Il mondo di Tumblr e le fanzine tolkieniane

Twilight and Shadow - fanzineNel mare magnum del fandom tolkieniano (vi abbiamo parlato qui e qui del fenomeno e della sua portata creativa) quello che si raccoglie intorno al social network Tumblr è una realtà nuova e interessante. Si tratta di una piattaforma di microblogging il cui punto di forza sta nel sistema di tag navigabili, che permette di instaurare rapporti sulla base di interessi comuni. Lì si è creata una nicchia di artisti tolkieniani – sia scrittori che illustratori – il cui approccio vario e diversificato merita attenzione.
Sono presenti autori di fanfiction (queste ultime a volte estremamente attente al canone tolkieniano, spesso con un focus su personaggi minori od oscuri) ma anche autori di meta, l’equivalente di Tumblr dei saggi brevi, caratterizzati da linguaggio spesso non accademico, e anzi molto alla mano, ma che affrontano diversi argomenti con precisione e attinenza ai testi. E poi vi sono gli illustratori: si va dai più deferenti al canone a quelli interessati alle tematiche queer, passando per interessanti commistioni quali per esempio raffigurazioni dei Valar come esseri molto più alieni e altri rispetto a quello che l’arte ufficiale ci permette di figurarci, oppure Tumblr logointerpretazioni della Terra di Mezzo come un calderone multiculturale di popoli.
Su Tumblr insomma si aderisce in pieno allo spirito della famosa lettera a Milton Waldman del 1951, in cui Tolkien auspicava: “Alcuni dei racconti più vasti li avrei raccontati interamente, e ne avrei lasciati altri solo abbozzati e sistemati nello schema d’insieme. I cicli sarebbero stati legati in un grande insieme, e tuttavia sarebbe rimasto lo spazio per altre menti e altre mani che inserissero pittura e musica e dramma.”

Esclusiva AIST: intervista a Cate Blanchett/Galadriel

Roma: red carpet ad AuditoriumCome sempre per amore dei suoi lettori l’AIST coglie ogni occasione per incontrare i protagonisti delle opere derivate o legate a J.R.R. Tolkien, soprattutto quando si tratta degli attori delle due trilogie di Peter Jackson! Questa volta il 19 ottobre abbiamo seguito la bellissima Cate Blanchett alla Festa del Cinema di Roma 2018 e siamo riusciti lungo l’arco della giornata a strapparle alcune risposte dedicate alla sua esperienza con Tolkien e le riprese dei film. Nella seconda giornata della Festa del Cinema, l’attrice premio oscar si è resa protagonista di due incontri.
Cate BlanchettIl primo è stato la conferenza stampa del film Il mistero della casa del tempo, regia di Eli Roth, in cui è in coppia con l’attore Jack Black. E dopo il red carpet, la sua giornata si è conclusa con l’incontro con il pubblico. L’attrice due volte premio Oscar è stata salutata con particolare calore da un pubblico giovane e per lo più femminile. Sorridente e con un’ironia mai sopra le righe e sempre in equilibrio con la sua eleganza, ha parlato di cinque dei film da lei interpretati: Bandits (2001), Diario di uno scandalo (2006), Io non sono qui (2007), Il curioso caso di Benjamin Button (2008), Carol (2015).

Saggi AIST: «Il dono negletto» di Nannerini

Registi: Peter JacksonOggi abbiamo il piacere di proporre ai nostri lettori il saggio inedito di Nicola Nannerini, intitolato “Il dono negletto”: cultura di massa ed escatologia tolkieniana ne Il Signore degli Anelli. Articolato in cinque parti, il testo si apre con una breve introduzione in cui viene presentata la struttura del saggio ed il fine del medesimo. L’autore, ben consapevole della difficoltà di fornire una descrizione definitiva di un campo quale quello della “cultura di massa”, intende comunque indagare la trasformazione che essa ed i mass media, soprattutto il cinema nell’adattamento di Peter Jackson, hanno attuato nei confronti di quelli che erano gli elementi e i temi fondanti dell’opera tolkieniana. Sebbene infatti si possa rintracciare nel testo l’intento di parlare di questioni universali, più profonde del viaggio dell’eroe o della guerra che pur sono presenti (dove le due forze contrapposte, bene e male, vengono spesso presentate con assolutismi che non caratterizzano l’universo di Tolkien, fondato sul libero arbitrio e quindi sulla possibilità di scelta), sono queste ultime a ricevere il maggior risalto nella cultura popolare. Quali sono quindi queste tematiche centrali, fondanti per il libro?
Le due copertine della Falce Spezzata e The Broken ScytheTolkien lo dichiara espressamente nella sua lettera a Joanna de Bortadano del 1956 (lettera numero 186): Io penso che neanche il Potere o il Dominio siano il vero punto principale della mia storia. […] Il vero tema per me riguarda qualcosa di molto più permanente e difficile: Morte e Immortalità. Un intero volume di critica incentrato su queste tematiche è apparso nel 2009: La falce spezzata. Morte e immortalità in J. R. R. Tolkien, raccolta di saggi a cura di Roberto Arduini e Claudio Antonio Testi (casa editrice Marietti 1820, tradotto anche in inglese per i tipi della prestigiosa casa editrice dedita agli studi tolkieniani Walking Tree Publishers). Nannerini esplora nel terzo paragrafo le varie forme in cui viene affrontata la morte e l’immortalità, connettendole con l’influenza della religione che Tolkien professava, parte integrante del suo pensiero e pertanto non prive di un forte effetto su molte delle figure centrali, influenza che l’autore del saggio approfondisce nel dettaglio.
Ciononostante, il cinema ha riservato alla tematica della morte un ruolo secondario, ritenendolo, come analizza Nannerini, poco attraente per il pubblico moderno, a causa dell’evoluzione della società negli ultimi secoli e delle differenti interpretazioni che essa ha dato al Signore degli Anelli dal momento della sua pubblicazione negli anni ‘50. Viene quindi analizzata nel quarto paragrafo la ricezione dell’opera da parte del grande pubblico, mostrando come ad essa vengano attribuiti i messaggi più disparati, fino ad arrivare a trattare il Legendarium a cui è legata come una religione (si veda su questo argomento anche l’intervento al Tolkien Society Seminar di quest’anno tenuto da Markus Davidsen, Honouring the Valar, Seeking the Elf Within: the Curious History of Tolkien Spirituality and the Religious Affordance of Tolkien’s Literary Mythology, di cui abbiamo pubblicato un breve sunto scritto da Claudio Testi, che vi ha assistito).
Trattando infine il saggio le conclusioni dell’autore sugli aspetti affrontati, non indugiamo oltre nel presentarvi questa ricerca, lasciandovi il piacere della scoperta e della lettura e sperando che questo breve sunto vi ha incuriosito.
Vi auguriamo buona lettura!

Scarica il saggio di Nicola Nannerini: «“Il dono negletto”: cultura di massa ed escatologia tolkieniana ne Il Signore degli Anelli».

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Saggi AIST: le fonti per fare ricerca su Tolkien
– Leggi l’articolo Saggi: «Ariosto e C.S. Lewis» di Edoardo Rialti
– Leggi l’articolo I saggi dell’AIST: La Contea di Saruman
– Leggi l’articolo I saggi dell’AisT: Tolkien e Platone
– Leggi l’articolo Bilbo uno sbandato? Per la Contea era così
– Leggi l’articolo Il perfetto gentilhobbit
– Leggi l’articolo I saggi dell’Arst: Noblesse oblige di Tom Shippey
– Leggi l’articolo Tolkien e la catabasi
– Leggi l’articolo Tolkien Society Seminar 2018: il resoconto

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L’AIST intervista Sam Gamgee/Sean Astin

Sean AstinLa 14esima edizione della Festa dell’Unicorno di Vinci si è conclusa. Ormai da anni un appuntamento imperdibile per gli amanti del fantasy e della letteratura fantastica, quest’anno ha visto ospite Sean Astin, famoso per aver interpretato il ruolo del piccolo Mikey Walsh nel film i Goonies e l’hobbit “Sam Gamgee” nella trilogia del Signore degli Anelli. Recentemente ha recitato nella seconda stagione della serie tv Stranger Things, interpretando la parte di Bob Newby. Sean Astin è figlio d’arte: sua madre era l’attrice Patty Duke (la piccola Anna del film Anna dei miracoli, per cui vinse l’Oscar nel 1962) e suo padre l’attore John Astin (interprete del ruolo di Gomez nella Famiglia Addams). Ha debuttato giovanissimo e nel cinema il suo primo ruolo è stato quello di Mikey Walsh nel cult I Goonies (1985), scritto da Stephen Spielberg e Columbus e diretto da Richard Donner. A Vinci si è sottoposto a una giornata intensa, piena di panel a teatro, foto e autografi per i suoi ammiratori, una chiacchierata sul palco e infine, i momenti esclusivi con 15 appassionati. L’AIST ha avuto l’opportunità di porre alcune domande al famoso attore, e per questo si ringrazia calorosamente l’organizzazione della Festa dell’Unicorno. Buona lettura!

Artisti Tolkieniani: parla Elena Kukanova

Elena KukanovaAll’inizio del mese di giugno ha aperto le sue porte la straordinaria mostra Tolkien: Maker of Middle-earth (Tolkien: il Creatore della Terra di Mezzo), tenuta presso la Weston Library e di cui vi abbiamo proposto il resoconto redatto dai nostri soci Stefano Giorgianni e Roberta Tosi, che hanno attraversato la Manica per questa esposizione imperdibile di manoscritti, mappe ed illustrazioni realizzate da Tolkien stesso. Oggi approfondiremo assieme a voi un altro aspetto dell’arte tolkieniana, con la traduzione di un’intervista ad una artista russa che sta godendo di grande popolarità nel web, ovvero Elena Kukanova che l’anno scorso vinse il premio come miglior artwork della Tolkien Society con l’opera Maglor.
La traduzione è stata realizzata della nostra collaboratrice Elena Sanna (potete leggere l’originale qui: Talks with Tolkien artist: E. Kukanova ad opera di Eva Z.).

Ciao! Cominciamo: vuoi dirci qualcosa di te?
Certo, mi chiamo Elena e sono un’artista professionista, laureata all’Ilya Glazunov Academy. Al momento (l’intervista risale al 2013, NdT) sono ritrattista ufficiale del Teatro accademico centrale dell’esercito russo, e una galleria espone i ritratti che ho fatto a tutti gli attori. Scusate se mi do delle arie sin dall’inizio.

Quando hai letto per la prima volta i libri di Tolkien? Che impressione ti hanno fatto?
Ho cominciato a leggere Tolkien (in russo) quando avevo sedici anni. Devo dire che le sue opere hanno avuto un impatto notevole sulla mia personalità. All’epoca non c’era nient’altro che volessi leggere, e non me ne importava proprio nulla dei classici russi che dovevo leggere a scuola. Dopotutto avevo sedici anni.

Quanto è vasta la tua conoscenza della Terra di Mezzo? Ti consideri una nerd tolkieniana?
Devo confessare che al momento non ammonta a granché: avevo sedici anni sedici anni fa. Sto rileggendo i libri, ma stavolta in inglese. È davvero una sfida, visto che sono prevalentemente francofona.

Quando sono usciti i film, molti personaggi e scene sono stati rimpiazzati, nella mente dei lettori, dagli attori e le scenografie. È successo anche a te? Hai cercato di evitarlo?
Il film mi piace davvero tanto, e Peter Jackson è un grande, non ci piove. E gli attori… hanno tutta la mia ammirazione per il loro lavoro fantastico, ma non hanno prevalso sulla mia visione personale. Le scenografie erano davvero perfette, Peter è proprio un genio. E i costumi! Quelli non erano affatto male.

Ora potresti dirci qualcosa su di te e i tuoi lavori? Sei un’artista di professione, o l’arte è solo un hobby? Quando hai cominciato, e chi o cosa ha influenzato il tuo stile?
Sono una professionista, e non separo il lavoro dagli hobby. Scherzi a parte, ho cominciato più o meno a tre anni, rovinando la carta da parati dei miei, e per fortuna non mi hanno punita. All’inizio l’ispirazione mi veniva dalla pittura fiamminga, quindi Dürer, Holbein, ecc.

A giudicare dalle tue opere sembra che I Figli di Húrin sia la tua parte preferita. Che cosa ti porta a scegliere quali episodi illustrare?
I ricordi, forse? In pratica, questo è il libro che mi ha colpito di più. Una storia drammatica, che secondo me eclissa quella di Romeo e Giulietta.

Dove trovi l’ispirazione per i tuoi quadri, non solo per quanto riguarda il tema, ma anche dal punto di vista artistico? Usi dei modelli?
Dovrei dire di sì, ma in realtà non lo faccio. Tutte le mie opere nascono nella mia testa. Per i personaggi femminili poso io stessa, e mio marito posa per quelli maschili. Uso moltissimo le foto, ma la maggior parte sono fatte in casa. A parte quelle con lucertole. Certo, molte cose mi ispirano, ma è una storia troppo lunga da raccontare.

I tuoi quadri tradizionali sono straordinari. Hai una tecnica segreta per mischiare gouache, acquerelli e matite colorate?
Per questa tecnica mi sono ispirata a Somov e Benois. Non lo dico per vantarmi, ma è un lavoro davvero meticoloso e ci vuole tanta pratica.

Potresti farci vedere un’illustrazione tolkieniana di cui sei particolarmente orgogliosa?

Anglachel - Elena Kukanova

E qualcosa di un altro fandom, o un lavoro originale, di cui vai fiera?
Mi dispiace, sceglierne uno è troppo difficile, ma di solito è l’ultimo lavoro che ho completato.

Un’immagine che rispecchia come ti senti al momento?
The Spring of Arda - Elena Kukanova

Il lavoro più difficile?
First Snow - Elena Kukanova
L’acqua mi ha dato davvero tanti problemi.

C’è qualcuno nella tua vita (anche su deviantArt) che ti ha ispirato o sostenuto, come artista? Puoi anche dirci perché, se ti va.
Di certo i miei genitori, mio padre, che aveva copiato e conservato una parte di quel mio primo disegno (erano dei conigli parecchio stravaganti). Ho avuto l’ispirazione per le illustrazioni tolkieniane grazie ad alcune opere che avevo visto su deviantArt.

C’è qualche artista su deviantArt che secondo te non ha l’attenzione che merita?
Marisoly – Molto professionale, molto insicura, davvero originale, la adoro!

Sono proprio d’accordo! Purtroppo è difficile da contattare, e non conferma nessuna richiesta, anche se vorrei proprio ospitarla nel nostro gruppo. Ecco qualcuna delle sue opere:

Su deviantArt ci sono molti gruppi dedicati a Tolkien. Ne consigli qualcuno? O anche altri a tema fantastico?
È difficile scegliere, sono tutti sul mio argomento preferito. Ma di certo posso raccomandare EldritchShores e GoldenIllustration

C’è altro che vorresti dire ai fan di Tolkien e dei tuoi lavori?
Qui ho trovato una cerchia di spiriti affini, e mi date un sacco di energia, amici miei… ma non sono un vampiro, visto che faccio di tutto per ripagarvi. E i vostri calorosi commenti hanno davvero un grande valore per me! Grazie di tutto.

Spero di aver risposto a tutto.

Con affetto
Elena

Ti ringraziamo per l’intervista, è stato davvero un piacere parlare con te!

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo La mostra a Oxford: ci siamo stati per voi!
– Leggi l’articolo Apre oggi la mostra su Tolkien a Oxford!
– Leggi l’articolo Al TolkienLab di Modena l’arte di J. R. R. Tolkien

LINK ESTERNI:
– Vai alla pagina DeviantArt – Talks with Tolkien artist: E. Kukanova
– Vai alla pagina DeviantArt di Elena Kukanova
– Vai alla pagina DeviantArt di Marisoly
– Vai alla pagina DeviantArt di EldritchShores
– Vai alla pagina DeviantArt di GoldenIllustration

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Tra Medioevo e Medievalismo

Medioevo fra noi 2018Dopo il resoconto del convegno Il Medioevo fra noi (che potete leggere qui, svoltosi tra Urbino e Gradara dal 7 al 9 giugno, abbiamo scelto di approfondire l’argomento, così pertinente agli studi tolkieniani, ponendo alcune domande a due dei giovani studiosi presenti, Riccardo Facchini e Davide Iacono, tra i saggisti del volume Medievalismi italiani (secoli XIX-XX) che è stato presentato il secondo giorno, nonché ideatori della pagina divulgativa MediaEvi, il Medioevo al Presente. Ringraziando ancora per la loro disponibilità Riccardo e Davide, vi proponiamo questa “doppia” intervista per valicare ancora una volta la frontiera tra Medioevo e Medievalismo.

Partiamo dalle origini: da dove nasce il vostro interesse per la storia, nello specifico per il Medioevo? Cosa vi affascina in particolare di questo periodo storico?
Davide – Sin da piccolo sono stato sempre molto curioso. Adoravo sfogliare le enciclopedie,
magari quelle dei miei genitori, un po’ vecchiotte ma riccamente illustrate. Credo sia stato lì che si fissarono nel mio immaginario i cavalieri e i castelli. Furono gettati i semi insomma! Iniziai poi a leggere di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Mi ricordo in particolare un cartone animato, Prince Valiant (un adattamento del fumetto di Harold Foster) che mi restò impresso. Uno dei primi libri che lessi sul medioevo storico si chiamava L’avventura del Medioevo. È ancora lì, con le sue suggestive illustrazioni.
Riccardo – Anche per me l’infanzia ha avuto un ruolo fondamentale nel mio avvicinamento
al Medioevo, seppur al Medioevo sognato e immaginario. Credo però che il punto di svolta fu quando, durante le medie, per Natale mi fu regalata un’edizione di Dungeons&Dragons!

Parlando invece di medievalismo, quando avete scoperto che per questo Medioevo ridisegnato esiste un termine specifico e come?
Davide e Riccardo – Fondamentale si è sicuramente rivelata la lettura di Medioevo Militante (Einaudi 2011), di Tommaso di Carpegna Falconieri, docente di storia medievale all’Università di Urbino. Un testo imprescindibile per lo studio dei medievalismi, soprattutto per quanto riguarda la loro dimensione politica e per i risvolti che questo fenomeno ha nel mondo attuale. Ricordiamo con piacere anche le lezioni di Umberto Longo, docente alla Sapienza di Roma e relatore di Davide per la tesi magistrale, il quale, durante le sue lezioni, compie continui rimandi al nesso fondamentale che c’è tra medioevo e medievalismo. Ricordiamo il giorno che proiettò alcuni dipinti dei preraffaelliti, accostandoli ad alcune immagini tratte dai film de Il Signore degli Anelli o da quelli di Harry Potter, per dimostrare come il canone medievale, creato da quel gruppo straordinario di artisti, abbia anche ora oggi influenza nel nostro immaginario, come un orizzonte mentale comune.

Per quale motivo proporreste a qualcuno di cominciare ad approcciarsi a questo campo di studi?
Davide – Chiunque si accosti allo studio della storia medievale vi arriva spesso attraverso la visione di un film, la lettura di un libro, una conoscenza magari infantile – stereotipata – dell’epoca. Inoltre è importante notare che scrivere di storia significa sempre e comunque, innanzitutto, “raccontare” una storia tra le numerose storie, la cui retorica narrativa proietta mentalità, cultura, concezione, e generale – posso dire una parolaccia? – Weltanschauung dello storico. Pensare di presentare le cose “tali quali esse sono avvenute” è un’assurdità, se non una presunzione, positivista. Fare storia significa avere la consapevolezza di creare un prodotto culturale, attraverso il quale lo storico scopre il passato e lo ricrea. In particolare poi lo studio dei medievalismi consente allo storico medievista di tornare ad occupare quel posto nella società civile che aveva un tempo. Quando l’ISIS parla di ritorno del Califfato; quando i presidenti degli States evocano le crociate; o – come soprattutto nell’Europa dell’Est – vengono rispolverati i modelli e i miti del medievalismo ottocentesco per sostenere spinte nazionaliste; lì lo studioso di storia medievale, che si colloca tra la realtà del passato medievale e queste distorsioni operate dal presente, può dare un serio e autorevole contributo nel decifrare l’attualità. Si pensa spesso alla medievistica come ad una materia quasi erudita, polverosa, fatta da studiosi chiusi in torri di avorio dediti al solo studi di codici indecifrabili; un po’ come i re di Numenor irretiti dall’araldica, dalle genealogie, dall’astrologia mentre il regno di Gondor versava in rovina (e per certi versi è vero…). Lo studio dei medievalismi
avvicina la storia medievale, e chi la studia, al suo presente.

Parlando delle rappresentazioni fantastiche ispirate al Medioevo, non si può non parlare di Tolkien: qual è il vostro rapporto con questo autore, con i suoi precursori ed il genere letterario che ne è derivato?
Davide – Il mio incontro con Tolkien è stato un po’ combattuto. Mi spiego meglio. Un giorno alcuni amici, era il lontano 2002, mi invitarono al cinema. Mi portarono a vedere La
Compagnia dell’Anello
. Era un film fantasy, dicevano. Esco dalla sala molto contrariato.
“Cos’è questa cosa che cerca di imitare male il medioevo!”, sbottai. All’epoca avevo timidamente già iniziato a leggere i saggi di Le Goff e, come tutti i neoconvertiti, ero molto zelante. Questo medioevo “finto” non mi piaceva per niente! Poi, sempre grazie a quei farabutti dei miei amici, è stato amore. Iniziai a leggere i libri; a vedere e rivedere versioni estese e contenuti speciali nei dvd. Ero incantato da quel mondo neomedievale, così verosimile, che Tolkien – per il tramite di Peter Jackson – era riuscito a evocare. Lo studio del medievalismo, al quale sono approdato con la laurea magistrale, è adesso fondamentale per leggere ancora più in profondità, criticamente, la Terra di Mezzo. Ho potuto dare un nome e un senso alla mitopoiesi di Tolkien. Un autore che però spesso risulta ancora incompreso, e trattato come una sorta di santino. Per comprenderlo – secondo l’ottica del medievalismo – credo sia da intendere Tolkien, e il suo legendarium, come il canto del cigno della lunghissima stagione del medievalismo vittoriano: fenomeno che terminerà, durante la Grande Guerra, con le ultime folli cariche degli ufficiali a cavallo – che nel cuore portavano l’immagine di re Artù e dei suoi cavalieri – contro poco cortesi nidi di mitragliatrici. Dopo l’esperienza dei brutali combattimenti in trincea, il medievalismo britannico gradualmente ha
abbandonato il mondo reale – finendo di idealizzare la società britannica come una nuova Camelot – per rifugiarsi nel regno della fantasia. La Caduta di Gondolin, il primo racconto completo ambientato nella Terra di Mezzo, non è che una metafora neomedievale, della drammatica esperienza di Tolkien sui campi della Somme. Il giovane filologo credo abbia trovato in quel mondo – per certi versi accogliente e rassicurante – dopo la brutalità delle trincee e la morte dei suoi amici, un rifugio mentale. Questo lo racconta molto bene John Garth in Tolkien e la grande guerra.

Voi gestite la pagina facebook MediaEvi, il Medioevo al Presente: com’è nata l’idea di creare una pagina facebook dedicata al medievalismo?
Davide – L’idea nasce appunto dalla volontà di divulgare lo studio e l’interesse per il medievalismo. Un fenomeno culturale che ha le sue radici nell’Europa del Romanticismo ma che perdura ancora oggi (vi invitiamo ad approfondire la voce Medievalismo compilata da me
e Riccardo). Il medioevo, il suo sogno, è e sarà costantemente rielaborato, reinventato, raccontato. Ognuno di noi – inclusi i medievisti di professione – ha la sua idea di quell’epoca così lontana ma allo stesso tempo così vicina, che prescinde largamente da quello che è il medioevo storico. Quello di MediaEvi è anche un modo per raccontare una disciplina – diremmo fare storytelling – e occupare in maniera intelligente, seria (non seriosa!) e divertente, uno spazio. La comunicazione di una disciplina passa anche dai social. È un modo per dire: “Noi – noi studiosi di storia medievale e di medievalismi – esistiamo”.

Nella vostra esperienza, quale sembra essere la forma di medievalismo che suscita maggior interesse all’interno dei social network, e secondo voi per quale ragione?
Riccardo – Bisogna ammettere che il nostro pubblico è molto variegato. Si va dai giovanissimi, o dagli amatori, fino a giovani studiosi di storia e stimati ricercatori! Esclusi i meme, una vera e propria miniera di like, ma anche un modo – immediato e ironico – per comunicare la storia, possiamo però affermare con una certa sicurezza che la forma di medievalismo che affascina maggiormente il nostro pubblico è quello artistico, architettonico, in qualche modo legato alle arti visive. I nostri post sui castelli neomedievali o sugli artisti preraffaeliti sono lì a dimostrarlo.

MediaEvi era tra i media partner del convegno Il Medioevo fra noi, tenutosi di recente, e voi siete stati tra i relatori. Si trattava già della quinta edizione di questa manifestazione: parlateci della strada percorsa finora, quali sono stati gli ostacoli e le soddisfazioni maggiori, come siete entrati a far parte della compagnia.
RiccardoIl Medioevo fra Noi nasce dal desiderio di tre affermati studiosi – Tommaso di Carpegna Falconieri (Università di Urbino), Umberto Longo (Sapienza) e Francesca Roversi Monaco (Università di Bologna) – di sdoganare accademicamente lo studio dei medievalismi. Rispetto alla prima edizione, svoltasi nella rocca di Gradara in un afoso pomeriggio di luglio nel 2014, sono stati fatti passi da gigante e in questo un ruolo importante è stato ricoperto anche dal sostegno offerto fin dall’inizio dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo che, nella persona del presidente Massimo Miglio, non ha mai fatto mancare il suo supporto.

Al convegno Il Medioevo fra noi avete presentato il volume Medievalismi italiani (secoli XIX-XX), una raccolta di saggi di vari studiosi sul medievalismo in Italia: com’è nato questo progetto?
Riccardo – Durante le numerose conversazioni intrattenute con il professor di Carpegna in merito allo stato della ricerca sui medievalismi in Italia, ci siamo resi conto che gli studiosi nostrani hanno spesso affrontato il tema (pensiamo a Giuseppe Sergi, Renato Bordone, al recentemente scomparso Raffaele Licinio…), senza però al tempo stesso aver contribuito alla formazione di un organico orizzonte di ricerca nazionale, di una sorta di “scuola”, dedicata allo studio del medievalismo. Questi studi, infatti, hanno spesso mancato di organicità e consapevolezza. Per questo si è sentito il bisogno di pubblicare un volume che raccolga unicamente contributi sul medievalismo, con l’auspicio di contribuire alla nascita, se non una vera e propria scuola storiografica, almeno di una nuova sensibilità accademica nei confronti di questa affascinante disciplina.

Un’ultima domanda, guardando al futuro: avete già in programma di presenziare ad altri eventi dedicati all’età di mezzo o, magari, alla Terra di Mezzo?
Davide – Abbastanza certa sarà la nostra partecipazione al Festival del Medioevo, che si terrà dal 26 al 30 settembre nella bianca città di Gubbio. Il tema di quest’anno, come ci ha svelato in anteprima Federico Fioravanti (l’ideatore del Festival) a Gradara, saranno i barbari: un argomento che richiama, immediatamente, all’attualità.
La Terra di Mezzo l’abbiamo sfiorata lo scorso anno per l’appunto al Festival del Medioevo, nel
nostro intervento dedicato alle città incantate dell’immaginario medievalista. Tra le molte non
abbiamo mancato di considerare, la capitale del regno di Gondor, Minas Tirith.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Il Medioevo, e il Fantastico, fra noi
– Leggi l’articolo Festival del Medioevo: una sessione per Tolkien

LINK ESTERNI:
– Vai al sito del Festival del Medioevo
– Vai alla pagina facebook di MediaEvi, il Medioevo al Presente
– Vai al sito del Festival del Medioevo
– Vai al sito dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo

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Ritradurre Il Signore degli Anelli: l’intervista

Loredana LipperiniAbbiamo chiesto di ripristinare le “Venti righe”, abbiamo riportato in libreria le Lettere dopo 10 anni di assenza facendolo tradurre da Lorenzo Gammarelli e ora Bompiani ci ha chiesto aiuto per tradurre il capolavoro di Tolkien. A cinquant’anni dalla prima versione italiana de Il Signore degli Anelli poi più volte rimaneggiata – l’ultima nel 2003 -, tornerà così in una nuova traduzione finalmente all’altezza della sfida La Compagnia dell’Anello in tutta la sua generosa, esuberante, ludica malìa. Abbiamo indicato alla casa editrice un traduttore d’eccezione: Ottavio Fatica. Si tratta di un traduttore letterario di tutto rispetto: dopo aver esordito con Adelphi, ha lavorato a lungo per Theoria ed Einaudi e da diversi anni è consulente a tutto campo per Adelphi. Ha vinto il Premio letterario internazionale Mondello per la traduzione di Limericks di Edward Lear, nel 2007 il Premio Monselice per la traduzione di La città della tremenda notte di Rudyard Kipling. Nel 2009 ha vinto il Premio Nazionale per la Traduzione e nel 2010 il Premio Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante per la traduzione de Il crollo di Francis Scott Fitzgerald. Tra i suoi lavori migliori, la traduzione dell’opera omnia di Rudyard Kipling, Moby Dick di Herman Melville e centinaia di altri scrittori inglesi e statunitensi.
Salone del Libro di TorinoAl prossimo Salone del libro di Torino, sabato 12 maggio, ore 14:00 nella sezione L’AutoreInvisibile curata da Ilide Carmignani, Ottavio Fatica e Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, dialogheranno su Tradurre Il Signore degli Anelli. Coordina Alessandro Mari della Scuola Holden. Per avere un assaggio di quell’incontro, pubblichiamo l’intervista integrale che Loredana Lipperini ha realizzato in esclusiva a Ottavio Fatica, di cui una parte è stata pubblicata su La Repubblica del 29 aprile 2018. Ringraziamo l’autrice per la cortesia.

Le Nere Lame: intervista a Marco Scicchitano

cop - Educare nella Terra di MezzoSabato 21 aprile, dalle ore 16,15 alle 18.00 a Roma l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani sarà ospite del seminario Educare nella Terra di Mezzo, che si terrà presso il centro culturale Benedetto XVI della parrocchia Santa Maria Consolatrice (piazza Santa Maria Consolatrice, 00159). L’ingresso è libero (ci si può iscrivere alla pagina Facebook Educare nella Terra di Mezzo). Ne abbiamo già scritto in precedenza: è un progetto culturale che affronta l’aspetto educativo delle opere di J.R.R. Tolkien, senza però escludere il gioco. Durante l’incontro, organizzato da Labgdr in collaborazione con Cattonerd, interverrà come relatore anche lo psicologo Marco Scicchitano, che illustrerà il progetto “Le Nere Lame”, laboratorio di giochi di ruolo dal vivo a tema tolkieniano, che insegna a stimolare l’immaginazione e l’uso delle regole del comportamento collaborativo, sviluppare amicizie e buone capacità di problem soling, favorendo inoltre lo sviluppo di abilità di Teoria della Mente. Per l’occasione abbiamo voluto approfondire il progetto e capirne il valore educativo facendo un’intervista direttamente all’ideatore.

Esclusiva AIST: intervista a Martin Freeman

La XXIII edizione di Romics ha celebrato Martin Freeman, con l’assegnazione del primo Romics d’Oro mai attribuito a un attore. Il divo britannico è uno straordinario interprete di personaggi che dalla letteratura e dai fumetti sono passati al cinema, dalla televisione al teatro, in un’ottica assolutamente transmediale. Freeman è passato così dalla Guida galattica per autostoppisti a The Office a Fargo, dai film Marvel al supernatural thriller con Ghost Stories che uscirà nelle sale il 19 aprile. Ma uno dei ruoli più amati è quello di Bilbo Baggins nei tre adattamenti del romanzo di J.R.R. Tolkien Lo Hobbit (Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, Lo Hobbit – La desolazione di Smaug e Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate, usciti rispettivamente nel 2012, nel 2013 e nel 2014). L’attore britannico Martin Freeman, che ha incontrato ieri i suoi numerosissimi fan al Pala Romics, dove ha discusso della sua carriera artistica, dei suoi film più celebri, delle sue passioni e dei suoi progetti futuri.
Martin FreemanNel corso dell’incontro, preso d’assalto da migliaia di fan di Freeman nel padiglione 8 della Fiera di Roma, si è parlato anche della prossima stagione di Sherlock e del nuovi film in uscita. «Non mi piace incasellarmi in generi filmici specifici», ha detto l’attore, «preferisco essere coinvolto in belle storie e in belle sceneggiature. È stato un caso, infatti, aver interpretato ruoli dotati di una precedente vita letteraria. Non nego, però, che lavorare a sceneggiature tratte da libri è molto bello, perché infonde più ricchezza all’attore che deve interpretarli». E proprio a Romics, l’AIST ha ottenuto la possibilità  di fare un’intervista in esclusiva a Martin Freeman tutta dedicata al suo rapporto con Tolkien, il ruolo di Bilbo Baggins e sulla nuova serie tv. Buona lettura!

Le “nuove” Lettere: l’intervista al traduttore

Tolkien - Lettere 1914-1973Avevamo annunciato, ad aprile, l’arrivo di una nuova traduzione delle Lettere di Tolkien e la fatidica data si avvicina: il 3 gennaio 2018, dopo essere stato fuori catalogo per tanti anni, torna ad essere disponibile l’epistolario del Professore oxoniense. Dall’acquisizione della Bompiani da parte del Gruppo Giunti, si è instaurata una collaborazione tra quest’ultimo e l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, che ci ha permesso di segnalare numerosi errori presenti in varie traduzioni delle opere tolkieniane, portando così ad un miglioramento delle edizioni italiane. Interpellati su quale opera necessitasse prioritariamente di una revisione, abbiamo suggerito non una semplice ristampa riveduta delle Lettere, ma una nuova traduzione. Lorenzo Gammarelli, socio, saggista e traduttore AIST, ha ricevuto l’onere o l’onore di questo compito: ritradurre le lettere del Professore. Già curatore delle edizioni italiane del Cacciatore di draghi e del Fabbro di Wootton Major, della traduzione del volume critico Tolkien e la Grande Guerra di John Garth, Gammarelli è anche studioso tolkieniano, i cui saggi sono apparsi nei volumi All’ombra del Signore degli Anelli (Delmiglio editore), La falce spezzata e C’era una volta…Lo Hobbit (Marietti 1820).
A meno di una settimana dalla fatidica data, vi proponiamo un’intervista col nostro traduttore!

Prima cosa: perché Lettere 1914-1973 e non più La realtà in trasparenza?
«Premesso che il titolo viene scelto dall’editore, non nascondo di avere fortemente caldeggiato questo cambiamento. Il motivo principale è per allinearsi al titolo inglese (e delle altre lingue in cui le lettere sono state tradotte). Poi, per una sorta di onestà intellettuale nei confronti del lettore: sono convinto che il titolo di un testo non narrativo debba riflettere il reale contenuto del libro. Infine, anche perché ho sempre trovato la realtà in trasparenza un titolo forse poetico ma inadatto e poco pertinente, e per me francamente inspiegabile».

Come sei diventato il traduttore delle Lettere?
Lorenzo Gammarelli«In modo decisamente non casuale. Dopo le note vicende societarie che l’hanno riguardata, e forse proprio per rimarcare una discontinuità con il passato, la casa editrice Bompiani ha deciso che era giunto il momento di ripubblicare le Lettere, che da troppi anni erano ormai fuori catalogo; ha chiesto consiglio all’Associazione italiana studi tolkieniani, che attualmente nel nostro Paese è la più importante associazione dedicata allo studio dell’opera di Tolkien, e insieme hanno deciso che non sarebbe stato sufficiente ripubblicarle, ma che stato necessario ritradurle completamente. L’AIST ha suggerito di assegnare a me l’incarico, e dato che la Bompiani già mi conosceva, perché avevo lavorato come curatore delle nuove edizioni del Cacciatore di draghi e del Fabbro di Wootton Major, ecco fatto!
O quasi: in realtà, prima di dare il via, la Bompiani ha dovuto sottoporre il mio nome alla HarperCollins e alla Tolkien Estate, rispettivamente casa editrice inglese e società che detiene i diritti letterari dell’opera di Tolkien, per chiederne l’approvazione. Devo confessare che la settimana in attesa di una risposta da Londra è stata piuttosto ansiogena».

Particolari difficoltà?
«Per me le lettere più difficili da tradurre sono state quelle in cui Tolkien affronta tematiche religiose: il linguaggio di Tolkien, solitamente molto chiaro, si fa più involuto e complicato: ci si trovano termini poco comuni, termini comuni ma con accezioni particolari, costruzioni sintattiche che in inglese non ci si aspetterebbe, citazioni con riferimenti ad autori non famosissimi, spesso con qualche cambiamento, cosicché è anche impossibile risalire alla frase originale».

Lettere - nuova traduzione
Perché sono così importanti le Lettere?
«Sappiamo (in gran parte dalle lettere stesse) che Tolkien non era un fautore del biografismo, e anzi considerava impertinenti i tentativi di leggere la sua opera attraverso dettagli biografici, quindi è molto importante dare alle Lettere il giusto valore come inestimabile fonte di informazioni biografiche e sul pensiero di Tolkien, ma senza spingersi oltre, e soprattutto senza usarle per far dire a Tolkien quello che vogliamo dire noi».

Qual è stata la scoperta più interessante o sorprendente che hai fatto traducendo le Lettere?
«Ovviamente già conoscevo le lettere, e le avevo già lette. Ritraducendole, però, ho potuto apprezzare l’umanità di Tolkien, e quanto, diversamente dalla vulgata comunemente diffusa, fosse informato e interessato al mondo e agli avvenimenti che lo circondavano».

L’ultima edizione inglese delle Lettere è caratterizzata da un indice molto ricco: è stato tradotto?
«Questa edizione delle Lettere ha un indice, più corposo rispetto a quello della vecchia edizione italiana, ma che non si avvicina nemmeno alla complessità e completezza di quello inglese. Considerate che l’indice inglese è stato compilato nel corso di svariati anni da Christine Scull e Wayne Hammond, i due massimi esperti di bibliografia tolkieniana; per quello italiano abbiamo dovuto fare in poco più di un mese».

Come mai direttamente in edizione economica? Non sarebbe stato meglio pubblicare prima un’edizione rilegata?
«Questo dipende da considerazioni editoriali che spettano unicamente all’editore, e sulle quali come traduttore non ho alcuna voce in capitolo. Anche a me sarebbe piaciuta una bella edizione rilegata, ma possiamo sempre sperare: se quella economica dovesse vendere molto, la Bompiani potrebbe forse prenderla in considerazione; quindi, comprate tutti il libro!».

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Dal 3 gennaio 2018 le lettere di Tolkien
– Leggi l’articolo Annunciata una nuova traduzione per le Lettere di Tolkien
– Leggi l’articolo Le Lettere di Tolkien finiscono fuori catalogo

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Ritornano i saggi Hobbit: Riguardo agli Hobbit

Frodo in the ShireRitornano i Saggi Hobbit!
Si tratta di saggi brevi così nominati per via della loro lunghezza volutamente contenuta (ma non trascurabile) e perché redatti secondo quelli che Tolkien descrive essere i gusti hobbit: nella Prefazione al Signore degli Anelli è infatti scritto che gli hobbit “si dilettavano a riempire meticolosamente libri interi di cose che già sapevano, in termini chiari e senza contraddizioni.”.
Il proposito di questa rubrica è di fornire basi solide e affidabili su cui poter costruire altri ragionamenti e ci auguriamo che i nostri lettori vorranno aggiungere nei commenti le loro riflessioni ed opinioni.
I tre saggi apparsi finora sono incentrati sugli Anelli del Potere, gli Orchi e la sorte di Frodo. Il saggio di oggi è dedicato proprio della Gente Piccola: un saggio Hobbit sugli Hobbit!

Marche, il programma dei Cavalieri del Mark

Cavalieri del MarkI Cavalieri del Mark, divenuti associazione nel gennaio 2016, organizzatori di eventi tolkieniani fin dal principio, propongono anche questo autunno un serie di incontri che approfondiranno le opere del Professore. Già promotori della mostra su Lo Hobbit dal titolo In te c’è più di quanto tu creda: l’avventura umana secondo Tolkien ne Lo Hobbit che si tenne a Castelfidardo dal 23 aprile al primo maggio, lo smial marchigiano continua la sua crescita. Per l’occasione abbiamo intervistato Giuseppe Scattolini, presidente dei Cavalieri del Mark: buona lettura!

Lo smial è attivo da alcuni anni. Siete cresciuti e avete fatto tesoro di quali esperienze?
«Sì, il nostro smial è cresciuto. Senza nemmeno accorgersene, I Cavalieri del Mark hanno passato un altro anno insieme. La nostra amicizia si è approfondita, e col tempo abbiamo via via maturato la nostra identità. Sono state le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e le esperienze e gli errori, e le cose buone, che abbiamo fatto insieme, a farci scoprire quello che noi oggi chiamiamo “il nostro metodo”, che è la strada attraverso cui noi camminiamo e seguiamo le orme del Professore di Oxford, J.R.R. Tolkien, secondo l’eredità che ci ha lasciato».

Ci può spiegare meglio il vostro metodo?
«Per rispondere devo fare una lunga premessa, partendo dalle molte particolarità e limitazioni del nostro smial».

Avete avuto difficoltà all’inizio?
«Sì. Solitamente, e che io sappia, nessun gruppo di tolkieniani in Italia ha mai dovuto affrontare, o ha mai affrontato, una realtà come quella che ci siamo trovati davanti. Anzitutto, il primo problema che abbiamo avuto è stato quello della distanza. Mentre tutti gli altri in Italia e in giro per l’Europa ed il mondo frequentano i Tolkieniani della propria città o vicino casa propria, il nostro gruppo si è trovato ad affrontare anzitutto una distanza geografica non del tutto indifferente. Maturare un’amicizia attraverso la frequentazione costante e settimanale, o magari giornaliera, permette di rendere i legami più solidi. Noi ci abbiamo invece messo molti mesi a conoscerci, ed ancora non ci conosciamo davvero bene. Alcuni di noi si vedono solo poche volte, due o tre, ogni anno, ed è già una stima al rialzo.
Inoltre, tra noi non ci sono studiosi di Tolkien. Mi sono reso conto che se due persone non si conoscono ma hanno un interesse di studi in comune possono rompere il ghiaccio iniziando a parlarne. Io mi ricordo ancora il nostro primo incontro, nell’ottobre del 2015, quando non sapevamo nulla dell’altro e mai abbiamo saputo impostare un discorso su Tolkien: abbiamo sempre e solo avuto la nostra passione da condividere.
Infine, anche le nostre provenienze culturali, relative alla visione del mondo, alla politica, al credo religioso, sono diverse!».

I Cavalieri del MarkQuindi, solo col tempo avete trovato il vostro metodo?
«Il panorama tolkieniano con cui abbiamo dovuto confrontarci era vasto, con vari gruppi ed associazioni in competizione, e nessuno pronto a fidarsi di noi. Solo l’AIST lo ha fatto fin da subito: una cosa che non dimenticheremo mai. Inoltre abbiamo notato un distacco che, per quanto evidente, pochi cercano di colmare, tra studiosi di Tolkien, che mettono in campo bibliografie chilometriche, e gli appassionati come noi, lasciati tristemente a parlare solo dei film o dei personaggi preferiti del Signore degli Anelli, e la cui massima ambizione è un tatuaggio con la traslitterazione (nemmeno la traduzione) del proprio nome in elfico, o simili.
Ecco, noi ci siamo ritrovati gettati in tutto questo, esattamente come accadde a Bilbo, in un’avventura certamente più grande di noi. Ma, piano piano, abbiamo trovato la nostra strada: siamo stati in effetti quasi “costretti” dalle circostanze a mettere in pratica ed a fare nostra l’eredità di Tolkien. Non che la lettura di Tolkien ci abbia dato come evidenti e necessarie tutte queste cose. Ma, proprio grazie ai nostri “limiti”, abbiamo dato un valore alla diversità intensissimo e cruciale, cardinale, perché abbiamo capito, con Tolkien, che la crescita dell’identità avviene davvero solo attraverso una comprensione reciproca, e che la comprensione reciproca avviene, di contro, realmente solo se si dà valore alle identità e si permette loro di crescere insieme, non ‘a fianco’ l’una dell’altra, ma l’una “dentro” l’altra».

E come avete messo in pratica il vostro “metodo”?
«Abbiamo iniziato dal web, anche se non era immediato o auto-evidente il progetto della nostra pagina. È iniziato giusto per far conoscere la nostra associazione. Ma con questo è piano piano cresciuto il nostro metodo, e via via sempre più è questo che abbiamo proposto alle persone. Farci conoscere non è stato facile, abbiamo lavorato tanto, sia sulla pagina Facebook che dal vivo, e vediamo sempre più partecipazione, sempre più voglia di essere “vivi” delle persone. Certamente, affinché un progetto e un metodo del genere abbiano realmente presa e significato, e se ne vedano gli effetti, ci vorrà del tempo, ma il paragone migliore è quello con “l’albero”: più il tempo passa, più il tronco si fortifica, le foglie crescono e divengono più belle, ed in primavera arrivano i fiori e i frutti, e questo perché le radici si ramificano sempre più e vanno sempre più a fondo. Noi abbiamo deciso di non gettare il nostro seme sui sassi, dove presto fiorisce ma alla prima intemperia viene sradicato perché non ha forza. Abbiamo scelto di coltivare la terra buona, e di non avere fretta, e di vedere crescere questa pianta. Ci vorrà quanto ci vorrà, fiorirà. Anche qui seguiamo Tolkien: il significato del suo albero delle storie non sta solamente nel fatto più visibile che ogni foglia e ramo dell’albero rappresentano una storia, ma piuttosto come le fiabe mettano in noi radici e danno frutto, seppure nel tempo ed in modo inaspettato».

Nel concreto cosa siete riusciti a organizzare. Potete descriverci quelle di quest’anno?
«Il nostro programma si divide ormai in due semestri. Lo smial marchigiano dei Cavalieri del Mark ha organizzato una serie di interventi tra gennaio e maggio scorso, approfondendo diversi aspetti delle opere tolkieniane. Abbiamo poi ripreso le attività il 23 settembre scorso riunendoci a Montegranaro per festeggiare lo Hobbit Day, il compleanno di Bilbo e Frodo Baggins. E dal 7 ottobre abbiamo iniziato il nostro programma autunnale, con un incontro sulle opere cosiddette minori di Tolkien».

Libri: The SilmarillionIn calce mettiamo le attività del programma. In futuro avete altri progetti?
«Per il futuro abbiamo progetti, o meglio, la volontà di proseguire per questa strada. Mentre il senso del programma che pensiamo annualmente rispecchia la nostra volontà di aprire sempre di più Tolkien alla comprensione e all’amore e alla passione delle persone, abbiamo un obiettivo molto chiaro e più a lungo termine: 1) far innamorare le persone del Silmarillion. Non ci si può limitare a leggere Tolkien solo nelle sue opere più conosciute e popolari, Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Per questo vogliamo realizzare una mostra sul Silmarillion.
2) Concretamente, in futuro abbiamo in mente di fare un convegno sulle lettere, che verranno, grazie all’AIST, ripubblicate il prossimo 3 gennaio. 3) Pensiamo poi sia fondamentale fare almeno un tentativo di mettere in piedi un seminario di lingua inglese, per imparare insieme l’inglese, appunto, sui testi di Tolkien: così ho fatto io da auto-didatta, e se trasmetto tutte le altre mie esperienze vorrei provare a trasmettere anche questa, che credo possa essere più che importante per permettere alle persone di mettersi a leggere Tolkien in piena autonomia, senza dipendere sempre dagli altri e dalle loro traduzioni. 4) Inoltre, il prossimo 22 settembre saremo a Dozza con i nostri amici di AIST, a FantastikA, per tenere un incontro sugli Hobbit in occasione dell’anniversario di nascita di Bilbo e di Frodo, e sarà bello festeggiare con loro questa data. Per il resto, potremmo anche fare altro, sempre tenendo come stella polare l’apertura totale di tutti i testi di Tolkien, per promuoverne una conoscenza integrale, perché non esistono né testi secondari né opere minori, per nessun autore e in modo particolare, ne siamo convinti, per il Professore di Oxford e Leeds (perché forse altro punto che viene sempre un po’ messo in secondo piano è che per anni Tolkien ha insegnato anche a Leeds, mentre Oxford è sempre sulla bocca di tutti)».

Un ultimo pensiero prima di salutarci?
«Infine, vorrei riassumere in poche parole la nostra esperienza, riportando quanto scrissi sulla nostra pagina qualche tempo fa: “Sono diventato davvero un tolkieniano perché qualcuno me lo ha detto. Fu Roberta Tosi, presidente degli Argonath di Verona, a chiamarmi così per la prima volta. “Tu sei un tolkieniano vero, un tolkieniano doc” mi diceva. Da quella volta, per me è rimasto quello il significato di “essere tolkieniano”. Non significa avere le medesime convinzioni del Professore. Non significa conoscere le sue opere a memoria. Non significa nemmeno vivere facendo dei suoi testi un codice etico e teorico entro cui racchiudere la propria vita. Essere un tolkieniano significa… non so dirlo bene. Amare, farsi ispirare, raccogliere e fare propria l’eredità che Tolkien, come un padre, ci ha lasciato. In qualche modo, essere tolkieniani significa essere suoi figli. Egli ci ha resi tali dischiudendo il suo cuore nelle sue opere, nel dono del suo genio e di tutto sé stesso. Ed allora, proprio come dei figli, dobbiamo oggi appressarci a ciò che di lui è vivo, che è la sua eredità che vive in noi, e che siamo noi”. Di qui, la mia e la nostra eterna amicizia e gratitudine a chi ci ha dato tanto, come Roberta e gli Argonath di Verona, e a chi fin da subito ha avuto fiducia in noi, l’AIST, in special modo nelle persone di Roberto Arduini e Claudio Antonio Testi. Senza Tolkien, nostro padre, noi, suoi figli, non saremmo qui a raccontarlo».

Tornano i saggi Hobbit: ecco la sorte di Frodo

Departure at the Grey Havens, by Ted NasmithTornano i Saggi Hobbit!
Si tratta di saggi brevi così nominati per via della loro lunghezza volutamente contenuta (ma non trascurabile) e perché redatti secondo quelli che Tolkien descrive essere i gusti hobbit: nella Prefazione al Signore degli Anelli è infatti scritto che gli hobbit “si dilettavano a riempire meticolosamente libri interi di cose che già sapevano, in termini chiari e senza contraddizioni.”.
Il proposito di questa rubrica è di fornire basi solide e affidabili su cui poter costruire altri ragionamenti e ci auguriamo che i nostri lettori vorranno aggiungere nei commenti le loro riflessioni ed opinioni.
Dopo i primi due saggi proposti ai nostri lettori, incentrati rispettivamente sugli Anelli del Potere e sugli Orchi, l’argomento che viene affrontato oggi è il viaggio di Frodo all’Ovest. Norbert Spina analizza i motivi e le implicazioni dell’inusuale destino del Portatore dell’Anello.

Come sanno tutti i lettori de Il Signore degli Anelli, alla fine del romanzo i portatori degli Anelli vanno ad Ovest.
Nel libro non molto è spiegato del perché anche a Bilbo e Frodo sia permesso partire verso Aman, anche se ci sono alcuni indizi. Per esempio le parole di Frodo, quando i quattro Hobbit e Gandalf stanno ritornando verso la Contea. Ecco come Tolkien descrive la scena:

“Finalmente i passi degli Hobbit si volsero verso casa. Erano desiderosi di rivedere la Contea, ma da principio cavalcarono lentamente, perché Frodo si era sentito a disagio. Giunti al Guado del Bruinen si era fermato, riluttante ad avventurarsi nel fiume; ed essi si accorsero che per qualche tempo i suoi occhi non vedevano né loro né le cose circostanti. Era stato silenzioso per tutto il giorno. Era il sei di ottobre.
Sam and Shelob - John Howe“Stai soffrendo, Frodo”, disse Gandalf dolcemente, cavalcandogli a fianco.
“Be’… sì”, disse Frodo. “È la spalla. La ferita fa male, e il ricordo dell’Oscurità pesa su di me. Fu esattamente un anno fa”.
“Ahimè! Vi sono ferite che non guariscono mai del tutto!”, disse Gandalf.
“Temo che per la mia sarà così”, disse Frodo. “Non esiste un vero ritorno. Anche tornato nella Contea, essa non mi parrà più la stessa, perché io sono cambiato.
Sono ferito da pugnale, pungiglione e denti, e da un gravoso fardello. Dove troverò riposo?”.
Gandalf non rispose.”

(Il Signore degli Anelli VI.7 “Verso Casa”)

Sfortunatamente alla traduzione italiana è sfuggita una frase, riportata qui sopra in tondo. Frodo risente della ferita del pugnale Morgul, del veleno di Shelob, dell’amputazione del dito dovuta ai denti di Gollum ma, soprattutto, alla lunga lotta contro l’Anello e l’effetto combinato di queste ferite, ma più ancora del suo viaggio difficile e pericoloso verso Monte Fato lo stanno in qualche modo cambiando, come probabilmente sta iniziando a capire lui stesso.

Ma c’è già chi ha percepito che Frodo potrebbe essere stato ferito più profondamente di quanto egli stesso abbia compreso. Arwen è la prima a capire che Frodo potrebbe aver necessità di andare all’Ovest: non per niente è figlia di Elrond, e tramite lui discendente di Lúthien, oltre ad essere nipote di Galadriel, e ha la saggezza di lunghi anni (ben oltre 2500). Pertanto dice a Frodo:

Arwen - John Howe“Io ti farò un dono. Perché io sono la figlia di Elrond: non partirò con lui quando si recherà ai Porti, perché la mia scelta è quella di Lúthien, e anch’io ho scelto come lei allo stesso tempo il dolce e l’amaro. Ma in vece mia partirai tu, Portatore dell’Anello, quando giungerà l’ora, e se lo vorrai. Se la tua ferita sarà ancora dolorante e il ricordo del tuo fardello sarà pesante sul tuo cuore, allora potrai recarti a ovest, finché tutte le tue ferite e stanchezze non siano sanate. Ma ora prendi questo in memoria di Gemma Elfica e di Stella del Vespro, i fili che si sono intrecciati con te nel tessuto della tua vita!”.
Ella prese una gemma bianca come una stella che pendeva sul suo petto da una catena d’argento, e la mise al collo di Frodo. “Quando ti sentirai turbato dal ricordo della paura e dell’oscurità”, ella disse, “questo ti sarà di aiuto”.

(Il Signore degli Anelli Vi.6 “Molte separazioni”)

E pian piano anche Frodo si rende conto di essere cambiato molto di più di quanto lui stesso pensasse e, come molti “reduci” di guerra si sente fuori posto, non riesce a reinserirsi nella sua “vecchia vita”.
Lo dice chiaramente a Sam, verso la fine del libro:

“Ma”, disse Sam, e le lacrime incominciarono a sgorgargli dagli occhi, “credevo che anche voi voleste godervi la Contea, per anni e anni, dopo tutto quello che avete fatto”.
“Anch’io lo credevo, un tempo. Ma sono stato ferito troppo profondamente, Sam. Ho tentato di salvare la Contea, ed è stata salvata, ma non per merito mio. Accade sovente così, Sam, quando le cose sono in pericolo: qualcuno deve rinunciare, perderle, affinché altri possano conservarle.

(Il Signore degli Anelli III.9 “I Porti Grigi”)

Frodo in Ithilien - Donato GiancolaMa Frodo è torturato solo dal ricordo degli orrori passati? O c’è altro ad angustiarlo?
Discorrendo con Gandalf a casa Baggins, all’inizio della sua avventura Frodo dice “Vorrei tanto salvare la Contea, se potessi farlo” (Il Signore degli Anelli I.2 “L’ombra del Passato”). Ed è probabilmente questa idea di potere tornare a casa come il “salvatore della Contea” – oltre alla comprensione dell’importanza della missione – a spingerlo ad accettare di incamminarsi da Gran Burrone per trovare la via verso la Voragine del Fato; e ad accettare, quando già è a Mordor, che la sua missione sarà senza ritorno – dato che non ha viveri per sostentarsi per l’eventuale viaggio di ritorno da Mordor.
Ma, alla fine, lui cede alla tentazione e si arroga l’Anello. Fallisce la missione, in un certo senso.
Si potrebbe discutere se ciò sia vero, ma non ce n’è bisogno. In proposito Tolkien è stato chiarissimo, nelle Lettere, ove spiega perché a Frodo (e Bilbo e, si dice, anche a Sam) sia consentito un riposo di riflessione e ricerca della serenità al di là del Mare:

“[Frodo] dapprima sembra non avere alcun senso di colpa (1); recupera la salute e la pace. Ma allora pensa di aver dato la propria vita in sacrificio: si aspettava di morire molto presto. Ma non andò così, e si può vedere l’inquietudine/insoddisfazione/disagio crescere in lui. Arwen fu la prima a riconoscere in lui tali segni e gli diede il suo gioiello per confortarlo, e pensò a un modo per guarirlo.
Lentamente “esce di scena” dicendo e facendo sempre meno. Credo sia chiaro, per un lettore attento, che quando i momenti bui lo investivano e lui era conscio di esser stato “ferito da un coltello, da un pungiglione e da un gravoso fardello” non erano solo incubi di orrori passati ad affliggerlo, ma anche un irragionevole autoincolparsi: vedeva se stesso e ciò che aveva The Tower of Cirth Ungol - Donato Giancolafatto come un completo fallimento. ‘Malgrado io possa tornare nella Contea, non mi sembrerà la stessa perché io non sono più lo stesso”. Questa in realtà era una tentazione dell’Oscurità, un’ultima scintilla di orgoglio: il desiderio di tornare come “l’eroe”, non soddisfatto di essere solo un mero strumento del Bene. Ed era mista con un’altra tentazione, più oscura e (in un certo senso) più meritata in quanto, comunque lo si voglia spiegare, in realtà lui non ha gettato l’Anello con un gesto volontario: era tentato di rimpiangerne la distruzione e di desiderarlo ancora. ‘Se n’è andato per sempre, e ora tutto è buio e vuoto’ sussurra mentre si risveglia dalla malattia nel 1420 (2).
‘Ahimé, ci sono malattie che non si possono curare completamente’ disse Gandalf (3) – non nella Terra di Mezzo. Frodo fu mandato o ebbe il permesso di andare oltre il Mare per guarirlo, se ciò era possibile, prima che morisse. Alla fine avrebbe dovuto “andarsene”: nessun mortale poteva o può vivere per sempre sulla terra, o nel Tempo. Così andò contemporaneamente a un purgatorio e a una ricompensa, per un po’: un periodo di riflessione e di pace per raggiungere una maggiore consapevolezza della propria posizione, in umiltà e in grandezza, vissuto ancora nel tempo tra le bellezze naturali di “Arda Incorrotta”, la Terra non guastata dal male.”

(Bozze della lettera 246, alla sig.ra Eileen Elgar del settembre 1963 – traduzione mia)

Quindi Frodo non ha bisogno solo di essere curato “delle ferite di pugnale, pungiglione e denti, e di un grosso fardello” ma deve venire a patti con il suo aver fallito, non essere stato all’altezza delle sue stesse aspettative. Ha quindi bisogno di un periodo di riflessione in cui accettare il suo ruolo di “mero strumento del bene”, di capire che nessun mortale avrebbe potuto portare a termine la missione, e che lui si è speso completamente, non avendo, quindi, nulla da rimproverarsi. Che è poi il motivo perché, pur avendo fallito, viene da tutti encomiato: più di così lui non poteva fare. Ed è il motivo perché, più sopra, ho scritto che Frodo ha fallito “in un certo senso”.

Infine vorrei sottolineare che, come abbiamo letto poco sopra, Frodo e Bilbo rimangono mortali. Non è dato ai Valar il potere di togliere “il dono di Iluvatar” (cioè la morte) agli Uomini; e agli Hobbit, che sono una branca della razza Umana, come specificato da Tolkien nella lettera 131.

Note:
1. Signore degli Anelli, VI.3 “Monte Fato”
2. il 13 marzo, anniversario della sua cattura da parte di Shelob e poi degli orchi (ndN)
3. Il Signore degli Anelli, VI.9 “Verso Casa”

ARTICOLI PRECEDENTI: I SAGGI HOBBIT
– Leggi l’articolo su Gli Anelli del Potere
– Leggi l’articolo su Gli Orchi
– Leggi l’articolo su Riguardo agli Hobbit.
– Leggi l’articolo su Gli Istari e i loro bastoni
– Leggi l’articolo su Denethor: c’è del metodo in questa follia
– Leggi l’articolo su Gli Elfi sono vegetariani? Ecco cosa dice Tolkien
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Saggi AIST: le fonti per fare ricerca su Tolkien

Studiosi: Janet Brennan CroftIl saggio che oggi proponiamo è Risorse bibliografiche per ricerche letterarie su J. R. R. Tolkien di Janet Brennan Croft (scaricalo qui), originariamente pubblicato dal Journal of Tolkien Research, nel primo numero del terzo volume (2016). Il saggio – tradotto egregiamente da Elena Sanna – è pensato per offrire un aiuto a studenti e studiosi che approcciano per la prima volta una ricerca letteraria approfondita sulle opere di Tolkien. La guida si focalizza sulle fonti anglofone americane, ma include anche siti e pubblicazioni europee. Chi desiderasse prendere visione del saggio in inglese, lo troverà qui.

Janet Brennan CroftJanet Brennan Croft è autrice, editor ed è a capo dei servizi di accesso alla biblioteca dell’Università dell’Oklahoma.
I suoi articoli sono apparsi non solo sul Journal of Tolkien Research, ma anche su Mythlore (la rivista della Mythopoeic Society, di cui è l’editor), Mallorn (la rivista della Tolkien Society), nei Tolkien Studies, nonché nel volume J.R.R. Tolkien Encyclopedia: Scholarship and Critical Assessment (a cura di Michael D.C. Drout, Routledge, 2006).
Tra i libri da lei curati figurano Tolkien on Film: Essays on Peter Jackson’s The Lord of the Rings (Mythopoeic Press, 2005), Tolkien and Shakespeare: Essays on Shared Themes and Language (McFarland & Co Inc, 2007), Tolkien in the New Century: Essays in Honor of Tom Shippey (McFarland, 2014), Perilous and Fair: Women in J.R.R. Tolkien’s Work and Life (Mythopoeic Press, 2015).
Croft è anche l’autrice del libro War and the Works of J.R.R. Tolkien (Praeger Publishers, 2004).

Riviste: Journal of Tolkien ResearchIl Journal of Tolkien Research è una rivista online ad accesso libero, il cui contenuto è a disposizione dei lettori gratuitamente. Agli utenti è consentito leggere, scaricare, distribuire, stampare i testi degli articoli per intero, senza dover prima chiedere il consenso dell’autore o dell’editore: si tratta quindi di una risorsa particolarmente preziosa. Lo scopo della rivista è di fornire materiale di ricerca di alta qualità basato sulle opere di Tolkien, così come testi basati sulle sui suoi scritti. Gli approcci presentati sono multidisciplinari e interdisciplinari, e comprendono anche settori quali quello dei media, degli adattamenti, le declinazioni ludiche, le creazioni dei fan e la ricezione da parte del pubblico.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo Due recensioni “italiane” nei Tolkien Studies
– Leggi l’articolo Tolkien Studies, rivelati i contenuti del num. 14
– Leggi l’articolo Tolkien Studies, rivelati i contenuti del num. 12
– Leggi l’articolo Una foto inedita per i Tolkien Studies n.11
– Leggi l’articolo Tolkien Studies: ecco il numero undici (2014)
– Leggi l’articolo Ecco i Tolkien Studies 10: c’è un saggio italiano
– Leggi l’articolo Pubblicati i Tolkien Studies, vol. 8
– Leggi l’articolo Tre Call for papers per gli amanti di J.R.R. Tolkien

LINK ESTERNI:
– Vai al sito del Journal of Tolkien Research
– Vai al sito di Janet Brennan Croft
– Vai al sito della rivista Mythlore
– Vai al sito della rivista Mallorn
– Vai al sito dei Tolkien Studies

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Tornano i saggi Hobbit: ecco gli Orchi

Disegno di J.R.R. Tolkien: Tornano i Saggi Hobbit! Si tratta di saggi brevi così nominati per via della loro lunghezza volutamente contenuta (ma non trascurabile) e perché redatti secondo quelli che Tolkien descrive essere i gusti hobbit: nella Prefazione al Signore degli Anelli è infatti scritto che gli hobbit “si dilettavano a riempire meticolosamente libri interi di cose che già sapevano, in termini chiari e senza contraddizioni.”. Il proposito di questa rubrica è di fornire basi solide e affidabili su cui poter costruire altri ragionamenti e ci auguriamo che i nostri lettori vorranno aggiungere nei commenti le loro riflessioni ed opinioni. Dopo il primo saggio proposto ai nostri lettori, incentrato sugli Anelli del Potere, l’argomento che viene affrontato oggi sono gli Orchi tolkieniani: da sempre al centro di numerose discussioni, Norbert Spina ci offre una panoramica di questa razza oscura.

Nel legendarium tolkieniano le creature malvagie più numerose sono sicuramente gli Orchi (orchetti, nella traduzione italiana del 1971).
La loro origine non è chiara, principalmente perché Tolkien non riuscì a “risolvere” il problema degli Orchi: come scrittore gli erano necessari dei nemici che i “buoni” potessero uccidere senza dubbi o sensi di colpa, ma come cattolico l’idea di una intera razza “perduta” oltre ogni possibilità di redenzione non era per lui accettabile.
Non si sa “come” siano nati gli Orchi. Forse dalla corruzione di Elfi, dovuta a lunghe e crudeli torture (1); forse dall’accoppiamento di Maiar di basso rango con primati (2). Certo è che nel legendarium tolkieniano solo Eru può creare, e il male può solo corrompere: pertanto non sono stati creati da Melkor o da qualunque suo emulo successivo.

Riguardo alla riproduzione degli Orchi, esistono Orchi di sesso femminile visto che ne Il Silmarillion è scritto che: “Gli Orchi infatti prendevano vita e si moltiplicavano nello
stesso modo dei Figli d’Ilúvatar”
(3). Allo stato “naturale” gli Orchi si suddividono in tribù o gruppi poco numerosi e molto litigiosi. Ci vuole l’imposizione di un qualche Oscuro Signore per costringere gli Orchi a generare e allevare figli. Infatti la (ri)nascita di un signore malefico è spesso sottolineato da frasi come “Esseri malefici ricominciano a moltiplicarsi”. Con queste premesse i fan ipotizzano che “da qualche parte” esistano “orc farm” in cui i piccoli Orchi vengono allevati/selezionati. Quelli con “patologie” nelle old orccapacità relazionali – quali, amicizia, empatia – non arrivano all’età adulta.

Non si sa nulla nemmeno della longevità degli Orchi. Se fossero Elfi corrotti potrebbero perfino essere “immortali” come gli Elfi (4). Che siano o meno (potenzialmente) immortali la loro memoria è lunga. Infatti ne Lo Hobbit riconoscono a vista le spade Glamdring e Orcrist, segno che la loro descrizione era stata tramandata, o che molti orchi ancora le ricordavano dalla Prima Era. Ne Il Signore degli Anelli i due capitani Gorbag e Shagrat ricordano (o, comunque, sanno di) eventi accadute molto tempo addietro (5). Infine Borg figlio di Azog viene ucciso a un’età non inferiore ai 140 anni (6).
Va detto che sotto la macro categoria “Orchi” sono spesso accomunate diverse creature, come qui sotto schematizzato.

1. Gli orchi: orc e goblin
Goblins-001-Nel Lo Hobbit Tolkien usò solo il termine goblin per le creature che ne Il Signore degli Anelli appaiono con entrambi i nomi indifferentemente e ne il Silmarillion solo come orc. In italiano solitamente tutte queste creature sono tradotte come orchi oppure orchetti.
Sono creature basse (tant’è che Sam e Frodo possono fingere di essere orchi, a Mordor) con braccia lunghe, molto forti e gambe storte. Sono principalmente la “bassa manovalanza”, delle creature maligne, malvagie e crudeli usate spesso come combattenti o come esploratori/segugi, benché siano noti anche orchi molto scaltri che sanno cose molto riservate, quali Grishnákh che riesce a eludere l’accerchiamento della pattuglia di Éomer portandosi dietro Merry e Pipino per impossessarsi dell’Anello, di cui conosce l’esistenza.

2. I grandi Orchi: Uruk, hobgoblin e altro
Ne Lo Hobbit Tolkien usò la parola goblin per gli Orchi di dimensioni normali e hobgoblin per descrivere gli esemplari più robusti (7). Ne il Signore degli Anelli, invece, gli esemplari più robusti sono spesso chiamati Uruk-hai (8), e sono sempre utilizzati come guerrieri. Uruk è una parola del Linguaggio Nero (9) inventato da Sauron perché fosse parlato dalle sue creature;  -hai dovrebbe essere un suffisso, nella stessa lingua, per definire gruppi. Non è però chiaro se esista una unica “razza” di Uruk-hai o se ogni gruppo selezionato di Orchi particolarmente prestanti possa fregiarsi di tale nome. In particolare non è chiaro se gli Uruk-hai impiegati da Saruman Hildebrandt: provenissero da Mordor o se fossero invece il prodotto di selezioni effettuate ad Isengard dallo stregone, che aveva incrociato anche uomini e orchi.
Si noti che gli Uruk-hai “di Saruman” riescono a correre e combattere anche sotto il sole, al contrario degli Orchi “normali” che al sole si indeboliscono molto. Ad Aragorn, mentre insegue con Gimli e Legolas gli orchi di Saruman che hanno rapito Pipino e Merry, ciò sembra dovuto al potere di Isengard che rafforza gli Orchi e spossa i “Tre cacciatori”; ma potrebbe anche essere una caratteristica di tutti gli Uruk-hai, o quantomeno di quelli impiegati da Saruman (10).

3. Gli incroci: mezz’orchi e uomini-goblin
Nel libro Saruman incrocia orchi e umani. I risultati di questo ibrido sono il tizio strabico incontrato a Brea (che poi si scopre essere una spia di Saruman “convinta” dai Nazgul a lavorare per loro) (11), molti combattenti visti uscire da Isengard da Pipino e Merry (12) e alcuni di quelli uccisi da Boromir difendendo i due hobbit, come ci dice Aragorn (13). Hanno dimensioni umane, anche se non è chiaro se siano più grandi degli Uruk-hai. Come gli esseri umani, dai quali sembrano derivare, non soffrono di alcuna debolezza in presenza del sole. Non si sa se i mezz’orchi siano fertili o sterili.
Non è chiaro nemmeno se ci sia un unico tipo di mezz’orchi (ad esempio con madri umane e padri orchi) o se esistano anche degli “uomini-goblin” (padri umani e madri orchesse? un genitore mezz’orco e un genitore orco? Non si sa) più simili dei primi agli Orchi. Gamling nella battaglia del Trombatorrrione afferma che esistono entrambi (14) i tipi. Se ciò sia dovuto a una sua specifica conoscenza dell’esistenza di due ibridi diversi oppure sia una sua ipotesi basata solo sull’aspetto “più orchesco” di alcuni dei “mezz’orchi” non è dato sapere.

Note:
1. Il Silmarillion, cap. 3
2. Come scritto nel capitolo Myths Transformed del volume Morgoth’s Ring
3. Il Silmarillion, cap. 3
4. Più correttamente, “longevità seriale”, come spiega nelle lettere 208 e 211
5. Gorbag dice: “c’è qualcuno che vaga qui intorno, più pericoloso del più dannato dei ribelli vissuti nei tempi malvagi, fin dal tempo del Grande Assedio. Qualcosa si è introdotta”.
Il Signore degli Anelli IV.10, traduzione mia.
Il “Grande Assedio” di cui parla è quello di Elendil e Gil-Galad a Mordor, alla fine della Seconda.
6. Suo padre Azog fu ucciso alle porte di Moria nel 2799: pertanto Borg, ucciso nella Battaglia dei Cinque Eserciti nel 2941 ha non meno di 142 anni
7. Malgrado gli hobgoblin nella letteratura precedente fossero esemplari di orchi più piccoli del normale. Da una nota alla Lettera 319: “l’affermazione che gli Hobgoblin siano “la specie più grossa” è il contrario dell’originale verità” (traduzione mia)
8. “Negli ultimi anni di Denethor I apparve per la prima volta, proveniente da Mordor, la razza degli Uruk, Orchi neri di notevole forza fisica, che nel 2475 invasero l’Ithilien e si impadronirono di Osgiliath”. – Il Signore degli Anelli, Appendice A
9. “Orchi è il nome dato a questo popolo malefico dalle altre genti, adottato in origine dai Rohirrim. In Sindarin il nome era orch, indubbiamente imparentato con il termine uruk nel Linguaggio Nero, benché questo venisse di solito esclusivamente applicato ai grossi Orchi soldati provenienti da Mordor e da Isengard”. – Il Signore degli Anelli, Appendice F
10. “Noi siamo gli Uruk-hai: non interrompiamo la battaglia né di notte né di giorno, né col sole né con la tempesta. Noi uccidiamo, col sole e con la luna”. – Il Signore degli Anelli, III.7
11. Frodo vide dietro una fitta siepe una casa scura e trascurata: l’ultima del villaggio. A una delle finestre notò una faccia olivastra ed equivoca dagli occhi strabici, che sparì di colpo. “Ecco dove si nasconde il tipo del Sud!”, si disse. “Pare proprio uno spirito maligno”.Il Signore degli Anelli I.9
12. “Vidi partire il nemico: […]. Molti portavano fiaccole, e il bagliore mi permise di distinguere i loro volti. La maggior parte erano Uomini normali, alquanto alti, bruni, seri, ma non particolarmente crudeli e malvagi. Ma ve ne erano altri orribili: alti come Uomini, col viso di Orchi, olivastri, equivoci, con occhi obliqui. Sapete, mi ricordarono subito quel tale del Sud a Brea; la somiglianza con gli Orchi non era però altrettanto palese”. – Il Signore degli Anelli III.9
13. “Aragorn, guardando i corpi dei caduti, disse: “Molti di costoro non provengono da Mordor. Alcuni sono del Nord, delle Montagne Nebbiose; chiunque conosca gli Orchi e la loro razza se ne può rendere conto. Altri mi sono del tutto ignoti. Dalla maniera in cui vestono non parrebbero neppure Orchi!”. Quattro soldati erano più alti, di carnagione bruna, con occhi obliqui, mani grandi e gambe massicce. Invece delle comuni scimitarre ricurve degli Orchi avevano spade corte e larghe e archi di legno di tasso, uguali a quelli degli Uomini.Il Signore degli Anelli III.1
14. “Ma queste creature d’Isengard, questi mezzi-orchi e uomini-goblin creati dall’infame arte di Saruman, non si scoraggeranno certo di fronte al sole”, disse Gamling.”Il Signore degli Anelli III.7

Stàlteri e Torbidoni: la musica in Tolkien è magia

Arturo Staltieri e Federica TorbidoniCome già annunciato nell’articolo Tolkien al Salone del Libro di Torino 2017!, l’AIST parteciperà al 30° edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, dove Tolkien e il fantastico saranno sotto i riflettori come non mai: la mostra di illustratori italiani Lords for the Ring, la lectio magistralis di Wu Ming 4 sabato 20 e la sera dello stesso giorno, il concerto di musiche ispirate al Signore degli Anelli di Arturo Stàlteri al piano e Federica Torbidoni al flauto, alle ore 20.00 al Borgo Medievale, in Viale Virgilio 107 Parco del Valentino.
L’AIST ha intervistato per i suoi lettori i due musicisti, indagando il loro rapporto con la musica e con Tolkien.

Arturo Stàlteri 01Pianista e compositore romano dalla originale cifra stilistica, Arturo Stàlteri (a destra, nella foto di Dino Ignani) è noto per essere il conduttore di importanti programmi radiofonici come “Primo Movimento” e “Il Concerto del Mattino” in onda su Radio3; di pari prestigio è anche il suo percorso artistico che si è sviluppato attraverso una lunga e importante carriera: dai primi esperimenti nell’ambito del progressive italiano con i Pierrote Lunaire negli anni ’70, per giungere alle collaborazioni con Rino Gaetano e nel recente passato anche con Franco Battiato, inseriti nel lavoro In Sete Altère, e nei due imperdibili volumi di Flowers fino alle riletture di Philip Glass e di Brian Eno.
Sono moltissime le opere di Stàlteri ispirate a Tolkien: del 2004 è Rings – Il Decimo Anello, pubblicato dalla Materiali Sonori e dedicato alla saga dell’Anello. Il suo interesse per le figure femminili del fantasy e delle science-fiction lo ha poi portato a incidere nel 2009 Half Angels, album dedicato a personaggi come Galadriel, Trinity, Æon Flux e Fiordiluna. Anche nel suo ultimo album Préludes, pubblicato lo scorso 9 settembre, che contiene ventidue brani, tutti preludi inediti ispirato a scritti di grandi autori classici, è presente Èowyn nella cui trama pianistica si ritrova il sempre amatissimo Tolkien. Con questa nuova produzione discografica Stàlteri propone un lavoro di grande spessore artistico-musicale, trasportando chi lo ascolta nel suo mondo fantastico, grazie ad una scrittura immediata e coinvolgente.

Hai sempre suonato o è una passione nata in età adulta?
A sei anni decisi che avrei suonato il pianoforte. Iniziai subito a studiarlo e non ho mai smesso…

Quando si pensa a un compositore e pianista come te, lo si immagina sepolto tra spartiti e note, immerso nella scrittura davanti al pianoforte. Come lavori davvero?
Quando studio composizioni di altri, effettivamente divento tutt’uno con lo spartito. Quando compongo la mia musica (tranne rare eccezioni in cui improvvisamente una melodia nasce nella mia mente), semplicemente comincio a improvvisare sulla tastiera, senza pensare troppo: di solito accade qualcosa…

Si può dire esista una musica classica tolkieniana?
Direi di sì, anche se Tolkien ha ispirato artisti in ogni campo della musica, dal folk, alla classica, al rock, al jazz… però personalmente trovo che le atmosfere dei suoi libri evochino un mondo musicale di ambientazione nordica, lontano nel tempo. Quindi penso a suggestioni sonore che raccontino il mistero e l’inconoscibile. Credo che la musica celtica possa essere un buon punto di partenza.

Cosa ti ha portato a occuparti di musica tolkieniana?
Era inevitabile! Una volta iniziato a leggere la Trilogia, nel lontano 1974, ho pensato subito che avrei dovuto creare delle musiche che ne divenissero la “mia” colonna sonora, e mi sono messo immediatamente in cerca di altri artisti che avessero fatto la stessa cosa!

Se dovessi definire il ritmo nella musica tolkieniana, cosa diresti?
Non so, è difficile spiegarlo… è un autore che si muove in molte direzioni. La sua scrittura, e le sue vicende, possono ispirare frasi musicali incantate, dilatate e oniriche, oppure melodie molto intense, con ritmi ossessivi e di grande potenza drammatica.

La musica tolkieniana è una forma d’arte o semplice intrattenimento?
Dipende da chi la compone! Comunque è arte, assolutamente…

Nel contesto internazionale lo studio della musica classica tolkieniana è particolarmente vivace?
Nel contesto internazionale è viva più che mai… continuamente appaiono nuovi contributi. Personalmente continuo a prediligere il lavoro dell’indimenticabile Bo Hansson. Anche il Tolkien Ensemble ha realizzato delle belle incisioni, e trovo molto convincente l’omaggio dei Mostly Autumn.

Che spazio trova la musica tolkieniana in Italia?
In Italia lo spazio non è enorme. Mi sembra, ad esempio, che nel sud i musicisti lo ignorino quasi completamente. Ma potrei sbagliare…

Se dovessi consigliare 3 opere ispirate a Tolkien, su cosa punteresti?
Sicuramente, come dicevo, Music Inspired by Lord of the Rings di Bo Hansson. Poi A Night in Rivendell, del Tolkien Ensemble e, per concludere, Music Inspired by the Lord of the Rings, dei Mostly Autumn.

Federica TorbidoniFederica Torbidoni (a sinistra nella foto di Giovanni Matarazzo), diplomata in flauto al Conservatorio “G. Briccialdi “ di Terni con il massimo dei voti, ha suonato come primo flauto e solista nell’Orchestra da Camera di Ancona da quando aveva solo 15 anni. Dopo aver seguito corsi di perfezionamento, nel 1991 è stata primo flauto nell’Orchestre Acadèmie Internationale de Pontarlier e successivamente ha collaborato con L’Orchestra “G. Briccialdi” di Terni, L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, L’Orchestra Giovanile della Marsica, Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Di Roma. Dal 1990 fa parte dell’Ensemble Nino Rota con il quale svolge un’intensa attività concertistica in tutta Europa e non solo, suonando nei teatri di importanti città quali ad esempio Roma, Milano, Stoccolma, Lisbona, Lione, Zagabria. Sempre con l’Ensemble Nino Rota ha inciso numerosi CD ed effettuato registrazioni per la Rai e per la Televisione Nazionale Portoghese.

Hai sempre suonato o è una passione nata in età adulta?
Ho iniziato da bambina per volontà di mia madre di continuare la tradizione della sua famiglia che contava diversi musicisti. Ma qualche anno di studi dopo c’è stata come una illuminazione, una rivelazione, all’improvviso ho sentito che quella non solo era l’unica passione della mia vita, ma che sarebbe stata la mia unica attività futura.

Quale è stato il motore che ha innescato in te la passione per il flauto in particolare?
L’oggettivizzazione di questa passione si è verificata nel momento in cui ho cominciato a suonare con gli altri. Ho sentito che avevo trovato un modo più naturale e bello di esprimermi (sono una persona timida e riservata se non introversa) e comunicare, con un linguaggio e degli argomenti (la musica appunto) di una oggettiva bellezza, lontano dalla banalità, l’insensibilità e la crudeltà del mondo comune.

Cosa significa per te suonare il flauto? Quale è la storia che accompagna questo tipo di strumento e quali tipologie di flauto suoni?
È attraverso il flauto che ho fatto le esperienze più belle: per esempio i viaggi in tutto il mondo grazie soprattutto al gruppo dove suono dal 1995, il Nino Rota Ensemble, tra i primi gruppi in Italia a proporre in versione di musica da camera le più belle colonne sonore dei film che hanno fatto la storia del cinema, scritte da autori del calibro di Rota, Morricone, Cipriani, Piovani a anche stranieri. Ma non solo esperienze esterne quanto soprattutto all’interno di me; la continua sfida a migliorarsi sempre, il raggiungimento di obiettivi l’avvicinarsi all’idea di perfezione e contemporaneamente vivere in un mondo leggermente “sopraelevato“ da quello reale in un mondo quasi fiabesco e qui entra in gioco l’aspetto Tolkeniano: per me il flauto è una specie di oggetto magico per il suo aspetto, per il suo metallo pregiato e per la sua fattura complessa, tanto che nei laboratori dove è prodotto viene forgiato al pari di una spada quale poteva essere Anduril; e anche il suo suono, che è un respiro che parte da dentro e tagliando sapientemente la fredda imboccatura di metallo, crea melodie il cui timbro fa pensare a ere passate.

Quali sono stati i musicisti che hanno influito sulla tua formazione?
La mia formazione musicale è classica : studi in Conservatorio e perfezionamento in Accademie in Italia e all’estero. Amo tutta la musica classica dal Barocco fino alle avanguardie contemporanee, amo tutti gli autori classici con assoluta devozione per Mozart gli impressionisti francesi la scuola russa e Nino Rota.

Come è il tuo rapporto con lo strumento nella vita di tutti i giorni?
Come ho già detto la mia vita è quotidianamente legata allo studio ma trovare tempo per esercitarmi, fare le prove, ascoltare, non rappresenta mai un problema anzi è vitale; suono sempre, il suonare mi aiuta quando non sono in condizioni fisiche perfette, o psicologiche forse perché è una attività collegata alla respirazione profonda e quindi una sorta di pratica ascetica e meditativa.

Che tipo di repertorio affronti con Arturo?
Ho conosciuto Arturo grazie alla comune passione per il mondo nordico, Islanda in particolare e tutta l’iconografia le leggende e la musica ad essa collegata (voglio citare il gruppo post rock Sigur Ros del quale siamo entrambi fan ). Questo incontro e successiva collaborazione con lui è stato per me un regalo inaspettato e prezioso perché finalmente ho potuto suonare tutta quella musica che fino a quel momento avevo solo ascoltato e amato.

Ci saranno dei vostri brani inediti in futuro?
Ho provato a rivolgere questa domanda ad Arturo ma poi mi è venuta in mente la frase de Il Signore degli Anelli detta da Frodo a Gilmor : “non rivolgerti agli Elfi per un consiglio, perché ti diranno sia no che sì ….”. Comunque mi auguro di sì.

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo La primavera AIST: i nostri eventi!
– Leggi l’articolo Tolkien al Salone del Libro di Torino 2017!

LINK ESTERNI:
– Vai all’L’AIST al Salone Internazionale del Libro
– Vai al sito del Salone Internazionale del Libro

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Saggi Hobbit: gli Anelli del Potere

Disegno di J.R.R. Tolkien: Inauguriamo oggi una nuova rubrica del nostro sito: i Saggi Hobbit!
Si tratta di saggi brevi così nominati per via della loro lunghezza volutamente contenuta (ma non trascurabile) e perché redatti secondo quelli che Tolkien descrive essere i gusti hobbit: nella Prefazione al Signore degli Anelli è infatti scritto che gli hobbit “si dilettavano a riempire meticolosamente libri interi di cose che già sapevano, in termini chiari e senza contraddizioni.”

Il proposito di questa rubrica è di fornire basi solide e affidabili su cui poter costruire altri ragionamenti e ci auguriamo che i nostri lettori vorranno aggiungere nei commenti le loro riflessioni ed opinioni.

I saggi dell’AIST: La Contea di Saruman

Elisabetta MarchiIl saggio di Elisabetta Marchi che viene proposto qui è un testo importante. Già in passato questa socia dell’AIST ha dato prova di sapere applicare mirabilmente la propria formazione sociologica alla lettura dell’opera di Tolkien. Suo è il saggio Bilbo Baggins e la Contea: una carriera deviante, pubblicato su questo stesso sito web e che ha dato vita a una bella discussione.
Questa sua ultima prova, invece, analizza con gli strumenti dell’indagine sociologica la Contea di Saruman, cioè il nuovo ordine imposto da Saruman al paese degli Hobbit, per come viene descritto da Tolkien nel capitolo “Percorrendo la Contea” del Signore degli Anelli.
L’importanza del saggio consiste nel fatto che coglie un’evidenza paradossalmente poco considerata nell’annoso dibattito su quel capitolo.
Tolkien compassFin dalle letture allegoriche degli anni Cinquanta, che vedevano nella Contea di Saruman una critica ai governi laburisti del decennio 1945-55, rigettate da Tolkien stesso (vedi lettera n.181); passando per quelle diametralmente opposte degli anni Settanta, con il saggio di Robert Plank “Tolkien’s View of Fascism” in Tolkien Compass (1975); fino alle più recenti letture anarcocapitaliste di Carlo Stagnaro e Alberto Mingardi in Tolkien politico (2003), i critici non hanno mai smesso di tirare quel capitolo da una parte o dall’altra.
Elisabetta Marchi non ignora questo pregresso e parte quindi da una constatazione necessaria: «Si tratta di avere ben chiara l’idea che ogni spiegazione causale è soltanto una visione frammentaria e parziale della realtà indagata. Il postulato fondante di una lettura mirata sta quindi nella precisa consapevolezza che il punto di vista da cui si legge è inscindibile dai valori del ricercatore, la cui onestà sta unicamente nel leggere le affinità che ritrova nel testo senza inventarle».

Ogni lettura è parziale. Ma solo le letture che non inventano ciò che non c’è – o, si potrebbe aggiungere, che non ignorano ciò che c’è – possono dirsi intellettualmente oneste.
Helmut Dohle: SarumanElisabetta Marchi si limita a leggere ciò che c’è nella storia di Tolkien, l’essenziale, e fa cadere in un attimo molti castelli di carta. Innanzi tutto quelli di chi ha voluto leggere nel celebre capitolo un’allegoria del cosiddetto totalitarismo novecentesco.
Il potere secolare di Saruman nella Contea infatti non assomiglia né ai regimi nazifascisti né a quelli comunisti, dato che è privo delle due leve principali che hanno sorretto quei sistemi: l’ideologia fondativa e la propaganda che la diffonde e crea consenso. Non c’è alcun piano retorico-ideologico nel dominio che Saruman instaura subdolamente nella Contea. Saruman avrà pure una voce suadente, ma gli serve per insinuarsi gradualmente nel paese degli Hobbit, senza chiasso e senza rivoluzioni (vere o presunte), sfruttando piuttosto delle teste di legno (Lotho Sackville-Baggins).

Che tipo di regime instaura Saruman? Si tratta di un sistema che prevede l’avvio dell’industria, la pianificazione delle attività produttive, l’organizzazione del commercio, l’aumento della burocrazia e del controllo poliziesco. Questi sono tutti aspetti che la storia europea ha conosciuto bene, ma in tempi precedenti e con risultati assai più duraturi di quelli dei cosiddetti regimi totalitari. Corrispondono infatti alla grande trasformazione che ha traghettato l’Europa dalle società tradizionali a quelle moderne.
Ciò che Tolkien racconta con l’avvento del potere di Saruman è qualcosa di molto simile alla nascita dello stato moderno. Lo stato che ha bisogno di omologare i comportamenti e di renderli funzionali: «L’influenza livellatrice dell’organizzazione, infatti, non può che ostacolare le decisioni indipendenti, finendo così per soffocare e controllare l’individuo».

Disegni: "The Hill: Hobbiton across the Water" di J.R.R. TolkienL’autrice però è attenta a non cascare in facili semplificazioni, ed entra piuttosto nel merito di questo passaggio, constatando come la Contea che subisce la violenta trasformazione non sia già più una società tradizionale. All’arrivo di Saruman, infatti, è un luogo già in parte moderno, dove l’aristocrazia è un vago retaggio, le differenze di censo prevalgono sulle differenze di status, l’etica della common people prevale su quella gentilizia, ecc.
Ciò che Saruman imporrà alla Contea è la razionalizzazione della legislazione, della produzione, del commercio, dell’uso del territorio. La razionalizzazione – che non è sinonimo di razionalità – è il processo innescato dallo stato moderno, appunto, che smantella i vecchi schemi sociali e le appartenenze tradizionali, per rendere la società più controllabile e più efficiente. E può attuarsi nella Contea – al contrario che in altre società della Terra di Mezzo – proprio perché gli Hobbit sono già oltre il feudalesimo, sono già approdati a una visione del mondo protoborghese.

Razionalizzare e modernizzare significa anche migliorare il rapporto tra costi e benefici, laddove i benefici sono intesi come maggiore margine di profitto: il mulino industriale soppianta il mulino ad acqua, gli alberi vengono abbattuti per farne legname e fare spazio a nuovi edifici utili a immagazzinare il surplus di prodotto da esportare.
Nell’economia capitalistica la frazione chiave è quantità di prodotto su unità di tempo. Poiché il tempo è denaro, risparmiare tempo equivale a risparmiare denaro e aumentare il margine di profitto. La fretta è il tratto distintivo della moderna società capitalistica, ma è anche il grande difetto di Saruman, secondo quanto sostengono Barbalbero e Gandalf.

«Attraverso l’affermarsi della razionalità in molti degli ambiti della vita sociale e l’aumento dell’utilizzo della tecnologia, la Contea si trasforma in una società spersonalizzata, la cui legittimità poggia sull’autorità burocratica codificata da procedure certe, verificabili e socialmente condivise».
Questo punto – fa notare ancora l’autrice del saggio – segna anche la differenza qualitativa tra il regime di Saruman e quello di Sauron. Se, come dice Frodo, attraverso Saruman lo spirito di Mordor è arrivato nella Contea, è pur vero che il potere di Sauron a Mordor non è affatto un potere “moderno”. In quel caso si tratta infatti di una dittatura monocratica e schiavistica, basata sul carisma e sul terrore incusso direttamente dal tiranno. Insomma tutto il contrario della razionalizzazione e spersonalizzazione che sta alla base del moderno potere sarumaniano.

Illustrazione: dettaglio di "The Scouring of the Shire" dei fratelli HildebrandtC’è infine un ultimo elemento di riflessione, forse il più spinoso del saggio, e riguarda un aspetto caro a Tolkien: l’esercizio del libero arbitrio rispetto alle imposizioni delle circostanze. Libero arbitrio significa esercizio della libertà di scelta, dunque assunzione di responsabilità. La passività e l’inerzia della società Hobbit sotto il dominio di Saruman deve lasciare il posto al ripristino della libertà e della responsabilità in un modello sociale che però – lo si è visto – non è né statico né specchio di un ordine eterno.
Se è vero che Tolkien stesso manifesta la più antimoderna sfiducia per la formalizzazione dei princìpi in quanto premessa “costituzionale” dello stato moderno (vedi lettera n.186), è altrettanto vero che, da cattolico, confida nella possibilità che l’essere umano usi da sé la ragione per fare la cosa giusta, cioè per praticare e affermare quei princìpi e quelle virtù. Ma questo implica anche la possibilità che la ragione individuale entri in conflitto con la storia, ribellandosi all’imposizione e non già affidandosi remissivamente alla provvidenza (Tolkien non è Manzoni). Da questo punto di vista, se da un lato la moderna società pianificata si basa sulla delega delle decisioni alla casta dei pianificatori produttivisti, dall’altro lato nemmeno la società di tipo organicistico può garantire l’esercizio del libero arbitrio. Dunque – volente o nolente – Tolkien rimane, come chiunque, un uomo del proprio tempo, un moderno post-illuminista:

«A un modello economico e sociale basato sui principi della razionalità formale in cui l’influenza livellatrice dell’organizzazione burocratica finisce per soffocare e controllare l’individuo privandolo della libertà di scelta, Tolkien contrappone così il libero arbitrio e la ragione illuministica, vale a dire la capacità dell’individuo di avvalersi del proprio intelletto come guida nelle scelte da compiere».

Inutile dire che un tasto come questo, anche solo sfiorato, potrebbe far nascere un bel dibattito.
Buona lettura.

Scarica il saggio di Elisabetta Marchi:
La Contea di Saruman – Elisabetta Marchi

ARTICOLI PRECEDENTI
– Leggi l’articolo: Bilbo Baggins e la Contea: una carriera deviante

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Tolkien Day, intervista agli Holy Martyr

Pochi giorni fa è stata annunciata la presenza degli Holy Martyr al Tolkien Day 2017, evento che si terrà al MACRO 128, lo spazio presso il Museo di Arte Contemporanea di Roma (Via Nizza 138, 00198 Roma), organizzato dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani in collaborazione con Ludomaniacs. La partecipazione del gruppo Epic metal italiano è dovuta alla recente pubblicazione dell’album Darkness Shall Prevail, disco interamente ispirato dalle opere di J.R.R. Tolkien. Abbiamo quindi incontrato la mente del gruppo, Ivano Spiga, per discutere della genesi e dello sviluppo del quarto full-length degli Holy Martyr. L’intervista è pubblicata in collaborazione con Metal Hammer Italia ed è stata realizzata dal caporedattore Stefano Giorgianni, autore del libro J.R.R. Tolkien Il Signore del Metallo (Tsunami edizioni, 2016), opera che sarà presentata anch’essa durante il Tolkien Day.

L’elfo Fingolfin, anima tragica del Silmarillon

cop - la parola ai lettori

Il SilmarillionFingolfin, figlio di Finwë, è uno dei personaggi più interessanti, completi e intensi del Silmarillon. Secondo figlio maschio di Finwë, nato dal matrimonio con Indis, Fingolfin è un personaggio singolare e affascinante. Dei tre fratelli è quello la cui personalità appare meglio definita: dei tre figli di Finwë, il geniale, impulsivo ed egotico Fëanor e il saggio Finarfin, su cui tuttavia abbiamo meno informazioni (anche perché “i popoli felici non hanno storia”, e Finarfin è colui che raccoglierà in una pace dolente i frutti dell’operato della sua famiglia), Fingolfin è quello che appare più simile al padre, con cui condivide lungimiranza, capacità di analisi e senso della famiglia, dotato della capacità (e del coraggio) di porsi di fronte al fratello Fëanor (di cui condivide alcuni tratti di carattere, pur essendo più equilibrato) e di proseguirne i disegni. Due sono gli eventi che illuminano la figura di Fingolfin: la riconciliazione con Fëanor, a valle di una lunga contesa, e l’adesione alla ricerca dei Silmarilli. La prima è una necessità, dettata dal senso della famiglia e della gerarchia. Fingolfin crede fermamente nella doverosità della sua riconciliazione e nella promessa verso il fratello, anche se ciò non comporta una soverchia simpatia nei suoi confronti. Fingolfin è consapevole del ben scarso amore del fratello nei suoi confronti e, a sua volta, non ne nutre molto: come Fëanor, è dotato di sentimenti forti e radicati. Tuttavia, in una società che richiama fortemente i valori del clan, la posizione di un fratello maggiore, peraltro dotato di grandi meriti come Fëanor, deve essere rispettata. In modo non dissimile, Finwë si esilia volontariamente per tutta la durata dell’esilio di Fëanor a Formenos, al punto da dichiarare di non poter essere re fintantoché il figlio fosse stato esiliato. Fingolfin Leads the Host Across the Helcaraxë, by Ted NasmithL’adesione alla sostanzialmente fallimentare quête di Fëanor, che contrasta con la prudenza di Fingolfin, deve invece essere inquadrata non tanto (o non soltanto) nell’ambito di una vendetta familiare per la morte di Finwë e/o per il furto dei Silmarilli stessi, quanto invece una rivolta contro Melkor che ha compromesso in modo definitivo il mondo che Fingolfin ama. Fingolfin, infatti, è colui che cerca disperatamente lo status quo e che, se appena potesse, se lo terrebbe stretto, pur senza rinunciare né al suo rango, né alla sua parola, quale che sia: e quindi, anche di fronte al tradimento del fratello maggiore, al quale ha giurato fedeltà, non rinuncia a seguirlo, affrontando la traversata dell’Helcaraxë, impresa titanica che altri (Finarfin in testa, probabilmente, per il citato buonsenso) avrebbero abbandonato, preferendo tornare indietro. Fingolfin è quindi un personaggio tragico, mosso da un destino ineluttabile di distruzione al quale tuttavia non ci si può consegnare senza lotta. In una casata, quella di Finwë, caratterizzata fortemente da un daimon eroico, Fingolfin rappresenta la componente tragica, in opposizione a Fëanor, che ne rappresenta l’elemento maledetto, pretendendo di modificare il mondo con la propria volontà (in un orizzonte più schopenhaueriano che nietzschiano), e Finarfin, che raccoglie i resti della follia del mondo tentando di curarne le ferite (testimone raccolto da Finrod e, infine, da una rinsavita Galadriel che, nell’ultima parte della sua esistenza nella Terra di Mezzo, di preoccuperà di guarire, non di dominare). Fingolfin intuisce benissimo dove le sue scelte condurranno lui e la sua famiglia, tuttavia la strada da prendere è una e una soltanto, quella della parola data: il giuramento di Fingolfin non è da meno di quello di Fëanor, anche di fronte al tradimento, e Fingolfin e la sua famiglia ne pagheranno le conseguenze con sconcertante consapevolezza. Fingolfin e Morgoth - Ted NasmithÈ quindi la svolta drammatica della Dagor Bragollach a rivelarlo per ciò che è: la galoppata verso Angband, con una furia che lo rende simile ad Oromë, la sfida a Melkor, che ricalca la maledizione lanciatagli dal fratello, sono elementi che evidenziano certamente una mancanza di valutazione del pericolo che sfiora la follia, richiamando l’esaltata smania di Fëanor, ma che sono riconducibili ad un dovere che travalica la vita stessa, con, in più, un elemento interiore tragico e potente che induce ad un coinvolgimento emotivo e ad una pietas che a Fëanor, oggettivamente, non è possibile tributare. Una pietas eguagliata solo da quella provata per Fingon, altro personaggio di statura classica, il cui comportamento con Maedhros non a caso replica quasi pedissequamente (anche se con una componente maggiore di calore umano) il rapporto del padre e dello zio. Ma è l’invocazione lanciata a Manwë Súlimo nell’ora del dolore dei Noldor, toccante di pietas appunto, a suggellare il destino tragico della famiglia. Solo Éomer, a cavallo sulla collina, che canta disperato per la morte dello zio e della sorella contemplando la fine del proprio mondo, provoca lo stesso sentimento. Tuttavia c’è anche un altro elemento, veramente notevole e distintivo del personaggio: Fingolfin è l’unico a sfidare Melkor in persona, esattamente come Finwë, che fronteggia impavido Morgoth in cerca dei Silmarilli. Non Fëanor, al quale Melkor ha rubato i Silmarilli ma che non degna di uno scontro diretto. Non suo figlio Fingon, che, nella sua triste parabola, muore con ignominia, sfracellato dalle mazze dei nemici, senza che nessuno si muova per lui, per raccogliere il suo povero corpo. Fingolfin e Morgoth - Lucio ParrilloFingolfin è l’unico al quale Melkor risponda, esattamente come a suo padre (ci sarebbe anche Lúthien, ma è un’altra situazione). Fingolfin è considerato da Melkor se non un pari, quanto meno un nemico da considerare, la cui sfida è rilevante anche ai fini della sua immagine. Sconfiggere Fingolfin (e a caro prezzo, peraltro) è per Morgoth un punto d’onore, una sfida rilevante, una necessità quasi per affermarsi di fronte ai suoi, perché Finwë e Fingolfin sono gli unici a porsi di fronte all’abisso, al male e alla tenebra, chiedendo e sostenendo un confronto. E non è un caso che il corpo di Fingolfin sia recuperato da Thorondor perché non sia profanato: un onore che Manwë, cui Thorondor risponde, ha voluto tributare ad un eroe con statura da semidio. Il risultato è quello di un personaggio ricco di sfumature, che Tolkien destina evidentemente alla grandezza e al comando molto più di quanto non fosse Fëanor. È quindi naturale l’avvicendamento con il fratello, che per Maedhros, al quale non sfugge, dopo il rogo delle navi, il fatto che il giuramento sia incompatibile non solo con qualsiasi idea di governo ma quasi con la vita e il mondo, perché, così come concepito dalla mente paranoica di Fëanor, travalica ogni legge e ogni essere vivente. Del governo di Fingolfin, come in ogni romanzo cavalleresco che si rispetti, non si sa nulla, se non che fu un buon re, come nelle saghe arturiane. E Fingolfin, in fin dei conti, è, fra tutti, quello più simile a Re Artù.

I saggi dell’AisT: Tolkien e Platone

PlatoneSi è fatto attendere molto il contributo che presentiamo oggi e non per colpa dell’autore. Un testo scritto da tempo che ha richiesto diverso tempo per essere formattato, perché soprattutto andava metabolizzato e doveva uscire in un momento propizio, non troppo vicino al , non troppo vicino al convegno internazionale di Verona, che oltre a catalizzare tutte le energie dell’Associazione, avrebbe rischiato di oscurare la pubblicazione sul sito web di un saggio come questo, che è molto approfondito e merita una riflessione serena e senza distrazioni.
Studiosi: Salvatore Marco PonzioL’autore, Salvatore Marco Ponzio (Policoro, 1985), è uno studioso di Storia della Filosofia antica e si occupa di didattica della Filosofia per le scuole superiori. Laureatosi in Filosofia all’Università di Siena, ha conseguito nel 2013 l’abilitazione per l’insegnamento della Storia e della Filosofia nella Scuola Secondaria di II grado. Ad oggi collabora con il blog Lavoro Culturale per cui è autore di alcuni articoli sul mondo della scuola e sull’innovazione e la ricerca didattica. Per La Medusa editore ha pubblicato Cosmo e Demiurgo sulla metafora artigianale nel Timeo di Platone.

Bilbo uno sbandato? Per la Contea era così

Casa HobbitBilbo Baggins è un eroe? Dipende dalla prospettiva da cui si guarda. Il protagonista dello Hobbit, che appare anche nella parte iniziale e finale del Signore degli Anelli è sicuramente passato alla storia della Contea, ma non per quel che pensate voi. La sua crescita personale, le sue avventure straordinarie, le numerose conquiste fatte e tutte le ricchezze riportate a casa, non sono tutte cose a suo favore. Il punto di vista con cui si guarda alla gesta del piccolo hobbit è fondamentale.

Delattre: Tolkien? Prima la parola poi il mito

Convegno FranciaNon manca molto all’inizio del corso Aist 2016, in collaborazione con Accademia Medioevo nell’ambito del ciclo unico Il Medioevo attraverso Tolkien, che coinvolgere gli appassionati di J.R.R. Tolkien in una serie di conferenze, workshop, visite guidate, attività didattiche e stage a Roma e in vari luoghi sui Castelli romani (Lanuvio, Frascati, Genzano e Nemi): il primo appuntamento è il 30 gennaio. Ancor di più, l’attesa è grande per il corso di lingue elfiche del Tolkien Lab di Modena, lo spazio tolkieniano modenese gestito dall’Istituto Filosofico di Studi Tomistici e dall’Associazione italiana studi Tolkieniani, che inizierà il 30 marzo. Proprio per preparare i lettori a tutte queste attività proponiamo un’intervista che mette in evidenza come l’autore dello Hobbit e del Signore degli Anelli fu anche un poeta e filologo medievale che nel dar forma all’universo della Terra di Mezzo creò delle lingue immaginarie molto elaborate. Intervistiamo Charles Delattre, docente di lingua, letteratura e mitologia greco-romana all’Université Paris Ouest Nanterre La Défense, che ha preso parte al «Dictionnaire Tolkien» pubblicato da CNRS Éditions (ne abbiamo parlato qui).