Giungono finalmente nuovi dati sugli ascolti de Gli Anelli del Potere e, a dire il vero, non sembrano molto positivi. Infatti, secondo ScreenRant – un rapporto della società di analisi dello streaming di terze parti Luminate –, la seconda stagione dello show diretto da Patrick McKay e J.D. Payne avrebbe registrato un notevole calo dell’audience rispetto alla precedente. Più precisamente, il numero di spettatori della Stagione 2, nelle sue prime 12 settimane di disponibilità, sarebbe diminuito del 60% rispetto alla Stagione 1 in termini di minuti totali guardati. Questo dato appare in netto contrasto con i feedback estremamente entusiastici rilasciati da Jennifer Salke, capo degli Amazon-MGM Studios, secondo la quale ben 55 milioni di persone avrebbero “interagito” con la serie dal lancio della seconda stagione il 29 agosto scorso.
Categoria: Arte
La guerra dei Rohirrim: La recensione del film
Dopo esser passato nella seconda parte di Dicembre nel resto del mondo, Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim arriva finalmente al cinema anche da noi. È approdato infatti in sala il 1° gennaio 2025, dopo una lunghissima attesa più che giustificata, dato che il film diretto da Kenji Kamiyama si porta dietro alcune interessanti e inedite premesse. Innanzitutto, si tratta di un’opera in stile anime, una tecnica finora mai utilizzata per un adattamento del Legendarium, ma, ancora più importante, è il fatto che il film rappresenta un prequel della trilogia di Peter Jackson, diventando così un capitolo ufficiale della saga del Signore degli Anelli, iniziata 25 anni fa e continuata qualche decennio successivo con Lo Hobbit.
War of the Rohirrim, su piattaforma dopo 14 gg
Beh, è stato veloce. Il film anime della New Line Cinema The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim, uscito negli Stati Uniti e molti altri Paesi il 13 dicembre sarà disponibile in digitale a casa già dal 27 dicembre prossimo, avendo avuto così un passaggio nelle sale cinematografiche di appena 14 giorni. In Italia uscirà il primo gennaio. La competizione natalizia ha danneggiato, infatti, il botteghino del cartone animato ambientato nella Terra di Mezzo, con competitor del calibro di Oceania 2 (717 milioni di dollari in tutto il mondo), Wicked (525 milioni di dollari), Mufasa, Pushpa 2 e il deludente Kraven il cacciatore, oltre ai nuovi arrivati Nosferatu e A Complete Unknown. Ma su tutti spicca soprattutto un film come Sonic The Hedgehog 3, che ha superato i 70 milioni di dollari in quattro giorni.
Al cinema The War of the Rohirrim ma non in Italia
Alla fine hanno ceduto tutti alla tentazione dell’Anello. A poco meno di un quarto di secolo dalla prima trilogia del Signore degli Anelli, Peter Jackson e compagni tornano nella Terra di Mezzo con un nuovo film d’animazione, Il Signore degli Anelli: La Guerra dei Rohirrim (The War of the Rohirrim). Quest’ultimo – dopo la premiere mondiale del 5 dicembra a Londra – esce nelle sale di tutto il mondo il 13 dicembre 2024, tramite New Line Cinema, mentre in Italia uscirà solo l’1 di gennaio 2025, per non dar fastidio ai cinepanettoni che altrimenti andrebbero deserti…
In realtà Jackson è “solo” produttore esecutivo del film, ma “si è tirato indietro” dal coinvolgimento quotidiano incoraggiando il regista Kenji Kamiyama a mettere il suo timbro sul film. Quest’ultimo è un prequel della prima trilogia, che si assume il gravoso compito di adattare La Casa di Eorl, un paragrafo sepolto nelle Appendici del capolavoro di J.R.R. Tolkien, in cui si racconta del popolo dei Rohirrim, appunto. Il tutto in stile anime, cioè come cartone animato giapponese, una novità assoluta per Tolkien, ma che richiama alcune produzioni degli anni Settanta, dall’incompiuto di Ralph Bakshi ai due film Rankin/Bass.
Freud, l’ultima analisi: un film tolkieniano
Gli appassionati tolkieniani potrebbero andare a vedere il film di Matt Brown Freud, l’ultima analisi – basato sull’incontro immaginario tra un Sigmund Freud morente e il professor C.S. Lewis, nel 1939 – anche solo per vedere riassunto il rapporto tra Tolkien e l’amico e collega Lewis nei flash-back della vita di uno dei due protagonisti. Soprattutto potrebbero gustarsi la celebre passeggiata sull’Addison’s Walk, nel parco del Magdalen College di Oxford, durante la quale Tolkien, con i suoi ragionamenti sul mito pagano e sul mito incarnato cristiano, diede avvio al processo di conversione di Lewis; ma anche lo scampolo di riunione degli Inklings all’Eagle and Child, con la bonaria insofferenza per le lunghe letture di Tolkien. Certo risulta piuttosto implausibile che Freud avesse sentito nominare gli Inklings e in particolare conoscesse Tolkien al punto da considerarlo “brillante”, come lo definisce in un dialogo iniziale, visto che a quella data era noto soltanto come autore dello Hobbit e non pare che il padre della psicanalisi si interessasse di narrativa fantastica, né tanto meno di filologia germanica. Tuttavia è l’unica strizzata d’occhio che il film si concede quando viene tirato in ballo il padre degli Hobbit.
Per il resto si tratta né più e né meno che del confronto tra un ateo razionalista e un credente cristiano sul problema di Dio, una delle più classiche diatribe dell’età contemporanea (o “post-cristiana”, avrebbe detto lo stesso Lewis). Da una parte c’è forse il più grande avversario teorico della fede, dall’altra un cristiano convertito, ovvero un personaggio che è approdato alla fede attraverso un percorso intellettuale, oltre che spirituale, partendo appunto da quella pulce introdottagli nell’orecchio da Tolkien.
Lo spunto interessante è che la richiesta del confronto, nella finzione narrativa, parte proprio da Freud, ormai condannato a morte dal cancro. Benché non sia in alcun modo disposto a muoversi di una virgola dalle proprie posizioni oltranziste, Freud è interessato ad affrontare un’ultima discussione, e proprio con Lewis, che diventa anche un’ultima seduta psicanalitica, nella quale i due si analizzano a vicenda, scambiandosi spesso i ruoli. Delle vite dei due personaggi vengono rievocati i punti nodali, dall’infanzia all’età adulta, i rapporti con le figure genitoriali, con i loro surrogati, con la figlia Anna, nel caso di Freud, afflitta dal “complesso di Elettra”, e con la fantomatica quanto realissima “Signora Moore”, per C.S. Lewis, con la quale convisse per decenni, sostituendosi al figlio di lei, suo commilitone morto in guerra. [Piccolo inciso autoreferenziale: il film avalla la tesi di alcuni biografi di Lewis, che chi scrive riprese nel romanzo Stella del Mattino (2008) dove Lewis compariva come personaggio insieme a Tolkien, secondo la quale il rapporto con la signora Moore, una volta che Lewis divenne uomo adulto, si trasformò in qualcosa di molto più simile a una convivenza more uxorio].
Mentre la discussione si dipana, in toni cordiali ma netti e senza esclusione di colpi, e i lati oscuri delle due personalità emergono insieme alle rispettive umane debolezze, dalla radio giungono le notizie dell’imminente scoppio della seconda guerra mondiale. Frammenti di discorsi di Hitler contro il giudeo-bolscevismo che minaccia l’Europa; quelli del primo ministro britannico Chamberlain (mentre quello celeberrimo di re Giorgio VI ci viene risparmiato, perché la radio viene accesa quando è appena finito: e questa forse è una seconda mezza strizzata d’occhio allo spettatore, visto che rimanda a un bellissimo e pluripremiato film di una dozzina d’anni fa); e i rapporti sui bombardamenti della Polonia da parte della Luftwaffe, già attesa anche sui cieli di Londra. Il tutto intervallato da musica sinfonica, snobbata come un tedioso riempitivo, ma in realtà importante nel finale, almeno quanto l’ultimo gesto di Freud (no spoiler).
Freud è morente proprio mentre il mondo inaugura un nuovo grande massacro, dopo quello da cui Lewis è uscito con una ferita, un trauma da esplosione, e una promessa all’amico morto che gli condizionerà la vita. Ma perché, nell’ora più buia dell’Europa, cercare il confronto proprio con quest’uomo più giovane e tanto diverso? Perché pretendere di confutare Dio per morire ancora più convinto delle proprie convinzioni? Per tutto il film è questa la domanda che aleggia sulla vicenda e che gli stessi personaggi si fanno. Ovviamente la risposta non è fornita dai dialoghi bensì dalla trama stessa, o proprio dalla situazione che racconta. Un momento estremo, per la storia mondiale e per un uomo che ha fatto la storia del pensiero occidentale, il quale sa benissimo che dentro ogni essere umano c’è un potenziale tiranno, un piccolo Hitler irrazionale da tenere a bada e da sconfiggere. Dall’altra parte c’è uno che, senza rinnegare la ragione né la necessità di difendersi, ma rigettando il meccanicismo del “Dottor Sesso”, ribadisce il paradossale messaggio evangelico, l’amore per il prossimo, nonostante e anzi forse soprattutto perché il prossimo è tutt’altro che amabile e la storia sembra sprofondare di nuovo in un baratro senza fine. I due non hanno niente in comune, se non l’essere umani, due esseri umani che si trovano nel frangente estremo: la fine della vita individuale per uno di loro, che di lì a tre settimane praticherà su di sé l’eutanasia per porre fine alla propria sofferenza, e la guerra che mette a repentaglio la vita di tutti. Quei due non saranno mai d’accordo sull’esistenza di Dio, eppure potranno continuare a parlarne fino all’ultimo istante, perfino sotto le bombe, perfino a un passo dalla morte, perché farlo è continuare a porsi la questione del senso dell’esistenza e della storia, la questione cui l’umanità non può sottrarsi, quella con la Q maiuscola. E perché domandarsi significa precisamente essere umani.
Cosa c’entra tutto questo con Tolkien? Be’, c’entra, se è vero quello che ricordava Verlyn Flieger nel suo imprescindibile Schegge di luce (Marietti, 2024), rispondendo alla domanda sul perché si dovrebbe prendere sul serio l’opera di Tolkien:

“Perché affronta in modo diretto, anche se in maniera assai creativa, i due argomenti spinosi, imbarazzanti e persino tabù che il nostro tempo tende a evitare quanto più possibile: la morte e il rapporto tra l’umanità e Dio”.
Si potrebbe aggiungere che li affronta senza avere la pretesa di risolverli in maniera dottrinale, ovvero tenendosi alla larga da qualsivoglia intento catechistico o apologetico. Ecco, il film di Brown in effetti racconta un immaginario quanto realistico confronto sugli stessi temi universali. Ed è per questo che allo spettatore tolkieniano è parso che il Professore aleggiasse sul film ben oltre il breve cameo che gli viene dedicato.
Una nota finale sulle prove attoriali. Oltre al solito gigantesco Anthony Hopkins nei panni di Sigmund Freud, nella parte di C.S. Lewis c’è un bravissimo Matthew Goode, un attore troppo spesso sottoutilizzato nella cinematografia britannica o relegato a ruoli secondari. Ma bravissima è anche la giovane attrice tedesca Liv Lisa Fries nel ruolo di Anna Freud, che è di fatto la terza protagonista del film. Film che, per altro, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo dramma di Mark St. Germain, a sua volta tratto dal saggio The Question of God di Armand Nicholi.
Insomma, Freud, l’ultima analisi è qualcosa di più dell’ennesimo film biografico su Freud, e anche per questo facilmente sparirà in fretta dalle poche sale. E però sempre meglio in sala, se si può. Alla peggio, presto o tardi approderà sulle piattaforme.
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Hobbit a Fumetti, in arrivo le nuove tavole
A poco più di una settimana dalla fine della mostra allestita da Davide Martini al PAFF! di Pordenone, dove i visitatori del museo del fumetto hanno potuto ripercorrere Il Viaggio di Bilbo, attraverso 56 tavole in bianco e nero originali de Lo Hobbit a Fumetti – ne abbiamo parlato recentemente qui – arriva la notizia, comunicata da David Thorne Wenzel sul suo canale Instagram, che una nuova revisione del fumetto è attualmente in preparazione. Lo Hobbit a Fumetti, oltre a essere una delle purtroppo ancora troppo poche graphic novel ambientate nella Terra di mezzo di Tolkien, è sicuramente uno degli adattamenti più riusciti di un libro per ragazzi. La prima pubblicazione, in inglese, di questo fumetto risale al lontano 1989, quando l’ormai scomparsa casa editrice americana Eclipse Comics fece uscire i tre volumi sceneggiati da Chuck Dixon e Sean Deming e illustrati da David T. Wenzel. Da allora questo adattamento è stato pubblicato in svariate lingue (catalano, francese, greco, indonesiano, italiano, olandese, polacco, portoghese, russo, serbo, slovacco, spagnolo, svedese, tedesco, turco, etc.) e arricchito in diverse occasioni: nel 2006 con 32 tavole riviste e migliorate dallo stesso Wenzel e nel 2012, in vista dell’uscita nelle sale cinematografiche del film Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato, con sei pagine aggiuntive. Anche la nuova edizione, la cui data di pubblicazione non è stata ancora resa nota, includerà nuove illustrazioni sulle quali l’artista statunitense è attualmente al lavoro.
Se ne va l’illustratore Greg Hildebrandt
Il 31 ottobre nell’ospedale di Saint Clare’s a Denville nel New Jersey, dove era ricoverato per problemi respiratori, è scomparso a 85 anni Gregory J. (Greg) Hildebrandt, artista ancora attivo fino agli ultimi giorni, divenuto celebre dal 1976 nel mondo dell’illustrazione con il fratello gemello Timothy Mark Allen (Tim) Hildebrandt, mancato nel 2006. I gemelli Hildebrandt erano dotatissimi e avevano iniziato a disegnare a soli due anni, ma la loro fortuna artistica è legata ai Tolkien calendars, illustrati dal 1976 al 1978 per la casa editrice americana Ballantine Books, con tirature record che superarono il milione e mezzo di calendari totali nel triennio. Prima ancora del lungometraggio animato di Ralph Bakshi (1978) e delle due trilogie cinematografiche di Peter Jackson (2001-2003 e 2012-2014), i calendari di Tolkien sono stati l’espressione visuale della Terra di Mezzo, dando un volto a molti personaggi letterari del Professore per la prima volta, facendo sognare milioni di appassionati e diventando in breve un oggetto di culto collezionatissimo.
The War of the Rohirrim, ci sarà Christopher Lee
No, non è una resurrezione e nemmeno una negromanzia. Christopher Lee è mancato nel 2015 e le sue ceneri riposano ancora sulle colline del Surrey, in Gran Bretagna, eppure l’attore britannico avrà comunque un ruolo nel lungometraggio animato The War of the Rohirrim, in uscita in tutte le sale cinematografiche del mondo il prossimo 13 dicembre 2024. Al New York Comic Con 2024, infatti, Philippa Boyens ha rivelato un ulteriore dettaglio riguardo al Saruman che apparirà nell’anime. Ci eravamo chiesti chi avrebbe dato la voce al mago: ora tutto è chiaro.
The War of the Rohirrim al ComicCon di New York
Altri film del Signore degli Anelli sono in arrivo dalla Warner Bros, con Peter Jackson e il suo team come produttori, e si prevede che anche volti noti torneranno davanti alla telecamera. Queste notizie sono state diffuse all’inizio del 2023, ma solo da poco ci sono maggiori dettagli e ora giungono delle precisazioni. Intanto, venerdì 18 ottobre 2024 si è tenuto al Comic-Con di New York un evento dedicato al film di animazione The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim. Il panel è stato condotto da Stephen Colbert e ha visto protagonisti i produttori Philippa Boyens, Jason DeMarco e Joseph Chou, il regista Kenji Kamiyama, gli sceneggiatori Phoebe Gittins e Arty Papageorgiou e gli attori Brian Cox, Gaia Wise e Luke Pasqualino, che prestano la voce rispettivamente a Helm Hammerhand (Manodimaglio/Mandimartello), alla figlia Hera, la protagonista di questo lungometraggio animato, e a Wulf, l’amico di infanzia di Hera che, a causa dell’uccisione del padre da parte di Helm, diventa il principale antagonista della vicenda. Della trama di questo film abbiamo già parlato in occasione dell’uscita del trailer. Riportiamo qui di seguito alcune delle dichiarazioni più interessanti emerse durante il panel.
Gli Anelli del Potere: il finale di stagione
Eccoci giunti al tanto atteso finale di questa seconda stagione de Gli Anelli del Potere: un episodio che raccoglie le linee narrative e prepara la strada per una terza stagione sulla quale, al momento, Amazon MGM Studios mantiene il più stretto riserbo. La narrazione è a tratti incalzante, i bei momenti non mancano ma alcune scelte di scrittura restano fin troppo approssimative.
…Gli Anelli del Potere: il settimo episodio
Il settimo episodio dello show targato Amazon ci ha finalmente mostrato un po’ d’azione, offrendo scene di battaglia e duelli che, pur non esaltanti, appaiono quantomeno godibili. La narrazione si svolge quasi per intero in una stretta unità di tempo, di luogo e di azione e forse per questo motivo appare più coesa che nelle precedenti puntate. E tuttavia, i difetti tecnici e i problemi di consistenza non mancano nemmeno adesso.
…Gli Anelli del Potere: il sesto episodio
Gli Anelli del Potere giunge al sesto episodio, che inaugura la fase conclusiva di questa seconda stagione dello show targato Amazon. Come il precedente (ne abbiamo parlato qui), anche questo offre uno spettacolo a tratti persino piacevole ma paga il fio di tanti problemi di trama che si sono accumulati nel corso dello show.
…Pordenone, la Hobbiton il 27-29 settembre
Torna a distanza di 2 anni l’appuntamento tradizionale della Società Tolkieniana Italiana (STI), che in questa occasione festeggia i suoi 30 anni di attività. Questa manifestazione, che ha accompagnato la storia della STI sin dalla sua nascita, nel 1994, ha viaggiato per tutta Italia, da San Daniele del Friuli a Barletta, cambiando numerose volte location. La ventottesima edizione della Hobbiton, organizzata in collaborazione con il Circolo Culturale Eureka, si svolgerà all’interno del Parco Galvani di Pordenone tra il 27 e il 29 Settembre 2024. Per l’occasione sono previste una mostra, una serie di conferenze e svariate altre attività.
La Mostra
Venerdì 27 Settembre alle ore 18:00 verrà inaugurata, all’interno delle sale del PAFF! – il museo internazionale del fumetto di Pordenone
– la mostra Il Viaggio di Bilbo: Lo Hobbit a fumetti di David Thorn Wenzel, nell’ambito della quale saranno esposte, per la prima volta in Italia, le tavole preparatorie del fumetto Lo Hobbit di D. Wenzel. La mostra offre ai visitatori un’opportunità unica per riscoprire il capolavoro di Tolkien attraverso una lettura inedita e sorprendente. In esposizione, 56 disegni preliminari delle tavole del fumetto, accompagnati da 4 “prove d’artista” di grandi dimensioni nonché opere originali di artisti iconici dell’arte tolkieniana, come Alan Lee, Donato Giancola, i fratelli Hildebrandt, Ted Nasmith, Tim Kirk e Luis Bermejo oltre a due sculture di Anton Spazzapan, in una sezione allestita da Davide Martini. Completano la mostra i costumi di Veronica Stima – già presenti alla mostra di Roma dedicata al professore -, diverse traduzioni del fumetto, libri illustrati e una selezione di oggetti, tra cui spade, elmi e altri cimeli, per rendere questa originale presentazione del romanzo di Tolkien, ancora più coinvolgente e immersiva. La mostra sarà visitabile dal 27 settembre al 10 novembre 2024.
Le conferenze
Oltre ad una fitta serie di conferenze, riportate nel seguito, questa edizione della Hobbiton proporrà diverse attività, fra le quali esibizioni di armigeri, sessioni di gioco di ruolo, esibizioni di danza medioevale e la gara “Costumi di Arda” (Sabato alle 15.30). Inoltre, entrambe le giornate saranno chiuse da concerti; la sera del sabato si terrà il concerto del gruppo di musica celtica The Shire (alle 18:00), seguito da quello dei Corte di Lunas (alle 20:00), mentre la domenica la manifestazione si chiuderà con l’esibizione dei Lingalad “Voci dalla Terra di Mezzo – Viaggio in musica nel mondo di Tolkien” (alle 17.15). Il programma completo è disponbile sul sito degli organizzatori.
Per maggiori informazioni sulla mostra visitate la pagina dedicata.
GUARDA IL VIDEO
SABATO 28 SETTEMBRE
- Ore 10.00 Adriano Monti Buzzetti, intervistato da Manuel La Placa – “Tolkien e Lovecraft – alle origini del fantastico”
- Ore 10.45 Franco Forte intervistato da Manuel La Placa – “Giulio Cesare fra storia, mito e leggenda – come un antico re della Terra di Mezzo”.
- Ore 11.30 Alberto Conforti intervistato da Paolo Paron – “Rusconi e la Società Tolkieniana: una produttiva collaborazione”.
- Ore 12.15 Saluto del Presidente della Tolkien Society Inglese, Shaun Gunner intervistato da Manuel La Placa con traduzione di Caterina Ciuferri.
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- Ore 15.00 Eleonora Matarrese intervistata da Paolo Paron – “Tra piante, lingue e campane: svelare il mistero”.
- Ore 15.45 Gianluca Comastri – “Albero delle lingue della Terra di Mezzo, una rivisitazione”.
- Ore 16.30 Luigi Pruneti intervistato da Alessandro Stanchi – “Le ragioni di Sauron – Il regno delle Tenebre secondo Tolkien”.
- Ore 17.15 Greta Bertani – “Kilby, Tolkien e il Silmarillion: un’esperienza unica”.
- Ore 18.00 Igor Baglioni “Dal suono del caos all’armonia del cosmo”.
DOMENICA 29 SETTEMBRE
- Ore 10.00 Mario Polia – “Mitologia tolkieniana. Fantasia e Tradizione”.
- Ore 11.15 Roberta Schembri intervistata da Paolo Paron – “La Chiamata del Daimon: cos’è che ci spinge a lasciare la Contea. Pericoli, Scelte e Attraversamenti di Soglia con le Erbe del Coraggio e della Viandanza”.
- Ore 12.00 Caterina Ciuferri – “Lo Hobbit – Un viaggio per crescere”.
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- Ore 14.30 Paolo Gulisano – “Dalla parte di “Ciò che cresce – Tolkien, la natura e la tecnologia”.
- Ore 15.15 Invito all’edizione 2025 di Hobbiton a Gorizia!
ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo 22-23 giugno, a Monopoli la Hobbiton numero XXV
– Leggi l’articolo A Barletta va in scena la Hobbiton
– Leggi l’articolo La Hobbiton va al sud: sarà nel castello di Barletta
– Leggi l’articolo Hobbiton XX in Emilia: il programma definitivo
LINK ESTERNI:
– Vai al sito della Società Tolkieniana Italiana
– Vai al sito di Hobbiton Folk
– Vai al sito del Circolo Culturare Eureka
– Vai al sito del PAFF!
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Gli Anelli del Potere: il quinto episodio
Ed eccoci al quinto episodio degli Anelli del Potere, che ha il sapore di un momento di passaggio tra gli eventi narrati sinora e quelli ancora di là da venire e si concentra in particolare sulle vicende di Khazad-dûm e di Númenor, non senza alcune scene dedicate a Celebrimbor e Annatar e a Galadriel, ora in mano a Adar, che le propone un’insolita alleanza.
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Serie tv: la recensione del quarto episodio
E veniamo al quarto episodio di questa nuova stagione degli Anelli del Potere (delle prime tre abbiamo parlato qui). Puntata che, come il titolo stesso (Eldest nell’originale inglese, Il più anziano nella traduzione italiana) suggerirà ai più attenti o a quanti sono stati raggiunti dal martellante battage pubblicitario, ha per protagonista un personaggio che in molti attendevano di vedere sullo schermo: nientemeno che Tom Bombadil (Rory Kinnear; avevamo dato qui la notizia della sua presenza nella serie).
Ma andiamo con ordine, non senza dedicare un istante alle ambientazioni sempre più spettacolari e alle efficaci transizioni sulla mappa della Terra di Mezzo che separano le scene, contrassegni di un comparto tecnico di qualità che mostra sempre più e sempre meglio le proprie capacità. Il problema, come avevo già detto in precedenza, è che un simile sforzo produttivo non trova riscontro in una scrittura adeguata e ne rimane inevitabilmente penalizzato. Unico disclaimer: da questo punto in poi, attenzione spoiler.
Serie tv, la recensione dei primi tre episodi
«E così ha inizio…». La nuova stagione de Gli Anelli del Potere, la serie miliardaria creata da J.D. Payne e Patrick McKay e prodotta da Amazon MGM Studios, è uscita lo scorso 29 agosto con le prime tre puntate (le altre saranno inserite settimanalmente) e noi stiamo lì, in piedi come re Théoden al fosso di Helm, a osservare l’inizio della battaglia sotto una pioggia battente (mica tanto: chi scrive vive nel profondo Harad e semmai deve fronteggiare il problema della siccità, ma passi la licenza poetica). Se ne è parlato tanto, spesso con grandi scontri, perlopiù da dietro le trincee delle tastiere, tra critici ed entusiasti, tra chi ritiene sia in atto un “tradimento” ai danni di Tolkien e chi scorge nella serie Amazon una sintonia con l’opera del Professore, tra chi ne biasima la scrittura e chi la esalta. Di certo, si tratta di un evento che coinvolge ogni appassionato e che catalizza le attenzioni dell’ampia e variegata comunità tolkieniana. Se l’obiettivo degli showrunner era il “purché se ne parli” (regola n. 1 del marketing: non esiste cattiva pubblicità, solo pubblicità), possiamo dire che è ampiamente raggiunto. Naturalmente, discussioni e riflessioni si sono prodotte anche all’interno dell’AIST, sempre attenta a ogni novità riguardante il mondo di Tolkien, e anche all’interno dell’AIST si sono prodotti pareri differenti. Le righe che seguono vogliono esprimere il punto di vista di chi scrive e non quello dell’Associazione che non ha linee-guida o posizioni ufficiali su questo come su altri argomenti – come è sempre stato dalla sua fondazione.
Non è mia intenzione proporre qui una sinossi delle prime tre puntate della nuova stagione degli Anelli del Potere: chi le ha viste si sarà già fatto la propria idea, chi non le ha viste e abbia un minimo di curiosità potrà trovare decine di riassunti in rete. Mi interessa maggiormente proporre alcune considerazioni di carattere generale su un prodotto che, da un lato, afferma di richiamarsi a un’opera stratificata e complessa come quella di Tolkien ma, dall’altro, pretende di apportarvi modifiche, aggiunte o addirittura aggiornamenti e migliorie. Ribadisco che non si tratta di giudicare Gli Anelli del Potere sul metro della fedeltà al tracciato tolkieniano: una trasposizione “bella e infedele” rimane bella, forse proprio perché infedele, e i puristi se ne fanno prima o poi una ragione. A mio parere, il problema della serie Amazon riguarda prima di tutto la qualità della scrittura. Per quanto questa seconda stagione presenti certamente meno problemi di struttura narrativa e dialoghi rispetto alla precedente, nondimeno continua ad avere grossi difetti di ritmo: la narrazione risulta ancora troppo frammentaria e confusa, con un numero spropositato di linee narrative che gli showrunner faticano a gestire in modo efficace. Ciascuna è spezzettata in scene brevi o brevissime che spesso paiono di carattere più esornativo che sostanziale e mostrano tutt’al più un continuo sforzo da parte degli autori di creare momenti di grande pathos: il risultato è che assistiamo a momenti che vorrebbero essere drammatici ma si sviluppano quasi per caso, giungono velocemente al climax e poi si esauriscono in cliffhanger scontati senza aver apportato alcun vero progresso nella trama generale, che incede con una lentezza disarmante. Ad esempio: nel giro di una o due puntate veniamo messi di fronte alla possibilità che gli Anelli elfici salvino la Terra di Mezzo, la vediamo sfumare mercè l’intervento di Elrond ma non facciamo in tempo a metabolizzarne le conseguenze che interviene Círdan, uno degli innumerevoli dei ex machina che costellano la serie, a riportare la situazione esattamente al punto di partenza.
Un altro problema di scrittura riguarda la caratterizzazione dei personaggi, meno statici ed impacciati che in precedenza ma ancora privi di un vero e proprio spessore drammatico. Galadriel (Morfydd Clark), sempre un po’ Mary Sue e un po’ Karen, resta il personaggio su cui la serie si focalizza maggiormente ma, almeno per ora, non sembra crescere rispetto alla prima stagione. Come in precedenza, appare mossa da un desiderio più di vendetta che di giustizia, come se quella con Sauron fosse una battaglia personale alla quale tutti gli altri appaiono totalmente disinteressati anche quando la minaccia diventa tangibile. L’unico cedimento nella sua fibra anodina è la consapevolezza bruciante che Halbrand l’ha “suonata come un’arpa” (espressione che suona malissimo anche pronunziata da un Elfo), ma per il resto procede spedita come un treno con la certezza che, finito il giro di giostra, ad aver ragione sarà sempre e comunque lei a dispetto di tutto e tutti. Del resto, l’eccessiva fretta degli showrunner nello svelare l’identità di Sauron ha creato più di un problema alla trama generale della serie. Il principale riguarda proprio Galadriel: resta aperta, infatti, la domanda che nel primo episodio è lo stesso Gil-galad ad esplicitare: «Perché ti destreggi per non dire la verità?». È la domanda che, con lui, si pone anche lo spettatore: perché l’intrepida Elfa non rivela a tutti ciò che sa, che Halbrand altri non è che Sauron? La risposta sensata pare una sola: «Perché altrimenti la serie finirebbe subito». Sì, perché in un mondo fantastico in cui i protagonisti percorrono distanze enormi da una scena all’altra ma i messaggeri che portano messaggi di importanza vitale tardano (Amazon che fa cattiva pubblicità ai corrieri, ma guarda tu…), se Galadriel avesse messo subito Celebrimbor al corrente dell’identità di Halbrand avrebbe risparmiato un bel po’ di guai a tutti.
Proprio Celebrimbor (Charles Edwards) è il personaggio che, nella serie, patisce maggiormente i danni di una cattiva scrittura. Tralasciamo l’improbabile dialogo della prima stagione in cui un oscuro esule del Sud dà consigli di metallurgia nientemeno che al nipote di Fëanor, secondo soltanto a quest’ultimo nelle arti della forgiatura, facendolo gongolare come l’ultimo dei ragazzi di bottega. “Eh, ma Halbrand è Sauron, i suoi consigli non sono quelli dell’ultimo venuto…”. Giustissimo: ma allora bastava costruire meglio la scena, non inventarsi un banale consiglio sulle leghe metalliche. Ma andiamo oltre… In questa stagione, lo si è detto, Galadriel non informa il signore dell’Eregion della vera identità di Halbrand ma intima a lui, come agli altri, di diffidarne. Eppure, al public enemy n. 1 della Terra di Mezzo bastano un semplice giro di parole su Galadriel e sugli Anelli che “hanno funzionato” e una scenografica presentazione come emissario dei Valar perché Celebrimbor si lasci candidamente abbindolare, prostrandosi ai suoi piedi (come se egli stesso non fosse nato in Valinor, come se egli stesso non avesse scorto il volto delle Potenze di Arda). Negli scritti di Tolkien la questione è più complessa ma anche molto più netta, vuoi anche grazie a una cronologia decisamente meno contraddittoria. È vero che «all’inizio della Seconda Era [Sauron] aveva ancora un aspetto bello, o poteva assumere una bella forma visibile, e non era in effetti completamente malvagio» (Lettere, n. 153) e che si era presentato agli Elfi con «il nome di Annatar, il Signore di Doni» (Il Silmarillion, Degli Anelli del Potere e della Terza Era) ma è anche vero che «Gil-galad ed Elrond nutrivano dubbi su di lui e sul suo bell’aspetto; e, sebbene non sapessero chi egli fosse davvero, pure non gli permettevano di metter piede su quella terra» (Ivi); del resto, sebbene la «brama di conoscenza» dei fabbri dell’Eregion «permise a Sauron di abbindolarli» (Il Signore degli Anelli, Il consiglio di Elrond), lo stesso Celebrimbor non era così ingenuo da credere ciecamente a ogni parola di Annatar: «non lo perdeva d’occhio e nascose i Tre che aveva fatto» (Ivi). L’errore dei Fabbri dell’Eregion non è stato, perciò, quello di essersi gettati tra le braccia del primo venuto; essi dubitavano di Annatar tanto quanto Gil-galad ed Elrond ma, contro gli ammonimenti di questi ultimi e i propri stessi sospetti, avevano accettato i suoi “doni” perché desideravano la sua conoscenza, per la quale erano disposti a osare ogni cosa. Quale che fosse la reale identità di Annatar, essi non hanno dato prova di dabbenaggine, hanno consapevolmente accettato un rischio pienamente percepito. Con la conseguenza che, lentamente sobillato da Sauron, Celebrimbor aveva maturato l’intenzione di rendere la Terra di Mezzo «splendida come Valinor», ciò che costituisce «un velato attacco agli dèi, un’istigazione a provare a creare un paradiso indipendente e separato» (Lettere, n. 131). È qualcosa, insomma, di molto più sottile ma anche molto più sinistro rispetto a quanto visto nella serie, in cui Celebrimbor è tutt’al più un artefice benintenzionato ma ingenuo e frustrato dal confronto con Fëanor e dalla sudditanza a Gil-galad.
Veniamo a Halbrand, ovvero Annatar, ovvero Sauron (Charlie Vickers). La scena iniziale del primo episodio, nella mente degli showrunner, vorrebbe essere un geniale antefatto per spiegare le ragioni dell’incontro tra Halbrand e Galadriel ed il motivo per il quale Adar crede di aver ucciso Sauron. Tralasciamo la scena dell’uccisione del falso (o vero) Sauron per mano degli orchi, il sangue-blob che si fa strada attraverso Mordor e via dicendo… La questione che rimane aperta è un’altra: perché mai Sauron dovrebbe tentare (fallendo miseramente) di convincere gli orchi a seguirlo? L’Oscuro Signore non è esattamente un democratico, il suo ascendente su di essi non si basa sul convincimento ma sulla coercizione, sul terrore e sul potere. Nelle intenzioni degli showrunner, credo, questa scena dovrebbe avere lo scopo di far capire che gli orchi hanno una volontà propria, che non sono semplicemente creature malvagie: essi possono persino desiderare la tranquillità e la sicurezza che Adar sembrerebbe garantire (e che Sauron metterebbe a repentaglio), come mostra la scena in cui uno di loro, parlando con il Signore-Padre, chiede se sia proprio necessario scendere in guerra e poi si gira verso la moglie (?) col figlio in fasce (?). Al di là della scena un po’ maldestra e sovraccaricata, questo è un elemento di grande interesse che, se ben sviluppato, potrebbe offrire un contributo a una questione sulla quale lo stesso Tolkien si lambiccò per anni. Finora, però, il solo risultato è quello di rendere estremamente confuse le interazioni tra Sauron e gli orchi. Allo stesso modo, non è del tutto chiaro perché egli si riconsegni a Adar perorando la liberazione degli Uomini del Sud (salvo poi sfuggire dalla prigionia in un paio di scene, non senza aver preparato una bella sorpresa per il suo carceriere). È probabile che nel primo tentativo, quello conclusosi con la sua “uccisione”, Sauron non avesse ancora le forze necessarie a imporsi sugli orchi (ma questo non è spiegato) e che nel secondo, quello della sua prigionia, abbia come unico scopo annunziare a Adar che l’Oscuro Signore non è morto. È possibile, sì, ma la narrazione appare troppo confusa e inutilmente complicata e la sensazione che se ne trae è di una serie di scene che si succedono senza una linea ben definita.
Quanto a Elrond (Robert Aramayo) e Gil-galad (Benjamin Walker). Il primo finalmente mostra un minimo di fibra e risorse morali, smette i panni del politicante che gli erano stati affibbiati nella prima stagione e ora agisce quasi come il maestro di saggezza che dovrebbe essere; purtroppo, a causa degli stravolgimenti cronologici, egli finisce per opporsi non alla collaborazione con Annatar (quel treno è già bello che passato…) ma all’utilizzo dei tre Anelli una volta che questi sono stati realizzati. Gil-galad, dal canto suo, adesso appare meno come un sovrano interessato esclusivamente al proprio potere e più come un signore che desidera la guarigione del mondo: proprio per ciò, differentemente da Elrond, egli intende utilizzare gli Anelli. Ma ecco, ancora una volta, una profonda incomprensione di Tolkien da parte degli showrunner: nella serie, infatti, lo “svanimento” degli Elfi è causa della decadenza del mondo mentre in Tolkien avviene l’esatto contrario poiché lo “svanire” è «il modo in cui [gli Elfi] percepivano i cambiamenti del tempo (la legge del mondo sotto il sole)» (Lettere, n. 131). Donde la necessità dei Tre che, così come nelle opere tolkieniane, anche nella serie servono ad abbellire, preservare e guarire le ferite della Terra di Mezzo. Tuttavia, essi sembrano esercitare il medesimo, sinistro potere di fascinazione dell’Unico Anello: ciò è inspiegabile alla luce degli scritti di Tolkien, nei quali si afferma che essi, pur essendo «assoggettati all’Unico», sono «immacolati, poiché a forgiarli era stato il solo Celebrimbor, né mai la mano di Sauron li aveva toccati» (Il Silmarillion, Degli Anelli del Potere e della Terza Era). Nella serie Amazon tutto è più oscuro, confuso, e non si può avere del tutto questa certezza che, negli scritti del Professore, costituisce la condizione stessa del loro utilizzo da parte degli Elfi. Appare altrettanto strana, infine, la spartizione degli Anelli elfici, buttata lì un po’ a caso con Círdan che, dopo aver tentato di gettarli in mare, li restituisce a Gil-galad ma si appropria di Narya, l’Anello di Fuoco, senza il consenso di alcuno, il re del Lindon che si infila Vilya e Nenya che gli cade di mano e finisce da Galadriel. Tolkien rende chiaro, anzitutto, che i Tre furono non i primi ma gli ultimi Anelli del Potere forgiati da Celebrimbor – qui non si tratta di filare lana caprina sulle cronologie, ma di comprendere che, essendo l’opera finale del signore dell’Eregion, essi costituiscono il picco della sua arte – e che la loro spartizione avvenne solo quando questi si avvide della creazione dell’Unico e, consigliatosi con Galadriel, affidò a lei Nenya e a Gil-Galad Vilya e Narya (quest’ultimo, poi, passato a Círdan) per allontanare i Tre dall’Eregion, dove Sauron supponeva si trovassero. Un’altra cosa che stona è che, sebbene nella serie si parli continuamente di un potere che sta «oltre la carne», sembra ancora che le virtù degli Anelli elfici non derivino che dal mithril, qui inopinatamente trasformato in un metallo magico che contiene in sé il potere di salvare gli Elfi dallo svanimento e il mondo dalla decadenza. Inutile dire che, per Tolkien, non è la materia di cui sono fatti gli Anelli ma l’Arte con cui sono creati a renderli potenti.
Passiamo alle Honorable mentions. Anzitutto lo Straniero (Daniel Weyman), ancora perso nel suo viaggio verso chissà dove insieme a Nori (Markella Kavenagh) e Poppy (Megan Richards), novelle Frodo e Sam nella terra di Rhûn. Risulta strano, ancora una volta, che un Istar inviato dai Valar in soccorso della Terra di Mezzo sia così poco consapevole dei propri poteri, ma si sa già che presto incontrerà un mentore, un personaggio presentato dagli showrunner come lo “Yoda della Terra di Mezzo”… Tra le glorie di Númenor, invece, Pharazôn (Trystan Gravelle) trama per raggiungere il potere e, infine, coglie l’attimo per autoproclamarsi re. La scena dell’apparizione dell’Aquila, tanto per cambiare, non è scritta benissimo ma ha un grandissimo impatto visivo. Rimane aperto il mistero di quest’ennesima figura di deus ex machina, ma qui l’oscurità (purché sia temporanea) ha un senso: l’emissaria alata di Manwë è lì per Míriel? Pharazôn si limita a rigirare questo segno a proprio beneficio? Che i Valar lo favoriscano è da escludersi, quindi occorrerà vedere se di vero presagio si tratta. Frattanto l’arco narrativo di questo personaggio sembra quello meno stropicciato della serie, anche se questa attenzione all’intrigo politico sembrerebbe più adatta al Trono di Spade che non al legendarium tolkieniano. Infine, occorre citare la new entry, il misterioso stregone (Ciarán Hinds) a capo delle tre emissarie che nella scorsa stagione si erano imbattute nell’uomo caduto dalle stelle. La caratterizzazione e l’aspetto, per ora, non mi paiono del tutto convincenti: con quell’enorme bastone dalla foggia “barbara” e quel trono monolitico, parrebbe uscito più da un’avventura di Conan che da una storia di Tolkien. L’identità di questo personaggio è ancora celata, c’è solo da sperare che non si tratti di Saruman o, in generale, di un Istar…
Si potrebbero aggiungere molte altre cose ma credo che sia bene, a questo punto, elencare gli indubbi punti positivi di questa nuova stagione degli Anelli del Potere. Il primo è senz’altro costituito dalle spettacolari ambientazioni e dalle scenografie che, pur fortemente derivative rispetto alla trilogia jacksoniana – la capitale di Númenor ricorda Minas Tirith, Pelargir sembra Osgiliath –, risultano convincenti e di grande impatto visivo. Lo stesso si può dire della colonna sonora che certamente ricorda le atmosfere di Howard Shore ma sa essere estremamente evocativa, con exploit gradevoli come la canzone di Gil-galad del secondo episodio. Il livello generale della recitazione, inoltre, è su livelli medio-alti, sebbene si avverta la mancanza di Joseph Mawle, vero mattatore della precedente stagione, il quale aveva saputo conferire complessità a un personaggio difficile come Adar, che ora risulta assai più piatto; ancora del tutto apprezzabile è, invece, la performance di Peter Mullan nei panni di Durin III, a mio parere il migliore e più fedele esempio cinematografico di nano tolkieniano. Purtroppo, constatare tutto questo lascia l’amaro in bocca perché un comparto tecnico e attoriale di indubbia qualità patisce inevitabilmente i limiti di una scrittura approssimativa.
In definitiva, come ho già detto, anche in questa seconda stagione Gli Anelli del Potere sembra rimanere un prodotto che, pur richiamandosi a Tolkien, pretende di modificarlo a piacimento e senza apprezzabili ragioni di natura specificamente cinematografica. Indipendentemente dal risultato, che sta al singolo spettatore giudicare, il problema che a mio parere si pone è chiaro: una trasposizione, quale che sia la sua natura mediale, passa inevitabilmente dalla comprensione dell’opera cui si ispira. Si parva licet, penso ancora a cult come Apocalypse Now o Blade Runner, chiari esempi di opere “belle e infedeli” che hanno compreso profondamente i romanzi cui si ispiravano e hanno potuto rimaneggiarli, perfino alterarli, senza smarrirne il senso profondo ma anzi tenendolo sempre presente e arricchendolo di nuovi significati. Lo stesso si può dire, ad esempio, per la prima trilogia jacksoniana, che ha modificato fortemente alcuni aspetti anche essenziali del Signore degli Anelli – e non solo quelli che avrebbero funzionato meno dal punto di vista cinematografico – ottenendo comunque un risultato in buona parte concorde con lo spirito dell’opera. Il problema degli Anelli del Potere è proprio questo: non può o non vuole comprendere il materiale di partenza – materiale già alquanto striminzito, dal momento che Amazon detiene i diritti di sparute porzioni dell’opera tolkieniana – e, di conseguenza, non riesce a manipolarlo in nessun modo; tuttavia, tenta di stendervi sopra una veste di novità, di archi narrativi inventati ad hoc e persino di puro e semplice fan service allo scopo di celare questa mancata comprensione di fondo. Col risultato che, tolti il budget faraonico, gli effetti grafici obiettivamente stupefacenti e alcune interpretazioni degne di nota, a farne le spese è la storia stessa. Non resta che attendere le prossime puntate e sperare che imprimano un passo più svelto e coerente a una narrazione che, finora, ha proceduto in maniera fin troppo forzata.
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…The War of the Rohirrim: esce il primo trailer
È uscito il primo trailer dell’attesissimo film The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim. Si torna così nella Terra di Mezzo al cinema con il film di animazione previsto per il prossimo dicembre anche in Italia. Ma, soprattutto, torna nella Terra di Mezzo Peter Jackson, che ha curato ben due trilogie di successo tratte dalle opere di J.R.R. Tolkien. Ecco cosa dice il comunicato stampa ufficiale che lo annuncia.
Serie tv, gli showrunner: abbiamo improvvisato
La seconda stagione del Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere – è appena stato diffuso il trailer finale prima dell’inizio della serie previsto per il 29 agosto – si avvicina e si intensificano gli eventi promozionali della produzione e di tutto il cast di Amazon Prime Video. Dopo aver portato quasi tutti gli attori più importanti al Comic-Con di San Diego e aver dispensato centinaia di interviste, ora scendono in campo anche gli showrunner J.D. Payne e Patrick McKay, che però hanno ammesso candidamente quello che il pubblico ha sostenuto da anni, cioè che per quanto riguarda le opere di J.R.R. Tolkien hanno scelto la Seconda Era della Terra di Mezzo per poter improvvisare.
Da Amazon il trailer finale della 2ª stagione
Amazon Prime ha pubblicato il trailer finale della seconda stagione del Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere che mostra la Terra di Mezzo in preda alla discordia seminata da Sauron e l’inganno e la manipolazione che portano alla creazione degli Anelli del Potere. Questo trailer si concentra, infatti, molto sul potere oscuro di Sauron e sulla guerra e distruzione che porta nella Terra di Mezzo. Alleanze improbabili si forgiano nel fuoco, e le vere amicizie sono messe alla prova. I pericoli non sono più celati dall’ombra, ma vengono rivelati alla luce del sole. Decisioni importanti spettano ai regni di Eregion, Khazad-dûm, Lindon, Númenor e alle terre intermedie, mentre la sicurezza e la pace di questi regni sono in bilico. I primi tre episodi della seconda stagione del Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere saranno disponibili in anteprima il 29 agosto 2024, seguirà poi un episodio a settimana sino al finale di stagione, previsto per il 3 ottobre 2024.
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The War of the Rohirrim: «Rimasti fedeli a Tolkien»
La Warner Bros. Pictures ha rivelato le prime immagini del prequel animato del Signore degli Anelli. In occasione della presentazione in anteprima di 20 minuti di The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim al Festival Internazionale del Cinema d’Animazione di Annecy, la casa di produzione statunitense ha condiviso le prime immagini ufficiali della protagonista e del villain del film prequel in veste animata della prima trilogia cinematografica di Peter Jackson.
Ma le rivelazioni sono state molte di più, soprattutto grazie al panel moderato dall’ospite speciale Andy Serkis che ha intervistato il regista e fatto un’analisi approfondita dell’attesissimo lungometraggio anime originale.
The Lord of the Rings: The War of the Rohirrim dovrebbe arrivare nei cinema americani a dicembre di quest’anno, precisamente il 13 dicembre 2024. Così, il mondo della celebre trilogia ideata e scritta da J.R.R. Tolkien si arricchisce ancora: dopo i film e la serie TV – The Lord of the Rings: The Rings of Power, di recente produzione Amazon MGM Studios basata sui romanzi – un nuovo adattamento è pronto a far discutere gli amanti delle opere dello scrittore inglese.
Tolkien e l’Opera di Paul Corfield Godfrey
Fra i molti talenti di J.R.R. Tolkien sicuramente non c’era quello per la musica:
Io amo la musica, ma non ho inclinazione; e gli sforzi sprecati per imparare a suonare il violino in gioventù mi hanno solo lasciato un timore quasi reverenziale quando mi trovo in presenza di violinisti.
Lettera 142
La musica mi dà grande piacere e a volte ispirazione, ma rimango nella posizione rovesciata di uno che ami leggere o sentire recitare la poesia, ma sappia poco della sua tecnica o tradizione, o della struttura linguistica.
Lettera 260
Ciò nonostante è innegabile come la musica permei le opere del professore:
Eä – l’universo da lui sub-creato – prende vita, sia letteralmente che letterariamente, dall’Ainulindalë – La Musica degli Ainur, la prima parte del Silmarillion e, secondo un recente studio di John Garth – vedi The Lost Tales Never End, The Chronology of Creation: How J.R.R. Tolkien Misremembered the Beginnings of his Mythology – una delle prime storie dei Racconti Perduti a essere stata scritta fra il 1916 e il 1917. Inoltre, in quella che forse era la storia a lui più cara, Beren e Lúthien, è proprio la canzone della principessa elfica a commuovere perfino Mandos e a permettere il ritorno in vita del suo sposo mortale. Ad esclusione di alcuni primi adattamenti per la radio, furono relativamente poche le collaborazioni che, durante la vita dell’autore,
permisero ad altre menti e altre mani di cimentarsi con la Terra di mezzo. Fra queste, figura quella con Donald Swann. Nel 1965, infatti, il compositore britannico, per il suo personale diletto, decise di mettere in musica sei poesie di Tolkien, nello stile della folk music tradizionale inglese. In seguito Swann contattò Tolkien e il suo editore, per ottenere il permesso di pubblicare ed eseguire queste canzoni in pubblico. Il professore apprezzò molto queste musiche, ma disse a Swann che per Namárië avrebbe preferito uno stile più simile al canto gregoriano. Questo commento portò alla realizzazione di una seconda versione di Namárië in quello stile e alla conseguente pubblicazione del libro/album The Road Goes Ever On: A Song Cycle (proprio in questi giorni abbiamo dato la notizia di un’asta incentrata sulla corrispondenza fra Tolkien e Swann).
Naturalmente, come ben illustrano i molti articoli pubblicati su questo sito dedicati all’argomento, a 50 anni dalla scomparsa del professore sono ormai
innumerevoli le opere musicali di tutti i generi ispirate alle creazioni letterarie del professore oxoniense. Pochi però sono gli adattamenti e le sub-creazioni ad aver ricevuto l’approvazione del Tolkien Estate e il pieno appoggio di Christopher Tolkien. Fra questi figurano le opere del Ciclo di Tolkien di Paul Corfield Godfrey, che nel 2023 ha finalmente ultimato e pubblicato il suo Epic Scenes from the Silmarillion, in 5 parti, e recentemente ha annunciato la prossima pubblicazione di The Hobbit e di The Lord of the Rings.
Beren e Lúthien a Mirandola: il resoconto
Sabato 22 giugno, nel Chiostro dell’antico convento di San Francesco D’Assisi a Mirandola è stato messo in scena lo spettacolo serale “Lords of the Rings in concerto – La Storia di Beren e Lúthien – parte prima: La gemma e il giuramento“, definito dagli organizzatori un «racconto scenico e musicale di una delle più affascinanti vicende della Terra di Mezzo». Già nel 2023, e precisamente il 30 settembre e 1 ottobre presso il parco de La Favorita di Mirandola (Modena) si era svolta la prima edizione del Tolkien Music Festival, nel cui ambito nasce La Storia di Beren e Lúthien.
Il Tolkien Music Festival
Questa manifestazione ha visto la luce solo recentemente — più precisamente lo scorso autunno — ed è organizzata dall’Associazione Culturale Amici della Musica di Mirandola, che quest’anno festeggia 40 anni di attività. L’Associazione, che, secondo il direttore artistico Lucio Carpani, conta al suo interno «molti appassionati di Tolkien e del Signore degli Anelli» ha voluto dar vita a questo evento in occasione del cinquantenario della scomparsa dell’autore oxoniense (ne abbiamo parlato qui). Durante l’ultima edizione del festival, che avrà una cadenza biennale, all’interno del parco La Favorita di Mirandola, sono stati organizzati concerti, un mercatino con stand gastronomici e non solo, laboratori e attività per adulti e bambini, il tutto con al centro Tolkien e la musica.
La gemma e il giuramento
La Storia di Beren e Lúthien è un progetto molto ambizioso che sarà messo in scena in più parti (probabilmente quattro) nel corso dei prossimi anni. Questa è una delle Grandi Storie, quelle che nell’intento dell’autore avrebbero dovuto costituire il nucleo principale del Silmarillion. Tolkien teneva molto a questo racconto e ne parla alcune volte nelle sue lettere:
“La principale fra le storie del Silmarillion, e anche una delle più sviluppate,
è la Storia di Beren e della fanciulla elfica Lúthien. Qui incontriamo, fra le altre cose, il primo esempio del tema (che diventerà fondamentale con gli Hobbit) che le grandi linee della storia del mondo, “le ruote del mondo”, sono spesso girate non dai Signori o dai governanti, e nemmeno dagli dèi, ma da quelli che sono apparentemente sconosciuti e deboli, e questo a causa della vita segreta nella creazione, e della parte inconoscibile a ogni saggezza tranne Una, che consiste nell’intrusione dei Figli di Dio nel Dramma.
È Beren il mortale fuorilegge a riuscire (con l’aiuto di Lúthien, una semplice fanciulla anche se di sangue elfico reale) dove tutti gli eserciti e i guerrieri avevano fallito: egli penetra nella fortezza del Nemico e strappa uno dei Silmarilli dalla Corona di Ferro. Così egli ottiene la mano di Lúthien e si realizza il primo matrimonio fra un mortale e un’immortale. Di per sé la storia è una fantasia eroico-fiabesca (secondo me bella e potente), apprezzabile anche con solo una conoscenza vaga e molto generale degli antefatti.”
Lettera 133 a Milton Waldman del 1951
Ma la mitologia (con le lingue associate) ha iniziato a prendere forma durante la guerra del 1914-18.
“La Caduta di Gondolin (e la nascita di Eärendil) fu scritta in ospedale nel 1916 mentre ero in licenza per malattia dopo essere sopravvissuto alla battaglia della Somme. Il cuore della mitologia, la vicenda di Lúthien Tinúviel e Beren, scaturì da una piccola radura in mezzo a un bosco piena di “cicuta” (o qualche altra ombrellifera bianca) vicino a Roos sulla penisola di Holderness, dove andavo saltuariamente quando ero libero dai doveri reggimentali mentre ero assegnato al presidio sullo Humber nel 1918.”
Lettera 165 alla Houghton Mifflin Co. del 1955
La prima parte di questo spettacolo musicale in più atti, La gemma e il giuramento, inizia con un dispositivo molto caro al Professore, quello della cornice: la scena si apre infatti su un
accampamento di soldati di Rohan, in viaggio verso Minas Tirith con il compito di recuperare la salma del loro defunto re, perito durante la battaglia del Pelennor. Nell’accampamento sopraggiungono due cantastorie, anch’essi in viaggio verso la capitale di Gondor. I due sono stati ingaggiati da Re Elessar per narrare la vicenda di Beren e Lúthien, tanto cara ad Aragorn e alla sua sposa Arwen, in cui le vicende dei loro antichi antenati, anch’essi un uomo e un’elfa, in un certo senso, rivive. Così, in cambio dell’ospitalità offerta dai Rohirrim, i due cantastorie iniziano a narrare la prima parte della cerca del Silmaril, dalle vicende di Beren il fuorilegge nel Dorthonion al suo incontro con Lúthien nei boschi del Doriath.
La gemma e il giuramento copre infatti i primi quattro canti del Lai del Leithian, toccando tutti i punti principali della vicenda: di come un tempo Re Thingol regnasse sul reame elfico del Doriath, nel Beleriand, e di sua figlia, la più bella fra gli Elfi; di come Beren sopravvisse allo sterminio del padre Barahir e dei suoi compagni grazie all’avvertimento del fantasma di Gorlim il traditore; della sua fama di fuorilegge nel Dorthonion e del suo viaggio verso sud dopo il recupero dell’anello di Barahir, e di come giunto nelle foreste del Doriath incontri la fanciulla elfica Lúthien e se ne innamori; e infine del confronto fra re Thingol e Beren e della promessa di quest’ultimo di strappare un Silmaril dalla corona di ferro in cambio della mano di Lúthien.
Lo spettacolo si compone di una parte narrativa, nella quale le vicende di Beren e Lúthien vengono raccontate attraverso una selezione di testi, in italiano, estratti dal Silmarillion e dal Lai del
Leithian e da una parte musicale in cui gli stessi episodi vengono messi in risalto ed espansi da un coro, che in questo caso canta in inglese, accompagnato da un quartetto d’archi, arpa e percussioni. La narrazione è affidata alle voci esperte di Edoardo Siravo e Gabriella Casali, che interpretano il ruolo dei due cantastorie. Le voci del coro sono quelle dei giovani cantanti dell’Ensemble Augusta, un gruppo specializzato in narrazioni musicali dove il racconto di storie si miscela alla musica. Le musiche e i testi affidati al coro sono del maestro Lucio Carpani, che per questi ultimi compie una rielaborazione del Lai del Leithian. Le scenografie, fornite dai cosplayer del gruppo Éored of East Mark, alcuni dei quali si sono prestati anche a interpretare il gruppo di guerrieri del Mark, sono minimali, ma ben si sposano con il contesto del chiostro di San Francesco, le cui colonne, grazie alle luci e alla musica, richiamano alla mente quelle delle mille caverne di Menegroth.
La messinscena, che dura meno di due ore, scorre veloce e risulta apprezzabile anche a un pubblico (in presenza) non composto esclusivamente da appassionati del Signore degli Anelli. La parte recitata e soprattutto le musiche e i cori contribuiscono a trasportare lo spettatore all’interno della vicenda, rendendo perfettamente le atmosfere di ciascuna scena:
i boschi del Dorthonion infestati dagli orchi, la potenza di Re Thingol e quella ancor più grande e minacciosa di Morgoth, le foreste del Doriath. Nel complesso lo spettacolo dimostra quello che possono ottenere “altre menti e mani, che praticassero il disegno, la musica e il teatro” quando applicate al Legendarium. A proposito di disegno, la locandina dello spettacolo è stata realizzata da Samuele Gabbanini, giovane illustratore che ha partecipato al concorso artistico bandito in occasione del Tolkien Music Festival nel 2023 e che ha realizzato anche le altre sei illustrazioni incluse in questo articolo. Chi non avesse potuto vedere la rappresentazione, può trovarne una registrazione on-line sul canale Valinor.
ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo A Messina, Modena e Roma omaggi a Tolkien
LINK ESTERNI:
– Vai al sito del Tolkien Music Festival
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Serie tv: Tom Bombadil ne Gli Anelli del Potere
Ci mancava giusto lui. Sì, perché Stregoni smemorati, Balrog dal sonno leggero e proto-Hobbit girovaghi non bastavano a saturare la Seconda Era di personaggi destinati – cronologie tolkieniane alla mano – a entrare in scena nella Terra di Mezzo solo millenni dopo. Ne Gli Anelli del Potere mancava giusto il personaggio narrativamente più eslege e misterioso dell’intero mondo tolkieniano, nientemeno che Tom Bombadil. In una recente intervista a Vanity Fair, infatti, gli showrunner Patrick McKay e J.D. Payne hanno annunciato la sua presenza nella seconda stagione dello show targato Amazon (di cui abbiamo dato le notizie principali e analizzato il trailer), con tanto di immagini di scena che lo immortalano all’interno della sua dimora, in compagnia dello Straniero-Gandalf.
Gli Anelli del Potere: l’analisi del trailer
«Uno Stregone non è mai in ritardo, Frodo Baggins. Né in anticipo». Lo sanno perfettamente tutti gli appassionati della trilogia diretta da Peter Jackson. Allo stesso modo, gli amanti delle serie TV sanno che anche i trailer arrivano sempre al momento giusto, solitamente annunciati con largo anticipo per solleticare l’immancabile hype del pubblico. Ma con Gli Anelli del Potere ci troviamo in un mondo ben diverso, nel quale gli Stregoni arrivano anzitempo rispetto alla propria missione (Tolkien li voleva comparsi nella Terra di Mezzo verso il 1000 della Terza Era, qui Gandalf è – letteralmente – catapultato negli ultimi decenni della Seconda). E così fanno anche i trailer: il 14 maggio, infatti, è arrivato a sorpresa quello che annuncia la seconda stagione della serie targata Amazon Prime, con tanto di data di uscita ufficiale: il 29 agosto 2024.
Messina, l’AIST con Fumettomania Factory
Prende ufficialmente avvio una nuova collaborazione tra l’AIST e Fumettomania Factory APS, un’associazione fondata nel 1991 a Barcellona Pozzo di Gotto (ME) che ha all’attivo mostre espositive di ampia risonanza, la creazione di una Biblioteca-Archivio-Museo del Fumetto, un progetto annuale di lettura, approfondimento ed incontro con un autore di fumetti e, negli ultimi anni, varie collaborazioni con eventi fumettistici provinciali. Le due associazioni, nelle persone del socio AIST Paolo Pizzimento e del presidente di Fumettomania Factory Mario Benenati, uniranno le forze per dar vita a un progetto della durata di un anno dal titolo “70 anni del Signore degli Anelli”, che prevede diverse date di incontro e approfondimento su tematiche tolkieniane e, a partire da queste, la realizzazione di opere artistiche dedicate al mondo del Professore.



