Come già annunciato nell’articolo Tolkien al Salone del Libro di Torino 2017!, l’AIST parteciperà al 30° edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, dove Tolkien e il fantastico saranno sotto i riflettori come non mai: la mostra di illustratori italiani Lords for the Ring, la lectio magistralis di Wu Ming 4 sabato 20 e la sera dello stesso giorno, il concerto di musiche ispirate al Signore degli Anelli di Arturo Stàlteri al piano e Federica Torbidoni al flauto, alle ore 20.00 al Borgo Medievale, in Viale Virgilio 107 Parco del Valentino.
L’AIST ha intervistato per i suoi lettori i due musicisti, indagando il loro rapporto con la musica e con Tolkien.
Pianista e compositore romano dalla originale cifra stilistica, Arturo Stàlteri (a destra, nella foto di Dino Ignani) è noto per essere il conduttore di importanti programmi radiofonici come “Primo Movimento” e “Il Concerto del Mattino” in onda su Radio3; di pari prestigio è anche il suo percorso artistico che si è sviluppato attraverso una lunga e importante carriera: dai primi esperimenti nell’ambito del progressive italiano con i Pierrote Lunaire negli anni ’70, per giungere alle collaborazioni con Rino Gaetano e nel recente passato anche con Franco Battiato, inseriti nel lavoro In Sete Altère, e nei due imperdibili volumi di Flowers fino alle riletture di Philip Glass e di Brian Eno.
Sono moltissime le opere di Stàlteri ispirate a Tolkien: del 2004 è Rings – Il Decimo Anello, pubblicato dalla Materiali Sonori e dedicato alla saga dell’Anello. Il suo interesse per le figure femminili del fantasy e delle science-fiction lo ha poi portato a incidere nel 2009 Half Angels, album dedicato a personaggi come Galadriel, Trinity, Æon Flux e Fiordiluna. Anche nel suo ultimo album Préludes, pubblicato lo scorso 9 settembre, che contiene ventidue brani, tutti preludi inediti ispirato a scritti di grandi autori classici, è presente Èowyn nella cui trama pianistica si ritrova il sempre amatissimo Tolkien. Con questa nuova produzione discografica Stàlteri propone un lavoro di grande spessore artistico-musicale, trasportando chi lo ascolta nel suo mondo fantastico, grazie ad una scrittura immediata e coinvolgente.
Hai sempre suonato o è una passione nata in età adulta?
A sei anni decisi che avrei suonato il pianoforte. Iniziai subito a studiarlo e non ho mai smesso…
Quando si pensa a un compositore e pianista come te, lo si immagina sepolto tra spartiti e note, immerso nella scrittura davanti al pianoforte. Come lavori davvero?
Quando studio composizioni di altri, effettivamente divento tutt’uno con lo spartito. Quando compongo la mia musica (tranne rare eccezioni in cui improvvisamente una melodia nasce nella mia mente), semplicemente comincio a improvvisare sulla tastiera, senza pensare troppo: di solito accade qualcosa…
Si può dire esista una musica classica tolkieniana?
Direi di sì, anche se Tolkien ha ispirato artisti in ogni campo della musica, dal folk, alla classica, al rock, al jazz… però personalmente trovo che le atmosfere dei suoi libri evochino un mondo musicale di ambientazione nordica, lontano nel tempo. Quindi penso a suggestioni sonore che raccontino il mistero e l’inconoscibile. Credo che la musica celtica possa essere un buon punto di partenza.
Cosa ti ha portato a occuparti di musica tolkieniana?
Era inevitabile! Una volta iniziato a leggere la Trilogia, nel lontano 1974, ho pensato subito che avrei dovuto creare delle musiche che ne divenissero la “mia” colonna sonora, e mi sono messo immediatamente in cerca di altri artisti che avessero fatto la stessa cosa!
Se dovessi definire il ritmo nella musica tolkieniana, cosa diresti?
Non so, è difficile spiegarlo… è un autore che si muove in molte direzioni. La sua scrittura, e le sue vicende, possono ispirare frasi musicali incantate, dilatate e oniriche, oppure melodie molto intense, con ritmi ossessivi e di grande potenza drammatica.
La musica tolkieniana è una forma d’arte o semplice intrattenimento?
Dipende da chi la compone! Comunque è arte, assolutamente…
Nel contesto internazionale lo studio della musica classica tolkieniana è particolarmente vivace?
Nel contesto internazionale è viva più che mai… continuamente appaiono nuovi contributi. Personalmente continuo a prediligere il lavoro dell’indimenticabile Bo Hansson. Anche il Tolkien Ensemble ha realizzato delle belle incisioni, e trovo molto convincente l’omaggio dei Mostly Autumn.
Che spazio trova la musica tolkieniana in Italia?
In Italia lo spazio non è enorme. Mi sembra, ad esempio, che nel sud i musicisti lo ignorino quasi completamente. Ma potrei sbagliare…
Se dovessi consigliare 3 opere ispirate a Tolkien, su cosa punteresti?
Sicuramente, come dicevo, Music Inspired by Lord of the Rings di Bo Hansson. Poi A Night in Rivendell, del Tolkien Ensemble e, per concludere, Music Inspired by the Lord of the Rings, dei Mostly Autumn.
Federica Torbidoni (a sinistra nella foto di Giovanni Matarazzo), diplomata in flauto al Conservatorio “G. Briccialdi “ di Terni con il massimo dei voti, ha suonato come primo flauto e solista nell’Orchestra da Camera di Ancona da quando aveva solo 15 anni. Dopo aver seguito corsi di perfezionamento, nel 1991 è stata primo flauto nell’Orchestre Acadèmie Internationale de Pontarlier e successivamente ha collaborato con L’Orchestra “G. Briccialdi” di Terni, L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, L’Orchestra Giovanile della Marsica, Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Di Roma. Dal 1990 fa parte dell’Ensemble Nino Rota con il quale svolge un’intensa attività concertistica in tutta Europa e non solo, suonando nei teatri di importanti città quali ad esempio Roma, Milano, Stoccolma, Lisbona, Lione, Zagabria. Sempre con l’Ensemble Nino Rota ha inciso numerosi CD ed effettuato registrazioni per la Rai e per la Televisione Nazionale Portoghese.
Hai sempre suonato o è una passione nata in età adulta?
Ho iniziato da bambina per volontà di mia madre di continuare la tradizione della sua famiglia che contava diversi musicisti. Ma qualche anno di studi dopo c’è stata come una illuminazione, una rivelazione, all’improvviso ho sentito che quella non solo era l’unica passione della mia vita, ma che sarebbe stata la mia unica attività futura.
Quale è stato il motore che ha innescato in te la passione per il flauto in particolare?
L’oggettivizzazione di questa passione si è verificata nel momento in cui ho cominciato a suonare con gli altri. Ho sentito che avevo trovato un modo più naturale e bello di esprimermi (sono una persona timida e riservata se non introversa) e comunicare, con un linguaggio e degli argomenti (la musica appunto) di una oggettiva bellezza, lontano dalla banalità, l’insensibilità e la crudeltà del mondo comune.
Cosa significa per te suonare il flauto? Quale è la storia che accompagna questo tipo di strumento e quali tipologie di flauto suoni?
È attraverso il flauto che ho fatto le esperienze più belle: per esempio i viaggi in tutto il mondo grazie soprattutto al gruppo dove suono dal 1995, il Nino Rota Ensemble, tra i primi gruppi in Italia a proporre in versione di musica da camera le più belle colonne sonore dei film che hanno fatto la storia del cinema, scritte da autori del calibro di Rota, Morricone, Cipriani, Piovani a anche stranieri. Ma non solo esperienze esterne quanto soprattutto all’interno di me; la continua sfida a migliorarsi sempre, il raggiungimento di obiettivi l’avvicinarsi all’idea di perfezione e contemporaneamente vivere in un mondo leggermente “sopraelevato“ da quello reale in un mondo quasi fiabesco e qui entra in gioco l’aspetto Tolkeniano: per me il flauto è una specie di oggetto magico per il suo aspetto, per il suo metallo pregiato e per la sua fattura complessa, tanto che nei laboratori dove è prodotto viene forgiato al pari di una spada quale poteva essere Anduril; e anche il suo suono, che è un respiro che parte da dentro e tagliando sapientemente la fredda imboccatura di metallo, crea melodie il cui timbro fa pensare a ere passate.
Quali sono stati i musicisti che hanno influito sulla tua formazione?
La mia formazione musicale è classica : studi in Conservatorio e perfezionamento in Accademie in Italia e all’estero. Amo tutta la musica classica dal Barocco fino alle avanguardie contemporanee, amo tutti gli autori classici con assoluta devozione per Mozart gli impressionisti francesi la scuola russa e Nino Rota.
Come è il tuo rapporto con lo strumento nella vita di tutti i giorni?
Come ho già detto la mia vita è quotidianamente legata allo studio ma trovare tempo per esercitarmi, fare le prove, ascoltare, non rappresenta mai un problema anzi è vitale; suono sempre, il suonare mi aiuta quando non sono in condizioni fisiche perfette, o psicologiche forse perché è una attività collegata alla respirazione profonda e quindi una sorta di pratica ascetica e meditativa.
Che tipo di repertorio affronti con Arturo?
Ho conosciuto Arturo grazie alla comune passione per il mondo nordico, Islanda in particolare e tutta l’iconografia le leggende e la musica ad essa collegata (voglio citare il gruppo post rock Sigur Ros del quale siamo entrambi fan ). Questo incontro e successiva collaborazione con lui è stato per me un regalo inaspettato e prezioso perché finalmente ho potuto suonare tutta quella musica che fino a quel momento avevo solo ascoltato e amato.
Ci saranno dei vostri brani inediti in futuro?
Ho provato a rivolgere questa domanda ad Arturo ma poi mi è venuta in mente la frase de Il Signore degli Anelli detta da Frodo a Gilmor : “non rivolgerti agli Elfi per un consiglio, perché ti diranno sia no che sì ….”. Comunque mi auguro di sì.
ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo La primavera AIST: i nostri eventi!
– Leggi l’articolo Tolkien al Salone del Libro di Torino 2017!
LINK ESTERNI:
– Vai all’L’AIST al Salone Internazionale del Libro
– Vai al sito del Salone Internazionale del Libro
.

Inauguriamo oggi una nuova rubrica del nostro sito: i Saggi Hobbit!
Il saggio di Elisabetta Marchi che viene proposto qui è un testo importante. Già in passato questa socia dell’AIST ha dato prova di sapere applicare mirabilmente la propria formazione sociologica alla lettura dell’opera di Tolkien. Suo è il saggio
Fin dalle letture allegoriche degli anni Cinquanta, che vedevano nella Contea di Saruman una critica ai governi laburisti del decennio 1945-55, rigettate da Tolkien stesso (vedi lettera n.181); passando per quelle diametralmente opposte degli anni Settanta, con il saggio di Robert Plank “Tolkien’s View of Fascism” in Tolkien Compass (1975); fino alle più recenti letture anarcocapitaliste di Carlo Stagnaro e Alberto Mingardi in Tolkien politico (2003), i critici non hanno mai smesso di tirare quel capitolo da una parte o dall’altra.
Elisabetta Marchi si limita a leggere ciò che c’è nella storia di Tolkien, l’essenziale, e fa cadere in un attimo molti castelli di carta. Innanzi tutto quelli di chi ha voluto leggere nel celebre capitolo un’allegoria del cosiddetto totalitarismo novecentesco.
L’autrice però è attenta a non cascare in facili semplificazioni, ed entra piuttosto nel merito di questo passaggio, constatando come la Contea che subisce la violenta trasformazione non sia già più una società tradizionale. All’arrivo di Saruman, infatti, è un luogo già in parte moderno, dove l’aristocrazia è un vago retaggio, le differenze di censo prevalgono sulle differenze di status, l’etica della common people prevale su quella gentilizia, ecc.
C’è infine un ultimo elemento di riflessione, forse il più spinoso del saggio, e riguarda un aspetto caro a Tolkien: l’esercizio del libero arbitrio rispetto alle imposizioni delle circostanze. Libero arbitrio significa esercizio della libertà di scelta, dunque assunzione di responsabilità. La passività e l’inerzia della società Hobbit sotto il dominio di Saruman deve lasciare il posto al ripristino della libertà e della responsabilità in un modello sociale che però – lo si è visto – non è né statico né specchio di un ordine eterno.

Fingolfin, figlio di Finwë, è uno dei personaggi più interessanti, completi e intensi del Silmarillon. Secondo figlio maschio di Finwë, nato dal matrimonio con Indis, Fingolfin è un personaggio singolare e affascinante. Dei tre fratelli è quello la cui personalità appare meglio definita: dei tre figli di Finwë, il geniale, impulsivo ed egotico Fëanor e il saggio Finarfin, su cui tuttavia abbiamo meno informazioni (anche perché “i popoli felici non hanno storia”, e Finarfin è colui che raccoglierà in una pace dolente i frutti dell’operato della sua famiglia), Fingolfin è quello che appare più simile al padre, con cui condivide lungimiranza, capacità di analisi e senso della famiglia, dotato della capacità (e del coraggio) di porsi di fronte al fratello Fëanor (di cui condivide alcuni tratti di carattere, pur essendo più equilibrato) e di proseguirne i disegni. Due sono gli eventi che illuminano la figura di Fingolfin: la riconciliazione con Fëanor, a valle di una lunga contesa, e l’adesione alla ricerca dei Silmarilli. La prima è una necessità, dettata dal senso della famiglia e della gerarchia. Fingolfin crede fermamente nella doverosità della sua riconciliazione e nella promessa verso il fratello, anche se ciò non comporta una soverchia simpatia nei suoi confronti. Fingolfin è consapevole del ben scarso amore del fratello nei suoi confronti e, a sua volta, non ne nutre molto: come Fëanor, è dotato di sentimenti forti e radicati. Tuttavia, in una società che richiama fortemente i valori del clan, la posizione di un fratello maggiore, peraltro dotato di grandi meriti come Fëanor, deve essere rispettata. In modo non dissimile, Finwë si esilia volontariamente per tutta la durata dell’esilio di Fëanor a Formenos, al punto da dichiarare di non poter essere re fintantoché il figlio fosse stato esiliato.
L’adesione alla sostanzialmente fallimentare quête di Fëanor, che contrasta con la prudenza di Fingolfin, deve invece essere inquadrata non tanto (o non soltanto) nell’ambito di una vendetta familiare per la morte di Finwë e/o per il furto dei Silmarilli stessi, quanto invece una rivolta contro Melkor che ha compromesso in modo definitivo il mondo che Fingolfin ama. Fingolfin, infatti, è colui che cerca disperatamente lo status quo e che, se appena potesse, se lo terrebbe stretto, pur senza rinunciare né al suo rango, né alla sua parola, quale che sia: e quindi, anche di fronte al tradimento del fratello maggiore, al quale ha giurato fedeltà, non rinuncia a seguirlo, affrontando la traversata dell’Helcaraxë, impresa titanica che altri (Finarfin in testa, probabilmente, per il citato buonsenso) avrebbero abbandonato, preferendo tornare indietro. Fingolfin è quindi un personaggio tragico, mosso da un destino ineluttabile di distruzione al quale tuttavia non ci si può consegnare senza lotta. In una casata, quella di Finwë, caratterizzata fortemente da un daimon eroico, Fingolfin rappresenta la componente tragica, in opposizione a Fëanor, che ne rappresenta l’elemento maledetto, pretendendo di modificare il mondo con la propria volontà (in un orizzonte più schopenhaueriano che nietzschiano), e Finarfin, che raccoglie i resti della follia del mondo tentando di curarne le ferite (testimone raccolto da Finrod e, infine, da una rinsavita Galadriel che, nell’ultima parte della sua esistenza nella Terra di Mezzo, di preoccuperà di guarire, non di dominare). Fingolfin intuisce benissimo dove le sue scelte condurranno lui e la sua famiglia, tuttavia la strada da prendere è una e una soltanto, quella della parola data: il giuramento di Fingolfin non è da meno di quello di Fëanor, anche di fronte al tradimento, e Fingolfin e la sua famiglia ne pagheranno le conseguenze con sconcertante consapevolezza.
È quindi la svolta drammatica della Dagor Bragollach a rivelarlo per ciò che è: la galoppata verso Angband, con una furia che lo rende simile ad Oromë, la sfida a Melkor, che ricalca la maledizione lanciatagli dal fratello, sono elementi che evidenziano certamente una mancanza di valutazione del pericolo che sfiora la follia, richiamando l’esaltata smania di Fëanor, ma che sono riconducibili ad un dovere che travalica la vita stessa, con, in più, un elemento interiore tragico e potente che induce ad un coinvolgimento emotivo e ad una pietas che a Fëanor, oggettivamente, non è possibile tributare. Una pietas eguagliata solo da quella provata per Fingon, altro personaggio di statura classica, il cui comportamento con Maedhros non a caso replica quasi pedissequamente (anche se con una componente maggiore di calore umano) il rapporto del padre e dello zio. Ma è l’invocazione lanciata a Manwë Súlimo nell’ora del dolore dei Noldor, toccante di pietas appunto, a suggellare il destino tragico della famiglia. Solo Éomer, a cavallo sulla collina, che canta disperato per la morte dello zio e della sorella contemplando la fine del proprio mondo, provoca lo stesso sentimento. Tuttavia c’è anche un altro elemento, veramente notevole e distintivo del personaggio: Fingolfin è l’unico a sfidare Melkor in persona, esattamente come Finwë, che fronteggia impavido Morgoth in cerca dei Silmarilli. Non Fëanor, al quale Melkor ha rubato i Silmarilli ma che non degna di uno scontro diretto. Non suo figlio Fingon, che, nella sua triste parabola, muore con ignominia, sfracellato dalle mazze dei nemici, senza che nessuno si muova per lui, per raccogliere il suo povero corpo.
Fingolfin è l’unico al quale Melkor risponda, esattamente come a suo padre (ci sarebbe anche Lúthien, ma è un’altra situazione). Fingolfin è considerato da Melkor se non un pari, quanto meno un nemico da considerare, la cui sfida è rilevante anche ai fini della sua immagine. Sconfiggere Fingolfin (e a caro prezzo, peraltro) è per Morgoth un punto d’onore, una sfida rilevante, una necessità quasi per affermarsi di fronte ai suoi, perché Finwë e Fingolfin sono gli unici a porsi di fronte all’abisso, al male e alla tenebra, chiedendo e sostenendo un confronto. E non è un caso che il corpo di Fingolfin sia recuperato da Thorondor perché non sia profanato: un onore che Manwë, cui Thorondor risponde, ha voluto tributare ad un eroe con statura da semidio. Il risultato è quello di un personaggio ricco di sfumature, che Tolkien destina evidentemente alla grandezza e al comando molto più di quanto non fosse Fëanor. È quindi naturale l’avvicendamento con il fratello, che per Maedhros, al quale non sfugge, dopo il rogo delle navi, il fatto che il giuramento sia incompatibile non solo con qualsiasi idea di governo ma quasi con la vita e il mondo, perché, così come concepito dalla mente paranoica di Fëanor, travalica ogni legge e ogni essere vivente. Del governo di Fingolfin, come in ogni romanzo cavalleresco che si rispetti, non si sa nulla, se non che fu un buon re, come nelle saghe arturiane. E Fingolfin, in fin dei conti, è, fra tutti, quello più simile a Re Artù.
































