«Lo Hobbit? Più che Tolkien è tecnologia»

Libro: Dictonnaire Tolkien di Vincent FerréCi sono alcuni dettagli che mostrano l’influenza di un autore aldilà del solo numero dei suoi lettori: possono essere seminari, conferenze o associazioni di appassionati che si dedicano a lui. Possono essere libri, saggi, studi sulla sua opera e la sua carriera. Tutto questo denota un riconoscimento e un interesse che non è alla portata di tutti gli scrittori. Mostrare questo interesse e spiegarne le motivazioni è esattamente lo scopo del Dictionnaire Tolkien, un libro, o, più precisamente, un dizionario enciclopedico che ha visto la partecipazione di oltre 60 persone per un periodo da fine del 2008 all’estate 2012. La casa editrice Cnrs Editions lo ha inserito in una collana di dizionari in cui sono usciti in contemporanea anche volumi dedicati a Gustave Flaubert, Alexandre Dumas e André Malraux e J.R.R. Tolkien, per presentare «la migliore ricerca francese ed europea, risultata da convegni, università e centri d’eccellenza che trasmettono l’avanzamento della conoscenza presso il grande pubblico». Appena uscito in lingua francese, in circa 340 voci (oltre 600 pagine) è la fotografia di tutto il mondo immaginario di Tolkien e in parte della sua biografia, vale a dire, il mondo secondario e il mondo primario. Oltre le voci e la presentazione, il dizionario è arricchito da riferimenti, fonti e suggerimenti per estendere il testo. In effetti, data la moltitudine e la varietà degli autori, nelle voci vi è una notevole differenza che va da quelle che hanno appena alcuni paragrafi a quelle di più pagine e da un solo redattore fino a un intero gruppo. Un elenco di autori e delle aree studiate è disponibile sul sito internet del direttore di questo libro, Vincent Ferré. È importante chiarire una cosa: questo libro non è una traduzione di un testo inglese, è un testo scritto da autori francofoni per i lettori francofoni ed è quindi un sorprendente riconoscimento ai redattori, ai nomi dei relatori delle conferenze di Rambures (2008) e Cerisy (2012) e degli altri autori di libri su Tolkien. Dell’importanza del Dictionnaire Tolkien ci parla proprio il curatore Vincent Ferré in un’intervista esclusiva all’Associazione romana studi Tolkieniani.

L’intervista
Per quale ragione ha scelto la forma di un dizionario per approfondire Tolkien?

Vincent Ferré«L’opera di J.R.R. Tolkien è talmente ricca e, possiede così tante sfaccettature – i racconti della terra di Mezzo (che si svolgono in diversi momenti della storia e sono stati redatti in prosa o in versi, su cinque decenni) i libri per bambini, i saggi sulla letteratura, le lingue; il rapporto con i testi medievali… – che proporre diversi approcci e sguardi complementari sembra fedele allo spirito di quest’opera. In tutto, hanno partecipato, 63 autori scrivendo da 1 a 15 articoli, che discutono, si rispondono, si completano talvolta, per quanto attiene al loro argomento specifico: letteratura inglese, medievale, comparata, ma
anche filosofia o storia, ma sempre attenendosi in maniera variabile a Tolkien. Questo perché il Dizionario si avvale ugualmente di accademici e studiosi non universitari, ma che hanno lavorato su quest’autore nel corso dei loro studi (con tesi, master o dottorati) e persino di lettori di Tolkien che pubblicano da anni su internet. Anche se fuori dall’istituzione universitaria, quindi, si tratta di lavori di notevole qualità».

Potrebbe dirmi di più sul tipo di ricerca effettuata su quest’autore e la sua opera?
Convegno: "Emergence de la recherche en neo medievistique"«Tolkien ha iniziato a essere studiato all’università da qualche anno, ma gli studi pubblicati in francese restano ancora pochi. Ho dunque sollecitato tutte le persone che hanno pubblicato studi autorevoli sull’autore: Isabelle Pantin, Leo Carruthers, Anne Besson, Michaël Devaux… Tutti, con l’unica eccezione di Irene Fernandez (purtroppo) hanno potuto partecipare al Dizionario. Poi ho contattato tutte le persone di cui conoscevo l’interesse per Tolkien e i cui lavori erano conosciuti dai lettori francofoni di Tolkien. È una delle particolarità francesi in rapporto alla letteratura a far sì che molti lettori desiderosi di condividere il gusto per uno scrittore propongano, via internet, dei testi spesso molto accurati e di qualità; questo è particolarmente vero nel caso di Tolkien, per cui il primo progetto in tal senso, nato alla fine degli anni ’90, ha coinciso con lo sviluppo del web in Francia. Infine, ho contattato Thomas Honegger, professore di letteratura medievale inglese all’università di Jena (Germania) e direttore di una casa editrice svizzera [Walking Tree Publishers, ndr] che pubblica da una quindicina d’anni, in inglese, molti importanti studi su Tolkien: lavorare con questa casa editrice, all’avanguardia su tutto quello che concerne la conoscenza dello scrittore, rappresenta per me la certezza di combinare il punto di vista francofono, molto vicino al testo, e il meglio della critica anglofona».

Nel corso delle sue ricerche, che cosa l’ha colpita sulla percezione di Tolkien o al contrario su ciò che non si sa di lui?
Libro: "Dictionnaire Tolkien" di Vincent Ferré«Ciò che ci ha collettivamente colpiti è l’immagine riduttiva che viene data di questo scrittore, la cui opera è spesso ridotta a uno o due romanzi – Il Signore degli Anelli e più recentemente Lo Hobbit – sebbene essa annoveri dozzine di testi. E ci ha colpito il fatto che la sua personalità, fondamentalmente refrattaria alla “mediatizzazione” e alla celebrità, sia stata occultata da un’immagine pubblica semplicistica: il professore e il filologo, preoccupato di trovare una forma d’insegnamento il più possibile formativa per i suoi studenti di Oxford (ha insegnato per 35 anni!); il commentatore avveduto del XX secolo (delle due guerre mondiali, dell’evoluzione delle società occidentali, della corsa alla tecnologia); l’autore desideroso di combinare i suoi gusti personali per la letteratura medievale con la convinzione che la letteratura debba aiutare a vedere e comprendere il mondo… Tutte queste sfaccettature sono talvolta difficili da percepire insieme, il che spiega perché l’immagine mediatica di Tolkien sia sovente
riduttiva, dunque ingiusta».

Che cosa s’intende quando si rimprovera a Tolkien un certo conservatorismo?
Dictionnaire Tolkien«Ma chi lo rimprovera? Questa critica è abbastanza recente: in Francia risale agli anni ’80, quando un giornalista (ho ritrovato l’articolo, negli archivi del suo editore francese, Cristian Bourgois editore) scrisse che la Contea (il paese degli Hobbit) fosse un’età dell’Oro, un luogo idilliaco… Il che è ampiamente un controsenso, ma un controsenso che è stato poi ripetuto negli articoli pubblicati in seguito – si sa come nascono i cliché e i luoghi comuni nei mass media. Effettivamente Tolkien celebra la natura e le relazioni umane, in un quadro rurale preservato da una certa modernità industriale, ma nello stesso tempo, si burla degli abitanti che si rifiutano di vedere il mondo esterno, passando il loro tempo in rivalità campanilistiche, per cui la loro stessa taglia (gli Hobbit sono alti un metro) simbolizza la piccolezza morale… Tolkien è sempre nella sfumatura e nella complessità. Ora gli stessi elementi possono essere valorizzati o criticati, a seconda della tendenza politico (o dei pregiudizi) dei lettori: Tolkien è ecologista ante litteram o contro il progresso? Mi sembra che la risposta dipenda ampiamente dal lettore, che può prendere conoscenza dell’opera nella sua complessità o scegliere in maniera semplicistica di incollare un’etichetta su quest’autore. L’interesse del Dizionario di Tolkien è anche quello di permettere ai lettori, che conoscano o meno Tolkien, di farsi un’idea sulla base di elementi tangibili e fondate, aldilà dei cliché».

Secondo lei, quali sono i punti di forza e i punti di debolezza degli adattamenti di Tolkien al cinema?
Vicent Ferré«Non mi posso pronunciare su Lo Hobbit che si annuncia; l’impressione, tuttavia, è che Peter Jackson si meno interessato ad adattare Tolkien (e come potrebbe, dato che sono stati annunciati tre film a partire da un romanzo tre volte meno lungo del Signore degli Anelli?) quanto piuttosto di esplorare il mondo e le tecnologie cinematografiche che ha creato nella sua precedente trilogia. Ciò che mi rimane in positivo dei tre film diffusi nel 2001/2003, è il lavoro realizzato da Alan Lee e John Howe, artisti che illustrano le opere di Tolkien da trent’anni e che hanno messo il loro talento e la loro visione al servizio della necessaria “verosimiglianza” del mondo presentato allo spettatore. Ma il merito principale dei film è (ai miei occhi) di aver permesso a numerosi spettatori di scoprire il romanzo e, talvolta, altre opere di Tolkien (come ad esempio I Figli di Húrin)».

Perché Signore degli Anelli è diventato un fenomeno della società? È già un classico?
Convegno Francia: Charles Delattre e Vincent Ferré«Gli esperti della ricezione di Tolkien concordano nel dire che la ricchezza, la complessità delle sue opera, così come la sua “plasticità”, è il segreto del suo successo: i testi di Tolkien sollecitano l’attività creatrice del lettore, sia sotto forma di racconti (numerosi fan hanno
scritto racconti che si svolgono in questo universo), sia di illustrazioni o di attività ludiche (giochi di ruolo, videogiochi…). Inoltre, Tolkien è uno dei più grandi “traghettatori” del XX secolo: permette ai lettori di accedere a un’eredità “europea”, rimaneggiata nella sua opera, combinando letteratura medievale e letteratura antica, le fiabe e l’eredità romantica. I lettori sentono l’autenticità di questa profondità storica e letteraria. E, nello stesso tempo, la letteratura dell’immaginario (il fantasy nel caso di Tolkien) resta un genere al margine, fatto per piacere ai lettori perché fuori dall’istituzione scolastica e universitaria. In realtà, Tolkien non è che un classico se non in alcuni ambiti: lo Hobbit è un classico della letteratura per ragazzi. Il Signore degli Anelli è un classico del fantasy, ma nello stesso tempo egli è apprezzato e ormai insegnato nella scuola secondaria, nei licei, nelle università, leggere Tolkien permette al lettore di essere libero di dare il proprio giudizio, senza alcuna prescrizione esterna».

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The Return of the Ring: parla Peter Gilliver

Peter GilliverTra gli ospiti di riguardo al “Return of the Rings”, che inizia domani e di cui abbiamo parlato qui, ci sarà anche Peter Gilliver. È uno dei tre autori (insieme con Jeremy Marshall ed Edmund Weiner) del volume The Ring of Words: Tolkien and the Oxford English Dictionary. Tutti gli autori sono redattori di lunga data del OED e la loro esperienza apre prospettive nuove sull’attività di Tolkien come lessicografo (lavorò ad alcuni lemmi del dizionario dal 1918 al 1920) e rivelano indizi interessantissimi su come il lavoro professionale dello scrittore all’Oxford English Dictionary influenzarono il linguaggio nel suo mondo immaginario. La Tolkien Society inglese lo ha intervistato e ha offerto a noi l’esclusiva della traduzione in italiano. Eccovi quindi l’intervista integrale.

Cosa ti ha fatto diventare un lessicografo?
«La risposta breve è che, nel 1987, ho visto un annuncio e fatto richiesta! In realtà, non ho nemmeno visto l’annuncio: un amico (a cui sarò eternamente grato) stava leggendo il New Scientist e mi ha detto: “Ehi Peter, so che ti piacciono le parole, lo hai visto questo?” Io di certo non avevo preso in considerazione prima di allora la lessicografia come una possibile professione, non mi ricordo nemmeno di aver mai pensato che i dizionari che usavo spesso fossero scritti da qualcuno, per non parlare del fatto che avessi mai pensato al fatto che questo fosse una cosa divertente da fare. E il mio percorso fino a quel momento – un lettorato in matematica all’università di Cambridge, un anno di lavoro presso la Bodleian Library di Oxford e poi un master in Scienze dell’Informazione all’università di Sheffield – non era rivolto nella direzione di lavorare con la lingua inglese. Mi considero molto fortunato ad aver ottenuto il lavoro. Anche se, forse, guardando indietro c’era qualcosa di inevitabile: nonostante i miei interessi scientifici, ho sempre avuto un fascino per le lingue, senza dubbio a causa della mia situazione familiare. I miei genitori erano entrambi insegnanti di inglese e la mia famiglia parlava (anzi dibatteva) sulla lingua tutto il tempo. Così forse era nel mio sangue».

Libro: "The Ring of words" di Peter Gilliver, Jeremy Marshall ed Edmund WeinerNello scrivere The Ring of Words qual è la cosa più affascinante che avete scoperto?
«Penso la cosa più interessante sia stato realizzare che io e i miei colleghi autori condividevamo un terreno comune con Tolkien per via del nostro lavoro. Una delle cose che costituiscono il fulcro dei processi creativi di Tolkien è stato il modo in cui riuscì a concentrarsi su una sola parola – e questa concentrazione, pensando alle origini della parola e a tutte le ramificazioni del suo significato – era il punto di partenza per un volo della su immaginazione fantastica e portava alla genesi di una qualche nuova idea nella Terra-di-mezzo. Ma concentrandosi su una sola parola è l’essenza di ciò che un lessicografo fa: questo è quello che facciamo, quasi tutto il giorno, tutti i giorni. Naturalmente, da parte sua Tolkien ha avuto una straordinaria immaginazione da aggiungere al processo, mentre io purtroppo non riesco a far
lo stesso!».

Alcune delle parole inventate da Tolkien stanno cominciando a diventare uno standard nella lingua inglese. Dopo aver scritto il libro, avete trovato qualcuno dei nuovi conii di Tolkien che è entrato nell’OED?
«Non so quali delle parole inventate da Tolkien siano state aggiunte al dizionario prima della pubblicazione del nostro libro, ma la parola “Ruel-bone” [un termine raro per un particolare tipo di avorio, forse la varietà fatta dalla zanna di tricheco], che abbiamo rivisto di recente, fornisce un altro esempio di un parola pre-esistente cui lo scrittore ha dato nuova vita usandola. Non è ancora esattamente una parola d’uso comune, ma sembra essere stata ripresa da altri scrittori fantasy – e l’uso che ne ha fatto Tolkien sembra la spiegazione più probabile».
Quanto credi sia stato importante il periodo che Tolkien ha passato sull’Oxford English Dictionary nel plasmare i suoi lavori accademici e non accademici?
«Non è importante, è stato cruciale! Difficilmente sarebbe divenuto un filologo senza quel periodo di “tirocinio” all’OED (sulla base della formazione ricevuta in precedenza come studente universitario) e, come ho già detto, lo ha anche incoraggiato verso quel modo particolare di pensiero (immaginativo) che ha giocato un ruolo chiave nella sua scrittura creativa».

Qual èil tuo libro di Tolkien preferito, e quale personaggio e luogo?
«Il libro preferito è Il Signore degli Anelli perché esemplifica tutte le cose che mi piacciono della sua scrittura. Il personaggio preferito? Non posso davvero dirne uno perché quando penso al suo mondo, è l’interazione di tutti i personaggi che, per me, lo rende reale. Per il luogo preferito potrei dare la stessa risposta, per gli stessi motivi… ma dirò il Campo di Cormallen, solo perché quando il menestrello canta e “la loro gioia era come spade”, mi trascina ogni volta che lo leggo».

Appunti di Tolkien per l'Oxford English DictionaryPerché pensi che Tolkien sia ancora oggi un autore così popolare?
«Ehm… non ci sono persone hanno scritto libri su questo argomento?! Penso che ci siano tanti motivi: la ricchezza del mondo da lui creato, che attira con il suo incredibile livello di dettaglio (alcuni dei quali solo intravisti), la sua incredibile abilità nel raccontare una buona storia, e la sua abilità nel padroneggiare i diversi tipi di registro linguistico per scriverla… Penso che per le persone che amano Tolkien sia spesso difficile dire esattamente il perché, e io sono probabilmente uno di loro. Se proprio devo scegliere un motivo, probabilmente direi che è la potenza che ha la sua scrittura di coinvolgermi e di commuovermi. Ma questo solleva tante altre domande!».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Beh, la revisione dell’OED impegnerà me e i miei colleghi ancora per un bel po’ – e non riesco a pensare agli altri lavori che preferirei fare! Ma sto anche cercando di finire la storia di questo progetto, la sto scrivendo nel mio tempo libero, e che dovrebbe essere pubblicato dalla Oxford University Press tra un paio d’anni, se riesco a mantenere il programma».

Cosa ti aspetti dal convegno “The Return of the Ring”?
«La possibilità di incontrarsi e scambiare idee con gli altri studiosi di Tolkien. E per sapere se qualcun altro è d’accordo con le idee esporrò nel mio intervento».

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Christopher Tolkien su Le Monde: «Un circo Barnum su mio padre»

Christopher TolkienNon capita tutti i giorni di vedere ben cinque pagine dell’inserto culturale del prestigioso Le Monde dedicate a J.R.R. Tolkien! L’evento le meritava tutte: il numero del 7 luglio ha presentato ai lettori una lunga intervista a Christopher Tolkien, 87 anni, figlio dell’autore del Signore degli Anelli. Già di per sé è un piccolo evento: sono, infatti, oltre 40 anni che Christopher non rilasciava dichiarazioni in merito all’opera letteraria del padre. L’intervista, però, è destinata a far clamore, perché si fanno delle critiche esplicite a tutto quel che oggi gira intorno al nome Tolkien. Il silenzio è un capriccio? Sembra proprio di no, visto che Christopher, distinto inglese con un accento da alta borghesia trasferitosi nel 1975 nel sud della Francia con la moglie Baillie e i due figli, è anche l’esecutore letterario di tutte le opere del padre. È grazie a lui se i lettori hanno potuto conoscere molte delle opere inedite del Professore di Oxford, tra cui la monumentale History of Middle-earth, la Storia della Terra-di-mezzo, in cui sono pubblicati in maniera “filologica” molti dei manoscritti che sono alla base del Signore degli Anelli e del Silmarillion.

 

Il silenzio di Christopher Tolkien è dovuto a un altro motivo: il divario vertiginoso, quasi un abisso, che si è aperto ormai tra gli scritti di suo padre e il loro enorme successo commerciale, in cui egli non si riconosce. Soprattutto dopo la realizzazione dei tre film sul Signore degli Anelli da parte del regista Peter Jackson, tra il 2001 e il 2003, si è formato attorno all’opera di Tolkien una sorta di universo parallelo. È un mondo scintillante fatto di immagini, gadget, figurine, magliette, giochi da tavolo, che in parte mascherano o travisano lo scritto originale e lo rendono ormai un culto più che un romanzo serio. Per non parlare degli interessi economici da miliardi di dollari che vi sono legati, di cui la maggior parte non viene devoluta agli eredi, che vorrebbero invece essere attenti alla tutela e alla trasmissione dell’opera letteraria più che al mercato che vi è dietro. A pochi mesi dall’uscita del nuovo film sullo Hobbit, gli eredi si apprestano a fare una nuova crociata. «Dobbiamo alzare le barricate!», annuncia Baillie, moglie di Cristopher, e probabilmente in quest’ottica è stata rilasciata quest’intervista.

Articolo su Le MondeChristopher Tolkien da anni vive in Francia con la propria famiglia e si dedica incessantemente al recupero degli scritti inediti del padre, di cui è l’esecutore letterario. Egli ripercorre la complessa e tormentata questione legata ai diritti d’autore dei romanzi più famosi (che furono venduti nel 1969 per una somma che oggi appare irrisoria), che regolano allo stato attuale le relazioni tra gli eredi e la possibilità di sfruttamento del nome Tolkien e delle sue opere. Nel
2009, dopo una lunga vicenda giudiziaria, la Tolkien Estate ha ricevuto dalla produzione il 7,5% dei profitti, ma in cambio ha dovuto accettare di non compiere alcun intervento censorio sui prossimi film, tanto che nello Hobbit saranno introdotti e creati personaggi che Tokien non ha mai incluso, soprattutto femminili.

Un patrimonio che è stato il lavoro di una vita da parte di Christopher Tolkien, ma che è da alcuni anni è diventata anche la fonte di una certa «disperazione intellettuale». Perché in fondo, l’eredità di Tolkien è al tempo stesso la storia di una trasmissione letteraria da padre a figlio, e la storia di un malinteso. Le opere più conosciute erano solo un epifenomeno agli occhi del loro autore. Un piccolo assaggio del vasto mondo di Tolkien, ma il risultato è stato che hanno oscurato tutte le altre. Soprattutto, Il Silmarillion, il racconto dei tempi più antichi del suo universo, cui il professore di Oxford aveva lavorato tutta la via. E così ha fatto Christopher, che è riuscito a far pubblicare prima una selezione di queste storie (il Silmarillion, appunto), poi l’interro corpus di leggende della Terra-di-mezzo scritte dal padre, sotto il nome di History of Middle-earth.

 

– L’ARTICOLO DI LE MONDE: Tolkien e l’anello della discordia (di Raphaëlle Rérolle)

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I saggi dell’Arst: Mito e verità in Tolkien di Verlyn Flieger

Verlyn FliegerLeggere i nostri libri preferiti più di una volta serve a conoscerli meglio e a rifletterci sopra. Leggere libri su i nostri libri preferiti ci aiuta a capire sottigliezze che possono sfuggire e a riflettere insieme a studiosi che conoscono bene l’autore. Ma anche dopo anni di letture, qualcosa sfugge. Finché non giunge un saggio a rivelarci una nuova sfumatura. E, soprattutto, a smentire teorie poco fondate. Questo è l’effetto del saggio di Verlyn Flieger che vi proponiamo. È la conferenza tenuta durante il Tolkien Seminar svoltosi a Modena il 25 novembre 2011 curato dall’Istituto filosofico di studi Tomistici e dall’Associazione romana studi Tolkieniani.

I saggi dell’Arst: Noblesse oblige di Tom Shippey

Tolkien fuma la pipaUn giudizio secco, un luogo comune. J.R.R. Tolkien? Uno scrittore con lo sguardo rivolto al passato, che viveva in un mondo tutto suo, avulso dalla realtà, che sognava mondi impossibili pieni solo di buoni o di cattivi. Non un problema reale né riflessioni sul mondo. Anzi, tanti pregiudizi: sulla modernità, sulla letteratura moderna, su quella che oggi chiamiamo globalizzazione. E c’è anche chi giunge fino a dargli etichette ignobili (antidemocratico, destrorso, razzista…). Ecco, noi vogliamo eliminare tutto questo. Sgombrare il campo da questa crosta di giudizi facili, fatti perlopiù da chi non ha letto le opere dell’autore. E lo facciamo con la forza della critica. Quella vera, quella seria. È la forza che proviene da uno degli “eredi” del professore di Oxford.

I saggi dell’Arst: J.R.R. Tolkien e le Dolomiti

DolomitiÈ giovedì e come promesso, in vista del 25 marzo, giorno in cui festeggeremo il Tolkien Reading Day, facciamo il primo dei nostri regali ai lettori. Per premiarvi della fiducia e offrire contenuti di qualità, abbiamo deciso di lanciare una serie di saggi tra quelli tenuti quest’anno dai membri dell’Arst e quelli tradotti da pubblicazioni di studiosi di fama mondiale. Ecco il primo saggio: “Due figure a confronto: Éowyn di Rohan e Dolasilla di Fanis”. L’autore è Norbert Spina, che ha tenuto la conferenza il 20 ottobre 2006 durante  Paesaggi dalla Terra di Mezzo, organizzato dall’ArsT alla libreria Bibli a Roma, durante la seconda edizione di Tolkieniana.net nel 2007 e poi il 9 agosto 2007 all’interno del Primo Festival delle Leggende Ladine. Vista l’origine personale dell’approfondimento, l’autore ha voluto lasciare una nota per spiegare le motivazioni che lo hanno portato al confronto tra i due personaggi.

La Compagnia degli Argonath sabato a Verona

Locandina della Compagnia degli ArgonathSabato prossimo, 3 marzo 2012, alle 17.30 si terrà “Alla Scoperta del Fantasy: Tolkien e il suo capolavoro“. L’intervento si svolgerà alla Biblioteca Comunale di Grezzana, Via Segni 2, Grezzana (Verona). Ad intervenire sarà Roberta Tosi, critico d’arte e giornalista, ma anche presidente della Compagnia degli Argonath. L’evento è inserito in un ciclo di conferenze dedicate al Signore degli Anelli che si terranno ogni due mesi circa, con pausa estiva (per gli esami a scuola e università!), al sabato. Le prossime date previste saranno: 5 maggio, 8 settembre e 10 novembre (si può scaricare il programma qui). Il tutto in vista del film di Peter Jackson sullo Hobbit che uscirà a dicembre. Di tutto questo abbiamo parlato con Roberta Tosi:

Gli ArgonathDescrivici la vostra associazione?
«Noi non siamo un’associazione o almeno non ancora visto che la maggior parte dei fondatori del nostro gruppo è minorenne e quindi siamo una compagnia. Nel vero senso della parola perché oltre a parlare del nostro autore preferito, da bravi hobbit, elfi, nani ed eredi gondoriani, amiamo condividere anche la tavola. Ad ogni nostro incontro segue o precede un pasto insieme».
Quando siete nati?
«Noi siamo nati quasi quattro anni fa dalla passione condivisa per Tolkien e il suo mondo o meglio siamo nati da un mio piccolo suggerimento di lettura ad un ragazzino allora dodicenne… “Senti, ma perchè non leggi questo libro?” E gli passai Lo Hobbit. Il ragazzino in questione (ora quasi sedicenne) è il mio vice e da allora tanti ragazzi, tanti amici ma anche genitori e adulti incuriositi, si sono uniti in questa bella avventura. Come Compagnia noi organizziamo incontri culturali che sono approfondimenti, di volta in volta, su un aspetto dell’opera di Tolkien o sul Professore stesso».

Biblioteca comunale di GrezzanaCome si svolgono i vari incontri?
«Solitamente gli incontri li “conduco” io, in un dialogo aperto con chi è presente, tutti sono liberi di intervenire con ulteriori riflessioni o suggerimenti. Ma abbiamo anche organizzato alcuni incontri con amici come Paolo Gulisano o Roberto Fontana. Come Compagnia abbiamo poi partecipato alle ultime due edizioni del Family Happening di Verona creando laboratori per ragazzi dedicati al Signore degli Anelli. L’anno scorso vi abbiamo portato anche la Mostra sul libro, che nel 2003 era stata al Metting di Rimini, creando guide e percorsi ricchi di stimoli per chi veniva a vederci».

nSvolgete altre attività?
«Dallo scorso dicembre è nato anche il giornalino della Compagnia: “Il fuoco segreto, dedicato ovviamente al mondo di Tolkien ma anche al guardare il mondo, gli eventi, con gli occhi di un tolkieniano. Il giornalino è per lo più fatto dai ragazzi stessi e tra non molto sarà anche online».
La Compagnia degli Argonath: la redazioneDi cosa parlerete questo sabato?
«L’incontro del 3 marzo è nato da questa nuova collaborazione con la Biblioteca Civica del Comune di Grezzana, in provincia di Verona che, vista la nostra proposta ha deciso di ospitare tutti i nostri incontri della Compagnia. Il primo avrà un carattere introduttivo all’opera di Tolkien e sul significato (e valore) stesso del fantasy. Al momento sono io la principale relatrice, ma poi interverranno anche i vari membri della Compagnia».
Per avere ulteriori informazioni sulla Compagnia degli Argonath e sulle sue attività si può visitare il sito Minas Mal (Torre d’Oro – Diventa ciò che sei nato per essere), la loro pagina Facebook oppure si può scrivere una mail qui o qui.

 

– Il sito della Compagnia degli Argonath
– La pagina Facebook della Compagnia degli Argonath
– Sito della Biblioteca Comunale di Grezzana

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Il Signore degli Anelli sbarca su Facebook

Videogioco: OneRing su FaDa qualche tempo molte persone su Facebook stanno diffondendo il gioco chiamato “The One Ring”, che è chiaramente dedicato agli appassionati di J.R.R. Tolkien. Il gioco è realizzato dalla Mgames, casa gallese specializzata in videogiochi e applicazioni per i social network. “The One Ring” è un bel gioco fantasy inspirato al Signore degli Anelli, creato su licenza della Middle-earth Enterprises, che viene pubblicizzato come gioco di combattimento ed esplorazione. Non è esattamente così perché non si tratta di un gioco pieno d’azione dalla grafica tridimensionale e paesaggi ricostruiti alla perfezione. Si tratta, invece, di un’avventura a carattere testuale, dove si deve scegliere con cautela la propria tattica. Ecco la traduzione di un’intervista, pubblicata su Tolkien Library con Sam Roads, il direttore creativo della Mgames.

Verlyn Flieger: «J.R.R. Tolkien, autore che ha anticipato i tempi»

Locandina Tolkien SeminarTra pochi giorni, dal 25 al 26 novembre 2011 si terrà a Modena il primo dei Tolkien Seminar italiani, organizzato dall’Istituto filosofico di studi tomistici e dalla nostra Associazione, con il patrocinio della Tolkien Society inglese e della Provincia di Modena. Sarà anche l’occasione di un confronto diretto all’interno del Gruppo di studio sullo Hobbit con chi analizza e insegna negli Usa le opere del Professore di Oxford. Il momento pubblico del seminario si svolgerà venerdì 25 novembre, nella sede della Camera di Commercio di Modena (via Ganaceto, 134). Alle ore 21, a ingresso libero, sarà possibile ascoltare Verlyn Flieger e Giovanni Maddalena nella conferenza Mito e verità: la narrazione tra realtà e mistero. In vista del seminario, abbiamo già pubblicato un intervento del professor Maddalena. Ora, in esclusiva, pubblichiamo un’intervista alla professoressa americana, considerata la maggiore studiosa di Tolkien a livello mondiale insieme a Tom Shippey. Ha infatti curato Sulle Fiabe e Il fabbro di Wootton Major, dirige la rivista accademica Tolkien Studies: An Annual Scholarly Review, ha vinto ben due Mythopoeic Award per i suoi studi e in questi mesi sta dando alle stampe una raccolta di suoi saggi (Green Suns and Faerie, ne abbiamo parlato qui) e il suo secondo romanzo, The Inn at Corbies’ Caww.

1) Come si è interessata alle opere di Tolkien? Quando ha letto per la prima volta Il Signore degli Anelli?
«Mi sono sempre piaciuti il mito e le fiabe, fin da quando ho imparato a leggere. Sono cresciuta con le storie di Re Artù, Robin Hood, Giasone e gli Argonauti, la Bella e la Bestia e Jack e la pianta di fagioli. Nell’inverno 1956-57 mi prestarono Il Signore degli Anelli da un mio collega delle Biblioteca Folger Shakespeare a Washington. Avevo appena finito un corso in traduzione del Beowulf e riconobbi subito i riferimenti anglosassoni e arturiani nel romanzo. Rimasi impressionata dalla cultura di Tolkien, specialmente perché all’epoca non sapevo che fosse un professore e uno studioso. Non sapevo nemmeno come pronunciare il suo nome».

2) Sono tanti anni che include Tolkien nei suoi corsi all’Università del Maryland. Qual è ora la sua idea sull’insegnamento delle opere di Tolkien?
Verlyn Flieger«È difficile rispondere. Più insegno Tolkien e più diviene complicato insegnarlo. La sua opera è al tempo stesso
medievale, moderna e post-moderna; combina aspetti di epica, romance, fiaba e tragedia. È insieme profondamente ispirata e profondamente pessimista. C’è molto da insegnare agli studenti di scuola inferiore, superiore e anche all’università, soprattutto ora che è passata la moda legata ai film di Peter Jackson. Penso sia importante vedere Tolkien nel contesto culturale del suo secolo, per ricordare che quella dello scrittore è la generazione sopravvissuta alla Prima Guerra Mondiale. William Morris, Lord Dunsany e George MacDonald possono anche essere state le sue influenze più immediate, mai i suoi pari sono Ernest Hemingway, Siegfried Sassoon, Robert Graves, T.S. Eliot e Ezra Pound. Tolkien non avrebbe potuto fare quel che ha fatto con Frodo se se non fosse passato attraverso l’esperienza della guerra».

3) Tolkien, quindi, merita di essere inserito nei corsi universitari con gli altri grandi scrittori inglesi come Chaucer, Shakespeare e Milton?
«Assolutamente sì. Tolkien è uno dei grandi scrittori della letteratura inglese ed è rappresentativo della sua epoca come Shakespeare, Chaucer e Milton lo furono della loro».

4) Cosa insegna di Tolkien nei suoi corsi all’università?
«Ho iniziato nel 1974 circa, includendolo in un corso sulla letteratura fantastica (l’argomento era come Il Signore degli Anelli veniva letto negli anni Sessanta e Settanta), ma ho subito realizzato come Tolkien fosse realmente un medievista, con connessioni alle prime opere inglesi come Beowulf e tarde opere medievali come la Morte D’Arthur di Malory. Volevo allora mostrare come lo scrittore non avesse soltanto scritto racconti di letteratura fantastica, ma opere immerse in profondità nella più durevole letteratura inglese. E non era sufficiente conoscere sommariamente le opere medievale, ma gli studenti doveva leggersele molto bene per comprendere la tradizione cui Tolkien faceva riferimento».

5) Lei ha curato la nuova edizione del saggio Sulle Fiabe. Perché pensa che questo saggio sia così centrale per comprendere Tolkien? E che impatto ha avuto sulla critica che studia il mito e la letteratura fantastica?
Verlyn Flieger al Convegno "Tolkien e la Filosofia"«Il saggio Sulle Fiabe è la discussione migliore e più completa che conosca su cosa siano il mito e le fiabe, a cosa servano e perché siamo perennemente popolari. Esplorando queste tematiche Tolkien stava al tempo stesso sviluppando la sua teoria della sub-creazione, su come rendere credibile il Mondo Secondario. Leggendolo, così, questo saggio offre anche uno sguardo al pensiero di Tolkien sulle sue opere. Lo scrisse nel 1938, subito dopo la pubblicazione dello Hobbit, ed è chiaro che stava già trovando gli errori commessi in quel libro e ragionando su come correggerli nel suo “nuovo Hobbit”, che poi diverrà Il Signore degli Anelli. Nel complesso, il saggio è divenuto il testo di riferimento per la critica sulla letteratura fantastica e sulla sua scrittura. È lo stesso per l’altro suo saggio famoso su Beowulf e i mostri; si può non essere d’accordo con quel che c’è scritto, ma non lo si può ignorare. Quel testo ha cambiato il volto della critica, rendendola meno tassonomica come era stata con Vladimir Propp, e più teoretica. Sfortunatamente, dopo Tolkien, gli scrittori di fantasy hanno troppo spesso seguito la lettera e non lo spirito di quel che aveva scritto. Questi hanno solo enfatizzato gli aspetti superficiali di un Mondo Secondario – per esempio, i draghi o la magia, senza un approfondimento “storico”. Quando Tolkien scrisse Sulle Fiabe e iniziò Il Signore degli Anelli, stava già lavorando sulla mitologia del Silmarillion da oltre
vent’anni. Aveva tutto quello sfondo da cui attingere».

6) La sua area specialistica di studio è la mitologia comparata. In cosa questa disciplina può aiutare nello studio delle opere di Tolkien?
Illustrazione di Georgij Adamovič Stronk - Kullervo«Tolkien stesso fu uno studioso di miti comparati vedendo i profondi legami che uniscono tutte le mitologie, le verità universali che esprimono sulla condizione dell’uomo, e colse anche le distinzioni culturali che rendono ogni mito unico per la società che lo genera. Tolkien amava il Kalevala, la mitologia del popolo finnico, perché era così diverso dai più familiari miti europei con cui era cresciuto. Il suo più grande eroe epico, Túrin Turambar, ha aspetti del Sigurd uccisore di draghi del mito nordico/islandese, l’assenza di auto-conoscienza dell’Edipo di Euripide, ma è stato modellato essenzialmente sulla tragedia dello “sfortunato Kullervo” del mito finnico».

7) Con Splintered Light (Schegge di Luce, Marietti 2006) e A question of time lei ha evidenziato l’importanza centrale delle tematiche legate alla “luce” e al “tempo” in Tolkien. Pensa che ci siano altri temi centrali nelle sue opere?
"Schegge di luce" di Verlyn Flieger«Sì, un tema importantissimo è quello della “morte”, più evidente nel Simarillion che nel Signore degli Anelli, ma presente anche lì. Una delle più belle poesie è il lamento allitterativo per i guerrieri caduti nella battaglia dei Campi del Pelennor. La “possessività” è un altro tema, il desiderio di tenere per sé qualcosa. L’elemento centrale della trama nel Signore degli Anelli è la necessità di lasciar andare le cose a cui si è legati: Pipino si disfa persino della sua spilla, Sam sacrifica i suoi utensili per cucinare, ma quando viene il momento, Frodo non riesce ad abbandonare l’Unico Anello, e questo causa la sua caduta e la sua tragedia. Questo ci porta al tema a esso legato, quello della “perdita”. Molto di ciò che c’è di bello e meraviglioso della Terra-di-mezzo svanirà per sempre».

8 ) Nel suo saggio Tolkien On Fairy-Stories lei e l’altro autore Douglas A. Anderson scrivete che l’analisi che Tolkien fa dei racconti di fate «anticipa il pensiero modernista e post-modernista della sua epoca e quello successivo» (pag. 20). Può spiegarci cosa intendete?
«Posso comparare Il Signore degli Anelli alla Terra Desolata di T.S. Eliot, un classico della letteratura modernista, in quanto entrambi descrivono un mondo frammentato, un mondo in decadenza, afflitto dalla guerra e incerto sulle sue verità. Quando Aragorn dice a Éomer: “Bene e male non sono cambiate
rispetto al passato”, Tolkien sta parlando del e al suo secolo travagliato, che non era per nulla sicuro di esser nel giusto. È proprio quel che stava facendo Eliot. Tolkien è uno scrittore post-modernista in quanto il suo testo interroga sé stesso, parla di sé, è conscio di sé stesso come testo. Nella scena tra Sam e Frodo sulle scale di Cirith Ungol, Sam si domanda in che tipo di storia si trovano, e come la gente in una storia reagisce diversamente dalla gente che la ascolta. Egli vuole essere in “un grande librone con lettere rosse e nere”. Quando Frodo dice, “Perché Sam, ascoltarti mi rende allegro come se la storia fosse già scritta”, il lettore realizza che il racconto è già scritto, lo sta tenendo in mano in quel momento e che Sam non lo sa. Questa è la quintessenza del post-moderno. Non ci può avere più meta-narrazione di questa».

9) Quale è stata, secondo lei, l’influenza di Tolkien sulla letteratura fantastica nel suo complesso?
«Tolkien ha permesso di far considerare seriamente la fantasy. Se Tolkien non avesse scritto Il Signore degli Anelli, George Lucas non avrebbe potuto produrre Guerre Stellari. Il suo impatto è stato enorme, e non ha generato il genere Fantasy più di quanto non ne sia un’espressione. Gli scrittori che si sono ispirati a lui, sono per lo più semplici imitatori, che hanno replicato gli elementi superficiali delle sue opere – un piccolo eroe o un anti-eroe, una quest, un oggetto magico, una mappa con luoghi esotici, alcune parole in corsivo per rappresentare un’altra lingua. Ciò che non hanno saputo riprodurre è l’umanità di Tolkien, il suo senso profondo che ci si trova in un mondo caduto, con le gioie e dolori che segnano le caratteristiche della sua Terra-di-mezzo».

Nuovo libro Verlyn Flieger10) Quando verrà pubblicata la sua nuova antologia di saggi, intitolata Green Suns and Faërie: Essays on J.R.R. Tolkien? Ci sono altre pubblicazioni in vista?
«Spero uscirà per dicembre. Mi aspettavo uscisse insieme al mio ultimo romanzo fantasy The Inn at Corbies’ Caww, ma è stato pubblicato a settembre. La mia raccolta di saggi era programmata per l’agosto scorso, ma fattori legati all’editore, la Kent State University Press, lo hanno ritardato oltremodo. Si tratta di una collezione di saggi [ISBN 978-1-60635-094-2; prezzo negli Usa 24.95 dollari, intorno ai 18 euro] che riunisce molte delle mie conferenze tenute in questi anni, con l’aggiunta di alcuni studi inediti. In copertina appare l’immagine The Glittering Caves of Aglarond di Ted Nasmith».

Roberto Arduini

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George R.R. Martin parla di J.R.R. Tolkien

George R.R. Martin11.11.11. Una data emblematica che segna il debutto televisivo su Sky Cinema di una delle serie TV più attese della stagione, Il Trono di Spade (Game of Thrones), adattamento targato HBO della saga best seller di George R.R. Martin Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, pubblicata in Italia da Mondadori e tra le più popolari mitologie letterarie degli ultimi anni. Le rendiamo omaggio proponendo una lunghissima intervista allo scrittore americano tutta dedicata al suo rapporto con J.R.R. Tolkien e Il Signore degli Anelli. Attenzione agli spoiler, naturalmente (li contengono i punti 6 e soprattutto 7), ma per correttezza diciamo che non siamo volati negli Usa per incontrarlo, ma abbiamo selezionato da una cinquantina di quotidiani anglosassoni (Usa e Gb) tra i più autorevoli tutte quelle risposte in cui Martin parlava di Tolkien. Ne risulta così una sorta di antologia, cui abbiamo aggiunto solo le domande per renderla coerente. Tutte le parole delle risposte sono però rigorosamente di Martin!

1. Le sue opere hanno un debito con J.R.R. Tolkien?
«Sono un fan accanito di Tolkien. Ho letto i suoi libri da ragazzo, mentre frequentavo la scuola media e poi le superiori. Le sue opere hanno avuto un’influenza profonda su di me. Avevo letto altra letteratura fantasy prima e ne ho letta anche dopo. Ma non ho amato nessun altro romanzo come quelli di Tolkien. Certo, non ero il solo. Il successo dei libri di Tolkien ha ridefinito la Fantasy moderna. In quegli anni, Tolkien era visto come una sorta di alieno. La sua era considerata una di quelle rare opere che appaiono una volta ogni tanto e hanno un successo enorme per ragioni che nessuno comprende. Nessuno si sognava però di pubblicare altri libri di questo genere. Solo negli anni ’70 furono pubblicati Le Cronache di Thomas Covenant di Stephen R. Donaldson e de La spada di Shannara di Terry Brooks, che sono stati i primi tentativi reali di seguire le orme di Tolkien… entrambi con successo. E che aprirono la strada a molti altri “imitatori di Tolkien”».

Locandina "Games of Thrones"2. Scrivere Il Trono di Spade è stata la sua reazione al Signore degli Anelli?
«Non è esattamente così. Ogni scrittore dialoga con tutti gli altri scrittori, e chi si occupa di Fantasy dialoga con gli altri scrittori del genere. Da appassionato di Tolkien, ho preso molto spunto da lui. Ha avuto un’influenza enorme su di me e Il Signore degli Anelli è una montagna che si staglia su ogni altra opera di Fantasy scritta prima e dopo. Ha modellato tutta la Fantasy moderna. Ci sono alcune sue scelte che ormai fanno parte del canone Fantasy: tutto il concetto dell’Oscuro Signore, la battaglia tra Bene e Male, l’influenza penetrante di quest’ultimo a tutti i livelli. Sono tutti elementi che Tolkien ha gestito brillantemente, ma che nelle mani dei suoi innumerevoli imitatori hanno prodotto una sorta di cartone animato! Non c’è più bisogno di un Oscuro Signore, né di altri elementi così radicali. Ho veramente odiato alcune delle opere scritte dopo Tolkien. Mi sembra che alcuni imitatori abbiano copiato l’autore inglese senza capirlo, prendendo le cose peggiori di lui. Mi spiego, amo
Tolkien, ma non penso che sia perfetto. Così volevo scrivere qualcosa che fosse una risposta a quel poco di Tolkien che non mi piaceva, ma sopratutto ai suoi imitatori, che si sono ispirati proprio a quel poco».

3. Partiamo dalle somiglianze. Quali elementi del Signore degli Anelli ha voluto riprendere?
«Non è facile dirlo. Ci sono cose delle opere di Tolkien che mi erano presenti anche a livello inconscio mentre scrivevo. Quando iniziai, nel 1994, volevo scrivere una trilogia e i diritti furono venduti come una trilogia. Ma, come scrive Tolkien a proposito del Signore degli Anelli, “la storia è cresciuta mentre la narravo”. Quello schema è finito fuori dalla finestra prima che avessi completato il primo libro: avevo scritto già 1300 pagine e la conclusione era ancora lontana! La storia è così cresciuta a cinque libri pubblicati e altri due in programma: sette in tutto. Sicuramente, poi, Westeros somiglia molto alla Quarta Era di Tolkien, l’Era degli Uomini descritta alla fine del Signore degli Anelli. Dopo la partenza degli Elfi, la Terra-di-mezzo rimane in mano agli Uomini, con tutti i limiti che questo comporta. L’autore tentò anche un seguito, The New Shadow, che poi abbandonò, ma in cui sono delineati tutti gli elementi dei miei libri: intrigo, violenza, politica, complotti…
Tolkien lo scrive in maniera esplicita nel romanzo: gli Elfi stanno scomparendo e andando via. Anche nei miei libri ci sono Razze Antiche, ma sono molto meno visibili rispetto agli Elfi e ai Nani di Tolkien. Se ne vedono pochi. Gli elementi fantastici vengono fuori lentamente. Nel Trono di Spade c’è pochissima fantasy. Nei libri successivi aumenta sempre più, perché la magia sta tornando nel mondo. Ma anche al suo massimo, quando arriverò al settimo volume e la magia sarà un elemento determinante, non sarà mai così potente come la si può trovare all’inizio dei libri di questo genere, con tutta una serie di oggetti magici a disposizione. È un elemento essenziale del genere, ma bisogna saper dosare la magia. È come il sale nella minestra: un pizzico le dà un buon sapore, ma troppo sale la rovina».

Scaffale Libri4. La magia può essere un buono spunto per parlare delle differenze con Tolkien?
«Anche in Tolkien c’è pochissima magia, mentre nei suoi imitatori abbonda. Questa è veramente una grande differenza tra me e chi ha voluto prendere la “parte peggiore” dell’autore inglese. Per me è fondamentale il realismo. La mia è una Fantasy con un basso contenuto di magia. In questo senso, ho seguito le orme di Tolkien perché, se si legge bene Il Signore degli Anelli come feci io quando stavo scrivendo i miei libri, si vede benissimo che la Terra-di-mezzo è un mondo magico nel senso che è un mondo pieno di meraviglie, ma in realtà c’è pochissima magia. Non si vede mai Gandalf lanciare un incantesimo o sparare una palla di fuoco! Se c’è un combattimento, lo stregone tira fuori la spada… Certo, crea fuochi d’artificio e il suo bastone brilla nel buio. Ma si tratta di cose minime. Anche gli anelli magici, anche il potentissimo Unico Anello: tutto quel che vediamo è che rende le persone invisibili. Si suppone che l’Unico Anello abbia un grande potere di dominio, ma quando Frodo se lo infila non può dare ordini ai Nazgul che lo circondano. Non è così semplice. È un potere sconosciuto, un potere pericoloso. È questo tipo di magia che va descritta. Un errore grave che ho visto fare da un’enormità di imitatori di Tolkien è proprio l’abuso di magia, la creazione di mondi ad alto contenuto di magia. Ci sono mondi in cui maghi, streghe e stregoni possono distruggere interi eserciti, ma appunto in cui esistono ancora
eserciti! È un controsenso: se qualcuno può dire “abracadabra” e distruggere un esercito di diecimila guerrieri, perché c’è bisogno ancora di radunare un esercito? Questi scrittori non si curano del realismo: se esistono dei maghi così potenti come possono esistere ancora re e signori? Perché non sono i maghi che dominano quel mondo?».

5. A proposito di realismo, anche Tolkien ha scritto storie realistiche?
«Normalmente sì, ma ci sono alcuni filoni meno realistici nel Signore degli Anelli. Aragorn, ad esempio, giunge a reclamare il regno di Gondor, in cui l’ultimo re risaliva a ben mille anni prima. Alla fine del romanzo, il Sovrintendente ne riconosce la legittimità. Questo perché onore e lealtà sono alla base dei miti anglosassoni, finnici, celtici e scandinavi che ispirarono Tolkien nella scrittura del romanzo. Ma la realtà è veramente infima. Se Tolkien fosse stato più realistico, i Sovrintendenti si sarebbero autoproclamati Re molto tempo prima della Guerra dell’Anello. E se Aragorn avesse reclamato il trono, il re in carica avrebbe subito organizzato una sbrigativa e poco onorevole esecuzione per l’ultimo “Erede legittimo” e i suoi seguaci. Nei miei libri, è re il poco raccomandabile Robert Baratheon: è grasso, ubriaco e si annoia troppo facilmente per governare effettivamente! Sono anche un appassionato di romanzi storici. E il contrasto tra questo genere e moltissima Fantasy è drammatico. Molti imitatori di Tolkien hanno ambientato le loro storie in mondi semi-medievali, ma il loro è un Medioevo più simile a Disneyland! Ci sono alcuni tasselli, ci sono i regni e le guerre, ma non sono minimamente verosimili. Sembrano mondi fatti di cartone. I limiti del genere storico è che i lettori sanno già come va a finire la storia. Se si legge un romanzo sulla Guerra delle Due Rose e si vedono i piccoli principi di una casata entrare nella Torre di Londra, si sa già che non ne usciranno vivi… Il Fantasy permette ancora l’incertezza. Volevo unire gli elementi migliori di questi due generi: il realismo dei romanzi storici con il fascino, la magia e la meraviglia del Fantasy. Volevo che il lettore si chiedesse sempre: “Cosa accadrà ora? Il mio personaggio preferito morirà?”. Volevo questo tipo di suspence».

6. Il ritorno dalla morte di Gandalf è un elemento che trova realistico?
«Penso che Gandalf doveva restare morto! Se si fa resuscitare un personaggio, se lo si fa tornare dalla morte, penso che debba essere un’esperienza radicale. Per quanto ammiri Tolkien, penso sempre più che Gandalf non sarebbe dovuto tornare. È incredibile la sequenza della Compagnia dell’Anello, in cui lo stregone affronta il Balrog sul ponte di Khazad-dûm e cade nell’abisso, dicendo la frase: “Fuggite, sciocchi!”. Una scena incredibile, che mi ha affascinato con la sua potenza evocativa. Poi, torna indietro dalla morte come Gandalf il Bianco e come se fosse cresciuto, come un’evoluzione dovuta a quell’esperienza. Beh, non ho mai amato Gandalf il Bianco quanto invece amo Gandalf il Grigio, e non mi è mai piaciuto il fatto che fosse tornato. Penso che la storia sarebbe stata ancor più forte se Tolkien l’avesse lasciato morire definitivamente a Moria. I miei personaggi che ritornano dalla morte sono peggiorati dall’esperienza. In un certo senso, non sono nemmeno più gli stessi personaggi. Il corpo può essere in movimento, ma qualche aspetto del loro animo è cambiato o trasformato, e hanno perso qualcosa. Uno dei personaggi che più volte è tornato dalla morte è Beric Dondarrion della Fratellanza Senza Vessilli. Ogni volta che rivive ha perso qualcosa in più di se stesso. Fu inviato in missione prima della sua prima morte. Fu inviato in missione per far qualcosa ed è come se fosse aggrappato a quest’ultima. Ha dimenticato le altre cose, ha dimenticato chi fosse o dove vivesse. Ha dimenticato la donna con cui avrebbe dovuto sposarsi. Porzioni della sua umanità si perdono ogni volta che torna dalla morte.
Ricorda solo la missione. La sua carne sta cadendo, ma questa cosa, questo scopo che aveva è parte di ciò che lo anima e che lo ha riportato indietro dalla morte. Penso che questa perdita, questa trasformazione, si veda bene anche in alcuni dettagli degli altri personaggi che sono tornati dalla morte».

Tyrion7. Un’altra differenza con le opere di Tolkien?
«Tyrion Lannister è un buon esempio di quel che intendo per realismo. Tyrion non è umorale, battagliero, ossessionato dall’oro come i Nani in Tolkien. Non è nemmeno Gimli. Tyrion è realmente un nano, affetto da acondroplasia (forma di nanismo che colpisce solo braccia e gambe), uno scherzo per i passanti e un imbarazzo per la sua famiglia (anche il resto dei Lannister è “deforme”, ma nell’animo!). Tyrion è in fuga perché alla fine di Tempesta di Spade ha colpito a morte il padre di Lord Tywin col dardo di una balestra mentre era seduto sul gabinetto. Raggiungiamo poi Tyrion all’inizio di Una danza con i Draghi oltre il Mar Stretto ancora in uno stato di choc per le sue azioni».

8. La lotta tra Bene e Male è presente nei suoi libri?
«Questo è un altro punto importante. La battaglia tra Bene e male è un tema fondamentale del genere Fantasy. Credo, però, che sia perlopiù interiore al singolo individuo, nelle decisioni che deve prendere. I malvagi non devono essere vestiti di nero ed essere per forza brutti. È una delle cose che Tolkien ha fatto: sono elementi che nei suoi scritti funzionano meravigliosamente, ma nelle mani dei suoi imitatori sono divenuti troppo, troppo stereotipati. Quelle creature orchesche sempre vestite di nero… sempre brutte e con deformità nel corpo o nel volto… Si può dire subito se un personaggio sia malvagio se è brutto. Poi, gli eroi di Tolkien sono tutti personaggi molto attraenti, e questo elemento, ovviamente, è divenuto un cliché nelle mani degli imitatori di Tolkien. Non mi fraintenda, amo Tolkien. Voglio puntualizzare questo fatto perché non sembri che lo stia denigrando. La mia è una reazione ai suoi scritti».

9. È un punto importante, si spieghi meglio.
«La mia è un’epica per un’epoca più profana, disillusa e ambivalente rispetto a quella in cui visse Tolkien. Lui era un veterano della Somme, un soldato della Prima Guerra Mondiale e Il Signore degli Anelli è stato in parte scritto durante la Seconda Guerra Mondiale (e pubblicato nel 1954-55). Tolkien scrisse in un’epoca in cui veramente sembrava che la guerra fosse il destino della civiltà. Tutto questo si riflette sulla stessa Terra-di-mezzo. Guardiamo la mappa: il mondo è diviso in due parti in lotta. Hobbit, Nani, Elfi e Uomini si alleano per combattere l’Oscuro Signore Sauron. Il continente di Westeros è invece un’unica nazione che riunisce i Sette Regni: non due, ma sette. Westeros è nel caos, basta che una pedina cada per far saltare tutto il banco. “Molti uomini buoni sono stati pessimi re”, dice uno dei personaggi, “e alcuni uomini malvagi sono stati ottimi regnanti”. Neanche Dio decide cosa sia giusto o sbagliato. Ognuno ha il suo Dio: ce ne sono sette».

Riprese Sean Bean10. È per questo che nelle sue opere ci sono moltissimi personaggi ambigui, che non sono né bianchi né neri, diciamo “grigi”, a diversi livelli?
«Sì, amo i personaggi grigi e in Tolkien ce ne sono molti. Non è vero che ci siano solo bianchi o neri. Uno dei miei
preferiti nel Signore degli Anelli è Boromir
. Per molti aspetti incarna l’eroe tradizionale. È il principe, l’erede designato al trono di un regno antico e potente di cui va fiero; è un grande e valoroso guerriero. Alla fine soccombe alla tentazione dell’Anello. Ma, si riscatta e muore eroicamente per proteggere degli innocenti. C’è uno straordinario senso di grandezza intorno alla sua figura. Anche nella scelta di prendere l’Anello, c’è l’idea di fare il bene del suo regno. Questo tema mi ha sempre interessato. Un altro personaggio interessantissimo è Saruman: lo Stregone Bianco che è stato dalla parte del Bene letteralmente per centinaia, se non migliaia di anni. Gli stregoni non sono, infatti, uomini, ma Maiar, creature dalla vita lunghissima. Eppure, alla fine anche Saruman soccombe e fa una fine patetica. Ecco due esempi magnifici di personaggio grigio! Del resto, in tutti noi c’è una parte malvagia e una buona, ci sono rarissimi casi di perfezione e ci sono rarissimi casi di veri e propri orchi. L’antagonista [villain] dell’eroe è in realtà un eroe per la fazione avversa e l’eroe stesso è un nemico malvagio per chi gli si oppone. Ecco, io puntavo a rendere questa idea».

11. Se Il Signore degli Anelli è stato un modello iniziale per la sua saga, ne ha seguito anche la struttura?
«Sì, anche questo è un punto comune. Nella costruzione generale, proprio il capolavoro di Tolkien è stato il mio modello. L’autore inglese inizia da un particolare, da una scena quasi familiare, la festa di compleanno di Bilbo nella Contea, un piccolo angolo dimenticato della Terra-di-mezzo. Da lì, i personaggi si aggiungono lentamente e la scena si allarga sempre più. All’inizio ci sono Frodo e Sam, poi vengono Merry e Pipino, poi a Brea si aggiunge Aragorn e a Gran Burrone si unisce il resto della Compagnia. In seguito, avviene il contrario: da un certo punto, si perdono pezzi. Prima Gandalf, poi Boromir muoiono, poi Frodo e Sam attraversano da soli il fiume, mentre Merry e Pipino sono portati via dagli Orchi e quel che rimane della Compagnia li insegue. Si ha la sensazione che mentre il gruppo cerca di riunirsi il mondo diventi sempre più grande. L’ottica si allarga sempre più per seguire tutti i differenti percorsi. Il mio schema è stato molto simile. Si inizia a Winterfell e tutti eccetto Daenerys si trovano lì. Anche personaggi che non vi appartengono come Tyrion. Partono tutti insieme e lentamente iniziano a dividersi. In un certo senso la mia saga è più grande del Signore degli Anelli perché i personaggi da seguire sono moltissimi e ci sono molte separazioni. È sempre stato il mio intento, come avviene nel Signore degli Anelli: i protagonisti si separano tutti per poi tornare a riunirsi di nuovo tutti insieme. Forse, però, mi sono attardato un po’ troppo. Avrei dovuto iniziare questa seconda fase due libri fa!».

12. È una bella sfida, allora. Anche il finale della saga sarà ispirato a Tolkien?
«Sono rimasto molto soddisfatto da come finisce Il Signore degli Anelli, lasciatemelo dire. Non è prevedibile: mentre lo leggevo anche da ragazzo avevo la sensazione che l’Anello sarebbe finito nel vulcano. I protagonisti non stavano andando a consegnare a Sauron il dominio della Terra-di-mezzo. Ma sono rimasto veramente sorpreso dal fatto che Frodo non ce l’abbia fatta. Portandosi dietro Gollum, il modo in cui è avvenuta la distruzione dell’Anello è una parte stupefacente della fine del romanzo. E poi c’è la devastazione della Contea. Quando ho letto il libro a 13 anni, non capivo perché c’era questo capitolo. I protagonisti hanno vinto, perché c’erano ancora queste pagine di racconto? Ma rileggevo il libro ogni due anni e ogni volta, apprezzavo sempre più quel che Tolkien aveva deciso di fare. È una sorta di triste elegia sul prezzo della vittoria. Ora penso che la devastazione della Contea sia uno dei punti fondamentali della narrazione
di Tolkien: gli dà ancor più spessore e profondità. Spero di essere in grado di scrivere un finale così profondo e acuto. Insomma, una fine della saga simile a questa!».

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Un Silmarillion miniato per la gioia dei lettori di Tolkien

Pagina iniziale del Edel Silmarillion di Benjamin HarffChe la passione per J.R.R. Tolkien sviluppi la creatività non è un segreto, ma questa volta siamo giunti all’opera d’arte! Un codice miniato, come quelli medievali in stile irlandese, che riproduce il Silmarillion, completamente fatto a mano, a partire dalla carta, la copertina, il testo manoscritto e soprattutto le splendide miniature, con dei capilettera che prendono anche pagine intere. L’opera è il frutto di un anno di fatiche di uno studente tedesco, Benjamin Harff, che per l’esame finale all’Accademia di belle Arti, ha voluto creare una edizione di lusso, la Edel Silmarillion. La notizia è stata riportata su un sito tolkieniano tedesco, Der Herr der Ringe (Il Signore degli Anelli) e valorizzata da Tolkien Library, che ha fatto una lunga intervista all’autore.

Ecco i saggi dell’Arst: Tolkien e la catabasi

Scrivere saggiIspirandosi all’ormai vasta produzione di studi su J.R.R. Tolkien condotti in ambito accademico, soprattutto nei Paesi di lingua inglese, ma anche in Paesi come Francia e Germania, l’Associazione romana studi Tolkieniani persegue la ricerca di studi validi in riviste scientifiche, studi accademici e relazioni di conferenze. Gran parte degli studi prodotti in Italia è tuttora caratterizzata da un taglio prevalentemente amatoriale e si sofferma in misura molto minore sull’aspetto più propriamente letterario dell’opera del Professore. Per questo motivo l’Associazione intende pubblicare sul proprio sito articoli prodotti dai soci o da altri collaboratori, nonché traduzioni di saggi in lingua straniera scelti tra quelli più significativi e disponibili. Inoltre, si propone di recensire periodicamente libri e riviste riguardanti Tolkien e gli autori e i generi a lui affini.
Parallelamente a questa attività, l’Associazione si propone di segnalare non solo gli eventi culturali da essa organizzati o quelli a cui parteciperanno i suoi soci, ma anche eventi correlati che possono essere d’interesse per i lettori del sito. Infine, nella sezione Collaboratori in futuro si potranno trovare brevi profili degli studiosi italiani e stranieri che collaborano o hanno collaborato con l’Associazione.

Lord Edward Dunsany, nonno e nipote

Edward Carlos Plunkett, Lord DunsanyEdward Plunkett, ventesimo barone di Dunsany, è scomparso il 24 maggio, all’età di 71 anni. La notizia desta un certo rilievo anche per gli appassionati di J.R.R. Tolkien perché questo Lord Dunsany era il nipote del diciottesimo barone, anch’egli Edward Plunkett, Lord Dunsany (1878–1957), scrittore amato da Tolkien. Due parole, quindi, sul nipote prima di ricordare il nonno. Edward Carlos Dunsany è stato un noto architetto e artista irlandese, che ha vissuto e lavorato a Londra, Roma e New York, per brevi periodi in Brasile e in Francia, prima del suo ritorno alla tenuta di famiglia in Irlanda, nei pressi della collina di Tara, era uno dei luoghi più venerati nell’Irlanda dei primi secoli, perché lì i re gaelici dovevano dimostrare di essere stati scelti dagli dei. A Roma visse dal 1969 al 1976, e una sua mostra, allestita alla galleria “Il collezionista” nel 1975, riscosse enorme successo di critica e di pubblico. Giulio Carlo Argan vide nei quadri di Plunkett «una soglia-diaframma tra due dimensioni che tendono a fondersi, che s’incrina e frattura, come uno schermo che ceda ad opposte pressioni, dando una doppia e tripla lettura della stessa immagine». Una sospensione della realtà (vi ricorda qualcosa?!) che si vede anche nel colore «tonalità di bianchi, di neri, di grigi e di bruni, saturi di una loro luce coagulante, al di là di ogni possibilità di vibrazione, come nei paesaggi preromantici di David Caspar Friedrich o negli interni surreali di Magritte». Alcune delle sue opere sono visibili sul suo sito personale (andando nella sezione “Catalogo”).

Sviluppi: da Sendak a Yeskov e Shippey su Sigurd

In gergo si chiama “follow-up”: seguito, ancor meglio “sviluppo di una notizia”. Bene noi ne abbiamo troppe che premono per non occuparcene. Quindi, stavolta un bell’articolo composito, che rende giustizia a tutti i nostri “follow-up”.

Lo Hobbit mai disegnato da Maurice Sendak
Maurice SendakWayne Hammond, autore insieme a Chiristina Scull del The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, su MythSoc, la mailing list della Mythopoeic Society, ha inviato un messaggio sulla mancata collaborazione tra Tolkien e Sendak, fornendo la versione che si può trarre consultando gli archivi di Allen&Uwin e Houghton Mifflin, le due case editrici coinvolte. In sintesi è quella che abbiamo riportano nell’articolo e smentisce la versione “di terza mano” (Sendak > Maguire > Di Terlizzi) fornita dal Los Angeles Times. Noi avevamo già espresso forti dubbi, basandoci sul fatto che non si ha traccia del secondo disegno di Sendak e soprattutto che il primo, quello di Gandalf e Bilbo, aveva proprio il difetto riportato dallo stesso Tolkien. Hammond conferma che la versione è riportata da Sendak perché il famoso disegnatore ne parlò anche in una conferenza a cui lui partecipò: «Rimane la sua interpretazione dei fatti. I documenti d’archivio sulla corrispondenza tra le due case editrici lo smentiscono». Tre i punti di dissenso:
1) Tolkien non supervisionava tutta l’operazione, ma aveva lasciato che gli editori gestissero la cosa. Sendak aveva negoziato delle royalty più basse pur di consegnare più tardi i disegni, che poi furono consegnati soltanto all’inizio del 1967, oltre due anni dopo la firma dell’accordo;
2) la versione delle didascalie invertite non regge, perché dalla corrispondenza si parla sempre chiaramente di una sola bozza, quella di Gandalf e Bilbo. Hammond fornisce la sequenza cronologica precisa, che si può già leggere nell’articolo da noi pubblicato in precedenza.
3) Non c’è alcuna traccia della frase di Tolkien secondo cui “Sendak non aveva letto attentamente il libro e non sapeva cosa fosse un Hobbit”, anche se potrebbe essere plausibile osservando la bozza in questione.
Hammond conclude che, in ogni caso, sarebbe stato interessante vedere Lo Hobbit illustrato da Sendak, che si sarebbe sicuramente realizzato se non ci fosse stato il suo attacco di cuore nel maggio del 1967 e che il disappunto di Tolkien circa la bozza non avrebbe sicuramente fermato un progetto del genere.

«Al di sopra del Marese, della Valle dell’Acqua, dei Monti Brumosi, del Bosco d’Oro,
della Montagna Solitaria, delle nubi, dei mari, al di là del Fuoco Dorato, della Rete di Stelle
e dei confini delle Cerchie del mondo…».

L’Ultimo portatore dell’Anello
Edizione spagnola di The Last Ring BearerTorniamo sulla notizia del libro
The Last Ring-Bearer, scritto da Kirill Yeskov, di cui avevamo già parlato diffusamente. La notizia ha suscitato tanto interesse che il biologo e paleontologo di Mosca ha scritto sul suo blog un lungo intervento in cui spiega le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere “la storia del Signore degli Anelli dalla parte dei perdenti”. Salon ne ha riportato la traduzione in inglese, che tra l’altro ha scatenato i commenti dei lettori. L’articolo è molto approfondito e meriterebbe un articolo a parte, per la profondità, le digressioni in campo letterario e sul mondo di critica in Russia e per lo stile piacevole di Yeskov.

Riportiamo qui una sintesi: «Ho scritto The Last Ring-Bearer soltanto per diletto, il mio e quello di dei miei amici. Non ho scritto il romanzo inseguendo i gusti di un editore o di un possibile pubblico», scrive lo scienziato russo. «È stato scritto anche per un pubblico specifico: è una “storia fantastica per giovani scienziati”, come sono io». Soprattutto, il romanzo ha un obiettivo: «Far ricredere quelli tra noi che sono scettici o agnostici, secondo cui Tolkien è solo un affascinate, sebbene un po’ noioso, scrittore di libri per bambini». Yeskov considera il suo libro non un sequel, ma un “apocrifo”, l’unico tipo di opera in grado di prendere spunto da un capolavoro per produrre talvolta risultati apprezzabili.

Kirill Yeskov«Cosa realmente mi ha spinto a scrivere The Last Ring-Bearer?», si domanda lo scienziato, che risponde: «La sfida intellettuale di trovare una spiegazione logica a diverse contraddizioni ovvie presenti nel Signore degli Anelli. Paradossalmente, volevo dimostrare che era sbagliata proprio la famosa tesi che “Tolkien aveva sbagliato” circolante nel nostro ambiente». Yeskov considera Tolkien un uomo di scienza, anche se un linguista piuttosto che un geologo. Da linguista, il professore di Oxford iniziò creando lingue immaginarie, con il loro alfabeto, la grammatica e il glossario; creò quindi alcuni racconti e leggende usando questi linguaggi, poi i popoli che avevano scritto queste leggende, e soltanto allora creò steppe, montagne e foreste in cui questi popoli potessero far pascolare le greggi, costruire città e combattere “l’Oscurità dall’Est”. «È stata questa precisamente la sequenza», dice Yeskov. «Tolkien era un filologo e ovviamente aveva scarso interesse nell’ultima componente, inanimata, della Terra-di-mezzo». Così il mondo immaginario creato da Tolkien presenta una serie di difetti dal punto di vista fisico e geologico.

In un noto saggio, Must Fantasy Be Stupid?, lo scrittore russo Sergej Pereslegin (su cui si potrebbe aprire un capitolo a parte, ma andremmo lontano) fornisce un elenco dettagliato degli errori più comuni commessi dagli autori di Fantasy, ed usa l’opera di Tolkien per definirne uno: «La Terra-di-mezzo è un mondo geologicamente instabile». Ecco tutte le imperfezioni: è un mondo con un solo continente (come accadde alla Terra in era Proterozoica e Paleozoica), ma non ha catene montuose al suo centro (come l’Himalaya), risultanti dalla collisione delle diverse placche tettoniche. La conclusione è che si tratta di un mondo completamente immaginario. Kirill Yeskov reagisce a queste affermazioni e per dimostrare che la Terra-di-mezzo è un “mondo
reale”, come tra l’altro si può leggere nel bel saggio di un altro critico russo, R.I. Kabakov, Tolkien’s Lord of the Rings and the Problem of Contemporary Literary Myth-making, spiega come la Terra-di-mezzo è semplicemente la parte nord-occidentale di un continente, che si estende ben oltre i margini sud ed est delle mappe disegnate da Tolkien. Sicuramente, oltre quei bordi ci saranno catene montuose, mari ed arcipelaghi.
Lo scienziato russo dà una risposta anche ad altre domande:

  • Che tipo di economia ha quella parte del continente, dove sicuramente figure come Aragorn oppure Faramir sono personaggi non comuni?
  • Qual è il tipo di moneta circolante, ad esempio, nella Contea, dove gli Hobbit sono solito vedersi nelle locande per bere birra?
  • Qual è l’occupazione, ad esempio, degli abitanti di un regione come Rohan, dove è rinomato l’allevamento dei cavalli, che però non può essere alla base dell’economia di un intero paese?
  • Cosa mangiano le sterminate schiere dell’Oscuro Signore mentre sono accampate nel deserto di Mordor?
  • Soprattutto, come può esistere in un regno come Mordor, una capitale in mezzo al deserto?

Rispondere a tutte queste domande lo ha portato a scrivere The Last Ring-Bearer. Yeskov conclude il lungo intervento spiegando i suoi sentimenti verso il professore di Oxford: «Mi inchino di fronte al Demiurgo Tolkien, che ha creato un universo stupefacente, ma rimango un po’ freddo dinanzi a Bardo Tolkien, autore della storia dei quattro Hobbit e della loro quest. In altre parole, per me il palcoscenico è più maestoso e interessante dello spettacolo che vi si svolge sopra».

Sigurd & Gudrún, Shippey torna in Galles
Dopo una simile rassegna non potevamo non potevano chiudere in bellezza. Avevamo annunciato l’avvio dei due corsi online alla University of Wales Institute di Cardiff, che partiranno da lunedì 23 maggio prossimo. A condurli è Dimitra Fimi, giovane conferma tra gli studiosi di Tolkien, autrice tra l’altro del libro Tolkien, Race and Cultural History, recentemente premiato con il 2010 Mythopoeic Scholarship Award in Inklings Studies. La professoressa greco-gallese ha portato in dote ai suoi studenti la conferenza pubblica tenuta da Tom Shippey su Writing into the Gap: Tolkien’s The Legend of Sigurd & Gudrún (stesso titolo della sua recensione del volume pubblicata su Tolkien Studies 7). Lo studioso è stato presentato da Fimi come colui con cui «sono nati seriamente i Tolkien Studies, con la pubblicazione di La Via per la Terra-di-mezzo» (edito da Marietti 1820). Vista l’improbabilità di aver potuto sentire la conferenza di Shippey a Cardiff, vogliamo darvi un assaggio di quel che ha detto su Tolkien e il suo lavoro. Eccovi quasi dodici minuti della sua conferenza!!! Non sarà tutta, ma almeno un morso alla mela lo diamo anche dall’Italia…
Ecco anche la Parte 2
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Tolkien e la fiaba norvegese

Fiaba norvegeseC’era una volta un povero contadino con la casa piena di figli, ma non aveva gran che da offrir loro per nutrirsi e vestirsi, belli erano tutti ma la più bella, incredibilmente bella, era la figlia minore
Inizia così una delle più note fiabe norvegesi. La scena che colpisce di più è l’amicizia tra la bambina e un orso bianco e il viaggio che compiono insieme. Se vi è venuto in mente il film (e il libro) La bussola d’oro di Philip Pullman non sbagliate. Anche lui si è ispirato alla fiaba norvegese, che si chiama East of the sun, west of the moon. Ma sono in molti ad averne tratto spunto. E tra di loro c’è anche J.R.R. Tolkien.

Locandina del filmLa fiaba fu tradotta in inglese nel 1889 da Andrew Lang in uno dei dodici libri della sua raccolta, The Blue Fairy Book, e divenne talmente famosa da divenire proverbiale. East of the sun, west of the moon è, infatti, un’espressione per indicare il posto impossibile da trovare, il posto fantastico per antonomasia. Anche il professore di Oxford fu colpito dalla fiaba e, pur non citandola mai né nelle lettere né nei saggi, le offrì un omaggio diretto e inequivocabile nel Signore degli Anelli. Per scoprire dove si può leggere l’articolo molto bello e approfondito di Cecilia Barella sul sito della Compagnia del Libro dal titolo La fiaba norvegese che piaceva a Tolkien.
Per cogliere un indizio dell’importanza che East of the sun, west of the moon ha nei paesi anglosassoni e in quelli scandinavi, riportiamo una piccola selezione di immagini tratte dalle infinite versioni della fiaba in questi ultimi anni.
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Arriva dalla Russia il contrattacco di Mordor

«Al di sopra del Marese, della Valle dell’Acqua, dei Monti Brumosi, del Bosco d’Oro,
della Montagna Solitaria, delle nubi, dei mari, al di là del Fuoco Dorato, della Rete di Stelle
e dei confini delle Cerchie del mondo…».

Edizione spagnola di The Last Ring Bearer“La storia è scritta dai vincitori”. È un vecchio adagio confermato dai fatti talmente tante volte che è divenuto proverbiale. Se Il Signore degli Anelli non fosse il frutto della fantasia di J.R.R. Tolkien, ma il resoconto di una guerra realmente avvenuta, probabilmente l’adagio sarebbe stato confermato una volta di più. E se fosse proprio così?
La risposta positiva a questa domanda farebbe nascere molte riflessioni sul racconto di fatti realmente avvenuti. È quel che ha fatto un paleontologo russo…
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La pignoleria di uno scienziato
Kirill YeskovKirill Yeskov è un biologo e paleontologo di Mosca con alle spalle ben 86 pubblicazioni scientifiche e la scoperta di almeno 7 nuove specie di ragno. Nel suo paese è piuttosto conosciuto anche dagli appassionati di fantascienza per aver scritto diversi libri del genere. Circa 15 fa, leggendo Il Signore degli Anelli, Yeskov si accorse di alcune incongruenze geografiche e geologiche della Terra di Mezzo. Prese una bella penna rossa e iniziò a correggere il testo che andava leggendo. Presto i margini del libro non bastarono più a contenere le sue note. Fu così l’inizio di un lavoro che lo impegnò 4 anni e lo portò a scrivere 140mila parole, equivalente all’80% della Compagnia dell’Anello. Ne uscì una riscrittura della storia, seguendo però quello spunto iniziale.

L’Ultimo portatore dell’Anello
L'Ultimo portatore dell'AnelloSecondo Yeskov, il testo di Tolkien è in realtà la leggenda romantica raccontata dalla parte vincente nella guerra dell’Anello. Se fosse un documento storico, un suo esame più attento rivela un versione alternativa della guerra. Proprio come la storia col tempo diventa mito, gli elementi fantastici nel Signore degli Anelli possono essere visti come metafora di dinamiche sociali di quell’epoca (l’anno 3019 della Terza Era). Il romanzo dello scienziato, The Last Ring-Bearer, pubblicato in Russia nel 1999, racconta così la storia epica di Tolkien dal punto di vista della regione di Mordor, da dove Sauron, l’Oscuro Signore, mosse guerra ai popoli liberi della Terra di Mezzo.
La storia ha una prospettiva meno in bianco e nero, raccontata dal punto di vista dei perdenti. Secondo Yeskov sembra che la guerra sia stata causata da due visioni del mondo diverse e contrapposte: il mondo dell’aristocrazia rurale e del feudalesimo, con un potente appoggio magico, i cui leader vogliono mantenere lo status quo, e il mondo del progresso tecnologico, all’alba di una rivoluzione industriale. Così, gli orchi e le altre “razze del
Male” non sono più maligni di qualsiasi altra razza della Terra di Mezzo. Ci sono leader potenti su entrambi i lati che vogliono prevalere e proteggere il loro stile di vita e la gente comune che viene coinvolta in questo conflitto. I fan del Signore Oscuro resteranno un po’ delusi: sua Maestà Sauron ha solo poche citazioni nel racconto degli eventi, essendo stato più che altro un re illuminato. Di conseguenza, Aragorn e Gandalf hanno ritratti a tinte fosche: il primo è un guerriero spregiudicato, che non esita a far uccidere un suo compagno pur di vantarsi della sua spada leggendaria e in un altro momento si dice che Boromir è stato ucciso da qualche parte nelle regioni del nord, suggerendo che potrebbe essere stato l’erede al trono di Gondor. Gandalf è descritto come il motore instancabile di tutte le manovre dell’Ovest, un vero e proprio guerrafondaio. Alla fine, il mondo feudale dei Popoli Liberi prevale e spazza via il tentativo di rivoluzione tecnologica: i successivi resoconti, scritti a Gondor, esalteranno lo scontro tra Bene e Male, dipingendo come mostri terrificanti gli avversari e come una dittatura dispotica il regno di Mordor.

Per quanto riguarda lo stile bisogna dire che è piuttosto diverso da quello di Tolkien: è un po’ come se John LeCarré avesse scritto Rosencrantz e Guildenstern sono morti. C’è molta più enfasi sulla disinformazione e sullo spionaggio, e la prosa è ben lontana dall’essere epica. Non è così divertente e leggibile come l’originale, ma è un lavoro comunque legittimo e interessante. Eccone qualche esempio, dalla traduzione inglese, fatta in collaborazione con l’autore stesso:
Dal Capitolo 35: «Close to evening a stranger visited the Mordorians’ barrack where the Engineer Second Class was being wracked by a consuming fever. He was wiry and quick in his movements, his swarthy Southerner’s face marked by decisiveness – most likely an officer off an Umbarian privateer who by a quirk of fate wound up at Mindolluin rather than dangling off the yardarm of a royal galley. He stood for a minute over the bloody mess already presided over by hordes of fat flies and grumbled to no one in particular: “Yeah, prob’ly a goner by morning…” Then he disappeared, only to re-appear a half an hour later and, much to the surprise of Kumai’s fellow inmates, begin treating him. Ordering them to hold the patient down, he started rubbing a yellowish ointment smelling sharply of camphor right into the bleeding welts; the pain was enough to jerk Kumai back from wobbly unconsciousness, and had he not been so weakened, his fellows would not have been able to keep him pinned down. Pirate (as the prisoners took to calling him) kept working calmly, and just a few minutes later the wounded man relaxed, melting with copious sweat, and sank into a real sleep like a stone in a pond».
Dall’Epilogo: «Our narrative is based entirely on Tzerlag’s tales, however incomplete, that are preserved by his clan as an oral tradition. It should be stressed that we have no documents that might attest to its veracity. The one who might have been expected to leave the most detailed account – Haladdin – had not recorded even a word on the subject; the other participants in the hunt for Galadriel’s Mirror – Tangorn and Kumai – remained silent for obvious reasons. Therefore, whoever would like to declare the whole thing to be the old-age ravings of an Orc who wanted to replay the finale of the War of the Ring is free to do so with clear conscience. After all, that’s what memoirs are for: to let veterans recast their losses as victories after the fact».

Un successo duraturo non solo in Russia
 The Black Book of ArdaChe un libro avesse successo in Russia era quasi scontato. Proprio alla fine degli anni Novanta molti scrittori pubblicarono libri simili ispirati alla Terra di Mezzo. Sono la fonte classica per gli appassionati di giochi di ruolo russi che interpretano il lato “oscuro” dei paesi a est e sud. Famosissimo è The Black Book of Arda, un romanzo di N. Vassilyeva e N. Nekrasova, che racconta Il Silmarillion dal punto di vista di Melkor, che ebbe ben due edizioni nel 1995 e nel 2000. Oppure come Beyond the Dawn, un romanzo fantasy della scrittrice ucraina Olga Chigirinskaya, pubblicato nel 2003, che racconta la storia di Beren e Luthien usando toni poetici attinti dalla letteratura.
Per non parlare della discutibile serie Ring of Darkness di Nick Perumov, pubblicata a partire dal 1991, che ha provocato un’ondata di critiche dagli appassionati di Tolkien, ma ha venduto almeno 100mile copie, scalando tutte le classifiche di popolarità tra i lettori di fantasy.
Il libro di Yeskov ha un respiro diverso. Ha una prosa migliore, rimane fedele alla storia pur introducendo alcuni personaggi nuovi e raggiunge toni lirici in alcuni punti. Un esempio è quando Sauron discute con Gandalf sul futuro della Terra di Mezzo, invertendo l’idea di “bene” e “male” della trilogia: «History will be written by those who will win under your banner. There are tried and true recipes for that: cast Mordor as the Evil Empire that wished to enslave the entire Middle Earth, and its inhabitants as non-human monsters that rode werewolves and ate human flesh … I am not talking about history now, but rather yourself. Allow me to repeat my rude question about the people who hold the knowledge of the civilization of Mordor. That they will have to be destroyed, quite literally, is beyond doubt – ‘uproot the weed entirely’ – otherwise the whole endeavor is meaningless».
Non stupisce, quindi, che The Last Ring-Bearer abbia avuto più edizioni in Russia e sia stato tradotto e pubblicato in molti paesi vicini di lingua slava, avendo buoni risultati di vendita anche in Estonia, Polonia e persino in Spagna, dove è stato pubblicato da una importante casa editrice di fantascienza.

Contenti i lettori, ma non la Tolkien Estate
Il successo editoriale di lunga durata del romanzo di Yeskov naturalmente è giunto a conoscenza di molti appasionati di Tolkien sparsi nel mondo. Finché la curiosità non si è trasformata in dedizione portando prima alla traduzione in inglese del primo capitolo, poi dell’opera intera. «Sono stato molto così impressionato da questo lavoro da trascorrere alcune dozzine di pause pranzo per tradurlo in inglese», ha scritto Yisroel Markov sul suo blog dando l’annuncio che è ora possibile scaricarlo gratuitamente. «Alcune case editrici hanno considerato una traduzione commerciale di questo libro, che è già stato pubblicato in diverse lingue europee», spiega il traduttore, «ma hanno abbandonato l’idea per paura della Tolkien Estate, che controlla rigidamente ogni opera derivata, soprattutto quelle in lingua inglese. Questa traduzione non è commerciale».
Non la pensa così però proprio la casa che detiene i diritti delle opere di Tolkien. In un articolo del Guardian, David Brawn della HarperCollins, editore esclusivo dei libri di Tolkien ha detto: «A mia conoscenza, nessuno di noi è mai stato contattato per pubblicare questo libro». La Russia ha operato «per anni» al di fuori dei diritti d’autore, ha aggiunto Brawn, anche se la situazione ora sta cambiando. «In Internet ci sono
tantissime infrazioni – ha continuato l’editor – ed è estremamente difficile fare qualcosa». «Quando si ottengono i diritti di qualcosa così popolare come Tolkien, gli appassionati vogliono avere sempre nuove storie. La maggior parte di quelle scritte è piuttosto dilettantesca. Tolkien stesso non è del tutto d’accordo e la linea della Estate è che è meglio dire di no a tutto. Se ne lasci passare uno, un diluvio spalancherà le porte».
Mark Le Fanu, segretario generale della Society of Authors (una sorta di Siae nostrana), dal canto suo ha avvertito che anche una storia amatoriale messa a disposizione non per scopo di lucro è soggetta al diritto d’autore. «Se il libro è disponibile in inglese senza la licenza del titolare del diritto d’autore è comunque una violazione».

Considerazioni finali su The Last Ring-Bearer
Ramsete II QadeshQuando si tratta di guerre, la verità è di solito la prima tra le vittime. La Storia insegna come molte sconfitte siano state nascoste o completamente travisate. Senza giungere agli estremi possibili narrati ad esempio in 1984 di George Orwell (in cui si era sempre in in un regime di guerra per giustificare il razionamento dei viveri e il lavoro coatto), si possono citare molti eventi storici. Fin dalla battaglia di Qadesh, combattuta nel 1274 a.C. (ben tremila anni fa) l’uomo ha sempre raccontato la guerra guardando piuttosto al proprio tornaconto. In quell’occasione, il faraone Ramsete II fu sconfitto dagli ittiti che lo presero di sorpresa e la sua politica di riprendersi la Siria fu neutralizzata: ma i templi di Karnak raccontano un’altra storia, con un faraone gigante che resiste ai nemici fino all’arrivo dei soccorsi. Dal Medioevo ci è giunta La Chanson de Roland, considerata tra le più belle opere della letteratura medievale francese e ispiratrice di tutte le storie del ciclo carolingio e di Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto. Ma racconta della battaglia di Roncisvalle, avvenuta il 15 agosto 778, quando la retroguardia di Carlo Magno, comandata dal paladino Orlando, fu attaccata e distrutta dai saraceni. L’eroe fa strage di nemici con la sua famosa spada Durlindana, ma sopraffatto, Orlando usa il poco fiato rimasto per suonare l’Olifante, il corno magico col quale richiama l’attenzione di re Carlo (piacque tanto a Tolkien che ne fece un favoloso animale). Per non parlare della Battaglia di Maldon, schermaglia combattuta nell’Essex il 10 agosto 991 tra anglosassoni e vichinghi, che tutto sommato sarebbe rimasta sconosciuta se non fosse stato per l’orgoglio smodato del conte Byrhtnoth, tramandato dalla Battle of Maldon. Criticata anche da Tolkien, la sua «aspirazione a onore e gloria, in vita e dopo la morte, tende a dilatarsi, a divenire un movente fondamentale» della sconfitta, inducendolo a cedere troppo terreno agli avversari. Fu la causa della rovina per tutti i suoi guerrieri e per l’Inghilterra. Ma i poeti ne esaltarono il coraggio come massimo esempio dell’eroismo nordico e dello spirito di sacrificio contro gli spietati e sanguinari uomini del nord venuti dal mare. Questi ultimi, evidentemente, non la pensavano così, perché fecero del capo di quella spedizione il re di Norvegia e lo cantarono nella Grande saga di Óláfr Tryggvason.
Fortunatamente si sono conservati entrambi i componimenti poetici, così abbiamo le due versioni dei fatti.

Considerazioni di questo genere inquadrano l’impresa di Yeskov in una prospettiva diversa, rendendola meno peregrina e soprattutto degna di maggiore considerazione rispetto ad altri lavori. Del resto, lo stesso Tolkien, nonostante i timori della Tolkien Estate, in un momento della sua vita avrebbe voluto che la sua enorme opera avesse un seguito. «Alcuni dei racconti più vasti li avrei raccontati interamente – scrive in una lettera –, e ne avrei lasciati altri solo abbozzati e sistemati nello schema d’insieme. I cicli sarebbero stati legati in un grande insieme, e tuttavia sarebbe rimasto lo spazio per altre menti e altre mani che inserissero pittura e musica e dramma». Su questo già in passato si è scritto, mostrando come la fan fiction sia stata a volte fondamentale per la letteratura, da Don Chisciotte a Pinocchio.
Le leggende della Terra di Mezzo scritte da Tolkien coprono moltissimi aspetti e moltissimi eventi tra le Ere di Arda. Di tutte, però, soltanto una è scritta “dalla parte dei perdenti”. Si tratta di una versione alternativa della Caccia all’Anello, contenuti nei Racconti Incompiuti che racconta i movimenti dei Nazgûl nel periodo che precede Il Signore degli Anelli.
È un po’ pochino per gli appassionati, soprattutto per quelli russi.
E per la cronaca, la traduzione inglese di The Last Ring-Bearer è stata scaricata in una settimana da 10mila persone, mentre un file torrent è apparso su sito The Pirate Bay.
Chi volesse leggerlo in inglese può scaricarlo da qui.

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Come Il Signore degli Anelli non fu pubblicato nel 1962

Elio VittoriniUn articolo pubblicato il 26 ottobre nelle pagine culturali del quotidiano La Repubblica svela un particolare finora inedito della storia editoriale italiana del Signore degli Anelli: nel 1962 la maggiore casa editrice italiana, la Arnoldo Mondadori, prese in considerazione l’ipotesi di pubblicare un’edizione italiana del capolavoro di Tolkien.
Il documento riportato da Repubblica, del quale potete vedere una riproduzione qui sotto, è la scheda di lettura del Signore degli Anelli, e contiene l’illustre parere di Elio Vittorini, direttore della collana “La Medusa” di Mondadori a partire dal 1960.

Lettera di Vittorini su TolkienIl giudizio di Vittorini è severo: “Inclinerei a scartare: ma possiamo eventualmente provarci ad acquistare un solo volume come gli editori ci propongono”; evidentemente la George Allen & Unwin non si poneva troppi problemi di tutelare l’integrità dell’opera di Tolkien, proponendo anche la pubblicazione della sola Compagnia dell’Anello (come poi in effetti avvenne nel 1967). Forse confidavano nel successo del libro, che avrebbe portato alla pubblicazione anche dei due volumi successivi…

La pubblicazione del Signore degli Anelli da parte di Mondadori non sarebbe stata del tutto strana, dal momento che proprio nella collana “La Medusa” erano stati pubblicati, a partire dal 1947 e dal romanzo Lontano dal pianeta silenzioso, la “trilogia dello spazio” di C. S. Lewis.

Vittorio SereniA Vittorini risponde Vittorio Sereni, con un parere ancor più negativo: “Se c’è tempo per farlo chiederei un’altra lettura. Ma la conclusione mi sembra già un NO ed escluderei la possibilità di arrischiare un esperimento”. La questione si chiude con una nota di R. C., che scrive: “Opzione scaduta. Dunque, è no”, e con un’altra nota (dalla sigla illeggibile) che recita: “Detto in una lettera all’editore”.

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ISdA per MondadoriCosa sarebbe successo, se La Compagnia dell’Anello fosse stata pubblicata nel 1963 dalla Mondadori? Nessuno può dirlo con certezza; si può ipotizzare che il volume non avrebbe riscosso grande successo e che la pubblicazione della “trilogia” si sarebbe arenata. Allora, forse, non ci sarebbe stata la “scoperta” di Tolkien nei primi anni ’70 da parte dei giovani di destra, e Il Signore degli Anelli avrebbe visto la luce nella sua completezza solamente verso il 1978, sfruttando l’uscita del film di Bakshi. Chissà, potremmo anche dover ringraziare il giudizio di Vittorini…

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