Sulla mostra evento dedicata all’arte di Tolkien, Tolkien: Maker of Middle-earth e inaugurata soltanto pochi giorni fa, il 1 giugno, sono già state spese molte parole, articoli e approfondimenti (noi ne abbiamo scritto qui). Quello però che non è stato raccontato è l’emozione, per chi non ha avuto ancora la fortuna di andarci, di arrivare a Oxford: la città in cui Tolkien ha insegnato e vissuto. per gran parte della sua vita.
Attraversare le vie dove lui è stesso passato, incontrare per strada i professori che insegnano agli atenei e che indossano ancora le toghe che troviamo nelle sue fotografie, vedere i college e il giardino botanico e magari fare anche una pausa, tra fish and chips e club sandwich, a The Eagle and Child, il pub rinomato per i ritrovi degli Inklings, non rappresenta una gita come un’altra. Perché a Oxford, in qualche modo, ci si sente più vicini al Professore, come se lo avessimo appena visto uscire dalla porta del pub, con la pipa in mano, pronto per incamminarsi verso casa e riprendere i suoi scritti, da dove li aveva lasciati, o per tornare verso la Bodleian Library, ad approfondire qualche dettaglio linguistico. Il solo lasciarsi coinvolgere da tutto questo, rende lo studioso o il fan di Tolkien quasi pronto per fare poi il suo ingresso nell’imponente Weston Library, di Broad Street, dove una grande insegna indica che quello è il posto giusto: oggi si può incontrare davvero J.R.R. Tolkien, attraverso la testimonianza del suo lavoro, del suo pensiero, della sua arte. Noi l’abbiamo fatto per voi, con l’auspicio che possa diventare un incentivo per andarci di persona.
La mostra
Una volta entrati ad attenderci sulla soglia del percorso per le opere di Tolkien, ci sono due addetti che controllano la prenotazione effettuata online, nonostante l’entrata sia gratuita: quindi meglio essere previdenti, registrarsi a questo indirizzo e portarla con sé, altrimenti rischiate una lunga attesa. Passato il controllo, subito l’atmosfera cambia e ci si ritrova in un passaggio dove le luci si abbassano e gli effetti di un’animazione 3D, sulle pareti intorno a noi, attendono il nostro ingresso verso la sala destinata alla mostra. L’immersione nel mondo tolkieniano è pressoché istantanea, ci appaiono davanti le prime immagini delle illustrazioni dello stesso Professore, riguardanti soprattutto Il Signore degli Anelli. L’ultima immagine che assaporiamo in questo luogo di passaggio, mentre scorrono le scritte in elfico, narrano l’evoluzione delle Porte di Durin. I Cancelli occidentali di Moria scintillano di fronte ai nostri occhi, quasi come fossero realtà, e a rendere ancor più suggestiva la visione sono le dimensioni, in una scala all’incirca reale, prossima a quella che la maggior parte delle persone si è rappresentata nella mente. E allora… dite: “Amici” ed entrate.
Girato l’angolo si varca la soglia di quello che è il cuore della mostra. La sala che ospita la collezione si presenta come uno scrigno il quale, una volta aperto, svela i suoi tesori. In un’atmosfera raccolta, in cui i visitatori sono tutti concentrati a guardare, in letteraria adorazione, le opere presenti. Si scoprono così lettere, fotografie, i manoscritti originali appartenenti a J.R.R. Tolkien. Ma il vero “pezzo” forte dell’esposizione è rappresentata da tutta l’espressività artistica del Professore, esibita attraverso le sue illustrazioni, i suoi disegni e i suoi preziosi acquerelli. Un tripudio di colori, di dettagli, di delicatezza e precisione, ci viene incontro: una potenza immaginativa che passa attraverso le sue opere giovanili come quelle di The Book of Ishness, sosta nel mondo dedicato a Lo Hobbit, per spingersi fino al Libro di Marzabul, con le sue preziose pagine che conducono verso le illustrazioni dedicate a Il Signore degli Anelli.
I suoi paesaggi fantastici che tracciano la strada per il Silmarillion, fino ai suoi cosiddetti Doodles, quegli scarabocchi sui giornali che erano la via d’accesso per l’araldica della sua mitologia, costituiscono un’altra importante parte di questa esposizione così unica. Quasi al centro della sala, sulla sinistra, dietro a una parete dell’allestimento che impedisce la vista dell’oggetto fino a quando non ce lo si ritrova davanti, ci si può davvero stupire di fronte allo scrittoio di Tolkien, con la sedia sulla quale sedeva il Professore per realizzare tutto il suo mondo, per rispondere alle lettere degli ammiratori e per disegnare ciò che soltanto lui vedeva.
Ci sono anche le sue scatole di colori, con le matite di diverse gradazioni di verde e arancione, con tutte le loro sfumature (di marca Conté 1794 – Coloured Pencils), gli occhiali, i suoi inchiostri, la ceralacca, le sue pipe e i libri che lo accompagnavano: due volumi del Red Book Of Heroes, Lyra Celtica: An Anthology of Representative Celtic Poetry e un Irish-English Dictionary. Non mancano neppure, lì accanto, alcune coloratissime pagine delle Lettere di Babbo Natale, quei messaggi bellissimi che arrivavano direttamente dal Polo Nord per i giovani di Casa Tolkien. Sul piano dello scrittoio è sistemata invece l’illustrazione Death Of Smaug, datata intorno al 1936, e appartenente agli archivi della Bodleian. Infine, in questa straordinaria occasione, non manca la possibilità di sostare di fronte alle elaborate mappe dedicate alla Terra di Mezzo, che preparano i visitatori alla vista di una fantastica grafica realizzata in 3D e che prende vita davanti agli occhi.
Qui ci rendiamo conto, quanto l’arte del Professore sia intrecciata ai suoi scritti e rappresenti una finestra privilegiata da cui poter guardare, approfondire e apprezzare, una volta in più, le opere di Tolkien. Una parte che, come direbbe il figlio Christopher, diventa imprescindibile per comprenderle davvero. Quando il viaggio, nell’universo creativo o dovremmo dire sub-creativo di Tolkien si conclude, sembra di dover salutare un amico da cui non vogliamo separarci e vorremmo restare lì, ancora a lungo, in sua compagnia. Ma il tempo dell’incursione nell’universo di Tolkien per noi è finito, resta una visita al ricco bookshop, in cui il bellissimo catalogo rappresenta in fondo qualcosa che rimane, insieme alle molte emozioni, di questa intensa visita, una parte che ci può accompagnare, anche quando a casa, traendo un bel respiro, potremmo dire, insieme a Sam Gamgee: «Sono tornato».
Il catalogo
Come ogni mostra artistica che si rispetti, anche Tolkien: Maker of Middle-earth ha il suo. Curato da Catherine McIlwane, archivista tolkieniana delle Bodlein Libraries di Oxford, il corposo volume – conta difatti 416 pagine – non contiene solo una enorme gamma delle opere artistiche del Professore, bensì dei saggi scritti da alcuni dei più noti studiosi dell’universo di Tolkien. Sono difatti presenti John Garth, con un contributo sugli Inklings, Verlyn Flieger, con uno scritto intitolato Faërie: Tolkien’s Perilous Land, Carl F. Hostetter, il quale si concentra sulla creazione della lingua elfica, Tom Shippey, con un delizioso Tolkien and ‘that noble northern spirit’, testo accompagnato da due illustrazioni che ha messo a disposizione la nostra associazione: una di Ivan Cavini intitolata Éomer Éadig (p. 59), l’altra di Dany Orizio intitolata La morte di Thorin Scudodiquercia inserita nel calendario AIST 2017. Per finire l’elenco dei saggi, quello di Wayne G. Hammond e Christina Scull, già autori di J.R.R. Tolkien: Artist & Illustrator, che introducono al corpo del catalogo con Tolkien’s Visual Art. Una volta iniziato a sfogliare il volume, ci si può letteralmente perdere nella vita del Professore. Tra lettere – ovvero istantanee che riproducono l’originale con una breve spiegazione del contenuto situata sempre sulla sinistra – dirette a Tolkien e scritte da C.S. Lewis, W.H. Auden, Sam Gamgee (non il personaggio del Signore degli Anelli, ma un ignaro omonimo), un giovane Terry Pratchett, Margrethe principessa di Danimarca, e fotografie della famiglia e dell’infanzia di Ronald, si inizia il viaggio nella produzione artistica del docente oxoniense. Il catalogo segue una sorta di linea cronologica, attraversando tanto i momenti migliori quanto i più ardui vissuti da Tolkien – dai messaggi per la futura moglie Edith alle righe scritte da lui stesso e dagli altri componenti del TCBS durante la Prima guerra mondiale – per poi catapultarci nel mondo del Book of Ishness, e iniziare a ripercorrere così le tappe della mostra Tolkien: Maker of Middle-earth. Non vogliamo però rovinarvi l’emozione di sfogliare questo pregevole volume, così come la sua controparte minore, intitolata Tolkien Treasures, curato anch’esso da Catherine McIlwane, una piccola gemma considerabile un’introduzione al catalogo principale. Da sottolineare che esistono tre versioni di Tolkien: Maker of Middle-earth: la prima con copertina rigida, al costo di 40 sterline; la seconda in edizione “economica”, ammesso che così si possa definire, che ha un pregio rispetto alla più costosa, ovvero una mappa assai più ampia all’interno delle alette, la quale è purtroppo relegata nei risvolti interni della versione cartonata. Infine, per chi se lo può permettere, esiste un’edizione da collezione a 295 sterline, della quale si può acquistare solo una copia per visitatore. Vi lasciamo la scelta, ma soprattutto vi esortiamo a non perdere la mostra, che farà tappa anche New York e Parigi. A New York, sarà esposta alla Morgan Library dal 25 gennaio al 12 maggio 2019. Alla fine del 2019, invece, partendo dal nucleo di questa mostra la Bodleian Library e la Bibliothèque Nationale de France collaboreranno a creare la più grande esposizione di Tolkien mai tenuta in Francia. Mentre preparate la valigie, potete già studiarvi la mappa dell’esposizioneche mettiamo a disposizione di tutti i lettori, con la disposizione di tutte le teche e la descrizione del loro contenuto. Inoltre, gustatevi i video e le fotogallery realizzate anche con il contributo di una nostra socia AIST onoraria – Dimitra Fimi – che era all’inaugurazione! E in fondo, dopo il reportage fotografico della prestigiosa Getty Images, non perdetevi le meraviglie dello shop, pieno di piccoli e grandi tesori di cui fare incetta sia di persona che online qui!!!
Il 22 aprile sono stati annunciati i vincitori dei Tolkien Society Awards 2017, i premi conferiti dalla Tolkien Society conferiti alle eccellenze negli studi tolkieniani e nelle creazioni artistiche ispirate alle opere del Professore, con l’obiettivo di “cercare di divulgare al pubblico, e di promuovere la ricerca, riguardo alla vita e alle opere del Professor John Ronald Reuel Tolkien CBE” (Comandante dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico, ndt).
Quest’anno, oltre alle storiche categorie dedicate agli articoli, ai libri e alle opere d’arte, si è aggiunta la nomination per il miglior sito web dedicato a Tolkien. Le nostre congratulazione a tutti i vincitori!
I Tolkien Society Awards 2018
Miglior artwork
Yet now did he see Tinuviel dancing in the twilight di Alan Lee Gwaihir the Windlord bears Gandalf from Isengard di Ted Nasmith
VINCITORE: The Hunt di Jenny Dolfen
Jenny Dolfen è un’illustratrice tedesca, ed un’insegnante di inglese e latino. Artista autodidatta, lavora come illustratrice freelance dal 2003 e ha realizzato opere per giochi di ruolo e di carte, nonché per scrittori di romanzi storici e fantasy, come Ben Kane e Bernhard Hennen. Il fatto che lei abbia vinto questo premio, quando gli altri finalisti erano due mostri sacri dell’arte tolkieniana come Alan Lee e Ted Nasmith, è senza dubbio degno di nota.
Miglior articolo
On Tolkien’s presentation of distributism through the Shire di Jay Atkins, pubblicato nel numero 58 della rivista Mallorn della Tolkien Society Hobbits? …And what may they be? di Michael Flowers, pubblicato sul sito Journal of Tolkien Research
VINCITORE: ”Tears are the very wine of blessedness”: joyful sorrow in J. R. R. Tolkien’s The Lord if the Rings di Dimitra Fimi, pubblicato in Death and Immortality in Middle-earth
Dimitra Fimi, docente di Inglese presso l’università di Cardiff, è l’autrice di numerosi articoli e saggi, nonché del volume Tolkien, Race and Cultural History: From Fairies to Hobbits (Palgrave Macmillan, 2008), vincitore del Mythopoeic Award nella categoria Inklings Studies. Assieme a Andrew Higgins ha curato A Secret Vice: Tolkien on Invented Languages (HarperCollins, 2016) ed il suo ultimo libro, Celtic Myth in Contemporary Children’s Fantasy: Idealization, Identity, Ideology, è stato pubblicato l’anno scorso (sempre presso la casa editrice Palgrave Macmillian).
Miglior libro
There Would Always Be a Fairy Tale: Essays on Tolkien’s Middle-earth di Verlyn Flieger The J. R. R. Tolkien Companion and Guide, second edition di Wayne G. Hammond e Christina Scull
VINCITORE: Beren and Lúthien, di J. R. R. Tolkien, edito da Christopher Tolkien
Christopher Tolkien non ha bisogno di presentazioni: terzo dei quattro figli del Professore, ha dedicato gran parte della sua vita a editare e pubblicare gli scritti inediti di suo padre. Beren and Lúthien, una delle tre Grandi Storie degli Elfi che Tolkien padre sognava di sviluppare appieno, sarà seguito nell’agosto di quest’anno dalla pubblicazione de La Caduta di Gondolin , che avrà lo stesso formato del precedente volume: raccoglierà tutte le versione della storia finora pubblicate e la storia sarà separata dai testi che spiegheranno come essa si è evoluta nel tempo.
Miglior sito
TolkienBooks.us Tolkiety, il blog di Ryszard Derdziński VINCITORE: Too Many Books and Never Enough, il blog di Wayne G. Hammond e Christina Scull
Wayne G. Hammond e la moglie Christina Scull sono una coppia di esimi studiosi tolkieniani ed insieme hanno pubblicato i volumi The Lord of the Rings: A Reader’s Companion, J. R. R. Tolkien: Artist and Illustrator, The Art of The Hobbit e The Art of The Lord of the Rings, e hanno inoltre curato le edizioni di alcuni libri di Tolkien: Roverandom, Farmer Giles of Ham (per il suo cinquantesimo anniversario), The Adventures of Tom Bombadil (l’edizione tascabile estesa) e l’edizione inglese del Signore degli Anelli per il cinquantesimo anniversario. Nell’autunno 2017 Hammond e Scull hanno dato alle stampe la loro ultima fatica, la seconda edizione del Tolkien Companion and Guide, una fonte inestimabile di informazioni per tutti gli studiosi tolkieniani.
Contributo eccezionale
Alan Raynolds, membro e saggista della Tolkien Society
VINCITORE: Priscilla Tolkien, figlia del Professore
Quando ci si occupa dei discendenti di Tolkien l’attenzione è sempre rivolta a Christopher Tolkien, per essere l’erede letterario di suo padre, per aver editato le opere postume e averne commentato la maggior parte. Ma anche la figlia di Tolkien, Priscilla, svolse altresì un ruolo importante, nelle attività sociali e nella diffusione delle opere di suo padre. Priscilla Tolkien visse a fianco di suo padre per molti anni e ciò avrà molto probabilmente comportato una serie di influenze, basti pensare al ruolo fondamentale che i figli del Professore ebbero nella nascita del romanzo Lo Hobbit.
Ogni anno la Tolkien Society organizza alcuni degli eventi tolkieniani più attesi, in particolare i Tolkien Seminar (che quest’anno si terranno domenica primo luglio a Leeds e si incentreranno sul tema Tolkien the Pagan? Reading Middle-earth through a Spiritual Lens) e l’Oxonmoot (abbiamo recentemente parlato dell’edizione del 2018 in questo articolo). Ma nel 2019 un altro grande evento attende i tolkieniani di tutto il mondo: la Tolkien Society inglese celebrerà i 50 anni di attività e già si annunciano festeggiamenti in grande stile dal 7 all’11 luglio. L’evento ha già un un intero sito dedicato, con tanto di countdown per l’inizio delle celebrazioni. Mancano 497 giorni, ma conviene cominciare ad organizzarsi per non perdere l’occasione di prendere parte a questo ritrovo davvero eccezionale!
Cinque giorni imperdibili
La manifestazione che si terrà da domenica 7 luglio si prospetta ricchissima di ogni genere di intrattenimento: ovviamente molte conferenze, ma anche mostre d’arte, spettacoli teatrali, giochi, gruppi di discussione, mercanti, quiz, un banchetto, danze, workshops, e molto altro ancora deve essere annunciato (e noi non mancheremo di tenervi aggiornati in merito). Il prezzo di lancio dei biglietti è di 95 sterline (circa 108 euro), e sarà valido fino al 31 maggio 2018. Seguirà il Super Early Bird Price dal 1 giugno fino al 31 dicembre 2018, poi l’Early Bird Price fino al 31 maggio 2019 ed infine i biglietti saranno disponibili a prezzo pieno fino all’evento (tali prezzi non sono ancora stati annunciati). I membri della Tolkien Society troveranno un codice per ottenere uno sconto nell’area ad essi dedicata del sito della società inglese.
La manifestazione si terrà a Birmingham, la città dove Tolkien trascorse parte dell’infanzia, nella suggestiva cornice del Macdonald Burlington Hotel, hotel a quattro stelle nel centro della città. Vicino alla stazione dei treni e a soli 20 minuti di macchina dall’aeroporto internazionale di Birmingham, l’hotel diventerà una facile, seppure temporanea, via per la Terra di Mezzo.
Le conferenze ed il call for papers
La Tolkien Society ha indetto per l’occasione anche un call for papers, aperto ad ogni argomento collegato a Tolkien. Gli abstract e una breve biografia dell’autore (non è richiesta una formazione accademica) dovranno essere inviati a papers[at]tolkien2019[dot]com entro venerdì 1 febbraio 2019 o essere proposti tramite la pagina del call for papers.
I paper dovranno essere esposti in 20 o 45 minuti, ai quali seguirà un momento dedicato alle domande.
Oltre al call for papers per i cinque giorni del Tolkien 2019 sono previste molte conferenze tenute da studiosi tolkieniani di lunga data e tra gli speaker già confermati compaiono alcuni tra gli accademici considerati i pilastri degli studi tolkieniani nonché uno dei maggiori artisti del fantastico: stiamo parlando di Alan Lee, che assieme a Tom Shippey, Brian Sibley, Wayne G. Hammond e la moglie Christina Scull, sono i primi nomi ad essere stati annunciati dalla Tolkien Society.
Alan Lee è conosciuto in tutto il mondo per essere stato uno dei concept artist delle trilogie jacksoniane ispirate al Signore degli Anelli e a Lo Hobbit (assieme a John Howe). Lee fu l’artista scelto dalla HarperCollins per illustrare l’edizione del Il Signore degli Anelli pubblicata nel 1992, in occasione del centenario della nascita del Professore; successivamente i suoi acquarelli evocativi hanno accompagnato anche i testi de Lo Hobbit, de I figli di Húrin e l’ultima opera tolkieniana date alle stampe da Christopher Tolkien, Beren and Lúthien.
Tom Shippey, docente di filologia inglese presso l’università di Saint Louis, ha insegnato in sei differenti università negli USA e nel Regno Unito, ricoprendo anche la carica che ebbe Tolkien presso l’università di Leeds. Shippey é l’autore di volumi fondamentali per lo studio delle opere tolkieniane come La via per la Terra di Mezzo (Marietti 1820), J. R. R. Tolkien, autore del secolo (casa editrice Simonelli) e la raccolta di saggi Roots and Branches (Walkingtree Publisher).
Tom Shippey ha preso parte al convegno Tolkien e la letteratura della Quarta Era organizzato nel dicembre 2017 dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani in collaborazione con l’università di Trento.
Brian Sibley, membro onorario della Tolkien Society realizzò nel 1981 la versione del Signore degli Anelli per la radio della BBC, e successivamente anche la rielaborazione de Lo Hobbit e di quattro delle sei opere riunite sotto il titolo Tales From The Perilous Realm (Roverandom, Farmer Giles of Ham, The Adventures of Tom Bombadil, Leaf by Niggle, Smith of Wootton Major ed il saggio On Fairy-Stories). Sibley ha realizzato adattamenti anche delle opere di C. S. Lewis, Ray Bradbury e Roal Dahl. Autore anche di numerosi libri sulla letteratura infantile, il cinema e l’animazione fantasy, quali The Maps of Tolkien’s Middle Earth, Peter Jackson: A Filmmaker’s Journey, The Land of Narnia, Shadowlands: The True Story of C. S. Lewis and Joy Davidman, The Wisdom of C. S. Lewis.
Wayne G. Hammond e la moglie Christina Scull sono una coppia di esimi studiosi tolkieniani incontratisi proprio ad una riunione di uno degli Smial della Tolkien Society. Entrambi bibliotecari (Hammond attualmente al Williams College in Massachusetts e Scull al Sir John Soane’s Museum di Londra fino al 1995) insieme hanno pubblicato i volumi The Lord of the Rings: A Reader’s Companion, J. R. R. Tolkien: Artist and Illustrator, The Art of The Hobbit e The Art of The Lord of the Rings, e hanno inoltre curato le edizioni di alcuni libri di Tolkien: Roverandom, Farmer Giles of Ham (per il suo cinquantesimo anniversario), The Adventures of Tom Bombadil (l’edizione tascabile estesa) e l’edizione inglese del Signore degli Anelli per il cinquantesimo anniversario. Nell’autunno 2017 Hammond e Scull hanno dato alle stampe la loro ultima fatica, la seconda edizione del Tolkien Companion and Guide, una fonte inestimabile di informazioni per tutti gli studiosi tolkieniani.
Manca davvero poco a Natale, ed è ora di iniziare a pensare ai regali! Per far cosa gradita a un appassionato tolkieniano non c’è nulla di meglio di un libro: i titoli disponibili sono davvero tantissimi, a partire dalle opere primarie per passare poi ai testi di critica. Per iniziare, rimane sempre valida la nostra bibliografia consigliata; per orientarsi tra i moltissimi volumi di saggistica pubblicati negli anni può anche essere utile consultare la nostra rubrica Le pillole di Claudio Testi, vera e propria bibliografia ragionata in cui lo studioso, segretario dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici e vicepresidente dell’AIST, li analizza brevemente ed esprime la propria valutazione. Se invece preferite optare per i titoli più recenti, quest’anno la scelta è abbastanza limitata, pur se interessante.
Bompiani sotto l’albero di Natale
Segnaliamo innanzitutto che Bompiani ha deciso di rinnovare la veste grafica de Il Signore degli Anelli e de Il Silmarillion, pubblicando nuove edizioni in copertina rigida dopo le già splendide edizioni in brossura con le illustrazioni di Tolkien stesso. La nuova edizione del Signore degli Anelli ripropone le illustrazioni commissionate al disegnatore Alan Lee per commemorare il centenario della nascita di Tolkien e contiene la traduzione riveduta e aggiornata in collaborazione con la Società Tolkieniana Italiana, oltre che la correzione di una parte degli errori da noi raccolti e segnalati qui; mentre la nuova edizione del Silmarillion ripropone le illustrazioni del disegnatore Ted Nasmith. Entrambe le copertine presentano i caratteristici bordi con scritte runiche, ma a differenza delle precedenti edizioni si tratta di rune nere su sfondo bianco. Segnaliamo inoltre due nuove edizioni in brossura de Le lettere da Babbo Natale e de La storia di Kullervo. Per quest’ultimo (qui parliamo del volume) si tratta della prima ristampa in questo formato e per la nuova copertina si è optato per modificare il colore dello sfondo su cui si stagliava l’illustrazione di Tolkien stesso, The Land of Pohja. Per le Lettere da Babbo Natale, che in copertina presenta una deliziosa illustrazione di Tolkien, si tratta invece di una terza edizione in cui il curatore Marco Respinti ha inserito testi e immagini inediti e corretto alcune trascrizioni delle lettere, erronee anche nelle edizioni straniere.
Ricordiamo infine la recente pubblicazione di Beren e Lúthien (ne parliamo qui) e la prossima riedizione, tanto attesa, delle Lettere di Tolkien (ne diamo notizia qui) che saranno pubblicate il 3 gennaio nella nuova traduzione di Lorenzo Gammarelli. Un po’ tardi per regalarlo a Natale, ma certamente trovarlo nella calza della Befana sarà una splendida sorpresa!
Uno sguardo anche all’estero
Non mancano le novità in lingua inglese: ecco alcune tra le più interessanti pubblicazioni di quest’anno!
The J. R. R. Tolkien Companion and Guide, HarperCollins, di Wayne G. Hammond e Christina Scull
Frutto di dieci anni di lavoro, questa seconda edizione dell’opera biografica curata da Christina Scull e Wayne G. Hammond è certamente la punta di diamante tra le offerte di quest’anno. Diviso in tre volumi, il Companion and Guide rende conto con precisione della vita di Tolkien e dell’evoluzione del legendarium e offre voci alfabetiche sugli argomenti più disparati. Si tratta di un testo imprescindibile per chiunque voglia occuparsi seriamente di Tolkien. Ne abbiamo parlato qui.
Tolkien and Alterity (The New Middle Ages), Palgrave Macmillan, curato da Christopher Vaccaro e Yvette Kisor
Questa interessante raccolta di saggi analizza il concetto di Alterità negli scritti di Tolkien, nella sua vita, e nella critica a lui dedicata. Esplora le questioni di genere, sessualità, razza ed etnia, lingua, e identità nel Signore degli Anelli, nel Silmarillion e negli scritti minori. Ogni saggio procede a partire dall’idea che il modo in cui Tolkien reagisce a quanto sia diverso e “Altro” sia la manifestazione della sua etica e della sua filosofia morale. La raccolta contiene, tra gli altri, un saggio di Verlyn Flieger.
J.R.R. Tolkien – Romanticist and Poet (Cormarë Series), Walking Tree Publishers, di Julian Eilmann
Questa monografia analizza l’influenza del Romanticismo nel legendarium, rintracciandone elementi e motivi nella poetica e nelle opere di Tolkien, concentrandosi soprattutto sui componimenti poetici, e definendo Tolkien uno dei rappresentanti più influenti dello spirito romantico nel XX e XXI secolo.
Flora of Middle-Earth: Plants of J.R.R. Tolkien’s Legendarium, OUP USA, di Walter S. Judd e Graham A. Judd
Basandosi sull’assunto che la Terra di Mezzo altro non è che un continente presente nell’emisfero boreale del nostro pianeta, questo corposo volume elenca e analizza tutte le piante menzionate nel legendarium.
The Sweet and the Bitter: Death and Dying in J. R. R. Tolkien’s The Lord of the Rings, Kent State University Press, di Amy Amendt-Raduege
Questo volume analizza tutti i modi in cui il Signore degli Anelli rende visibili le corrispondenze tra il concetto della morte come visto in epoca medievale e moderna, e ipotizza che i lettori contemporanei utilizzino il romanzo come mezzo per affrontare la morte.
There Would Always Be a Fairy Tale: Essays on Tolkien’s Middle-earth, Kent State University Press, di Verlyn Flieger
Il volume, in uscita a dicembre 2017, raccoglie saggi scritti dalla studiosa nell’arco di vent’anni e che sono stati riveduti e corretti per l’occasione, sulla falsariga della precedente raccolta Green Suns and Faerie. I temi sviscerati sono disparati, così come i testi a cui fanno riferimento: si va dal Signore degli Anelli e il suo posto nel legendarium a opere minori come Il fabbro di Wootton Major e La storia di Kullervo.
A undici anni dalla pubblicazione del J.R.R. Tolkien Companion and Guide, esce oggi la seconda edizione dell’imprescindibile opera biografica curata da Christina Scull e Wayne G. Hammond. Era il 2006 quando i due volumi del Companion and Guide fecero la loro comparsa sugli scaffali, a firma dei coniugi Hammond & Scull: un volume, titolato Chronology, raccoglieva i dettagli dell’evoluzione del legendarium tolkieniano e della vita accademica e personale dell’autore, con ricerca approfondita sulle fonti contemporanee – tra questi, la fitta corrispondenza e gli scritti accademici; il secondo volume, Reader’s Guide, includeva invece voci alfabetiche sugli argomenti più disparati – tra cui brevi biografie di persone importanti nella vita di Tolkien, e informazioni relative alle fonti e agli sconvolgimenti politici e sociali vissuti dall’autore. Il Companion and Guide riscosse un incredibile successo e, nell’ottobre 2016, Hammond e Scull annunciarono sul loro blog che presto sarebbe uscita una seconda edizione riveduta, ampliata e corretta. Dopo alcuni slittamenti, quel giorno è finalmente arrivato.
Un’edizione ampliata
La nuova edizione del J.R.R. Tolkien Companion and Guide non conta più due volumi, ma ben tre. Negli anni, infatti, non solo i coniugi hanno continuato a fare ricerche, ma hanno anche ricevuto dai lettori correzioni e suggerimenti che, fino a oggi, si potevano trovare solo sul loro sito. Inoltre, negli anni successivi all’uscita della prima edizione, sono stati pubblicati innumerevoli testi che dovevano necessariamente essere trattati nella nuova edizione: The Children of Húrin (2007), The Legend of Sigurd and Gudrún (2009), The Fall of Arthur (2013), e Beowulf: A Translation and Commentary together with Sellic Spell (2014), oltre ovviamente a Beren and Lúthien (2017), che Hammond e Scull hanno potuto visionare ben prima della pubblicazione. Non sono mancati nemmeno nuovi e importanti testi accademici: tra questi, per esempio, The History of The Hobbit di John Rateliff (2007), l’edizione estesa di On Fairy-stories curata da Verlyn Flieger e Douglas A. Anderson (2014), The Story of Kullervo (2015) e The Lay of Aotrou and Itroun (2016) di Verlyn Flieger, J.R.R Tolkien: Fragments on Elvish Reincarnation di Michaël Devaux (2014), Fate and Free Will di Carl Hostetter (2009), e A Secret Vice: Tolkien on Invented Languages di Dimitra Fimi e Andrew Higgins (2016). Senza contare il nuovo materiale tolkieniano pubblicato su Parma Eldalamberon e Vinyar Tengwar, e gli innumerevoli articoli pubblicati, tra gli altri, su Tolkien Studies, Mythlore, Mallorn, e Hither Shore, oltre agli atti delle conferenze della Tolkien Society, le raccolte di saggi uscite negli anni, articoli di giornale, recensioni… Una quantità imponente di nuovo materiale, dunque, che ha causato la scissione del Reader’s Guide in due volumi.
Un lavoro meticoloso
E sul loro blog Hammond e Scull descrivono proprio il processo di ricerca ed editing, offrendo una prospettiva nuova, un interessante “dietro le quinte”.
Si scopre così che, quando HarperCollins ha commissionato la seconda edizione, il lavoro è stato facilitato da un archivio elettronico e cartaceo aggiornato negli anni, e che Hammond si è occupato principalmente del Chronology, mentre Scull ha lavorato allo scheletro del Reader’s Guide. Una volta stabilito quali voci ampliare, quante aggiungerne (si parla di quasi cento nuove voci, e di quaranta cui siano state apportate delle correzioni), e quali suddividere in più voci diverse, i coniugi si sono divisi il lavoro, con Scull che si è occupata della maggior parte delle voci riferite al corpus del Silmarillion e al Silmarillion pubblicato, mentre Hammond ha lavorato, fra gli altri, alle biografie, alle lingue, e a quasi tutto il resto degli scritti di Tolkien, inclusi i testi poetici.
A lavoro terminato sono iniziati i problemi che hanno eventualmente portato allo slittamento della pubblicazione, che era stata inizialmente fissata il 5 settembre per essere poi spostata al 21 ottobre e infine alla data definitiva, il 2 novembre. Hammond e Scull hanno infatti impiegato sei settimane a compilare l’indice, a causa dell’enorme mole di nuovo materiale e agli spostamenti di blocchi di testo tra i vari volumi, resi necessari non solo dalla quantità di testo, ma anche dai paletti posti da HarperCollins, per cui ogni volume doveva contenere un massimo di 960 pagine. A metà giugno, al termine di questo lungo e paziente lavoro di taglia e cuci – non meno importante di quanto lo aveva preceduto – i tre volumi sono stati finalmente consegnati a HarperCollins (qui i coniugi ne davano notizia, a metà luglio).
Il J.R.R. Tolkien Companion and Guide conta in totale 2720 pagine, costa 120 sterline (ma Amazon UK lo offre a prezzo scontato, solo 78 sterline) e presto, a partire dal 30 novembre, saranno acquistabili i singoli volumi, a 40 sterline ciascuno.
Avevamo già annunciato l’uscita del volume Tolkien e l’Italia curato da Oronzo Cilli (Il Cerchio Editore, 2016) in un articolo che potete leggere qui. Ora eccovi una recensione ad opera di Wu Ming 4, socio fondatore Aist e noto scrittore del collettivo omonimo e soprattutto, in questa sede, autore di diverse pubblicazioni dedicate a J.R.R. Tolkien (oltre che di un romanzo Stella del mattino), l’ultimo dei quali Difendere la Terra di Mezzo in cui è riuscito brillantemente, come scrive lui stesso, a «divulgare alcune tesi e punti di vista sull’opera di Tolkien che sono soprattutto patrimonio della comunità degli studiosi e di renderli accessibili a una platea più vasta», oltre a presentare acute analisi su temi e personaggi delle opere di Tolkien. È per questo motivo che siamo lieti di proporre ai lettori una recensione di chi i libri li legge e analizza in profondità. Buona lettura!
TOLKIEN E L’ITALIA Note sull’omonimo libro di O. Cilli, pubblicato dalla casa editrice Il Cerchio, con introduzione di G. De Turris di Wu Ming 4
1. L’abito fa il monaco
In alto compaiono il nome del primo autore, Oronzo Cilli, e il titolo TOLKIEN E L’ITALIA.
Subito sotto, con lo stesso font e dimensione, compaiono il nome del secondo autore, John Ronald Reuel Tolkien, e il secondo titolo, IL MIO VIAGGIO IN ITALIA, seguito da un sottotitolo: Diario inedito dell’agosto 1955.
Sulla costa del libro, idem come sopra: due autori e due titoli. La quarta invece è completamente in bianco.
Questa copertina contiene almeno tre informazioni false.
In primo luogo Tolkien non ha mai nemmeno immaginato di poter condividere a metà la copertina di un libro con uno sconosciuto.
In secondo luogo Tolkien non ha mai scritto un testo intitolato Il mio viaggio in Italia. Come si legge all’interno del libro stesso, il diario tenuto da Tolkien a cui si fa riferimento venne intitolato dall’autore “Giornale d’Italia” (in italiano).
In terzo luogo è falso che si tratti di un inedito, poiché è la traduzione del testo già comparso nell’opera di Ch. Scull e W.G. Hammond del 2006 J.R.R.Tolkien Companion and Guide (ma questo si apprende soltanto da una nota a piè di pagina 63). [1]
Voltata la copertina, si trova la prefazione dei già menzionati Scull e Hammond, i più pedissequi compilatori e cronologi dell’opera e della vita di Tolkien. Detta “prefazione” ammonta a ben quindici righe e si conclude con un ringraziamento a Oronzo Cilli «per avere dato un contributo così utile alla letteratura della bibliografia e biografia di Tolkien, da una particolare prospettiva italiana» (p. 5). Prima di arrivare al testo, il lettore si imbatte ancora nell’introduzione firmata da Gianfranco De Turris, il quale elogia il libro del suo pupillo perché lo conforta in quello che lui ha sempre sostenuto: «mi fa piacere che tutto questo lavoro confermi quanto ho scritto in varie occasioni e soprattutto nella mia lunga introduzione all’antologia di testi storico-critici ‘Albero’ di Tolkien (Larcher, 2004; ed. ampliata Bompiani, 2007)». Vale a dire: all’inizio degli anni Settanta i militanti dell’estrema destra italiana adottarono Tolkien, lasciato orfano e snobbato dall’intellettualità progressista, poiché sentivano con l’autore inglese «una profonda sintonia di idee, valori e sentimenti». Dunque «non esistette alcuna ‘strumentalizzazione della destra’», ma soltanto «vera empatia sin dalla prima lettura» (p. 11).
La vicenda è arcinota, scritta e riscritta in centinaia di articoli di giornale e alcuni libri, ma Cilli la ricostruisce con una quantità di fonti e citazioni frutto del suo lavoro certosino di collezionista. Come ogni ricostruzione anche la sua porta acqua al mulino di una tesi. De Turris in buona parte la anticipa, ma c’è dell’altro, come vedremo.
Nella conclusione De Turris non risparmia al lettore la stoccata contro «l’arroganza dell’intellettualità nostrana passata e presente» che parla «per partito preso e da un punto di vista ‘ideologico’». Sic.
E’ con questi buoni auspici che comincia finalmente il libro di Oronzo Cilli.
2. Il grano e il loglio
La ratio del libro Tolkien e l’Italia è l’associazione stessa tra i due termini che compongono il titolo. Qualsiasi collegamento – importante o effimero che sia – tra l’autore inglese e il nostro paese viene scandagliato indiscriminatamente, a prescindere dal peso che tale collegamento può avere o non avere avuto sui reali rapporti tra Tolkien e l’Italia.
Questo è vero soprattutto per la prima parte del libro, la più ridondante, dove l’autore – cedendo alla propria attitudine di collezionista tolkieniano – non pratica nessun lavoro di sintesi o di selezione e si lascia prendere la mano, raccontando cose che spesso oscillano tra l’irrilevante e il ridicolo.
Ad esempio quando racconta che Tolkien, negli anni Venti, prestò la voce per alcune registrazioni su vinile legate a un corso di apprendimento dell’inglese per italiani: le tipiche situazioni di dialogo, nelle quali, apprendiamo, Tolkien recitò le battute di un tabaccaio e di un radiofonico. Oppure quando, partendo da un disegno realizzato da Tolkien nel 1914, «uno strano abbozzo di campane e lampioni danzanti dal titolo Tarantella» (p. 37), Cilli si lancia senza paracadute in un collegamento con il tarantismo pugliese, rintracciandolo perfino nel Signore degli Anelli, nell’episodio in cui il ragno gigante Shelob, ferito, arretra e si rintana, secondo Cilli compiendo «una danza rituale», ovvero un «rituale coreutico-musicale» (p. 38). O ancora quando riporta i passi di Hammond e Scull con gli elenchi di tutte le sedute della Oxford Dante Society; o la loro descrizione della permanenza di Tolkien a Venezia, con una profusione di dettagli che possono appassionare soltanto il feticista della ricostruzione biografica, interessato a cosa mangiò Tolkien nel tal ristorante, o al percorso che compì per raggiungere Piazza San Marco dal suo albergo.
In mezzo a digressioni di questo tipo, poiché l’andamento del libro è cronologico, ci viene raccontato del primo rifiuto di Mondadori a tradurre Il Signore degli Anelli, nel 1955, per ragioni commerciali; e del secondo, quello di Vittorini, nel 1962, per ragioni letterarie, che rivela il pregiudizio di quella generazione di intellettuali verso la narrativa fantasy.
Tuttavia per imbattersi in qualcosa di davvero interessante, bisogna arrivare alla seconda parte del libro. Lì si ricostruisce l’arrivo del Signore degli Anelli in Italia alla fine degli anni Sessanta, il flop della prima edizione Astrolabio, il successivo rilevamento dell’opus magnum da parte di Rusconi, le questioni inerenti la traduzione e la curatela. Anche in questo caso la ricostruzione è maniacalmente minuziosa, ma almeno fa emergere un’evidenza utile. L’opera più importante di Tolkien (ma a Lo Hobbit non andò poi tanto meglio) subì in Italia fin dall’inizio una stratificazione di interventi. Partendo da una traduzione fatta da una ragazza alla prima esperienza, Vittoria Alliata di Villafranca, passando per la revisione di Quirino Principe, nonché per uno scambio epistolare con Tolkien – che oltre a non conoscere l’italiano, ebbe posizioni ambigue in merito alla traduzione dei suoi libri -, fino al particolare packaging riservato al romanzo da parte del gruppo di intellettuali che lo presero in carico, ciò che si produsse fu un bel guazzabuglio. Questo ci fa capire perché l’edizione italiana del Signore degli Anelli è quello che è, sia in termini di traduzione sia in termini di paratesti, e perché nel corso degli anni ha dovuto essere rattoppata a varie riprese. Leggendo questa parte del libro si esce rafforzati nella convinzione di quanto ci sarebbe bisogno, dopo mezzo secolo, di riprendere in mano quella materia da capo, con ben altro approccio, altra professionalità e maggiore conoscenza del testo e della poetica tolkieniana.
3. Capitani coraggiosi
C’è anche una seconda considerazione che si può trarre dalla ricostruzione storica di Cilli.
Quando nel 1970 l’editore Rusconi prese in carico Il Signore degli Anelli, dopo che l’editore Astrolabio era riuscito a vendere appena poche centinaia di copie (e solo del primo volume), il romanzo entrò a fare parte di un progetto editoriale che aveva degli intenti precisi, illustrati dall’autore fonti alla mano. Edilio Rusconi era un liberal-conservatore cattolico, con qualche nostalgia monarchica, intenzionato a costituire un nuovo polo editoriale. Per farlo chiamò come direttore editoriale Alfredo Cattabiani che – nelle parole del suo amico Piero Crida – «vide avverarsi il suo non tanto segreto sogno: quello di dirigere una casa editrice orientata verso la tradizione, nel senso in cui la intendevano studiosi quali Guénon, Jünger, Evola, Coomaraswamy e altri similmente orientati. Cattabiani fu abile ad alternare, nelle scelte di pubblicazione, letteratura e saggistica a più ampio raggio, oltre a testi che più gli stavano a cuore, in un continuo esercizio di equilibrio» (p. 350). L’equilibrismo di Cattabiani si inserì così nel più vasto progetto culturale e commerciale di Rusconi, che voleva parlare in modo nuovo alle masse di lettori, soprattutto attraverso magazine nazionalpopolari come Gente, Gioia, Eva Express. Una visione strategica quella di Rusconi che lo avrebbe portato a investire anche nelle neonate tv private e a fondare Italia 1, la rete poi acquistata da Silvio Berlusconi, che si accingeva a costruire il suo impero mediatico. Rusconi fu un precursore di quel cambiamento antropologico che trovò il suo compimento negli anni Ottanta.
Per questo capitano d’impresa, Cilli e De Turris spendono volentieri il termine di «coraggioso», riferendosi al fatto che pubblicando Il Signore degli Anelli contraddisse lo snobismo degli ambienti editoriali e accademici di allora nei confronti della letteratura fantastica. Secondo loro, pubblicare un romanzo fantasy, per di più di un autore conservatore cattolico come Tolkien, in quell’epoca in cui il dibattito culturale era estremamente condizionato da ciò che accadeva a sinistra (l’avanzata del PCI, le battaglie sindacali, le contestazioni studentesche, ecc..), sarebbe stato un grande gesto controcorrente, che sfidava l’egemonia culturale di ispirazione gramsciana-togliattiana.
Ebbene, questa immagine si basa su un equivoco fin troppo spesso reiterato e in cui fa comodo indulgere. Se negli anni Settanta gran parte degli ambienti culturali (editoria, università, salotti letterari) guardavano a sinistra, certo questi non rappresentavano la cultura dominante, cioè l’insieme delle opinioni prevalenti nella società, che influenzano il modo in cui si giudicano le cose. L’avversione che l’impostazione dell’editore Rusconi suscitava in certi ambienti colti progressisti si rifletteva solo parzialmente nel senso comune diffuso, che in quegli anni era in maggioranza quello nazional-cattolico, perfettamente incarnato dall’egemonia politica democristiana.
Uno dei numerosi elenchi che Cilli riporta nel libro è quello delle personalità a cui Rusconi inviò la primissima stampa del Signore degli Anelli, che consisteva in trecento copie numerate e fuori commercio. Si va dal presidente del senato Amintore Fanfani (DC) al presidente del Consiglio dei Ministri Mariano Rumor (DC); dagli industriali Alberto Pirelli e Remo Invernizzi all’arcivescovo di Milano Giovanni Colombo; passando per «magistrati, ministri, prefetti e uomini del mondo cattolico» (p. 179). Secondo quanto afferma Quirino Principe si trattò di un semplice «peccato veniale» (p. 341), ma è indicativo di quali fossero gli uomini di riferimento di Rusconi e Cattabiani: i reggenti della politica e dell’economia italiane di quegli anni, detentori del potere reale che raccoglieva il consenso della maggioranza silenziosa (non senza l’aiuto della strategia della tensione).
In definitiva il “coraggio” di Rusconi fu quello di chi offrì una nuova sponda al ceto dominante. E l’approdo di Tolkien in Italia ebbe un destino segnato sì dal conflitto ideologico di quel periodo, ma anche dall’essere stato inserito in un progetto che accettava senza indugi il terreno della lotta culturale in favore dell’ordine costituito. Così, suo malgrado, il vecchio professore, reduce di un’altra guerra, si ritrovò al fronte, preso in mezzo tra i tiri delle sentinelle del realismo socialista e la spinta di chi lo aveva arruolato suo malgrado in una battaglia che non era (mai stata) la sua.
4. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…
Ancora più interessante è la terza parte del libro, quella che ricostruisce la ricezione dell’opera di Tolkien nella cultura italiana degli anni Settanta, e che contiene una lettura della vicenda «da una particolare prospettiva italiana», per riprendere Hammond e Scull della prefazione.
Questo è il vero cuore del libro, dove si racconta di come in Italia Tolkien venne recepito dai movimenti alternativi, sia quelli della Nuova Sinistra sia quelli della Nuova Destra, in rivolta contro le vecchie istituzioni della cultura e della politica. Da una parte gli Indiani Metropolitani e il fantomatico Gandalf il Viola, che leggevano Tolkien alla stregua degli hippies americani, mentre irridevano la rigidità ideologica della sinistra storica e anche di tante formazioni minori; dall’altra parte i giovani missini dei Campi Hobbit e il “camerata elfo”, che volevano rompere con il nostalgismo e il tetro autoritarismo dei reduci repubblichini. Ognuno applicava l’opera di Tolkien alla propria contingenza storica e lo leggeva dalla propria angolazione, ma condividendo la stessa insofferenza verso le cariatidi e i sepolcri imbiancati che dominavano la società italiana.
Insomma, per usare una metafora calcistica: uno a uno e palla al centro.
Non solo. Cilli si premura di ricordare – sempre fonti alla mano – che una certa lettura politica destrorsa dell’opera di Tolkien non è una prerogativa italiana, ma trova riscontri anche in altri paesi. E qui invece si potrebbe ricorrere al detto “mal comune mezzo gaudio”.
Conclude Cilli: «Alla fine resta la consapevolezza che il mondo di Tolkien non può appartenere a nessuno né tanto meno essere arruolato da questa o quella parte politica. Si può entrare e viverlo con le proprie idee e le proprie esperienze ma senza alcuna presunzione di esserne il centro né tanto meno di possederne le chiavi interpretative» (p. 262).
Benché quest’ultima sia una morale assai banale, in realtà svela le motivazioni profonde del libro Tolkien e l’Italia. La ricostruzione di cui sopra è funzionale a una visione conciliante e pacificatoria, dalla quale tutti escono assolti e tutti vengono mantenuti in gioco. Pace libera tutti.
Ciò è possibile soprattutto perché Cilli è attentissimo a non entrare mai nel merito dell’opera tolkieniana, il suo rimane il lavoro di un collezionista, di un bibliografo, di uno che fa parlare gli altri (oltre metà del libro è composta di citazioni). Pagine e pagine sul contesto e nemmeno una riga sul testo. Non si sconfina mai, nemmeno di un millimetro, nel territorio della critica letteraria o della poetica, si rimane in equilibrio sul margine esterno, collezionando pareri altrui, messi tutti sullo stesso piano in una sorta di grande melassa, o piuttosto cortina eretta per celare l’evidenza.
Se infatti è vero – oltreché scontato – che le interpretazioni di un’opera letteraria sono tutte legittime, è altrettanto vero che non sono tutte equivalenti, perché non tutte le interpretazioni si fondano su una metodologia di lettura seria e sull’onestà intellettuale.
In questo senso non c’è bisogno di sindacare sui sinceri sentimenti dei militanti di destra degli anni Settanta per rendersi conto di quale lettura sia stata imbastita dai loro intellettuali di riferimento. A partire dall’imbarazzante sproloquio di Elemire Zolla che da quasi mezzo secolo fa da introduzione al Signore degli Anelli, e che ribalta completamente la prospettiva tolkieniana, descrivendola come narrazione del “Male assoluto”.
Mistificazioni di questo tipo non appartengono soltanto al passato, sono proseguite fino a tempi recentissimi.
Per avere testimonianza di cosa sia la strumentalizzazione ideologica dell’opera di Tolkien basta dare un’occhiata agli scritti del mentore di Oronzo Cilli. Non necessariamente gli articoli che si trovano in oscure riviste dell’ultradestra, ma i paratesti delle stesse opere di Tolkien. Ad esempio l’introduzione di De Turris alla maggiore raccolta di saggi di Tolkien, Il medioevo e il fantastico (2004), nella quale la celebre immagine tolkieniana dell’evasione dal carcere della realtà – riferita alle fiabe e alla narrativa fantastica – viene spudoratamente trasformata in «evasione dalla modernità». In questo modo si mettono in bocca a Tolkien le idee di Julius Evola, filosofo di riferimento di De Turris, e anche di una parte dell’estrema destra transitata dai Campi Hobbit. Oppure si potrebbe ricordare la postfazione a La Cadutà di Artù (2013), che si risolve in una excusatio non petita volta a giustificare la lettura simbolista dell’opera di Tolkien, senza nemmeno un accenno al fatto che Tolkien stesso giudicava problematico quel tipo di approccio e ne scrisse in più occasioni.
O ancora si potrebbe citare proprio il testo che De Turris rivendica in apertura del libro di Cilli, cioè la sua introduzione alla raccolta di saggi ideologicamente orientati ‘Albero’ di Tolkien (2004 e 2007). In quelle pagine la poetica tolkieniana viene riletta in termini di Tradizione contro Modernità, cioè ancora ricalcata sul pensiero evoliano, con il quale l’opera del cristiano Tolkien non ha proprio niente a che spartire. Così come Tolkien non avrebbe avuto niente a che spartire con almeno uno degli autori della suddetta raccolta di saggi curata da De Turris, quel Gianluca Casseri simpatizzante di CasaPound, passato poi alla ribalta delle cronache per l’assassinio a sangue freddo di due cittadini senegalesi e il ferimento di altri tre, in quella che è ricordata come la strage di Firenze del 13 dicembre 2011.
Non si ribadirà mai abbastanza: con tutto questo, Tolkien e la sua opera non c’entrano niente. Da tali ammiratori vanno salvati. E questa è l’unica pace possibile.
A tal proposito serve a poco fare notare che l’interpretazione ideologicamente destrorsa o tradizionalista dell’opera tolkieniana trova esempi marginali anche all’estero. La particolarità italiana è il fatto che tale lettura sia stata presa sul serio. In nessun altro paese certe letture farlocche sono state accreditate; di conseguenza non hanno potuto pregiudicare più di tanto la ricezione e il dibattito sull’autore. Questo aspetto – piaccia o no – pertiene alla particolare storia culturale e politica italiana.
5. De Profundis
La terza parte del libro si conclude con un excursus sui film di Peter Jackson, sulla loro ricezione in Italia, e con una lunghissima, estenuante, rassegna di tutte le edizioni italiane delle opere di Tolkien, con raffronto delle differenze (perfino quelle nei colophon) tra una e l’altra.
C’è però un momento di involontaria ironia, quando si arriva alla traduzione e pubblicazione in Italia del Silmarillion e si incensa l’operato di Francesco Saba Sardi (1922-2012), «apprezzato traduttore» non solo del più celebre testo postumo tolkieniano, ma anche dell’epistolario, di Albero e Foglia e di altri scritti. L’effetto ironico nasce dal fatto che sulle sviste di traduzione di Saba Sardi gli appassionati di Tolkien si scambiano battute da anni. La più celebre viene proprio dalla traduzione del Silmarillion, dove «the Three», i Tre anelli elfici, in almeno due occorrenze diventano «l’Albero». Per non parlare della resa della traduzione di Tolkien dall’antico inglese dei famosi versi 89-90 del poemetto La Battaglia di Maldon, intorno ai quali ruota Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm: da quella traduzione Saba Sardi ha fatto sparire un “non”, ribaltandone così il significato e rendendo contraddittorio il testo di Tolkien. E si potrebbe continuare a lungo.
Saba Sardi è anche uno degli intervistati dell’ultima parte del libro di Cilli, quella dove – tanto per cambiare – l’autore lascia parlare gli altri, anzi, i “protagonisti”. L’intervista a Saba Sardi è però alquanto striminzita e insulsa. In generale, a fronte di una grande elencazione di titoli, curriculum e onorificenze, a nessuno dei quattro “protagonisti” viene chiesto davvero conto di alcuna delle scelte fatte, che hanno prodotto traduzioni ed edizioni in perenne stato di rattoppo o ristrutturazione, o ancora paratesti inadeguati e fuorvianti. Ciò che però salta agli occhi è che gli intervistati ammettono candidamente di non conoscere poi così bene le opere di Tolkien. Quirino Principe, editor della prima edizione del Signore degli Anelli, che ha continuato a occuparsi dell’autore inglese per decenni, afferma di non essere uno specialista di Tolkien. Elena Jeronimidis Conte, traduttrice de Lo Hobbit, dice addirittura di preferire i film di Jackson ai romanzi, perché trova che Tolkien sia un autore ostico. Francesco Saba Sardi sostiene di avere realizzato, con le sue traduzioni, «opere di riscrittura», giacché lui era a sua volta «autore di opere letterarie», quindi poteva permetterselo; e questo forse per lui (requiescat in pace) avrebbe dovuto giustificare le licenze gratuite che si è preso, con annessi strafalcioni.
L’unico sincero appassionato di Tolkien sembra essere l’ultimo intervistato, Piero Crida, che però è l’autore delle prime copertine, quindi il meno responsabile di come è stata trattata la materia letteraria.
A conti fatti, queste interviste sono il degno suggello di un libro eclettico, frutto di un collezionismo compulsivo e di un lavoro certosino che vengono al tempo stesso ostentati e usati per fornire l’autoassoluzione a una compagine politico-culturale che tanto ha amato Tolkien quanto lo ha maltrattato. Una pretesa eccessiva anche per un superappassionato come l’autore, con già una carriera politica alle spalle (nonostante la giovane età, Oronzo Cilli è un ex-militante missino, ex-esponente di AN, poi del Popolo delle Libertà, ex-attaché di Gianni Alemanno). Perché la storia ci insegna che presto o tardi i nodi vengono al pettine, e non basta un po’ d’olio per scioglierli. I tempi sono maturi per un taglio netto. In conclusione si potrebbe tornare all’introduzione del libro e riascoltare la voce se non di un protagonista almeno di un testimone interessato, che ringhia contro «l’arroganza dell’intellettualità nostrana passata e presente, che non ha il minimo motivo di esserlo, né morale né culturale» (p. 12).
Parole che in un colpo solo fanno venire alla mente due immagini: quella del ministro Mario Scelba che inveisce contro il “culturame”; e quella della lingua che batte dove il dente duole.
E forse anche una terza: la più celebre copertina del vecchio giornale “Cuore”.
«Si assiste ad una negrizzazione, ad un meticciamento e ad un regresso della razza bianca di fronte a razze inferiori più prolifiche. Naturalmente, dal punto di vista della democrazia in un tale fenomeno non si trova nulla di male, al contrario. Si sa dello zelo e della intransigenza dimostrati negli Stati Uniti dai fautori della cosiddetta «integrazione razziale», la quale non può che favorirlo ulteriormente. Peraltro, costoro non solo propugnano la completa promiscuità razziale sociale e vogliono che i negri abbiano accesso libero a qualsiasi carica pubblica e politica (per cui, di rigore, ci si potrebbe aspettare, in avvenire, anche un presidente negro degli Stati Uniti), ma non hanno nulla da eccepire che i negri mescolino il proprio sangue con quello del loro popolo di razza bianca.»
Julius Evola, L’arco e la clava, 1957.
«Ma nelle ossa porto l’odio dell’apartheid; e più di ogni cosa detesto la segregazione o la separazione fra Lingua e Letteratura. E non mi interessa quale delle due voi possiate considerare Bianca.»
J.R.R.Tolkien, Discorso di commiato all’Università di Oxford, 1959.
[1.: nei ringraziamenti in fondo al libro si trova il nome del legale della Tolkien Estate, l’avvocato Cathleen Blackburn, a cui l’autore si dichiara grato “per la disponibilità e l’attenzione”. Una disponibilità davvero particolare se la Tolkien Estate, rinomata per la sua rigidità, ha accettato questa copertina ingannevole].
Come sempre, la dialettica porta dibattito e nuove riflessioni. Avevamo già annunciato l’uscita del volume J.R.R.Tolkien l’esperantista – prima dell’arrivo di Bilbo Baggins curato da Oronzo Cilli (Cafagna Editore, 2015), pubblicando la prefazione che ne aveva scritto lo studioso inglese John Garth, che potete leggere qui. Ora eccovi una recensione ad opera di Wu Ming 4, socio fondatore Aist e noto scrittore del collettivo omonimo e soprattutto, in questa sede, autore di diverse pubblicazioni dedicate a J.R.R. Tolkien (oltre che di un romanzo Stella del mattino), l’ultimo dei quali Difendere la Terra di Mezzo in cui è riuscito brillantemente, come scrive lui stesso, a «divulgare alcune tesi e punti di vista sull’opera di Tolkien che sono soprattutto patrimonio della comunità degli studiosi e di renderli accessibili a una platea più vasta», oltre a presentare acute analisi su temi e personaggi delle opere di Tolkien. È per questo motivo che siamo lieti di proporre ai lettori una recensione di chi i libri li legge e analizza in profondità. Buona lettura!
TOLKIEN, GLI ESPERANTISTI E IL SONNO DI OMERO di Wu Ming 4
1. Avvertenza: scrivere con pregiudizio
La recensione che segue nasce all’ombra di un pregiudizio culturale. Pregiudizio sulla cultura di destra – per come la intendeva Furio Jesi – e sul nicodemismo di certi suoi esponenti a caccia di accreditamento, alcuni dei quali, com’è noto, in anni passati hanno fatto gran danno alla ricezione dell’opera di Tolkien in Italia. Il curatore e co-autore di J.R.R.Tolkien l’esperantista è Oronzo Cilli, definito da Gianfranco De Turris «tra i più importanti giovani studiosi italiani di Tolkien» (Il Giornale 27/06/2014). Non meraviglia l’affinità tra i due, se si tiene conto qual è il milieu da cui provengono entrambi, vale a dire gli ambienti dell’estrema destra politica e culturale italiana. Ma a differenza degli omologhi che l’hanno preceduto, Oronzo Cilli non si presenta al pubblico ignorando completamente il dibattito nel mondo anglosassone. Al contrario, si dota di tutti i contatti utili a qualificare un libro su Tolkien. In J.R.R.Tolkien l’esperantista sono dichiarate corrispondenze con noti studiosi della materia, con la Tolkien Estate, vi compaiono come coautori due esperti di lingue elfiche americani – A.R. Smith e P.H. Wynne – e il volume porta la prefazione del britannico John Garth, attualmente il più importante biografo tolkieniano. Alla prefazione però si arriverà alla fine, perché l’andamento di questa recensione sarà inverso: dal fondo alla cima. L’importante è che il lettore sia avvertito. Al suo giudizio spetterà poi raffrontare – se ne avrà voglia – il contenuto della critica e quello del libro.
2. Il fondo
Il saggio più lungo del volume è l’ultimo, quello del medesimo Oronzo Cilli, Tolkien e il movimento esperantista inglese, nel quale il curatore-autore illustra e contestualizza la sua scoperta: la firma di Tolkien in calce a un documento che proverebbe l’organicità dello scrittore al movimento esperantista. In quelle 44 pagine il lettore viene informato che Tolkien fece il boy scout; che il fondatore dei Boy Scout, Baden-Powell, aveva consigliato di utilizzare l’esperanto come lingua franca tra i gruppi delle varie nazionalità e questo potrebbe essere stato l’entry point di Tolkien a quella lingua; che nel 1930 si tenne a Oxford un congresso internazionale esperantista, al quale non risulta che Tolkien abbia partecipato, ma siccome vi partecipò un suo collega, è probabile che i due “ne abbiano discusso” (p. 93); che i partecipanti al Congresso erano… (segue un’intera pagina di nomi); che Tolkien venne nominato consigliere onorario del Comitato per l’educazione della British Esperanto Association e questo è “a oggi, il primo documento attestante la sua partecipazione al movimento esperantista inglese” (pag. 97); che tra gli aderenti al congresso esperantista britannico del 1933 sempre a Oxford compare il nome di Tolkien, ma “a oggi, della partecipazione di Tolkien al Congresso non vi è certezza” (p. 102) e anzi le ricerche bio-bibliografiche di Hammond e Scull lo escluderebbero; che la timeline della giornata del congresso era… (segue timeline); che la firma di Tolkien compare in calce a un documento del suddetto congresso intitolato Il valore educativo dell’esperanto, nel quale si sostiene l’adozione dell’esperanto nelle scuole come seconda lingua, per i seguenti motivi: velocità dell’apprendimento, aiuto nella valutazione dell’apprendimento linguistico, facilitazione nell’uso delle parole, stimolo all’interdisciplinarità, possibilità di leggere la letteratura esperantista (segue una pagina e mezzo di firme).
Il saggio di Cilli si conclude menzionando sbrigativamente il fatto che nella seconda parte della sua vita Tolkien cambiò posizione rispetto all’esperanto, fino a definirlo una lingua morta. Tuttavia secondo Cilli “il proseguimento dei rapporti con molti protagonisti del movimento non esclude del tutto un suo interessamento anche limitato” (p. 112). Certo, niente può escludere un interessamento limitato. Perfino chi scrive questa recensione, in questo momento si sta, in qualche modo, interessando all’esperanto. Le ultime parole del saggio fanno riferimento a un fantomatico “grande quadro che ancora deve essere svelato” (p. 113). E su questa nota di mistero si passa agli allegati documentali.
3. Esperantisti tengwarologi
La parte centrale del libro coincide con il saggio dei due studiosi di lingue elfiche Arden R. Smith e Patrick H. Wynne, intitolato Tolkien e l’esperanto (pubblicato su una rivista americana nel 2000). La prima parte dell’articolo consiste nella disamina filologica di una pagina di taccuino scritta in esperanto da Tolkien all’età di diciassette anni. Dopodiché gli autori arrivano al celebre saggio del 1931 Un vizio segreto, nel quale Tolkien parlava della propria passione per le lingue artificiali e dichiarava anche di avere “una particolare predilezione per l’esperanto”.
Il motivo di tale predilezione, nelle parole di Tolkien, era fondamentalmente teorico: “si tratta in ultima analisi della creazione di un solo uomo, un non filologo, e di conseguenza mi appare come un ‘linguaggio umano scevro delle complicazioni dovute all’opera dei troppi cuochi che rovinano la minestra’: e questa è per me la miglior descrizione della lingua artificiale ideale” (citato a pag. 52).
Di seguito, Smith e Wynne riportano un lettera scritta da Tolkien al Comitato per l’educazione della British Esperanto Association di cui era stato nominato consigliere onorario, nella quale, a mo’ di excusatio non petita, lui stesso dichiara di avere soltanto una conoscenza basilare dell’esperanto: “Non sono un esperantista pratico […]. Non posso né leggere né scrivere questa lingua. La conosco, come direbbe un filologo, in quanto 25 anni fa ne ho studiato la grammatica e la struttura e non l’ho dimenticata, e un tempo leggevo un buon quantitativo di cose scritte in questa lingua” (citato a pag. 53).
La lettera è del 1932, quando Tolkien aveva quarant’anni, e si colloca tra i due congressi esperantisti oxfordiani di cui sopra. Le parole di Tolkien sul fatto che da un quarto di secolo (cioè dall’adolescenza) non studiava più l’esperanto, e che non era più in grado di parlarlo o scriverlo, avendo smesso di leggere letteratura in esperanto da molti anni, bastano di per sé a ridimensionare la portata della scoperta di Cilli e rendono tanto più ridicola l’evocazione di chissà quali scenari. La firma di Tolkien a favore dell’introduzione dell’esperanto nelle scuole – negli anni in cui si batteva per una riforma degli studi linguistici anche all’università – era evidentemente dovuta alla sua fiducia nel fatto che lo studio di un idioma artificiale potesse aprire la mente degli studenti alla riflessione e all’invenzione linguistica, com’era successo a lui.
Per altro, dopo gli anni Trenta, Tolkien cambiò radicalmente idea sulle lingue artificiali, anche se Smith e Wynne preferiscono dirlo con un eufemismo: “Sembra che in questo periodo l’opinione di Tolkien sulle lingue internazionali come l’esperanto fosse meno favorevole” (p. 59).
Nella bozza per la revisione di Un vizio segreto Tolkien dichiarava di non essere “più tanto convinto che [una lingua artificiale] sia cosa buona” (citato a p. 59-60). In una lettera degli anni Cinquanta il suo giudizio è ancora più duro. Parlando delle lingue artificiali, scrive che sono idiomi morti, “molto più morti di altre antiche lingue non più usate, perché i loro autori non hanno mai inventato delle leggende in esperanto” (lettera del 1956, citata a p. 60).
A questo punto i due studiosi americani non possono esimersi dall’affrontare la teoria linguistica a cui Tolkien approdò, fondata sulla coincidenza tra mitologia e linguaggio, e che rappresenta l’architrave della sua attività di narratore e filologo creativo. Per Tolkien non può esistere una lingua senza storie, il mito è linguaggio e il linguaggio è mito, si tratta di aspetti sincronici e coincidenti dell’attività umana. Una lingua senza storie è una lingua morta, in questo caso artificiale nel senso deteriore del termine. Tanto è vero che per dare spessore e credibilità alla propria invenzione linguistica, Tolkien si impegnò nella costruzione di un intero legendarium, dalla cosmogonia all’avvento del tempo storico.
Smith e Wynne però non sembrano cogliere la radicalità di questa teoria o forse proprio perché la colgono sono costretti a rigettarla per salvare l’esperanto: “Le lingue come l’esperanto, create per uso pratico e quotidiano nel mondo reale, non hanno bisogno di generare storie; nel tempo, se riusciranno a sopravvivere e prosperare, acquisiranno le proprie storie e le proprie leggende, esattamente come il greco e un’infinità di altre lingue esistenti hanno fatto”. (p.63)
Contro la concezione mitolinguistica tolkieniana i due americani da un lato si appellano alla praticità tecnica della lingua, dall’altro lato affermano che le storie e le leggende verranno col tempo, come conseguenze diacroniche del linguaggio. Tolkien avrebbe trovato del tutto falso questo discorso ed è precisamente il motivo per cui finì per rigettare l’esperanto [1].
4. Storia ridicola dell’esperanto
In effetti è la vicenda stessa dell’esperanto a dimostrare che Tolkien aveva ragione. Lo si evince dai primi due contributi del volume, rispettivamente a cura di Tim Owen, della Esperanto Association of Britain, e di Renato Corsetti, della Federazione Esperantista Italiana.
Queste due brevi panoramiche sulle vicissitudini dell’esperanto in Gran Bretagna e in Italia dimostrano perché un idioma inventato a tavolino, con moventi di ordine ideale o tecnico-pratico, senza alcun retroterra storico, risulterà sempre artificioso e fragile. Ovvero sarà soggetto ai ghiribizzi della sorte, alle idiosincrasie del singolo linguista, agli scismi, alle decisioni burocratiche delle organizzazioni internazionali, alle pressioni politiche.
Una lingua con una profondità storica, una lingua che racconta storie e coincide con le storie che racconta, ha un metabolismo e una vita diversi, è connessa agli eventi mondiali e alle generazioni, a spostamenti di popoli, guerre, commerci, rapporti di forza e di interscambio. E’ così che le lingue vivono e muoiono, o piuttosto si trasformano. Il greco e il latino non sono lingue morte, diceva una professoressa di lettere classiche, sopravvivono nelle lingue romanze; così come non era morto l’antico inglese per il professor Tolkien.
E qui sarà anche il caso di fare le pulci al propagandismo esperantista che connota il saggio di Corsetti e che rivela molto del vero intento di questo libro: “Nato da un ideale di pace, collaborazione e intercomprensione tra gli uomini, l’esperanto si pone al di sopra di ogni differenza etnica, politica, religiosa, e – proprio perché lingua propria di nessuna nazione e insieme accessibile a tutti su una base di uguaglianza – tutela contro il predominio culturale ed economico dei più forti e contro i rischi di una visione monoculturale del mondo” (p. 26). Non c’è bisogno di mettere in discussione i nobili ideali che mossero Zamenhof per affermare che – da figlio del proprio tempo qual era – ideò una lingua al 100% “bianca”, elaborata sulla base di una mescolanza di radici e parole europee. Guardando l’esperanto dall’Africa, dall’Asia o dall’Oceania, diventa ben difficile capire come una lingua franca ultraeuropea dovrebbe tutelare dal predominio di quella parte del mondo sulle altre o da una visione monoculturale.
Da questo punto di vista Tolkien, anche nella sua fase di ammirazione per le lingue artificiali era assai più consapevole di quali fossero i loro confini impliciti. Infatti si diceva entusiasta di quegli idiomi “quanto meno per l’Europa” e li auspicava “come presupposto possibile e necessario all’unificazione dell’Europa prima che venga fagocitata dalla non Europa” (citato a pag. 51). Queste parole da affezionato conservatore del Vecchio Mondo dimostrano quanto fosse lontano dalla concezione della lingua artificiale come strumento neutrale e universalistico espressa da Corsetti.
5. Mr. Garth e gli scienziati
Eccoci infine al principio. Cioè alla firma più illustre che compare nel volume, quella di John Garth.
La prima cosa che salta agli occhi nella sua prefazione è l’insistenza su una condivisione di “ideali” da parte di Zamenhof e Tolkien, senza però che questo aspetto sia mai approfondito. Garth si spinge poi a un parallelo tra le vicende dell’esperanto e quelle narrate nel Silmarillion (sic!), cerca labili coincidenze cronologiche (l’anno in cui la BBC rifiuta di trasmettere un programma sul cinquantenario dell’esperanto è anche l’anno di pubblicazione de Lo Hobbit… e quindi?), ovviamente cita tutti i documenti attestati sull’adesione di Tolkien all’esperanto, ma poi non può glissare sul suo cambio di rotta. E quando deve tirare le fila lo fa in maniera impacciata e contraddittoria. Alla fine si limita a concludere che “se l’esperanto inizialmente contribuì ad alimentare l’aspirazione di Tolkien a creare linguaggi propri, questa è di certo un’influenza importante. Se poi Tolkien divenne profondamente consapevole dei limiti di ciò che vide, questo è ancor più importante – poiché il suo tentativo di superare quei limiti portò alla creazione dell’Elfico e della Terra di Mezzo” (p. 12).
Tutto qui, dunque. Garth suggerisce una funzione dialettica dell’esperanto, che avrebbe fornito al Tolkien maturo la consapevolezza del limite da superare.
Per dire questo c’era bisogno di un libro pretestuoso e pretenzioso al tempo stesso, dal titolo fuorviante, e argomentato in maniera così maldestra? C’era bisogno di aggiungere gli esperantisti al novero di quelli che tirano Tolkien per la giacca?
Anche no. Il libro inaugura una collana curata da Cilli per l’editore Cafagna, intitolata “Il mondo di Tolkien”, nel cui comitato scientifico compaiono i nomi delle persone coinvolte a vario titolo nel volume. Gli autori stessi; la traduttrice Greta Bertani, già autrice di un libro su Tolkien e la Sacre Scritture pubblicato dalla casa editrice Il Cerchio; Adriano Monti Buzzetti, giornalista radiotelevisivo, ma qui in veste di autore dell’illustrazione di copertina (che fa il paio con un suo ritratto di Julius Evola “esposto” sul sito della Fondazione omonima: il già menzionato John Garth; e in cima alla lista, Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Lascia parecchio perplessi il fatto che un libro di così poco momento e una così male assortita compagnia includano la firma del biografo di Tolkien e quella del più infaticabile studioso e organizzatore di attività tolkieniane in Italia. Verrebbe da dire, per usare una lingua (mai) morta: Quandoque bonus dormitat Homerus. L’importante è che poi si svegli.
[1] Altri due studiosi che cercano di smussare questa evidenza sono Dimitra Fimi e Andrew Higgins, che nell’introduzione all’edizione filologica di A Secret Vice (2016) – dove, non a caso, vengono citati sia il lavoro di Smith e Wynne sia le scoperte documentali di Cilli – scrivono: “The fact that Esperanto has allowed a shared tradition and culture to ‘breed’ among its speakers, makes it more sympathetic to Tolkien’s ideals for invented languages than the older Tolkien is willing to admit.” (pag. 48).
Recensione a J.R.R.Tolkien l’esperantista – prima dell’arrivo di Bilbo Baggins (a cura) di O. Cilli, Cafagna Editore, 2015
LINK ESTERNI
– Vai al sito della della casa editrice Cafagna
– Vai al Blog di Oronzo Cilli
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Sicuramente avete tutti letto che ci sarà un nuovo libro di J.R.R. Tolkien uscirà nel maggio del prossimo anno: Beren e Lúthien sarà pubblicato nel 4 maggio 2017 a poche settimane dal centenario del momento in cui la giovane Edith danzò per John Ronald nei boschi di Roos nella primavera del 1917 (su come questo momento influenzò le opere di Tolkien è analizzato in maniera eccellente, ad esempio, da Michael Flowers in A Hemlock by any other name…). L’attesa è talmente grande che questo libro è già stato denominato la «Centenary Edition». Come sempre, però, girano molte ipotesi poco fondate su di esso. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Formato ed edizioni
Non si sa molto a parte il comunicato ufficiale della Tolkien Estate (lo trovate qui) visto che mancano ancora molti mesi alla pubblicazione. Wayne Hammond e Christina Scull, ovviamente, hanno raccolto tutte le informazioni a disposizione nel loro post sul nuovo libro: «È prevista un’edizione rilegata di 304 pagine (lo si legge su Amazon UK) a 20 sterline e un’edizione deluxe a 75 sterline. Entrambe saranno illustrate con disegni e dipinti di Alan Lee e pubblicate il 4 maggio 2017. In contemporanea, uscirà un’edizione statunitense per Houghton Mifflin Harcourt. Il sito di Amazon UK elenca anche un’edizione Kindle. Non ci sono dettagli su formato e qualità delle edizioni, ma è mostrata un’immagine in cui si vede la sovraccopertina del libro». Anche John Garth ha scritto un ottimo post sul libro, che riassume, tra l’altro, a quale materiale attingerà probabilmente Christopher Tolkien.
I contenuti
Il libro esordirà con la storia nella «sua forma originale», che Hammond & Scull presumono sarà la versione più antica superstite pubblicata nel secondo libro dei Racconti Perduti (The Book of Lost Tales 2), The Tale of Tinúviel (anche se c’è qualche piccola speranza che sia possibile ricostruire alcune parti della versione primigenia che Tolkien aveva scritto a matita sotto l’inchiostro della versione pubblicata…). Nel nuovo libro seguiranno poi «passaggi in prosa e in versi da testi più tardi che illustrano il racconto come è cambiato». Presumibilmente, il testo sarà commentato da Christopher Tolkien e questo darà la possibilità ai lettori di avere una visione panoramica della storia, dal punto di vista sia interno che esterno alla storia della terra di Mezzo. L’enfasi sulla singola storia e la sua evoluzione, la sua contestualizzazione tra versioni precedenti e successive, oltre che in mezzo dell’evoluzione del legendarium a cui appartiene. Un tale approccio potrebbe appartenere alla stessa tradizione accademica seguita nel saggio di Gergely NagyThe great chain of reading: (Inter-)textual relations and the technique of mythopoesis in the Túrin story contenuto in Tolkien the Medievalist a cura di Jane Chance (Routledge 2003). È molto improbabile che verranno seguiti i punti di ricerca compiuti nel saggio, ma sicuramente l’impianto dello studio è validissimo e sarebbe utile per comprendere le variazioni di una delle grandi storie del Silmarillion.
Le ipotesi possibili
Sui contenuti del nuovo libro niente di più si sa, in realtà, anche se si può dire ancora qualcosa. In primo luogo, questo libro non sarà per nulla di simile a The Children of Húrin. Sembra probabile che il libro sarà più accessibile al lettore non accademico che può anche non conoscere The History of Middle-earth, ma non sarà un racconto autonomo diverso dal testo della versione originale. Le variazioni di stile, forma, e anche i cambiamenti nella trama, le idee di Tolkien sull’estetica letteraria, sull’etica, tutto questo merita di essere contestualizzato da Christopher. Ad esempio, Carl Hostetter nel suo articolo Elvish as She is Spoke spiega come i cambiamenti nelle idee e nei gusti linguistici si riflettano nell’evoluzione dei suoi linguaggi inventati, così i suoi cambiamenti nei gusti e nelle idee letterarie si riflettono nell’evoluzione delle grandi storie. Finché il libro non sarà pubblicato non si saprà se contiene nuovo materiale. John Garth, in una post sul suo blog, fa alcune speculazioni intriganti sull’uso di possibili testi scritti successivamente al 1917, ma il comunicato stampa HarperCollins ha annunciato che le storie saranno «presentate insieme per la prima volta». Un’altra possibile fonte di nuovo materiale potrebbe essere legato all’aspetto più personale dell’autore, per esempio le citazioni dai diari di Tolkien del 1917 o dalle lettere ai suoi figli circa la giornata di Roos o il significato personale della storia. Raramente, però, in passato si è attinto ai diari dello scrittore, che rimangono tuttora inediti e probabilmente contengono pensieri molto personali. Garth ha suggerito che la descrizione del comunicato si adatta molto a testi che sono alla base del Quenta Silmarillion del 1937. Questa sembra una buona congettura, che certamente si adatta bene alle descrizioni rispetto a una semplice riproduzione della storia di Tinúviel dal The Book of Lost Tales 2, perché offre una spiegazione all’apparente incongruenza del comunicato stampa che parla del «racconto epico di Beren e Luthien» nella «sua forma originale», ma che è stato «accuratamente restaurato dai manoscritti di Tolkien e presentato per la prima volta come una storia completamente continua e autonoma». E che suona un po’ come il metodo tipico che Christopher ha usato ne The Children of Húrin.
Come al solito bisogna fare chiarezza. Siti web e quotidiani online hanno pubblicato la notizia che sono state ritrovate un paio di poesie di Tolkien, pubblicate nel 1936 in un oscuro giornale scolastico. «Undiscovered J R R Tolkien poems found in 1936 school magazine», è il titolo di oggi dell’Oxford Mail. Un po’ più vicina al vero è la BBC, che ha titolato: «JRR Tolkien poems found in Abingdon school annual». “Ritrovate” è il termine giusto da usare, mentre dire che le poesie sono state “scoperte” è errato. Naturalmente per quotidiani e siti web italiani (dal Corriere all’Internazionale, dall’Avvenire al Giornale), si tratta di una “nuova scoperta”. Ecco il perché è falso.
I fatti
Le due poesie di cui tanto si favoleggia sono già da tempo note agli studiosi e una di esse è pure pubblicata nella nuova edizione inglese delle Avventure di Tom Bombadil. Il 20 giugno del 2013, come da noi riportato in un articolo, i due infaticabili cacciatori di note Wayne Hammond e Christina Scull avevano annunciato al mondo di aver trovato queste due poesie, una sola delle quali è direttamente legata alla Terra di Mezzo. Negli aggiornamenti all’opera monumentale The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, pubblicato nel 2006, i due biografi avevano già inserito riferimenti a queste due poesie, ma non avevano trovato altre informazioni complete sui due testi. Partendo da un riferimento contenuto in un’altra rivista, The Tablet, i due studiosi hanno scoperto che la poesia La sposa dell’ombra (Shadow-Bride) fu pubblicata nel 1936 nella rivista annuale della Our Lady’s School di Abingdon (vicino Oxford). «In seguito a questa scoperta, abbiamo chiesto alla scuola, che è ancora attiva», raccontano i due studiosi sul loro blog, «se avessero una copia del numero annuale nel loro archivio. Non ce lo avevano, ma ci hanno messo in contatto con le Suore della Misericordia a Bermondsey, che invece conservavano il numero del 1936. In questo modo abbiamo scoperto ancora di più su quella pubblicazione». Una versione precedente della Sposa dell’ombra si trovava a pagina 9, con il titolo The Shadow Man, cosa che cambiava di molto la prospettiva perché la poesia racconta di una donna che trova un compagno in un uomo che non getta ombra. Nel numero di The Tablet del 15 febbraio 1936 si fa riferimento però a «due poesie» di Tolkien nell’Annuale del 1936. «Abbiamo chiesto alle suore di poter avere una copia dell’indice del numero speciale», raccontano Hammond e Scull, «e in effetti, era elencata un’altra poesia di Tolkien». Si trova alle pagine 4-5 del numero 12, quello del mese di dicembre. E il suo titolo è dedicato al Natale: «Noel». I due studiosi avevano ottenuto anche questa poesia, di cui però riportavano sul blog solo l’incipit. Noel è insolita perché è una poesia che celebra il Natale, che ha portato la luce a un mondo che era triste, freddo e buio. Una poesia che non sembra ricollegarsi alla Terra di Mezzo ed è per questo motivo che non fu più rielaborata dallo scrittore inglese.
Cosa c’è di nuovo?
Se la scoperta è vecchia di tre anni, cosa c’è di nuovo? Purtroppo c’è poco, a parte le immagini della rivista e la pubblicità che la scuola cerca di ottenere da un collegamento diretto con lo scrittore inglese. Stephen Oliver, rettore dell’Our Lady’s di Abingdon, ha ora trovato una copia della rivista in modo del tutto fortuito. All’Oxford Mail, il rettore ha raccontato di non aver trovato inizialmente, negli archivi della scuola, il numero richiesto da Hammond. Dopo le vane ricerche effettuate nel 2013, preparando ora un evento per gli ex alunni della scuola, Oliver ha trovato l’Annuale del 1936 con le due poesie di Tolkien. «Il mio entusiasmo quando le ho viste è stato travolgente» ha raccontato all’Oxford Mail. «Sono un grande fan di Tolkien e sono stato contento di scoprire un collegamento con la scuola. Io stesso sono uno scrittore, inoltre, e mi sento privilegiato ad avere una parte nella scoperta di queste opere».
Dal punto di vista della visibilità, sicuramente il collegamento diretto con Tolkien farà molto bene all’istituto di Oxford: il rettore Oliver ha, infatti, già annunciato al Catholic Herald: «Abbiamo intenzione di fare di queste due poesie il pezzo centrale di un’esposizione sulla ricca storia della nostra scuola, che ha anche legami affascinanti con Florence Nightingale». Per avvalorare la scoperta, il rettore ho fornito il testo completo della poesia Noel e le immagini della copertina e dell’indice. Sono queste le novità di questa notizia: i lettori possono ora leggerle senza andare fino a Oxford. Tutto il resto era noto da tempo.
Dopo averlo annunciato già in passato, ecco che è ora disponibile una nuova edizione delle Avventure di Tom Bombadil in inglese. A firmare il volume sono Wayne Hammond e Christina Scull, due dei più infaticabili ricercatori dell’opera tolkieniana. Le Avventure di Tom Bombadil, la cui pubblicazione avvenne originariamente nel 1962, sono una raccolta di sedici poesie, ma soltanto due hanno veramente a che fare con il personaggio di Tom Bombadil. La genesi del libro, come racconta Tom Shippey, trova le sue radici nel 1961 a opera di Jane Neave, zia di John Ronald Reuel, che suggerì al Professore di tirar fuori un piccolo volume, avente come centro il suddetto personaggio, che poteva essere acquistato come regalo natalizio. Tolkien accolse il consiglio e riunì alcuni componimenti che egli stesso aveva steso in tempi diversi nel corso di quegli ultimi 40 anni. La maggior parte delle sedici poesie erano già state stampate in diverse pubblicazioni fra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, nel 1962 il Professore decise così di rivederle interamente, inserendole in una cornice concettuale più ampia, riportando Le Avventure come un traduzione dal Libro Rosso dei Confini Occidentali. Nella raccolta trovano dunque posto temi diversi come la numero 12 The Cat, originariamente scritta per la nipote Joanna, oppure The Mewlips, che non ha espliciti legami con la Terra di Mezzo, la decima Oliphaunt, attribuita a Sam Gamgee (recitata a Gollum davanti al Cancello Nero) e quella che W.H. Auden considerava la miglior poesia di Tolkien, The Sea-Bell.
La nuova edizione
La nuova pubblicazione di The Adventures of Tom Bombadil and Other Verses from the Red Book, è uscita in Gran Bretagna e Stati Uniti dal 9 Ottobre. Da sottolineare in primis che Hammond e Scull avevano già proposto questa ristampa per i cinquant’anni delle prime Avventure, quindi nel 2012, ma la casa editrice ha dato il consenso soltanto alla fine del 2013, portando il volume ad essere pronto solo ora. La nuova edizione contiene le sedici poesie già presenti nel volume originale, con l’aggiunta delle illustrazioni di Pauline Baynes. Questa non è tuttavia la notizia più eclatante. Grazie al lavoro di Hammond e Scull le nuove Avventure avranno al suo interno le prime versioni delle poesie, quando esse esistono, pubblicate dapprima in riviste e giornali difficili da reperire, oltre a una versione tarda di una poesia bombadilliana, Once upon a Time («C’era una volta»). Due altre sensazionali novità saranno la pubblicazione, per la prima volta in assoluto, da un manoscritto di Tolkien, della poesia Bumpus che predecette la poesia numero 8 del libro, Perry-The-Wincle (in italiano «Pierin Semplicione») e di un breve frammento in prosa con Tom Bombadil, dal titolo Nei giorni di “King Bonhedig”. A tutto questo Hammond e Scull hanno aggiunto una introduzione, commenti sulle poesie e sulla prefazione di Tolkien, glosse per termini inusuali, come già fatto in precedenza per Roverandom e Il Cacciatore di Draghi.
In Italia
Che novità abbiamo su Tom Bombadil nel nostro Paese? Per ora poco più di nulla per un’opera che ha visto diverse edizioni succedersi negli anni, a partire dal 1978 della Rusconi con la traduzione di Bianca Pitzorno e Maria Teresa Vignoli, passando per la riedizione della stessa versione nel 1997, per riparlarne due anni dopo con il nuovo adattamento di Isabella Murro e Vicky Alliata di Villafranca con illustrazioni di Maura Boldi, fino all’ultima uscita nel 2000 per Bompiani, che riprendeva la precedente cambiandone la copertina.
Non si sa quanto il pubblico italiano dovrà attendere per una nuova revisione del testo delle Avventure, sperando che si mantenga l’oramai assodata abitudine di conservare il testo originale a fronte. Non ci tocca che sperare in una strenna natalizia…
Appuntamento da non perdere quello di questa settimana al corso “Conoscere Tolkien”, organizzato dall’Associazione romana studi Tolkieniani al museo Vigamus, in via Sabotino 4 a Roma. Dopo aver analizzato le opere più importanti dello scrittore nelle prime lezioni con un focus sul Silmarillion e un approfondimento tutto dedicato al Signore degli Anelli e a Lo Hobbit, dopo aver parlato delle principali tematiche che l’autore ha trattato, analizzando in particolare La Natura nelle opere di J.R.R. Tolkien, è ora la volta di spostare lo sguardo anche verso i film di Peter Jackson, con le due trilogie cinematografiche. Nella lezione di domenica 6 Aprile, dalle 11 alle 13, dal titolo Da Tolkien a Peter Jackson: gli abiti della Terra di Mezzo, Daniela Mastroddi e Manuel Chiofi ripercorreranno criticamente gli aspetti relativi alla sceneggiatura e alla realizzazione delle pellicole del regista neozelandese, l’impatto che hanno avuto sugli appassionati lettori di Tolkien, per poi concentrare l’attenzione sul confronto tra libri e film, soprattutto nell’aspetto più visibile, quello degli abiti della Terra di Mezzo.
Libri e film a confronto
Sarà un viaggio tra le pagine dei libri alla ricerca delle similitudini degli abiti della Terra di Mezzo di Tolkien con i costumi realizzati dalle due costumiste, Ngila Dickson e Ann Maskrey, per le due trilogie del regista Peter Jackson. Verranno illustrati i passaggi, gli accorgimenti e i trucchi utilizzati per la realizzazione dei costumi nei film, partendo da un’idea, poi dai disegni delle costumiste fino al risultato finale sul grande schermo, riuscendo a rappresentare le varie razze esistenti nella Terra di Mezzo ideata dal Professore. In effetti la descrizione che fa lo scrittore inglese degli abiti dei vari popoli è piuttosto esigua, riducendosi a qualche brano e poco più. Altre piccoli dettagli si possono cogliere, infatti, più avanti nella lettura del Signore degli Anelli oppure da Lo Hobbit, ma molto rimane alla fantasia del lettore. Per quanto riguarda gli Elfi, nei suoi libri le descrizioni dei loro abiti sono poco presenti, tranne che in riferimenti come per Arwen: «Sul suo capo era posata una cuffietta di pizzo argenteo ricamata di pietre preziose e scintillanti; ma la veste di un grigio pallido non aveva altro ornamento che una cinta di foglie intrecciate con fili d’argento» (dal Signore degli Anelli). Qualche informazione in più, Tolkien la dà sugli Hobbit: «Un popolo allegro e spensierato; portavano vestiti di colori vivaci, preferendo il giallo ed il verde, ma calzavano raramente scarpe, essendo i loro piedi ricoperti di un pelo riccio, folto e castano come i loro capelli, e le piante dure e callose come suole» (dal Signore degli Anelli). Per quanto riguarda i Nani, la loro natura testarda e forte, fatta di grandi amicizie e grandi ostilità, resistenti alle fatiche e grandi conoscitori della roccia e dei suoi preziosi segreti, ha plasmato anche il loro vestire. Dagli schizzi fatti dall’
autore per Hobbit è possibile trarre qualche indizio (si trovano in The Artist and Illustrator di Hammond e Scull) sugli abiti che i Nani indossano. Riportati su pellicola, i vestiti descritti e i cappucci colorati avrebbero fatto sembrare i Nani di Tolkien simili a quelli di Biancaneve o ai nani da giardino. Per questo, la realizzazione dei costumi della trilogia cinematografica di Peter Jackson ha il valore di renderli credibili e efficaci, anche nel modo di vestire e può, in effetti, essere accettata anche dai più esigenti cultori dello scrittore inglese. Nel corso della prima trilogia, circa 40 sarte, attenendosi ai testi di Tolkien, hanno progettato oltre 19mila costumi. La loro coordinatrice, la costumista Ngila Dickson, nel 2003 è stata anche premiata con l’Oscar. Nella nuova trilogia, anche se i costumisti sono cambiati, con Ann Maskrey come coordinatrice, lo stile è rimasto invariato.
Il corso “Conoscere Tolkien”
Questo primo ciclo si prefigge d’introdurre la vita e l’opera di J.R.R. Tolkien ed è la soluzione ideale per chi, tra i vari impegni della giornata, non riesce sempre a trovare il tempo di leggere, ma non rinuncia ad approfondire l’opera dello scrittore e vorrebbe evitare libri di critica che potrebbero risultare deludenti. Vedrà la partecipazione come relatori alcuni tra i maggiori studiosi di Tolkien in Italia, che hanno analizzato l’opera e la biografia dello scrittore secondo diverse prospettive di ricerca. Il seminario si articola in una serie di incontri a carattere critico, letterario, filosofico e artistico. L’eterogeneità dei testi analizzati nel programma del corso vuole infatti riflettere, sia pure sinteticamente, diverse prospettive culturali e letterarie nell’approccio critico a Tolkien, mettendo anche a disposizione nuove risorse per possibili percorsi didattici. È possibile partecipare alle singole lezioni a un costo di 10 euro ognuna, biglietto che comprende nel prezzo anche l’ingresso al museo (che normalmente avrebbe un costo di 8 euro) e l’utilizzo dei videogiochi per tutto il giorno. Per informazioni si può inviare una mail qui: info@jrrtolkien.it.
Programma completo
Conoscere la Terra di Mezzo corso su J.R.R. Tolkien a cura dell’Associazione romana studi Tolkieniani
Presso la sede del Vigamus – il Museo dei Videogiochi
Via Sabotino 4, 00195 – Roma
L’orario delle lezioni è sempre dalle 11,00 alle 13,00
Sabato 15 Marzo: Introduzione a J.R.R. Tolkien
Relatore: Lorenzo Gammarelli Domenica 16 Marzo: I Tempi remoti del Silmarillion
Relatore: Giampaolo Canzonieri Domenica 23 Marzo: Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit
Relatori: Norbert Spina ed Erin Oak Domenica 30 Marzo: La Natura nelle opere di Tolkien
Relatore: Claudia Manfredini Domenica 6 Aprile: Da Tolkien a Peter Jackson: gli abiti della Terra di Mezzo
Relatori: Daniela Mastroddi e Manuel Chiofi Domenica 13 Aprile: Il vizio segreto di Tolkien: le lingue elfiche
Relatore: Roberto Arduini
Dati essenziali del corso Data inizio: sabato 15 marzo 2014 Durata: 5 settimane (dal 16 marzo al 13 aprile) Giorno e orario: la domenica dalle 11 alle 13 Sede: museo Vigamus, in via Sabotino 4 (metro A, fermata Ottaviano) – Roma Costo: 10 euro a lezione
Si è conclusa nel migliore dei modi la 44esima edizione della Mythcon, la conferenza annuale della Mythopoeic Society, (la Tolkien Society negli Usa) che si svolge solitamente in campus universitario a fine luglio o inizio agosto. Quest’anno come annunciato qui e qui, si è svolta nel Michigan, presso la Michigan State University. Ogni conferenza è costruito attorno a un tema legato agli studi sugli Inklings o alla letteratura fantastica. Ogni anno sono ospiti d’onore un autore e uno studioso di questi argomenti. Conferenze, tavole rotonde, reading, spettacoli teatrali, una mostra d’arte, un mercatino di libri e oggetti vari, e altre attività riempiono i quattro giorni di manifestazione. Uno degli eventi clou è il banchetto, la cena ufficiale che si svolge l’ultima sera, dopo la quale vengono premiati i vincitori dei Mythopoeic Award. Vogliamo, però, partire subito dalla notizia più attesa: Verlyn Flieger ha vinto il premio della critica! Verlyn ottiene così il suo terzo riconoscimento per uno studio dedicato a Tolkien. Abbiamo parlato qui dell’antologia dei suoi saggi Green Suns and Faërie: Essays on J.R.R. Tolkien. Per festeggiarla, presentiamo un piccolo reportage della Mythcon scritto da Chris F. Cooper: un noto autore di storie a fumetti per la casa Marvel (qui la sua produzione), affetto dalla sindrome delle gambe senza riposo, a causa del morso di insetto patogeno in Sud America.
Primo giorno
«Cercate gente che esplora la creazione del mito e la fantasia? Dovete provare la Mythopoeic Society, che ha appena tenuto la sua riunione annuale, la Mythcon, un fertile mix di studio e divertimento. Molto curioso di sapere come poteva essere un simile incontro, ho deciso andare al convegno e riferire… Prima di tutto, i partecipanti sono molto amichevoli: sono stato accolto da un professoressa di inglese della Nova Scotia prima ancora di aver raggiunto il campus della Michigan State a East Lansing. Anche se i partecipanti sono prevalentemente bianchi, non ho sentito alcun senso d’esclusione. Le persone con disabilità si mescolano facilmente agli altri, inoltre la fascia d’età è un po’ più alta rispetto a manifestazioni simili, ed è comprensibile visto che la folla è disseminata di tanti
studiosi affermati. La società si concentra sulle opere di J.R.R. Tolkien – autore del Signore degli Anelli, maestro di tutti i creatori di miti – e dei suoi contemporanei, senza trascurare altre autori di letteratura fantastica di spessore. Per esempio, la presentazione che mi è piaciuta di più di questo primo giorno è stata quella su “Witches in the Wild: Old Women on the Boundaries” tenuta da di Vicki Ronn, una professoressa alla Friends University di Wichita (Kansas), che si è occupata della rappresentazione delle donne anziane nella letteratura fantastica, compiendo anche dottorato alla Texas Tech University (la sua dissertazione riempie 235 pagine). L’intervento è stato dedicato proprio a questo tema ed è stato illuminante perché esplorava le origini economiche e misogine dell’archetipo storico e letterario della «vecchia strega malvagia del bosco» e ha anche evidenziato come questo stereotipo persista e si sia evoluto nella letteratura fantastica attuale. Ma la parte migliore della Mythcon è arrivata all’ultimo. Avevo letto che la sera ci sarebbe stato un “Circle Bardic”, e speravo in uno scambio coinvolgente di storie lette intorno al fuoco, ma si è trasformato in molto di più. Nella modesta suite dell’albergo ha preso vita uno spettacolo originale, ognuno faceva quel che si sentiva: alcuni hanno cantato una canzone con una voce inaspettatamente bella, altri hanno letto un brano da un loro lavoro, mentre altri ancora hanno recitato una poesia famosa e da loro preferita. Con onestà e fiducia, tutti in quella stanza hanno portato qualcosa che significava molto per loro. Sono entrato in quella stanza esausto da una lunga giornata di viaggio e di discussioni stimolanti; l’ho lasciata pieno d’ispirazione». Altre conferenze notevoli: J.R.R. Tolkien, Fanfiction, and “The Freedom of the Reader’ (Megan Abrahamson), Tolkien Memes: Crowdsourced Literary Criticism (Michelle Markey Butler), Nature as Messenger and Medium in Tolkien’s Middle-earth (Gwenyth E. Hood), Concerning Hobbits: Tolkien and the Trauma of England’s 19th/20th Century Transition (Ryan W. Smith).
Secondo giorno
«Questo è il motivo per cui si dovrebbe andare alla Mythcon: perché quando meno te lo aspetti, qualcuno ti darà una visione che cambierà il tuo lavoro, aprirà una porta, scuoterà il tuo punto di vista sulle cose. Per me quel momento è giunto intorno alle 11:25 del mattino. Ricordate di quel professoressa di inglese dalla Nova Scotia di cui ho detto ieri? Ho scoperto che si tratta di Anna Smol che ha presentato un discorso sullo “stile pittorico di Tolkien” (Tolkien’s Painterly Style: Landscapes in The Lord of the Rings) che ha chiaramente delineato le tecniche che caratterizzano la prosa del maestro creatore di miti con un taglio una spanna sopra tutti gli altri interventi. Quando lei ha contrapposto un brano di Tolkien con la descrizione di un paesaggio con un altro
scelto a caso da un altro autore, è stato come se il paraocchi fosse sollevato dai miei occhi. Ho potuto non solo vedere come poter migliorare la mia scrittura con un ciò che una scelta attenta delle parole, ma, oso dire, mi è stato consegnato il diapason con cui fare l’orecchio assoluto. Un regalo davvero raro! Un altro regalo è arrivato dall’analisi approfondita che Verlyn Flieger ha fatto degli spiriti degli alberi nel Signore degli Anelli (How Forests Behave – Or Do They?). Ho voluto modo di parlarci per un po’ e non mi ha deluso: Verlyn Flieger: il suo approccio alle tematiche mitiche è penetrante come suggerisce il suo curriculum. ha fatto degli spiriti degli alberi nel Signore degli Anelli (How Forests Behave – Or Do They?). Questo evidenzia un altro bonus notevole della Mythcon: le sue dimensioni relativamente piccole rendono possibile un incontro diretto con i relatori e non si può fare a meno di avere un contatto personale con gli studiosi e gli ospiti d’onore. Queste persone sanno il fatto loro a un livello quasi subatomico di dettaglio (al Circolo Bardico di questa sera, un linguista ha snocciolato una poesia di Tolkien prima in Antico inglese, poi in Medio inglese, infine in inglese moderno, così abbiamo potuto confrontare l’evoluzione del linguaggio!), una cultura che potrebbe mettere in soggezione chiunque, tranne per il fatto che puoi aver preso con loro un gelato durante la convegno, e sono tutti così, senza pretese e dannatamente amichevoli. Non ogni relazione incontrerà i vostri interessi e, talvolta, può essere difficile dire quali presentazioni saranno quelle più interessanti per voi. Ma c’è un buon livello di qualità – e divertimento (la presentazione su Buffy the Vampire Slayer, è per chiunque? Oppure una performance di una band di violinisti scatenati?) – per assicurare a tutti voi una soddisfazione che vi sorprenderà». Altre conferenze notevoli: Westmansweed to Old Toby: The Economic and Cultural Herblore of Pipe-weed in Tolkien’s The Lord of the Rings (David Oberhelman), Thinking of Gardening: How Sam’s Profession Cultivates his Role in The Lord of the Rings (Eleanor Simpson), “A Wind of Power”: Manifestation of Spirits as Breath and Wind in Middle-earth (Carl F. Hostetter), “Where now the horse and rider?”: Rohan and the Defense of Home (Andrew Hallam), Good Plain Food: Diet and Virtue in the Fantasies of Tolkien and Lewis (Kris Swank), Giving Evil a Name: Buffy’s Glory, Angel’s Jasmine, and the Limiting (and Limited) Magic of Names (Janet Brennan Croft).
Terzo giorno
È il terzo giorno della Mythcon e sto per prendere il congedo. Non che non voglia stare ancora in questo raduno di studiosi e appassionati di Tolkien e della mitopoiesi, ma perché il mio corpo è sull’orlo del collasso per mancanza di sonno. Alzarsi per gli interventi della mattina e stare alzati fino a tardi per il Circolo Bardico va oltre le mie possibilità fisiche. In qualche modo sono riuscito a svegliarmi per le
conferenze del mattino di oggi: due giocosi, esami molto particolari di Tolkien da angolazioni che non avevo mai sognato (L’uso della retorica nel Concilio di Elrond e gli Elementi francesi nell’Elfico di Tolkien), e un dotto e penetrante studio sulle basi mitiche dei romanzi fantasy di E.R. Eddison. La mattinata è stato completata dall’intervento coinvolgente ed estremamente informativo della scrittrice fantasy Franny Billingsley, dal tema Il mestiere dello scrittore: la creazione di un sogno finzionale, uno sguardo dall’interno sulla propria scrittura narrativa. Dopo pranzo, ho avuto il piacere singolare di ascoltare un altro autore fantasy, Saladin Ahmed, leggere un brano dal suo lavoro. Avevo aspettato con ansia la sua lettura da quando avevo visto il programma del convegno, dal momento che il suo mondo di fantasia a tema e prospettiva musulmana/araba aggiungere una tonalità diversa al Medioevo europeo. Purtroppo, l’eccessivo caldo e la presenza con un’altra presentazione simultanea ha portato scarsa partecipazione alla lettura significava di Ahmed. Quelli di noi che erano lì hanno fatto l’affare migliore, sospetto! E poi il mio corpo ha detto stop. La tesi di Roger Echo-Hawk che Tolkien abbia attirato non solo dalla mitologia del Nord Europa, ma anche dal mito dei pellerossa Pawnee era intrigante, anche se rimango scettico, dal momento che così tanti temi e archetipi simili sorgono in modo indipendente nelle mitologie di culture lontane che non hanno mai auto contatti; alcune immagini mitiche sembrano coincidere semplicemente perché siamo umani. Ma non posso fare una critica in modo giusto, dal momento che la maggior parte di quello che ha detto mi è giunta solo attraverso la foschia semicosciente del mio sonno. Questo è stato un chiaro segno, se mai ce ne fosse stato bisogno. Così ho dovuto prendere una pausa, e mi scuserete, facendo un pisolino per riuscire a essere fresco per i festeggiamenti che si sono tenuti la sera: il banchetto, i premi e il divertimento serale (compresa la sfilata in maschera!) e, naturalmente, il Circolo Bardico. Ho perso un po’, ma ho anche guadagnato tanto!».
Alla consegna dei premi, la più sorpresa era proprio Verlyn Flieger: «La mia totale sorpresa nel ricevere questo premio mi ha letteralmente lasciato senza parole. Devo aver detto qualcosa oltre a “Grazie”, ma questo è tutto quello che ricordo. Cercherò di far meglio ora». Ecco la sua decorazione: «Questo premio significa molto. Significa l’approvazione da parte dei miei colleghi nel campo in cui ho passato la mia vita professionale. Il premio pone sul mio lavoro il timbro d’approvazione da parte di persone che sanno di cosa sto parlando. Così mi mette in una compagnia piuttosto illustre. Più di tutto, mi dà uno stimolo in più per continuare. La statuetta con il leone è seduta sulla mia scrivania mentre scrivo, fa da fermalibri ai miei libri di Tolkien che leggo più spesso, e mi guarda con benevolenza, ma anche con severità, come per dire: «Sì, sì. Quel che hai fatto è buono e giusto. Ma, cosa hai intenzione di fare ora». Lui è un ricordo del fatto che il lavoro non è mai finito: c’è sempre qualcosa in più da scoprire su Tolkien».
Altre conferenze notevoli: Heretical Tolkien?: Dualism and World-hating in Middle-earth (Scott Vander Ploeg), “Fey he seemed, or…” : A Comparison of Narrative Ambiguity in The Hobbit, The Lord of the Rings, and The Silmarillion ( Christopher “Chip” Crane), Writing The Art of The Hobbit (Wayne G. Hammond e Christina Scull), Exposing the Great Decisions: Tolkien’s Use of Rhetoric in The Lord of the Rings’ “The Council of Elrond” (Stephen Boeding), French Elements in Tolkien’s Elvish (Eileen Moore), Artemis at Ragnarok: E.R. Eddison’s Queen Antiope (Joseph Young), There and Back Again: A Musical Journey in Middle-earth (Meghan M. Naxer), A Linguistic Exploration through Tolkien’s Earliest Landscapes (Andrew Higgins), Tolkien’s Visit to Vinland (Roger Echo-Hawk), Teaching Tolkien: A Classroom Journey Through Middle-earth (Holly Rodgers), The Influence of St. Thomas Aquinas’ Natural Law on Tolkien’s Metaphysics (Isabelle Guy), Healthy Creation and Fecund Procreation in Middle-earth: The Relationship Between “the Birds and the Bees” and the Eldest of Trees (Steven Wissler). .
Considerazioni finali
«Nel caso in cui pensaste che la Mythcon sia tutta roba per teste d’uovo erudite, vi sbagliate di grosso. Ci sono stati molti momenti decisamente stupidi! La cosa forte è che molti sono già previsti nel programma (la premiazione, la sfilata), mentre altri sono veramente spontanei e lasciati al caso.
Eccoli:
Ho imparato al banchetto che alla Mythcon si può giocare con il cibo. Più di questo non posso dirvi, bisogna provarlo.
Sfilata in maschera! I costumi dei personaggi sulle tue opere preferite di fantasia sono sfilati tutti sul palco. Tutti vincono, e la premiazione con i titoli abilmente formulati è forse più divertente dei costumi stessi.
La band improvvisata Where Did Our Ringo sings, lo spettacolo dei Not-Ready-for-Mythcon Players che eseguivano Watership Downton Abbey, i campioni dello sport estremo noto come Golfimbul (non chiedete!) preannunciati dal suono dei kazoo, la poesia piccante recitata, …
Si ottiene solo un’idea di quel che vi aspetta, ma bisogna viverla per godersela tutta. Dopo un fine settimana insieme, regna il cameratismo, riassunto in un giro di canzoni fatte da tutto il gruppo, che a quanto pare è il modo in cui ogni convegno Mythcon trova la sua degna conclusione. Esplorare la creazione del mito può essere lavoro solitario, non è un campo di diffuso apprezzamento. L’annuale convegno della Mythcon vi accoglie calorosamente in una società di amici che riconoscono la maestà della mitopoiesi, motivo sufficiente per essere presente e augurarle un successo travolgente».
Ecco tutti i vincitori dei Mythopoeic Award 2013:
Mythopoeic Fantasy Award for Adult Literature Ursula Vernon, Digger, vols. 1-6 (Sofawolf Press)
Mythopoeic Fantasy Award for Children’s Literature Sarah Beth Durst, Vessel (Margaret K. McElderry)
Mythopoeic Scholarship Award in Myth and Fantasy Studies Nancy Marie
Brown, Song of the Vikings: Snorri and the Making of Norse Myths (Palgrave Macmillan, 2012)
Mythopoeic Scholarship Award in Inklings Studies Verlyn Flieger, Green Suns and Faërie (Kent State Univ. Press, 2012)
La storia che stiamo per raccontare è a lieto fine e, come sempre, J.R.R. Tolkien vi ha avuto una parte importante. Tutto risale a poco più di un anno fa quando, per far fronte alla crisi economica, il Consiglio di Contea dell’Oxfordshire decise di chiudere 20 delle 43 biblioteche pubbliche per ridurre le spese. Tra queste anche la piccola biblioteca di Deddington, 30 km a nord di Oxford. Bibliotecari e abitanti si sono riuniti e hanno pensato a come unire le forze per scongiurare la minaccia, con qualche forma di protesta. Poi, uno di loro si è ricordato di un evento passato…
Una biblioteca per sperare
«Di questi tempi, i libri sono assediati da nemici molti potenti, alcuni di loro difesi da robuste trincee, ed è un grande onore essere qui all’apertura di una roccaforte da cui si possono inviare forze nuove contro questi nemici». Chiunque abbia trovato delle somiglianze fra le parole e l’inizio di una storia d’avventura non avrebbe sbagliato molto. Perché questo è l’incipit del discorso pronunciato da Tolkien. Studente e poi professore a Oxford, Tolkien fu l’ospite d’onore all’apertura della biblioteca di Deddington il 14 dicembre 1956. L’autore del Signore degli Anelli, la cui trasposizione radiofonica fu trasmessa più volte dal programma per le scuole della Bbc, si riferiva chiaramente alla battaglia tra la barbarie e la cultura, le cui forze nuove sarebbero state i nuovi lettori che la biblioteca avrebbe contribuito a formare. Ma il riferimento era anche al razionamento dei carburanti, misura temporanea dovuta alla riduzione del carburante per la crisi di Suez del 1956. «Le biblioteche – continuava il professore – sono da biasimare per il fascino di potervi trovare sugli stessi scaffali storie fantastiche e grammatiche elementari di lingua gotica. Di queste passioni i miei libri sono il risultato», disse Tolkien, riferendosi alla sua esperienza diretta di lettore avido di libri presi in biblioteca. «La quantità di libri disponibili qui è cibo per la mente e tutti sappiamo che rimanere a lungo senza cibo è dannoso per lo stomaco, e per la mente anche peggio». Il suo discorso si è poi concluso con un verso, tratto dai suoi libri, in una delle lingue musicali degli Elfi da lui inventate. Queste informazioni, tratte dagli archivi del Bandbury Advertiser del 19 dicembre 1956, fanno pensare al fatto che mentre Tolkien a quel tempo non aveva ancora raggiunto una grande fama, anche in un periodo di “austerità” per molti versi simile al momento attuale, l’apertura di una biblioteca distrettuale era abbastanza importante da far notizia sui quotidiani. Come son cambiati i tempi!
Due lettere di Tolkien e una campagna di protesta
Sull’inaugurazione della biblioteca rimane testimonianza anche in due lettere di Tolkien. Ne fanno riferimento anche Wayne G. Hammond e Christina Scull nel loro volume The J.R.R. Tolkien Companion and Guide (volume I, Chronology, pagine 496-8, 2006). Nella prima, del 22 novembre 1956, lo scrittore accetta l’invito della bibliotecaria, la signora Stansley-Smith, a tenere un discorso, «malgrado non mi faccia piacere parlare (in questo senso), spiegare o rivolgermi a un pubblico». L’invito includeva anche il pranzo, cosa che, scriveva Tolkien, «è per me impossibile rifiutare». Nella seconda lettera, scritta il 19 dicembre e dopo l’inaugurazione, Tolkien ringraziava la bibliotecaria per la sua gentilezza, ma si diceva deluso: «Anche tenendo conto per la vostra gentilezza e cortesia, la tua lettera mi ha sollevato, in quanto ero depresso per la mia prestazione infelice e inadeguata. Anche così, non credo di meritare alcun compenso e troverei molto più adatto che inviassi in dono un mio volume alla biblioteca di Deddington in ricordo di una piacevole occasione… una copia del mio prossimo libro (se ci sarà), potrebbe essere adatta?». Sfortunatamente, negli anni seguenti nessun libro giunse mai a Deddington. Scoperte nel dicembre 1998, le lettere erano rimaste tra i cimeli della biblioteca fino al 2000 quando erano state prestate al servizio Musei del Consiglio di contea dell’Oxfordshire (Oxfordshire County Council) per far parte di una una mostra itinerante, ma non erano state restituite. All’inizio del 2011, il comitato per salvare la biblioteca lancia così una campagna per riottenere le lettere. Un rapporto del Consiglio comunale del 16 marzo 2011 riporta la richiesta ufficiale, in cui è allegata una lettera del servizio Musei in cui prometteva la restituzione delle lettere. Il consiglio ha fatto sapere di non essere in grado di spiegare perché le lettere non furono rese, all’epoca. Ma ha assicurato che erano state custodite «con cura e al sicuro». Alla fine, le due lettere sono state restituite alla biblioteca, che non chiuderà più, avendo ottenuto una vittoria parziale. Parte delle sue sale sono, infatti, state destinate al commissariato di Polizia di Deddington, per ridurre i costi di entrambe le istituzioni. La biblioteca sarà gestita soprattutto da volontari. La restituzione (e il trasloco del commissariato) è avvenuta il 14 dicembre scorso, a 65 anni dall’apertura della biblioteca. «Sono entusiasta di avere copie delle lettere in mostra nella biblioteca», ha detto l’attuale bibliotecaria, Stella O’Neill. «Spesso qui arrivano turisti che si aspettano una targa o informazioni riguardo Tolkien, visto che partecipò all’inaugurazione. Sarà bellissimo ora avere qualcosa da mostrargli. Le lettere incorniciate hanno iniziato ad attrarre interesse e sono state molto ammirate già questa settimana dai visitatori della biblioteca. È bello avere un collegamento diretto con un autore così straordinario».
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