Gli echi tolkieniani in Ufo 78 di Wu Ming

presentazione-del-libro-ufo-78Perché parlare dell’ultimo romanzo di Wu Ming – UFO 78, Einaudi 2022 – su un sito dedicato all’universo tolkieniano? Be’, perché quando un membro di un collettivo di autori è anche uno studioso tolkieniano – stiamo parlando naturalmente di Wu Ming 4 – succede che Tolkien, per dirla con le parole usate da lui stesso a proposito del Silmarillion: «È risalito a galla, si è infiltrato e probabilmente ha contaminato tutto ciò […] che io ho provato a scrivere da allora» (Lettere n. 124).
Non parleremo dunque, se non brevemente, del libro in sé, ma di quelle sue parti dove il Professore «si è infiltrato» per scelta del membro del collettivo di cui sopra, condivisa ovviamente con gli altri. Parleremo in definitiva di Uova di Pasqua – o Easter Eggs, per chi tiene alla lingua originale – disseminati qua e là nel testo per il puro piacere di chi ce li ha messi e di chi vorrà andarli a cercare. Allerta spoiler: chi volesse cercare da sé gli Easter Egg farà meglio a non proseguire. Si tenga presente, tuttavia, che lo svelamento dei medesimi non compromette la lettura del romanzo.

Gli Anni Settanta secondo Wu Ming

Ufo-78UFO 78 è un libro singolare. Inevitabile nel percorso di crescita degli autori, forse, data la loro storia personale, ma, e probabilmente proprio per questo, progettato deliberatamente secondo una modalità “laterale” tesa a spiazzare il lettore. Siamo ovviamente nel 1978 delle Brigate Rosse e del sequestro/delitto Moro, ma il “vero” argomento del libro – e già in questo c’è un po’ di Tolkien, se si pensa al Sauron del Signore degli Anelli – non compare mai in primo piano. Viaggia infatti sempre sullo sfondo, vuoi letteralmente, come nella Renault 4 rossa della copertina, vuoi narrativamente, nella forma dell’ambiente circostante i personaggi che vi sono, sì, immersi, ma allo stesso tempo vivono le loro vicende private. Come promesso non ci dilunghiamo oltre, ma lasciateci dire che, uova di Pasqua a parte, il libro merita pienamente la lettura e ha qualcosa da dire a tutte le generazioni. I boomer, quorum quis scribit, ci ritroveranno un controverso pezzo della loro gioventù, gli X, Y, Z e quant’altro ne ricaveranno un quadro interessante e umano di ciò che quel pezzo di gioventù fu per chi lo visse.

Le uova di Pasqua

p. 7: il nome del comune in cui si svolge la sottotrama principale, Forravalle, richiama con assoluta evidenza la Valforra del Signore degli Anelli nella traduzione di Ottavio Fatica. Dalla visibilità quasi eccessiva del primo “uovo” traspare chiaramente la sua funzione di segnale di partenza per la ricerca di altri meglio nascosti.

p. 7: compare Elio Gornara detto Gheppio, viceispettore della Forestale. Come se già quest’ultimo particolare non bastasse, a p. 9 il nuovo personaggio esibisce una pipa. Di lui, tuttavia, parleremo meglio più avanti.

p. 42: L’immaginario massiccio del Quarzerone, forse il vero protagonista della storia, “svetta sullo sfondo, simile a una larga corona a tre punte”. Abbiamo qui, in un colpo solo, un riferimento ai picchi del Thangorodrim e uno alla corona ferrea di chi nel Silmarillion vi dimora sotto. Va detto che, considerando gli sviluppi della trama, l’analogia simbolica è meno forzata di quanto potrebbe sembrare.

p. 59: Al bar Ragno azzurro di Forravalle un primo avventore attira l’attenzione del visitatore forestiero su un secondo, al quale quindi si rivolge:

Quanto li abbiamo cercati, vero Gheppio? – disse girando la testa verso il tavolino alle sue spalle, dove sedeva un uomo in penombra. Indossava una divisa grigioverde, da forestale, e se ne stava in silenzio, con la pipa spenta in bocca. Aveva l’aria serafica di un capo indiano. Li guardò senza dire nulla.

Beh, se il Gheppio del Ragno azzurro di Forravalle, al secolo l’Elio Gornara di p. 7, non vi ha fatto pensare al Passolungo del Cavallino Inalberato di Bree, forse è davvero ora di rileggere Il Signore degli Anelli:

A un tratto Frodo notò che un uomo dall’aria strana e dal viso segnato dalle intemperie, seduto in ombra vicino alla parete, seguiva attentamente i discorsi degli hobbit. Davanti a sé aveva un alto boccale di metallo e fumava una pipa dal lungo cannello curiosamente intagliato. Le gambe, che teneva allungate, mettevano in mostra un paio di stivaloni su misura di morbida pelle ma logori per l’uso e ora incrostati di fango. Un mantello di pesante panno verde scuro, che portava i segni del viaggio, lo avvolgeva stretto e, malgrado il caldo della stanza, portava un cappuccio che adombrava il viso.

Aragorn di Bakship. 60: Ancora Gheppio, del quale, a delinearne meglio la fisicità, leggiamo:

 Vederlo da vicino confermò la prima impressione: il naso aquilino e l’incarnato olivastro gli davano un aspetto amerindio. Le pupille nerissime contribuivano all’immagine d’insieme.

Questa, va detto, è più difficile; quanti però, di fronte al colorito dell’Aragorn del cartoon di Bakshi del 1978 (lo stesso anno del titolo del romanzo, sebbene questa sia davvero una coincidenza) non hanno pensato a un nativo americano?

Per chiudere su Gheppio, adesso che tutti ma proprio tutti ci sono arrivati, possiamo svelare che il cognome Gornara, peraltro credibilissimo, altro non è, fateci caso, che l’inverso di Aragorn (Gorn-ara <–> Ara-gorn). Era lì da p. 7, proprio sotto i nostri occhi.

p. 142: Vengono qui citate le parole dell’immaginario poeta pontremolese Pellegrino Gandolfi. Se il nome, riteniamo, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, il testo del suo accorato invito a reagire alla drammatica situazione creata dalla vicenda Moro, forse sì:

Dobbiamo affrontare il frangente con tanto coraggio quanta poca speranza. Perché può ben darsi che vada estinguendosi lo spazio per l’intelligenza critica e lo scandalo della poesia; sicché, dovessimo pur protrarre le nostre esistenze nel tempo a venire, non sarebbe comunque vita, non sarebbe avvenire. Ma il nostro dovere è questo, io credo. Camminare attraverso la terra di nessuno, affilando cuore e cervello, vergando parole che cerchino chiunque non voglia cedere all’insensatezza. Sempre meglio comunque che perire lo stesso – cosa che succederà senz’altro se accettiamo di schierarci in questo scontro – sapendo, mentre intruppiamo le nostre coscienze, che non ci sarà un nuovo giorno.

Se il nome era facile, questa era difficile. Oltre a quello, infatti, anche il testo riecheggia il Gandalf dell’ultima consulta:

Dobbiamo penetrare a occhi aperti in quella trappola, con coraggio, ma con poca speranza per noi. Perché, miei signori, può ben darsi che periremo tutti in una nera battaglia lontano dalle terre vive; talché, dovessimo pur rovesciare Barad-dûr, non vivremo per vedere una nuova era. Ma il nostro dovere, io ritengo, è questo. Sempre meglio comunque che perire lo stesso – cosa che succederà senz’altro se restiamo qui – sapendo, mentre moriamo, che non ci sarà una nuova era (RdR, V, IX).

p. 178: Prima di un intervento cruciale per una svolta della storia, compare qui la descrizione di chi si accinge a parlare:

Dal divano la voce di Rossella giunse limpida. Sedeva a gambe incrociate, le mani sul ventre e i capelli canditi di luce primaverile.

Ancora un piccolo omaggio a Ottavio Fatica, e al suo italiano sfidante e ricercato che tanto ha scandalizzato molti incluso chi, cambiata platea e microfono, lo accusava poi di banalizzazione del testo:

Un fulmine si ramificò piombando sulle alture orientali. Nella campitura d’un istante gli osservatori sulle mura videro tutto lo spazio tra loro e la Diga candito dalla luce: nel ribollio strisciavano nere sagome, alcune larghe e tozze, altre alte e truci, con grandi elmi e lugubri scudi (LdT, III, VII).

Ai meritevoli che trovano arricchente sfogliare il dizionario anziché lamentarsi della fatica di doverlo fare, risparmiamo con piacere la ricerca di “candire” – diretto derivato del latino candēre, “esser bianco” – che vuol dire “imbiancare”.

p. 261: Oltre a essere naturalmente un forestale, Secondo Marfari detto Astore, collega di Gheppio, ha due caratteristiche interessanti: è, dal nome, un secondogenito, e il suo cognome è l’anagramma di Faramir (a differenza di Gheppio il carattere non corrisponde, ma questa è un’altra storia).

p. 337: Milena Cravero, assistente universitaria di antropologia culturale “embedded” per motivi di ricerca nel G.R.U.C.A.T., “Gruppo ricercatori ufologi e clipeologi associati Torino”, riceve la tessera di Socio Onorario del Gruppo, sulla quale:

spiccava il simbolo del gruppo. Sette stelle, unite da un tratto leggero, a formare l’inedita costellazione del Disco Volante.

In altre parole, il simbolo di Elendil, o parte di esso, sulla tessera del serissimo (e serioso) gruppo di appassionati:

E tutti gli occhi seguirono il suo sguardo, ed ecco che sulla nave di testa eruppe un grande stendardo che il vento dispiegò mentre lo scafo virava verso lo Harlond. Ivi sbocciava un Albero Bianco, che stava per Gondor; ma era circondato da Sette Stelle e sormontato da un’alta corona, le insegne di Elendil che nessun signore portava ormai da anni incalcolabili (RdR, V, VI).

Una tessera esibita con orgoglio è a suo modo uno stendardo, dopo tutto.

p. 350: Questa, come già Forravalle, è per chi vuole vincere facile:

Girava però il nastro di un concerto alla festa tricolore di Poggio Tumulo, frazione del Comune di Marese (Lt).

Non crediamo sia necessario aggiungere altro, se non magari sottolineare il secondo piccolo omaggio a Ottavio Fatica, che ha introdotto il “marese” nel Signore degli Anelli (LdT, IV, II).

p. 384 “Rossella la Salvatrice espugna Thanur con la sua armata di devoti redivivi”. A dispetto del tono, che nel romanzo non è epico ma sarcastico e amareggiato, impossibile non notare in questa affermazione un’eco della Grigia Compagnia e dell’arrivo dei Fedifraghi alla battaglia di Pelargir.

p. 406: in una conversazione sul disimpegno e la voglia di sognare, troviamo:

– Però, – disse, mentre Milena si riempiva il calice – consideriamo il nocciolo di verità di questi discorsi sull’evasione. Un desiderio di fuga c’è, è innegabile. Io stesso, come ti dicevo, ho cominciato a sbattermene altamente del caso Moro coi suoi annessi e connessi. Semplificando, sono fuggito. Sono evaso. Perché la parola evasione viene usata con quel tono di condanna? A chi piace stare in prigione?

Abbiamo qui un’evidente omaggio, veicolato attraverso una “citazione a chiave”, al “manifesto” letterario tolkieniano per eccellenza:

Perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e di tornare a casa? Oppure, se non lo può fare, se pensa e parla di argomenti diversi che non siano carcerieri e mura di prigione? Il mondo esterno non è diventato meno reale per il fatto che il prigioniero non lo può vedere. Usando Evasione in questo senso, i critici hanno scelto la parola sbagliata e, ciò che più importa, confondono, non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore (“Sulle Fiabe”).

pp. 430-431: L’uovo più grosso di tutto il cesto riguarda purtroppo un particolare del finale della storia, e qui l’allerta spoiler ci sta tutta anche se, come sopra anticipato, la cosa in definitiva non compromette la lettura più di tanto. Si tratta di questo passaggio:

Oltre quella fenditura c’erano dei gradoni. Parevano tagliati nella pietra e salivano verso l’alto. […] Giunse su una cornice stretta e la percorse senza guardare giù […] Infine si ritrovò in un piccolo slargo, un terrazzo naturale sulla costa della montagna. Una corona di massi e ginestre celava il posto alla vista dal basso; dall’alto invece, lo nascondeva l’inclinazione della parete.

Seguito poco dopo da quest’altro:

Il sole fece capolino. I raggi andarono a riflettersi in un punto preciso, producendo un bagliore metallico.

Nel frattempo, altrove:

Verso mezzogiorno, strisciando dietro una grossa pietra che si stagliava solitaria come una colonna, Bilbo si imbatté in quelli che sembravano grezzi gradini che salivano verso l’alto […] Silenziosamente, aggrappandosi alla parete rocciosa alla loro destra, avanzarono in fila indiana sulla cornice, fino a sbucare in un piccolo slargo chiuso da pareti scoscese, una radura d’erba immota e silente. Il suo accesso, che avevano trovato per caso, non si poteva vedere né da sotto, a causa della sporgenza della rupe, né da lontano, perché era così piccolo da sembrare una fessura nera e nulla più.

E poco dopo:

Poi, d’improvviso, quando le loro speranze stavano svanendo, un rosso raggio di sole sbucò come un dito da uno squarcio nelle nubi. Un fascio di luce solcò il varco nella rupe e colpì la parete liscia (Lo Hobbit, Cap. 11).

Il Quarzerone, già Thangorodrim a p. 42, diventa d’improvviso la Montagna Solitaria.

p. 442: Il cognome del maresciallo Mereo, come già quello del viceispettore Gornara, non è altro che un inverso, in questo caso di Éomer (Mer-eo <–> Éo-mer).

E questo, gente, è tutto, salvo eventuali uova sfuggite alla caccia. Da studiosi tolkieniani non possiamo che aggiungere di essere ben contenti che gli scritti del Professore affiorino e influenzino un romanzo decisamente “contemporaneo” quale UFO 78, con buona pace di chi pensa, o finge di pensare, che i Classici non abbiano più nulla da dire o, peggio, che per dirlo debbano essere “adattati” ai tempi.

 

DETTAGLI EDITORIALI
Autore: Wu Ming
Editore: Einaudi
Collana: Stile libero
Anno edizione: 2022
Formato: Tascabile
In commercio dal: 11 ottobre 2022
Pagine: 520 p., Brossura
EAN: 9788806248918

 

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