica Tolkien Studies: An Annual Scholarly Review, ha vinto ben due Mythopoeic Award per i suoi studi e in questi mesi sta dando alle stampe una raccolta di suoi saggi (Green Suns and Faerie, ne abbiamo parlato qui) e il suo secondo romanzo, The Inn at Corbies’ Caww.
1) Come si è interessata alle opere di Tolkien? Quando ha letto per la prima volta Il Signore degli Anelli?
«Mi sono sempre piaciuti il mito e le fiabe, fin da quando ho imparato a leggere. Sono cresciuta con le storie di Re Artù, Robin Hood, Giasone e gli Argonauti, la Bella e la Bestia e Jack e la pianta di fagioli. Nell’inverno 1956-57 mi prestarono Il Signore degli Anelli da un mio collega delle Biblioteca Folger Shakespeare a Washington. Avevo appena finito un corso in traduzione del Beowulf e riconobbi subito i riferimenti anglosassoni e arturiani nel romanzo. Rimasi impressionata dalla cultura di Tolkien, specialmente perché all’epoca non sapevo che fosse un professore e uno studioso. Non sapevo nemmeno come pronunciare il suo nome».
2) Sono tanti anni che include Tolkien nei suoi corsi all’Università del Maryland. Qual è ora la sua idea sull’insegnamento delle opere di Tolkien? «È difficile rispondere. Più insegno Tolkien e più diviene complicato insegnarlo. La sua opera è al tempo stesso
medievale, moderna e post-moderna; combina aspetti di epica, romance, fiaba e tragedia. È insieme profondamente ispirata e profondamente pessimista. C’è molto da insegnare agli studenti di scuola inferiore, superiore e anche all’università, soprattutto ora che è passata la moda legata ai film di Peter Jackson. Penso sia importante vedere Tolkien nel contesto culturale del suo secolo, per ricordare che quella dello scrittore è la generazione sopravvissuta alla Prima Guerra Mondiale. William Morris, Lord Dunsany e George MacDonald possono anche essere state le sue influenze più immediate, mai i suoi pari sono Ernest Hemingway, Siegfried Sassoon, Robert Graves, T.S. Eliot e Ezra Pound. Tolkien non avrebbe potuto fare quel che ha fatto con Frodo se se non fosse passato attraverso l’esperienza della guerra».
3) Tolkien, quindi, merita di essere inserito nei corsi universitari con gli altri grandi scrittori inglesi come Chaucer, Shakespeare e Milton?
«Assolutamente sì. Tolkien è uno dei grandi scrittori della letteratura inglese ed è rappresentativo della sua epoca come Shakespeare, Chaucer e Milton lo furono della loro».
4) Cosa insegna di Tolkien nei suoi corsi all’università?
«Ho iniziato nel 1974 circa, includendolo in un corso sulla letteratura fantastica (l’argomento era come Il Signore degli Anelli veniva letto negli anni Sessanta e Settanta), ma ho subito realizzato come Tolkien fosse realmente un medievista, con connessioni alle prime opere inglesi come Beowulf e tarde opere medievali come la Morte D’Arthur di Malory. Volevo allora mostrare come lo scrittore non avesse soltanto scritto racconti di letteratura fantastica, ma opere immerse in profondità nella più durevole letteratura inglese. E non era sufficiente conoscere sommariamente le opere medievale, ma gli studenti doveva leggersele molto bene per comprendere la tradizione cui Tolkien faceva riferimento».
5) Lei ha curato la nuova edizione del saggio Sulle Fiabe. Perché pensa che questo saggio sia così centrale per comprendere Tolkien? E che impatto ha avuto sulla critica che studia il mito e la letteratura fantastica? «Il saggio Sulle Fiabe è la discussione migliore e più completa che conosca su cosa siano il mito e le fiabe, a cosa servano e perché siamo perennemente popolari. Esplorando queste tematiche Tolkien stava al tempo stesso sviluppando la sua teoria della sub-creazione, su come rendere credibile il Mondo Secondario. Leggendolo, così, questo saggio offre anche uno sguardo al pensiero di Tolkien sulle sue opere. Lo scrisse nel 1938, subito dopo la pubblicazione dello Hobbit, ed è chiaro che stava già trovando gli errori commessi in quel libro e ragionando su come correggerli nel suo “nuovo Hobbit”, che poi diverrà Il Signore degli Anelli. Nel complesso, il saggio è divenuto il testo di riferimento per la critica sulla letteratura fantastica e sulla sua scrittura. È lo stesso per l’altro suo saggio famoso su Beowulf e i mostri; si può non essere d’accordo con quel che c’è scritto, ma non lo si può ignorare. Quel testo ha cambiato il volto della critica, rendendola meno tassonomica come era stata con Vladimir Propp, e più teoretica. Sfortunatamente, dopo Tolkien, gli scrittori di fantasy hanno troppo spesso seguito la lettera e non lo spirito di quel che aveva scritto. Questi hanno solo enfatizzato gli aspetti superficiali di un Mondo Secondario – per esempio, i draghi o la magia, senza un approfondimento “storico”. Quando Tolkien scrisse Sulle Fiabe e iniziò Il Signore degli Anelli, stava già lavorando sulla mitologia del Silmarillion da oltre
vent’anni. Aveva tutto quello sfondo da cui attingere».
6) La sua area specialistica di studio è la mitologia comparata. In cosa questa disciplina può aiutare nello studio delle opere di Tolkien? «Tolkien stesso fu uno studioso di miti comparati vedendo i profondi legami che uniscono tutte le mitologie, le verità universali che esprimono sulla condizione dell’uomo, e colse anche le distinzioni culturali che rendono ogni mito unico per la società che lo genera. Tolkien amava il Kalevala, la mitologia del popolo finnico, perché era così diverso dai più familiari miti europei con cui era cresciuto. Il suo più grande eroe epico, Túrin Turambar, ha aspetti del Sigurd uccisore di draghi del mito nordico/islandese, l’assenza di auto-conoscienza dell’Edipo di Euripide, ma è stato modellato essenzialmente sulla tragedia dello “sfortunato Kullervo” del mito finnico».
7) Con Splintered Light (Schegge di Luce, Marietti 2006) e A question of time lei ha evidenziato l’importanza centrale delle tematiche legate alla “luce” e al “tempo” in Tolkien. Pensa che ci siano altri temi centrali nelle sue opere? «Sì, un tema importantissimo è quello della “morte”, più evidente nel Simarillion che nel Signore degli Anelli, ma presente anche lì. Una delle più belle poesie è il lamento allitterativo per i guerrieri caduti nella battaglia dei Campi del Pelennor. La “possessività” è un altro tema, il desiderio di tenere per sé qualcosa. L’elemento centrale della trama nel Signore degli Anelli è la necessità di lasciar andare le cose a cui si è legati: Pipino si disfa persino della sua spilla, Sam sacrifica i suoi utensili per cucinare, ma quando viene il momento, Frodo non riesce ad abbandonare l’Unico Anello, e questo causa la sua caduta e la sua tragedia. Questo ci porta al tema a esso legato, quello della “perdita”. Molto di ciò che c’è di bello e meraviglioso della Terra-di-mezzo svanirà per sempre».
8 ) Nel suo saggio Tolkien On Fairy-Stories lei e l’altro autore Douglas A. Anderson scrivete che l’analisi che Tolkien fa dei racconti di fate «anticipa il pensiero modernista e post-modernista della sua epoca e quello successivo» (pag. 20). Può spiegarci cosa intendete?
«Posso comparare Il Signore degli Anelli alla Terra Desolata di T.S. Eliot, un classico della letteratura modernista, in quanto entrambi descrivono un mondo frammentato, un mondo in decadenza, afflitto dalla guerra e incerto sulle sue verità. Quando Aragorn dice a Éomer: “Bene e male non sono cambiate
rispetto al passato”, Tolkien sta parlando del e al suo secolo travagliato, che non era per nulla sicuro di esser nel giusto. È proprio quel che stava facendo Eliot. Tolkien è uno scrittore post-modernista in quanto il suo testo interroga sé stesso, parla di sé, è conscio di sé stesso come testo. Nella scena tra Sam e Frodo sulle scale di Cirith Ungol, Sam si domanda in che tipo di storia si trovano, e come la gente in una storia reagisce diversamente dalla gente che la ascolta. Egli vuole essere in “un grande librone con lettere rosse e nere”. Quando Frodo dice, “Perché Sam, ascoltarti mi rende allegro come se la storia fosse già scritta”, il lettore realizza che il racconto è già scritto, lo sta tenendo in mano in quel momento e che Sam non lo sa. Questa è la quintessenza del post-moderno. Non ci può avere più meta-narrazione di questa».
9) Quale è stata, secondo lei, l’influenza di Tolkien sulla letteratura fantastica nel suo complesso?
«Tolkien ha permesso di far considerare seriamente la fantasy. Se Tolkien non avesse scritto Il Signore degli Anelli, George Lucas non avrebbe potuto produrre Guerre Stellari. Il suo impatto è stato enorme, e non ha generato il genere Fantasy più di quanto non ne sia un’espressione. Gli scrittori che si sono ispirati a lui, sono per lo più semplici imitatori, che hanno replicato gli elementi superficiali delle sue opere – un piccolo eroe o un anti-eroe, una quest, un oggetto magico, una mappa con luoghi esotici, alcune parole in corsivo per rappresentare un’altra lingua. Ciò che non hanno saputo riprodurre è l’umanità di Tolkien, il suo senso profondo che ci si trova in un mondo caduto, con le gioie e dolori che segnano le caratteristiche della sua Terra-di-mezzo».
10) Quando verrà pubblicata la sua nuova antologia di saggi, intitolata Green Suns and Faërie: Essays on J.R.R. Tolkien? Ci sono altre pubblicazioni in vista?
«Spero uscirà per dicembre. Mi aspettavo uscisse insieme al mio ultimo romanzo fantasy The Inn at Corbies’ Caww, ma è stato pubblicato a settembre. La mia raccolta di saggi era programmata per l’agosto scorso, ma fattori legati all’editore, la Kent State University Press, lo hanno ritardato oltremodo. Si tratta di una collezione di saggi [ISBN 978-1-60635-094-2; prezzo negli Usa 24.95 dollari, intorno ai 18 euro] che riunisce molte delle mie conferenze tenute in questi anni, con l’aggiunta di alcuni studi inediti. In copertina appare l’immagine The Glittering Caves of Aglarond di Ted Nasmith».
Roberto Arduini
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