Rings 70: i due giorni
di studio dell’AIST

È stato un fine settimana intenso quello del 27 e 28 settembre a Dozza Imolese, dove, nella suggestiva sala grande della rocca sforzesca, l’AIST ha celebrato a modo suo il settantennale della pubblicazione di The Lord of the Rings. E il modo dell’AIST è come al solito organizzare conferenze che approfondiscano i vari aspetti dell’opera del Professore. Al tavolo dei relatori nell’arco delle due giornate si sono alternati studiosi dell’AIST, traduttori, accademici e divulgatori tolkieniani, provenienti da vari angoli d’Italia e appartenenti a varie generazioni.
Tuttavia il primo dato che è bello rilevare riguarda la partecipazione. A fronte di argomenti anche complessi e quanto mai variegati, la sala da sessanta posti è sempre stata piena o quasi, e non solo di soci e socie dell’AIST. Andrebbe aggiunto anche un dato anagrafico non secondario: oltre metà dell’uditorio era giovane.

A Dozza i nuovi progetti di studio dell’AIST

Sono stati tre giorni intensi il 25-26-27 aprile scorsi, al centro studi La Tana del Drago di Dozza (BO), intitolati The Road Goes Ever On: i nuovi progetti di studio dell’AIST. I primi due sono stati dedicati a lanciare spunti per gli studi tolkieniani dell’Associazione, mentre il terzo, domenica, ha visto le relazioni aperte al pubblico, nel Teatro del borgo, su La caduta di Númenor e la serie The Rings of Power, tenute dai soci Stefano Giorgianni, Paolo Nardi e Alessandro Leonardi.

Lo Hobbit: la ristampa e l’audiolibro

Non capita spesso di poter dare due buone notizie in una volta. La prima è che tra pochi giorni arriverà in libreria la ristampa dello Hobbit nell’edizione uscita nel novembre scorso, forse la più bella mai realizzata, con le illustrazioni di Tolkien, che mancava dagli scaffali da tre mesi. La nuova traduzione è stata emendata da alcuni errori e migliorata in tanti piccoli dettagli. La seconda notizia è che è già disponibile sul portale Storytel l’audiolibro dello stesso volume, realizzato da un doppiatore e lettore che è anche appassionato tolkieniano: Riccardo Ricobello.

Dozza, l’8 marzo riapre la Tana del Drago

Tana del Drago a DozzaDopo la chiusura dei mesi invernali, l’8 marzo riapre la Tana del Drago, la sede dell’AIST e del Centro Studi Tolkieniani in quel di Dozza, il borgo sulle colline emiliano-romagnole famoso per la sua rocca sforzesca.
Per un’associazione di volontari come la nostra non è un impegno da poco quello di garantire le aperture nei weekend nei mesi in cui il clima consente le gite e le visite al borgo. Tuttavia la Tana del Drago rimane un punto di riferimento importante per i soci e le socie dell’AIST, un luogo che è stato costruito e arricchito, anno dopo anno, grazie all’impegno collettivo e alle donazioni. Tana-del-DragoOltre al bookshop, dov’è possibile acquistare i libri di Tolkien e svariati saggi e volumi illustrati sulla sua opera, la Tana offre una sala per le videoproiezioni, con una selezione di documentari a tema; una stanza dei giochi, con una notevole collezione di giochi da tavolo ambientati nella Terra di Mezzo; al piano superiore c’è la galleria d’arte con le esposizioni di opere ispirate al mondo di Tolkien realizzate da alcuni dei più noti artisti e artiste fantasy del nostro Paese. Il nuovo progetto in cantiere è anche la biblioteca di Tolkien, una stanza nella quale in futuro saranno disponibili per la consultazione moltissimi volumi di saggistica raccolti dall’Associazione nel corso degli anni.

La Caduta di Númenor esce oggi in libreria

Libreria BompianiPer certi versi si potrebbe dire che La Caduta di Númenor, il volume curato da Brian Sibley in uscita il 15 gennaio nella traduzione italiana di Stefano Giorgianni (Bompiani € 35), rappresenta un’opera di “servizio”, senza sminuirla affatto. Anzi, il volume ha un grande merito proprio per come è stato concepito dal suo curatore. Sibley ha raccolto i vari scritti tolkieniani che riguardano la Seconda Era, prendendoli dalle Appendici del Signore degli Anelli, dal Silmarillion, dai Racconti Incompiuti e dalla Storia della Terra di Mezzo, e ha disposto gli eventi in sequenza cronologica. In questo modo, pur riproponendo testi già pubblicati, si facilita la comprensione di un pezzo di storia così cruciale per tutto ciò che verrà dopo nell’evoluzione del mondo tolkieniano. Si tratta in buona parte dell’arco temporale che viene molto liberamente riassunto nella serie Amazon Gli Anelli del Potere, e che qui invece può essere letto nella sua versione originale (con gli impietosi confronti del caso…).

Freud, l’ultima analisi: un film tolkieniano

Gli appassionati tolkieniani potrebbero andare a vedere il film di Matt Brown Freud, l’ultima analisi – basato sull’incontro immaginario tra un Sigmund Freud morente e il professor C.S. Lewis, nel 1939 – anche solo per vedere riassunto il rapporto tra Tolkien e l’amico e collega Lewis nei flash-back della vita di uno dei due protagonisti. Soprattutto potrebbero gustarsi la celebre passeggiata sull’Addison’s Walk, nel parco del Magdalen College di Oxford, durante la quale Tolkien, con i suoi ragionamenti sul mito pagano e sul mito incarnato cristiano, diede avvio al processo di conversione di Lewis; ma anche lo scampolo di riunione degli Inklings all’Eagle and Child, con la bonaria insofferenza per le lunghe letture di Tolkien. Certo risulta piuttosto implausibile che Freud avesse sentito nominare gli Inklings e in particolare conoscesse Tolkien al punto da considerarlo “brillante”, come lo definisce in un dialogo iniziale, visto che a quella data era noto soltanto come autore dello Hobbit e non pare che il padre della psicanalisi si interessasse di narrativa fantastica, né tanto meno di filologia germanica. Tuttavia è l’unica strizzata d’occhio che il film si concede quando viene tirato in ballo il padre degli Hobbit.

locandina freud ultima analisiPer il resto si tratta né più e né meno che del confronto tra un ateo razionalista e un credente cristiano sul problema di Dio, una delle più classiche diatribe dell’età contemporanea (o “post-cristiana”, avrebbe detto lo stesso Lewis). Da una parte c’è forse il più grande avversario teorico della fede, dall’altra un cristiano convertito, ovvero un personaggio che è approdato alla fede attraverso un percorso intellettuale, oltre che spirituale, partendo appunto da quella pulce introdottagli nell’orecchio da Tolkien.

Lo spunto interessante è che la richiesta del confronto, nella finzione narrativa, parte proprio da Freud, ormai condannato a morte dal cancro. Benché non sia in alcun modo disposto a muoversi di una virgola dalle proprie posizioni oltranziste, Freud è interessato ad affrontare un’ultima discussione, e proprio con Lewis, che diventa anche un’ultima seduta psicanalitica, nella quale i due si analizzano a vicenda, scambiandosi spesso i ruoli. Delle vite dei due personaggi vengono rievocati i punti nodali, dall’infanzia all’età adulta, i rapporti con le figure genitoriali, con i loro surrogati, con la figlia Anna, nel caso di Freud, afflitta dal “complesso di Elettra”, e con la fantomatica quanto realissima “Signora Moore”, per C.S. Lewis, con la quale convisse per decenni, sostituendosi al figlio di lei, suo commilitone morto in guerra. [Piccolo inciso autoreferenziale: il film avalla la tesi di alcuni biografi di Lewis, che chi scrive riprese nel romanzo Stella del Mattino (2008) dove Lewis compariva come personaggio insieme a Tolkien, secondo la quale il rapporto con la signora Moore, una volta che Lewis divenne uomo adulto, si trasformò in qualcosa di molto più simile a una convivenza more uxorio].

Mentre la discussione si dipana, in toni cordiali ma netti e senza esclusione di colpi, e i lati oscuri delle due personalità emergono insieme alle rispettive umane debolezze, dalla radio giungono le notizie dell’imminente scoppio della seconda guerra mondiale. Frammenti di discorsi di Hitler contro il giudeo-bolscevismo che minaccia l’Europa; quelli del primo ministro britannico Chamberlain (mentre quello celeberrimo di re Giorgio VI ci viene risparmiato, perché la radio viene accesa quando è appena finito: e questa forse è una seconda mezza strizzata d’occhio allo spettatore, visto che rimanda a un bellissimo e pluripremiato film di una dozzina d’anni fa); e i rapporti sui bombardamenti della Polonia da parte della Luftwaffe, già attesa anche sui cieli di Londra. Il tutto intervallato da musica sinfonica, snobbata come un tedioso riempitivo, ma in realtà importante nel finale, almeno quanto l’ultimo gesto di Freud (no spoiler).

Freud è morente proprio mentre il mondo inaugura un nuovo grande massacro, dopo quello da cui Lewis è uscito con una ferita, un trauma da esplosione, e una promessa all’amico morto che gli condizionerà la vita. Ma perché, nell’ora più buia dell’Europa, cercare il confronto proprio con quest’uomo più giovane e tanto diverso? Perché pretendere di confutare Dio per morire ancora più convinto delle proprie convinzioni? Per tutto il film è questa la domanda che aleggia sulla vicenda e che gli stessi personaggi si fanno. Ovviamente la risposta non è fornita dai dialoghi bensì dalla trama stessa, o proprio dalla situazione che racconta. Un momento estremo, per la storia mondiale e per un uomo che ha fatto la storia del pensiero occidentale, il quale sa benissimo che dentro ogni essere umano c’è un potenziale tiranno, un piccolo Hitler irrazionale da tenere a bada e da sconfiggere. Dall’altra parte c’è uno che, senza rinnegare la ragione né la necessità di difendersi, ma rigettando il meccanicismo del “Dottor Sesso”, ribadisce il paradossale messaggio evangelico, l’amore per il prossimo, nonostante e anzi forse soprattutto perché il prossimo è tutt’altro che amabile e la storia sembra sprofondare di nuovo in un baratro senza fine. I due non hanno niente in comune, se non l’essere umani, due esseri umani che si trovano nel frangente estremo: la fine della vita individuale per uno di loro, che di lì a tre settimane praticherà su di sé l’eutanasia per porre fine alla propria sofferenza, e la guerra che mette a repentaglio la vita di tutti. Quei due non saranno mai d’accordo sull’esistenza di Dio, eppure potranno continuare a parlarne fino all’ultimo istante, perfino sotto le bombe, perfino a un passo dalla morte, perché farlo è continuare a porsi la questione del senso dell’esistenza e della storia, la questione cui l’umanità non può sottrarsi, quella con la Q maiuscola. E perché domandarsi significa precisamente essere umani.

Cosa c’entra tutto questo con Tolkien? Be’, c’entra, se è vero quello che ricordava Verlyn Flieger nel suo imprescindibile Schegge di luce (Marietti, 2024), rispondendo alla domanda sul perché si dovrebbe prendere sul serio l’opera di Tolkien:

“Perché affronta in modo diretto, anche se in maniera assai creativa, i due argomenti spinosi, imbarazzanti e persino tabù che il nostro tempo tende a evitare quanto più possibile: la morte e il rapporto tra l’umanità e Dio”.

 

Si potrebbe aggiungere che li affronta senza avere la pretesa di risolverli in maniera dottrinale, ovvero tenendosi alla larga da qualsivoglia intento catechistico o apologetico. Ecco, il film di Brown in effetti racconta un immaginario quanto realistico confronto sugli stessi temi universali. Ed è per questo che allo spettatore tolkieniano è parso che il Professore aleggiasse sul film ben oltre il breve cameo che gli viene dedicato.

Una nota finale sulle prove attoriali. Oltre al solito gigantesco Anthony Hopkins nei panni di Sigmund Freud, nella parte di C.S. Lewis c’è un bravissimo Matthew Goode, un attore troppo spesso sottoutilizzato nella cinematografia britannica o relegato a ruoli secondari. Ma bravissima è anche la giovane attrice tedesca Liv Lisa Fries nel ruolo di Anna Freud, che è di fatto la terza protagonista del film. Film che, per altro, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo dramma di Mark St. Germain, a sua volta tratto dal saggio The Question of God di Armand Nicholi.

Insomma, Freud, l’ultima analisi è qualcosa di più dell’ennesimo film biografico su Freud, e anche per questo facilmente sparirà in fretta dalle poche sale. E però sempre meglio in sala, se si può. Alla peggio, presto o tardi approderà sulle piattaforme.

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Parole dipinte: dialogo tra arte e letteratura

Parole DipinteDal vocabolario Treccani: “ècfraṡi (o ècfraṡis; anche èkphrasis) s. f. [adattamento, o traslitterazione, del greco ἔκϕρασις, derivato da ἐκϕράζω «esporre, descrivere; descrivere con eleganza»]. – Nome che i retori greci davano alla descrizione di un oggetto, di una persona, o all’esposizione circostanziata di un avvenimento, e più in particolare alla descrizione di luoghi e di opere d’arte fatta con stile virtuosisticamente elaborato in modo da gareggiare in forza espressiva con la cosa stessa descritta”.
La formula che è venuta in mente a Ivan Cavini, uno dei più noti e capaci illustratori tolkieniani italiani, socio fondatore dell’AIST, è proprio l’ecfrasi. È il progetto “Parole Dipinte”, che ha visto la luce durante l’ultima edizione di FantastikA, la biennale di illustrazione fantasy, che si è svolta a Dozza (BO) lo scorso settembre, e di cui Cavini è ideatore e direttore artistico fin dal 2014.
Tre soggetti, tre personaggi dell’universo tolkieniano, e altrettanti commenti a opera di due studiose e uno studioso dell’AIST, che hanno fatto dialogare le opere di Cavini con le pagine di Tolkien. Si tratta di una formula modulare, perché può essere riproposta per tanti dei ritratti di Cavini, e chissà che questo non accada nel prossimo futuro, visto il successo riscontrato durante FantastikA.

A Fantastika usciranno I Quaderni di Arda #4

Mentre sulla piattaforma di Amazon Prime vengono trasmesse le puntate della seconda stagione della serie Gli Anelli del Potere, con relativo strascico di polemiche tra i fan, sabato 21 settembre, a Fantastika, verrà presentato il quarto numero dei «Quaderni di Arda», la rivista realizzata dall’AIST e pubblicata per i tipi delle Edizioni Eterea (p. 403, €25), intitolato Oltre il testo: Tolkien al cinema, alla radio, in tv. Il tema monografico non potrebbe essere più attuale, perché riguarda proprio gli adattamenti dell’opera di Tolkien con i mezzi audiovisivi di massa. Gli articoli ripercorrono l’intera storia dei rapporti tra il corpus tolkieniano, la radio, il cinema e la tv. Da questo punto di vista si tratta di un libro vero e proprio, ancorché composito e scritto a tante mani, che fornisce al fandom tolkieniano del nostro Paese una panoramica unica, senz’altro la più completa esistente in italiano.

Dozza, ecco il programma di Fantastika

Rocca di DozzaL’edizione 2024 di FantastiKa, biennale d’arte e illustrazione fantastica, che si terrà a Dozza (BO) il 21 e 22 settembre prossimi, sarà tra le più ricche di sempre. A dieci anni dalla prima edizione, e in corrispondenza del compleanno di Bilbo e di Frodo, gli appassionati di arte e cultura fantasy potranno godere di una due giorni straordinaria, con incontri, mostre, conferenze, premiazioni, workshop, cosplaying, concerti, dimostrazioni di arceria, sessioni di gioco di ruolo, che riempiono il denso programma del festival. Tutto questo ovviamente potendo usufruire degli stand gastronomici e dei mercatini artigianali lungo le vie del borgo medievale.

Nel ricchissimo programma che invitiamo a consultare per intero, si possono segnalare alcuni eventi particolari. Per quanto riguarda l’arte, l’illustrazione e la calligrafia, segnaliamo in particolare il workshop di illustrazione fantastica tenuto dalla socia AIST Marika Michelazzi, e quello di scrittura elfica con il nostro socio Roberto Fontana, nonché la grande mostra che centra il tema della manifestazione di quest’anno, Draconis Forma, Mythomorphosis: Draghi ed elfi, come li vedo io. Sul medesimo tema si terrà una sessione di incontri introdotti dalla socia Lisa Emiliani: I draghi di Nausicaa e Dragon Trainer, con Francesco Filippi; I draghi nelle leggende del Nord Italia, con Francesca D’Amato; e I draghi di Dune, con il traduttore e presidente AIST Stefano Giorgianni.

Ancora, dall’incontro tra arte e letteratura, il format “Parole dipinte”, con tre incontri tenuti da altrettanti soci durante i due giorni del festival, intorno a tre ritratti di personaggi tolkieniani realizzati da Ivan Cavini, il mentore di Fantastika. Si comincia con Lo specchio di Galadriel, raccontato da Elisabetta Marchi; per proseguire con L’orrore di Morgoth, raccontato da Barbara Sanguineti; e concludere in Dialogo con Gollum, tenuto da Wu Ming 4. Va segnalata anche la conferenza che terrà Roberta Tosi dal titolo: Quando i mostri erano nemici degli dei: il bestiario tra Aldrovandi e Tolkien; al quale si aggiungono le presentazioni del libro del socio Paolo Nardi, Tempo, trascendenza e destino nell’opera di Tolkien (Fede e Cultura, 2024) e la presentazione del nuovo numero della rivista “I Quaderni di Arda”, fresco di stampa. 

E ancora le sessioni di giochi di ruolo tenute da Black Isle Society, insieme ai dibattiti sul ruolo sociale dei giochi di ruolo (Simone Errani e Andrea Cavini) e il racconto di come un gioco di ruolo possa diventare una saga di romanzi (Ivan Sgandurra e Lorenzo Pierangeli). Non mancherà, vista la vicinanza temporale e il tema caldo, un incontro sulla serie Amazon Gli Anelli del Potere, a cura di Paolo Nardi, ma anche la presentazione del Sir Gawain e il Cavaliere Verde, con il traduttore Luca Manini: Gawain, un cavaliere tra caos e cosmos. Infine vanno annunciate due anteprime nazionali. La prima è quella del documentario 1998-2023 Area Performance Silver Anniversary: the storycon, con Emanuele Vietina, e gli artisti di LuccaComics&Games. La seconda è quella della nuova traduzione dello Hobbit, con Wu Ming 4 e ancora Emanuele Vietina, e con le letture di alcuni passi del romanzo realizzate dal doppiatore Riccardo Ricobello. 

Ma ci sarà anche la consegna dei draghi d’oro da parte degli organizzatori del festival e dei rappresentanti dell’amministrazione comunale, come già era stato nella precedente edizione, il premio per le personalità che hanno dato un particolare contributo alla diffusione del fantasy in Italia. Quest’anno tocca alla scrittrice, giornalista e radioconduttrice Loredana Lipperini, al traduttore e saggista Edoardo Rialti, all’illustratore e pittore Vittorio Bustaffa, al character desgner e animatore Sandro Cleuzo. Ciascuno dei premiati terrà anche nei due giorni una propria conferenza. E ancora ci saranno ulteriori workshop, firmacopie di artisti, incontri con illustratori e illustratrici, un concerto dell’Arthuan Rebis Duo, visite guidate alle mostre personali e collettive, tavole rotonde, sfilate di cosplayer. Gli incontri si terranno tra la Rocca, il Teatro comunale e la Tana del Drago (museo e sede AIST), ma tante attività si svolgeranno anche per le strade e i vicoli del borgo.

Se ne vedranno e sentiranno delle belle. Qui il programma completo.

Ci si vede a Dozza, il 21-22 settembre.

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LINK ESTERNI:
– Vai al sito ufficiale di Fantastika
– Vai alla pagina facebook Centro Studi – la Tana del Drago
– Vai al sito ufficiale della Fondazione Dozza Città d’Arte
– Vai al sito di Ivan Cavini

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Vanno in stampa I Quaderni di Arda n.4

Va in stampa in questi giorni il quarto numero dei «Quaderni di Arda – Rivista di studi tolkieniani e mondi fantastici», che quest’anno ha il suo focus nelle trasposizioni dell’opera di Tolkien sui mass media (Eterea Edizioni, €25, p. 403).
Quando sul finire degli anni Dieci, l’AIST immaginò di dare vita a una rivista di studi sull’opera di J.R.R. Tolkien e le sue molte influenze e diramazioni, non fu certo per competere con le più illustri riviste internazionali del settore, bensì per avere un punto di raccolta del lavoro svolto e dare a questo una periodicità. Quanto più è ampia l’accezione della parola “studi” che compare nel nome dell’associazione tanto più concreto deve essere l’approccio e possibilmente sedimentare qualcosa per chi verrà dopo di noi. Nell’epoca dei volatilissimi social media, dove è emigrata una gran parte del discorso d’occasione su Tolkien, fondare e portare avanti una rivista nel corso degli anni è un segnale in controtendenza e decisamente vintage. Scripta manent. E ogni nuovo numero non scaccia quello precedente, ma si somma allo stesso, dando conto, anno dopo anno, del nostro percorso di studi e andando a comporre una serie di prestigio. Questo è il modo di lavorare che predilige l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, e vale più di qualunque biglietto da visita o tirata autocelebrativa. In particolare nelle pagine della rivista si cerca di far dialogare tra loro studiosi e studiose di professione con chi invece Tolkien lo studia soprattutto per diletto, facendo collidere creativamente – anziché confliggere – cultura accademica e fandom.

Dozza, c’è FantastikA il 21-22 settembre

DozzaIl 21 e 22 settembre, nel borgo di Dozza, in provincia di Bologna, si terrà la settima edizione della Biennale d’Illustrazione FantastikA, l’evento che vede alla direzione culturale l’AIST fin dalla sua nascita e organizzato dalla Fondazione Dozza Città d’arte con il patrocinio del comune di Dozza. Il titolo di questa edizione è “LA FORMA DEL DRAGO” e si preannuncia davvero ricca di ospiti ed eventi. FantastikA quest’anno festeggia insieme all’AIST il suo decimo anniversario con il risveglio del gigantesco drago Fyrstan e tante attività artistiche, ludiche e culturali, sia nel castello sia in punti strategici del borgo dipinto di Dozza, tra cui il Centro Studi dell’AIST. Alto oltre 3 metri, con un’apertura alare di 10, il grande drago Fyrstan che dal 2016 riposa nella torre del castello di Dozza, finalmente sta per svegliarsi dopo un lungo sonno di due anni.

Scompare Bernard Hill, il Théoden di Peter Jackson

TheodenE così anche re Théoden ci ha lasciati. Nel 2020 era toccato a Sir Ian Holm, l’interprete di Bilbo nella trilogia del Signore degli Anelli; pochi giorni fa è scomparso Bernard Hill, attore iconico di due di quei film, che tutti i tolkieniani ricordano nei panni del re dei Rohirrim mentre arringa i suoi cavalieri prima dell’ultima carica di cavalleria.
Ci sono attori che diventano talmente famosi da sopravvivere a qualunque personaggio possano avere interpretato in carriera. Hill non era tra questi, aveva recitato in molti film importanti, ma mai da protagonista e il suo viso è associato a quello di alcuni celebri ruoli.

Middle Artbook di Ivan Cavini: la recensione

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«Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita? Come fai ad andare avanti, quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro?» si domanda Frodo alla fine della versione cinematografica del Signore degli Anelli. Ecco una riflessione universale, che trascende lo specifico del personaggio, e che parla di tutti noi quando arriviamo alla cosiddetta mezza età, ci voltiamo indietro e improvvisamente ci compare davanti la distesa della vita, con tutto quello che abbiamo fatto. È questa l’aria che si respira tra le pagine del secondo Middle Artbook di Ivan Cavini (Eterea Edizioni, €50), un volume che porta il sottotitolo significativo di “disegnare e costruire nella Contea”. Attenzione, non “la Contea”, ma “nella Contea”. Coreografi, scenografi, digital designer si occupano di ricostruire la Contea; un artista come Ivan ci vive dentro. E in quelle pagine, che sono anche pagine di vita, appunto – dove compaiono perfino i figli, in veste di modelli per le illustrazioni – il suo ormai lungo viaggio nell’universo tolkieniano è raccontato in lungo e in largo. Ivan Cavini infatti è uno degli artisti italiani che più hanno contribuito a dare forma e dimensione alle storie di Tolkien. Perfino le tre dimensioni, perché Ivan non è soltanto un illustratore, ma anche autore di sculture e installazioni.
Se si dovesse trovare una cifra poetica per l’opera di Ivan forse potrebbe essere questa: la mescolanza dei due mondi, quello primario e quello secondario. Elementi naturali, architettonici e perfino personaggi del nostro piano di realtà confluiscono, rivisitati, nella Terra di Mezzo. È il caso ad esempio del monumento a Walter Scott di Edimburgo, che diventa la torre di Orthanc; o di certe vette delle Dolomiti che campeggiano sullo sfondo di alcune illustrazioni; o ancora della vaga somiglianza di Beorn con Jason Mamoa. Il messaggio è chiaro: come lo scrittore pratica la contaminatio, riadatta modelli narrativi della tradizione a storie e contesti nuovi (Tolkien era un maestro in questo), così in un certo senso fa l’artista, ricontestualizzando elementi del mondo primario in quello secondario, e dimostrando così plasticamente che l’uno permea l’altro, ma anche che non si dà fantasia senza ragione, che non c’è invenzione che non necessiti di una sua ferrea ratio… e che «noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», per citare il Bardo d’Inghilterra.
Le visioni fantastiche di Ivan sono infatti sempre riportate sulla terra… di mezzo. La sua personale Contea è un lembo di Romagna incastrato tra gli Appennini e la Via Emilia. È quel borgo di Dozza dove nel corso della vita ha accumulato ricordi, immagini, visioni, e opere d’arte non soltanto sue, ma anche di tanti colleghi e colleghe, all’interno della Tana del Drago e della Rocca Sforzesca. Un paesaggio di dolci colline coltivate, con la pianura giù in fondo, un grappolo di case cresciuto intorno alla rocca, dentro la quale dorme il drago Fyrstan, una delle creazioni di Ivan, mentre altri rettili dimorano nel fossato. Un luogo dove la giovialità e il gusto del buon vivere fanno parte del carattere degli indigeni. Questo è un posto per hobbit, viene davvero da pensare sfogliando le fotografie dei luoghi dell’anima dell’artista.
Quella di Ivan è ovviamente anche una reinterpretazione, o un reenacting, se vogliamo, con elementi originali. Ci si perde a scoprire dettagli nei disegni dell’artbook, come l’apparizione del professor Tolkien nei panni di Bilbo vicino al mulino di Ted Sandyman; o l’espressione perennemente triste di Théoden in ogni disegno in cui compare, figura resa in modo particolarissimo e non filologico, chissà forse per raccontarne la predestinazione, l’eccedenza, o piuttosto un alter ego dell’artista, un cameo hitchcockiano. Ma ancora guardando il suo Radagast sciamano con la pelle olivastra, la pittura rituale in faccia e il bastone intarsiato con figure d’animali, non può non tornare su la delusione per il modo comico-grottesco con cui Peter Jackson ha rappresentato questo personaggio nello Hobbit. Quanto saremmo stati più felici di vedere sullo schermo il Radagast di Ivan Cavini – magari interpretato da Morgan Freeman o da Wes Studi – che in un singolo ritratto ci racconta molto di più sul personaggio di quanto non abbia fatto il cinema trasformandolo in un clown. Meno originale, ma estremamente evocativa la sua Galadriel, attorniata di gigli bianchi, in un omaggio evidente all’Art Nouveau, o ancora il suo ultimo Nazgûl, che invece s’ispira ai fumetti anni Ottanta come Metal Hurlant, e che campeggia in copertina.
Se le statue a grandezza naturale di Barbalbero, del troll e del balrog esposte al Greisinger Museum di Jenins sono molto legate all’immaginario jacksoniano, il drago Fyrstan è invece un esemplare unico. Accovacciato sotto le proprie ali, come sotto un tepee indiano, Fyrstan dorme nel mastio della rocca di Dozza, per risvegliarsi ogni due anni in occasione di Fantastika, il festival dell’arte e dell’illustrazione fantasy. Nella sua ultima edizione il festival ha visto premiato con il drago d’oro niente meno che Tom Shippey, e in dieci anni ha visto transitare da Dozza i maggiori artisti fantasy italiani. Fyrstan veglia sul suo uovo. Dunque è femmina. Dunque c’è un secondo drago che prima o poi nascerà, il ciclo si compie, la strada va avanti, anzi… prosegue senza fine.
Si è cominciato parlando di uno sguardo retrospettivo sulla vita e la produzione artistica. C’è una frase di Ivan Cavini che apre una delle sezioni del libro e che risuona di eco tolkieniane: «La Terra di Mezzo mi invita a rivolgere lo sguardo indietro, alla ricerca delle cose buone che abbiamo dimenticato nella frenesia del mondo moderno». Ecco, quello di Ivan non è uno sguardo nostalgico, ma indagatore, la sua è una ricerca, una quest, a cui viene voglia di partecipare. Viene voglia di conoscere l’artista, diventare suo amico. E quando la vita ha già esaudito questo desiderio, non si può che compiacersene.

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LINK ESTERNI:
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Università, a Roma Tolkien e la cosmologia

Sabato 25 novembre, presso il Dipartimento di Fisica dell’Università Tor Vergata di Roma (aula Gismondi), si terrà il convegno dal titolo “La cosmologia e J.R.R. Tolkien”. È un evento e un momento di studio originale, dato che non capita spesso che l’opera di Tolkien venga affrontata dall’angolazione delle cosiddette “scienze dure”, in questo caso la fisica e la cosmologia. È un’ottima opportunità per tutti gli appassionati di Tolkien che condividono interessi scientifici, nonché l’occasione di dimostrare come l’epocale separazione tra discipline umanistiche e scientifiche possa essere superata e ricomposta. Che questo avvenga sotto il nome di Tolkien è una cosa estremamente interessante e che non può che fare piacere. Non stupisce la presenza nel programma della scrittrice Licia Troisi, astrofisica di formazione, laureatasi proprio all’Università di Tor Vergata. 

Riportiamo qui la presentazione nelle parole degli organizzatori.

«Questa terza giornata di studio – rivolta alla diffusione della cultura scientifica e aperta al pubblico – è incentrata sul rapporto tra la cosmologia, i miti cosmogonici storici e quello creato da J.R.R. Tolkien. 

Licia Troisi

Tratteremo pertanto di alcune tra le principali rivoluzioni scientifiche e delle problematiche attuali in relazione alla visione astronomica e cosmologica presente nei testi di Tolkien. La Terra di Mezzo può infatti essere utilizzata – al pari di altre cosmogonie e osservazioni archeo-astronomiche – come strumento per aiutarci comprendere il mondo attuale. In particolare, l’impossibilità di riconciliare la mitologia della Terra di Mezzo, le cui origini risalgono al periodo del primo conflitto mondiale, con le accresciute conoscenze astronomiche dei decenni successivi, rappresentano uno dei principali motivi che impedirono a Tolkien di concludere la sua opera magna, Il Silmarillion, prima della sua morte, avvenuta nel 1973. Tuttavia, questo “fallimento” rappresenta forse uno dei più importanti lasciti scientifici del Professore di Oxford. Infatti, l’inconciliabilità delle misure astronomiche con la cosmogonia dei popoli della Terra di Mezzo echeggia con le varie crisi e successive evoluzioni scientifiche che si sono avvicendate nei millenni della nostra storia, inclusa quella che stiamo attraversando attualmente. Le attuali conoscenze sia del mondo microscopico che di quello macroscopico sembrano infrangersi contro una serie di osservazioni e problemi teorici che condividono le metodologie e le problematiche riscontrate dall’autore nella sua sub-creazione. L’obiettivo non è quindi di evidenziare fortuite o forzate coincidenze, ma di trarre spunti ed insegnamenti presenti nel dettagliato mondo speculativo di Tolkien per l’investigazione e la comprensione del nostro universo.

La giornata di studio è rivolta ad un pubblico non specialistico ed ha carattere interdisciplinare.»

Ed ecco i programma:

09:00-09:30 Saluti istituzionali: Roberta Sparvoli (Direttrice Sezione INFN di Roma Tor Vergata) , Pasquale Mazzotta (Direttore Dipartimento di Fisica, Università di Roma Tor Vergata) 

9:30-10:05 Luca Signorelli: Una Materia Oscura: l’evoluzione della cosmologia di Tolkien fra tradizione epica, storiografia e scienza 

10:05-10:40 Francesco Berrilli (Dip. Fisica, Università di Roma Tor Vergata, Accademia Nazionale dei Lincei): La mutevole visione del Sole, da centrale a carbone a fucina termonucleare  

10:40-11:15 Licia Troisi (astrofisica, autrice): La Sub-creazione tra realismo e sospensione dell’incredulità

11:15-11:45  Coffee break (sala adiacente Grassano)

11:45-12:20 Giuliano Giuffrida, (Biblioteca Apostolica Vaticana): Le stelle e Tolkien 

12:20-12:55 Roberto Buonanno (INAF, Dip. Fisica, Università di Roma Tor Vergata): Irruzione del concetto di infinito nella Scienza 

12:55:13:50 pranzo (sala adiacente Grassano)

13:50-14:25 Massimiliano Lattanzi (INFN e Università Ferrara): Crisi cosmologiche: dalla Terra di Mezzo alla cosmologia moderna 

14:25-15:00 Marco Casolino (INFN): Niente magia siamo elfi: il rapporto tra scienza, tecnologia ed arte in Tolkien

15:00-15:35 Dario Gasparrini (INFN): Sbirciando oltre la Porta della Notte: lo spazio profondo e Arda 

15:35-16:10 Delio Proverbio (Biblioteca Apostolica Vaticana): La terra sospesa fra le corna di un toro. La tradizione di un mito cosmologico pre-islamico 

16:10-16:40 Coffee break (sala adiacente Grassano)

16:40-17:15 Mafalda Stasi, (Coventry University): Scontro tra titani: Genesi e sviluppo di un “fatto” scientifico

17:15-17:30 Dario Del Moro (Dip. Fisica, Università di Roma Tor Vergata,): Comprendere l’Universo: Galileo, metodo scientifico, osservazioni e deduzioni dal cosmo 

17:30-18:30 Il cosmo e Tolkien. Tavola rotonda.

18:30-19:30 Visita presso Laboratori camere pulite università – INFN 

Ci sono ancora posti liberi: per iscriversi inviare una email all’indirizzo prospettive.dello.spazio@gmail.com 

 

 

Recensione: La Strada perduta e altri scritti

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Il quinto volume della Storia della Terra di Mezzo

È il segreto di Pulcinella o, se si preferisce, il segreto di chi studia, traduce, compulsa le opere di Tolkien, che la Storia della Terra di Mezzo sia un mare magnum difficile da gestire. Tra l’altro, leggendola oggi, finalmente in traduzione italiana, traspare anche lo sforzo dei redattori editoriali per rendere ben distinguibili le parti di testo vero e proprio intervallate dai lunghi commenti filologici e dai raccordi inseriti da Christopher Tolkien (1924-2020), il curatore dei dodici volumi. Quello che infatti Christopher tenne a mostrare in quest’opera monumentale era il processo creativo di suo padre, per accumulazione, correzione, riscrittura. Nella prima parte di questo quinto volume, ad esempio, si tratta delle varie versioni della Caduta di Númenor; nella seconda, si trovano invece ulteriori versioni degli Annali di Valinor, di quelli del Beleriand e dell’Ainulindalë.

Se Tolkien senior fosse vissuto oggi, probabilmente niente di tutto questo sarebbe stato possibile, perché la scrittura digitale si basa essenzialmente sulla ricorsività ed è assai raro che vengano conservati i file elettronici con le bozze e le versioni di avvicinamento a un’opera narrativa compiuta. Tolkien invece conservava maniacalmente tutto. Senonché le versioni dattiloscritte a macchina delle sue bozze sono relativamente poche, per lo più scriveva a mano, spesso a matita, cancellando e correggendo, e con il passare dei decenni quella grafia è sbiadita, a tratti illeggibile. In altri casi invece i materiali si sono conservati discretamente. L’impresa nell’impresa è stata quella di Christopher, quando ha deciso di mettere in ordine quella montagna di carte. 

La domanda – sempre implicita per i lettori, eppure spontanea – è “cui prodest?” Chi leggerà davvero tutto questo materiale nel dettaglio? Forse solo gli appassionati filologi della creatività tolkieniana, appunto, ma chi altri? Ecco, una risposta è questa: i cercatori di tesori. Dentro i volumi della Storia della Terra di Mezzo si celano tesori. Bisogna andare a cercarli e scavarli fuori, tra una riscrittura e un commento esterno, tra una sigla e un frammento riportato da un foglietto volante scappato fuori da un faldone. 

Il quinto volume della Storia della Terra di Mezzo, da poco pubblicato da Bompiani in un’edizione bellissima – co-tradotto da Edoardo Rialti e dal presidente dell’AIST Stefano Giorgianni, con la consulenza di quattro nostri soci e una socia – porta il nome del tesoro proprio nel titolo: La Strada perduta e altri scritti.

Il tesoro

 La Strada perduta è uno dei romanzi incompiuti di Tolkien, nato da una sorta di sfida o patto stretto tra Tolkien e l’amico C.S. Lewis negli anni  Trenta:

«Un giorno L[ewis] mi ha detto: “Tollers, c’è troppo poco di quello che ci piace davvero nelle storie. Temo che dovremo provare a scrivere qualcosa noi stessi.” Ci accordammo che egli avrebbe provato il “viaggio nello spazio”, e io il “viaggio nel tempo”. Il suo risultato è ben noto. I miei sforzi, dopo alcuni capitoli promettenti, si sono prosciugati; era una strada troppo lunga per arrivare a quello che in realtà volevo fare: una nuova versione della leggenda di Atlantide. La scena finale sopravvive come La Caduta di Númenor. Questo affascinò molto Lewis (che la sentì leggere), e ci fece riferimento più volte nelle sue opere: per es. The Last of the Wine nelle sue poesie (Poems, 1964, p. 40). Nessuno di noi due si aspettava molto successo come dilettanti, e in realtà Lewis ha incontrato qualche difficoltà a far pubblicare Lontano dal pianeta silenzioso. E dopo tutto quello che è successo, il piacere e la ricompensa più duraturi per tutti e due è stato che ci siamo forniti storie da ascoltare o leggere che, in gran parte, ci piacevano. Naturalmente, a nessuno di noi due piaceva tutto quello che trovavamo nella narrativa dell’altro» (Lettera 294, 1967, in Lettere, p. 598-599).

In buona sostanza La Strada perduta consiste nell’incipit e nell’abbozzo di scaletta di quello che sarebbe potuto diventare il romanzo di Númenor. La vicenda è quella ambientata nella Seconda Era, meglio nota come Akallabêth, e che nell’edizione postuma del Silmarillion è narrata in forma di racconto storico, con pochissimi dialoghi diretti, quasi come fosse una cronaca. La Strada perduta fu il tentativo di Tolkien di concepire un racconto a cavallo delle epoche storiche del nostro mondo primario e della vicenda leggendaria di Atlantide, da lui riscritta come caduta di Númenor, utilizzando la forma del romanzo, con personaggi delineati, descrizioni ambientali e paesaggistiche, introspezione, ecc. Non sarebbe quindi stata soltanto la storia di un viaggio nel tempo, ma anche attraverso i mondi, ovvero attraverso il piano storico e leggendario. E il filo conduttore sarebbe stato il rapporto tra padre e figlio, forse addirittura un’indagine su questo legame primario, che si riflette anche nella religione di Tolkien. Le stesse figure di padre e figlio si sarebbero riproposte in un viaggio a ritroso dalla contemporaneità al medioevo fino alla leggenda antica, in una sorta di anamnesi di vite e legami padre-figlio precedenti.

La diversa forma narrativa produce anche un cambiamento nella storia. Nella forma romanzo il rapporto tra il padre Elendil e il figlio Herendil (che nella versione pubblicata nel Silmarillion diventerà Isildur) è decisamente più complesso. Il padre è già il primo dei dissidenti al regime instaurato dai re di Númenor, imbeccati e corrotti da Sauron, e che porterà Númenor stessa allo scontro frontale con i Valar e alla rovina. Ma se nell’Akallabêth, Isildur si affida ciecamente al padre e ne esegue le direttive, nella versione romanzesca Herendil è inizialmente restio a farlo, o per lo meno combattuto tra l’obbedienza al padre e quella al re. Addirittura appare affascinato dalla retorica del regime. Elendil gli spiega il proprio punto di vista: la prima obbedienza dovuta è ai Valar. E a un re che va contro i Valar non si è tenuti a obbedire. Un concetto che risuonerà nelle parole di Gandalf a Denethor nel Signore degli Anelli, quando quest’ultimo rivendica l’obbedienza dovutagli dai suoi sottoposti e il mago bianco replica dicendo che se i suoi ordini sono folli e suicidi, quel dovere d’obbedienza decade. Elendil quindi lascia al figlio la scelta, la possibilità di esercitare il libero arbitrio. E per amore del padre, Herendil sceglierà di restare dalla sua parte. Se il messaggio di verità giunge a separare il padre dal figlio, come sta scritto nel Vangelo, ecco che Tolkien quel legame non lo scinde, ma nemmeno lo dà per scontato. La scelta di Herendil è sofferta, anche se sarà quella giusta e sarà suggellata dall’ultima scena scritta da Tolkien prima di abbandonare la stesura. Un finale anticipato che – senza spoilerare – racchiude in sé la forza di un gesto tenero e sacro al tempo stesso, e che sembra arrivare dritto dall’Iliade o dall’Odissea, con parole altrettanto evocative. 

Una leggenda contemporanea

Un altro elemento interessante del romanzo abbozzato è proprio la descrizione del regime numenoreano sotto l’influsso corruttore di Sauron, perché è a tutti gli effetti quella di un regime militarista e imperialista moderno. 

La crescita della popolazione e delle attività economiche produce una spinta a lasciare l’isola di Númenor per cercare nuove terre. Per farlo occorre armarsi. E gli armamenti che Tolkien descrive sembrano alquanto anacronistici rispetto alla cultura materiale della civiltà numenoreana: navi di metallo che navigano senza bisogno del vento; torri sempre più alte, tanto robuste quanto sgraziate; fortezze inespugnabili erette contro nemici inesistenti; scudi indistruttibili e «dardi [che] sono come tuono e sfrecciano per leghe senza mai mancare il colpo». 

La società si volge alla guerra anche se non ci sono nemici all’orizzonte, perché è chiaro che presto o tardi i nemici andrà a cercarseli, invadendo le terre altrui. «Le nostre armi si moltiplicano come per una guerra infinita, e gli uomini smettono di dedicare amore e cura alla fabbricazione di altre cose per l’utilità o il diletto», dice Elendil. Ed ecco che l’imperialismo è servito su un piatto d’argento: «[Sauron] ha chiesto al nostro re di allungare la mano per crearsi un Impero. Ieri a Oriente. Domani… in Occidente». Sappiamo infatti che Númenor prima colonizzerà la Terra di Mezzo, poi si volgerà addirittura verso Valinor, per combattere il Valar e strappare loro il segreto dell’immortalità. Ed è lì, come è noto, che troverà la propria rovina e verrà inabissata. 

Anche la religione gioca un ruolo nel compattamento della società: la montagna centrale dell’isola viene spogliata degli alberi e sulla cima viene eretto un tempio tanto grandioso quanto terribile, dove nessuno prega. È dedicato al Possente, il Primo Potere… che però non è Eru, bensì Morgoth, il cui ritorno viene evocato. Ed è Sauron a fare le sue veci. Ma il regime lavora anche sul fronte culturale, reinventa la tradizione, impone una lingua suppostamente antica e recupera il patrimonio letterario per arruolarlo in battaglia, ovvero ricerca un legame anacronistico con un’antichità di comodo, ricostruendo un mito delle origini a cui tornare. Elendil dice che: «Le vecchie canzoni sono dimenticate o snaturate, stravolte in altri significati». E il figlio Herendil ribatte: «Ma alcuni dei nuovi canti sono possenti e infondono vigore». È proprio quella la loro funzione, accendere gli animi, dare forza e coraggio per l’impresa imperialista e folle in cui il regime si lancerà a testa bassa. Fino alla catastrofe.

Monarchia, esercito e religione formano un blocco totalizzante, che non accetta cedimenti né opposizioni interne. Disprezzare Sauron è considerato tradimento.

Quello che colpisce di questa descrizione è la sua modernità, si diceva. Tanto le dinamiche sociali, culturali e di potere quanto gli armamenti (navi di ferro senza vele e missili a lunga gittata) ricordano da vicino i regimi militaristi e dittatoriali del Novecento, quelli che negli anni della stesura di questo abbozzo di romanzo si erano ormai consolidati e marciavano rapidamente verso un conflitto esiziale. Nella seconda metà degli anni Trenta, Mussolini e Hitler si accingevano a firmare il Patto d’Acciaio che li avrebbe visti scatenare la Seconda guerra mondiale, mentre Stalin in Unione sovietica finiva di eliminare gli ultimi oppositori politici interni con le celebri “purghe”. La corsa agli armamenti era lanciata, e le società si preparavano allo scontro innescando dinamiche “totalizzanti” molto simili a quelle descritte da Tolkien per Númenor sotto l’influsso di Sauron. A volerla dir tutta, ci si potrebbe spingere fino a cogliere un valore profetico nella tragica vicenda di Númenor, che alla fine sfida gli dèi e viene schiacciata, letteralmente sommersa. Un destino che prefigura quello del Terzo Reich e dei suoi alleati, di lì a una manciata d’anni.

Lingue & Etimologie

Certo, questo quinto volume andrebbe segnalato anche per almeno un altro tesoro, cioè quello linguistico, da ricercare nella seconda e nella terza parte.

Il quinto capitolo del volume contiene infatti uno pseudo-biblion, vale a dire il Lhammas o “Relazione sulle Lingue”. Ancora ci si trova in presenza di una cornice narrativa, nella quale un soggetto immaginario redige una storia delle lingue elfiche (con tanto di diagrammi ad albero), ovvero del loro sviluppo storico in corrispondenza delle vicende di Arda, con tutte le loro divisioni, migrazioni, e conseguenti diramazioni linguistiche. Com’è noto questo è uno degli aspetti salienti della mitopoiesi tolkieniana, praticamente il suo punto di partenza. L’approccio da filologo comparato spinse Tolkien a creare una storia e un’ambientazione per le sue lingue. Consapevole che gli idiomi inventati hanno il pregio e il difetto di non avere una storia, e quindi di essere troppo perfetti (vedi l’esperanto che Tolkien aveva studiato da ragazzo, per poi abbandonarlo), Tolkien optò per creagliene una, vale a dire dotare il suo mondo immaginario di un effetto di profondità anche linguistica. Tanto più questo effetto poteva risultare realistico e credibile, e quindi funzionare, quanto più di quello sviluppo linguistico si poteva dare prova. Ed ecco che oltre alla storia delle lingue elfiche, la terza parte del volume è dedicata alle Etimologie e alle radici delle parole. 

Come scrive Christopher nel suo commentario, fu un’impresa improba, perché mano a mano che le storie venivano modificate secondo l’inventiva dell’autore, anche le lingue dovevano essere adattate allo sviluppo storico. Una lingua, come la storia, è in perenne divenire, e dover svolgere due ruoli, quello di demiurgo di un mondo e di filologo delle lingue che vi si parlano, si rivelò troppo anche per Tolkien. È forse il motivo per cui non riuscì mai a produrre dei vocabolari veri e propri, se non in forma di scampoli:

«La cosa più sorprendente è il suo così scarso interesse per la creazione di vocabolari esaurienti delle lingue elfiche. Non rifece mai niente di simile al minuscolo “dizionario” della lingua gnomica originale a cui ho attinto per le appendici del Libro dei Racconti perduti. È possibile che un’impresa del genere fosse sempre rimandata al giorno, che non sarebbe mai arrivato, in cui si fosse raggiunto uno stadio sufficientemente definitivo del lavoro. Nel frattempo, quella non era per lui una necessità primaria» (p. 423).

Quella di Tolkien fu in sostanza la fatica di Sisifo, un’opera che non poteva essere compiuta, al punto che lui stesso ci rinunciò. Eppure rimane uno dei paradossi più belli e affascinanti di tutta la mitopoiesi tolkieniana, che non a caso appassiona da sempre tantissimi fan e studiosi. Certi grandiosi fallimenti individuano un’impossibilità rivelatrice, un’ossessione fertile, o, volendo, perfino un invito a proseguire il racconto per «altre mani, altre menti».

 

ARTICOLI PRECEDENTI:
– Leggi l’articolo La recensione: Tolkien e il Silmarillion di Kilby
– Leggi l’articolo Spigolature da Tolkien: la recensione di Testi
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– Leggi l’articolo Il creatore della Terra di Mezzo: la recensione

LINK ESTERNI:
– Vai al sito della casa editrice Bompiani

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All’asta la prima poesia di Tolkien pubblicata

Asta da Richard Winterton per una lettera di TolkienIl 18 luglio si concluderà la vendita di Libri, Manoscritti e Musica dal Medioevo alla Modernità della celebre casa d’aste Sotheby’s di Londra. In quell’occasione verrà bandita una copia del volume Oxford Poetry 1915, che rappresenta non solo una perla per collezionisti, ma anche un bellissimo esempio di “all star team” in un unico volume. Tra talenti in erba del calibro di Dorothy L. Sayers, Aldous Huxley e Naomi Mitchison, primus inter pares, compare anche un ventitreenne J.R.R. Tolkien, con la sua poesia Goblin Feet.

A Leeds il seminario su Tolkien costa caro

International Medieval Congress LeedsDal 3 al 6 luglio si svolgerà il convegno dedicato a Tolkien all’interno dell’International Medieval Congress dell’università di Leeds. Questa è la terza edizione curata dal professor Andrew Higgins, allievo ed erede del ruolo di Dimitra Fimi. Il tema prescelto è Networks and Entanglements e verrà declinato in sei sessioni, animate da relatori provenienti da varie università europee e americane.

Gli anelli del Potere: note su ”L’Occhio”

ATTENZIONE SPOILER

Non c’è molto da dire su questa settima puntata della serie Gli Anelli del Potere. Si tratta di un episodio di raccordo, che di fatto si svolge tutto durante il fall out dell’Orodruin, e durante il quale non accade praticamente niente di significativo. Non è un grande spoiler dire che assistiamo alla nascita di Mordor, gli spettatori l’avevano senz’altro intuito già alla fine della puntata precedente. Le trovate interessanti di questa prima stagione riguardano quasi esclusivamente gli Orchi e gli Hobbit, e la nascita di Mordor per eruzione vulcanica è una di queste. Infatti le ceneri che oscurano il sole consentiranno agli Orchi di muoversi e agire anche di giorno con disinvoltura, senza bisogno di ingombranti tabarre e tendaggi protettivi.

Galadriel & TheoPer il resto sembrerebbe di assistere alla messa in discussione del fanatismo di Galadriel, la quale si sente responsabile della catastrofe in cui si è risolta la spedizione numenoreana nella Terra di Mezzo, che è pure costata la vista alla regina. Se non fosse che la regina stessa la scavalca, uscendosene con una dichiarazione d’intenti che suona come un lugubre: “Ritorneremo!”.
Insomma 1-0 per Adar il Padre degli Orchi e la sua razza dannata in cerca di una terra («This is our land now. It is our home»), che al momento risulta il personaggio più simpatico. I Numenoreani se ne tornano oltremare scornati, mentre Galadriel e Helbrand galoppano verso il Lindon, a ricevere la probabile “lavata di capa” da re Gil-Galad.

Serie tv 004Nel frattempo gli autori trovano il modo di infilare tre immancabili citazioni tolkieniane. La scena che vede Galadriel e il giovane Theo nascosti sotto un tronco, con un orco sopra di loro che annusa l’aria, richiama immediatamente quella più celebre del Signore degli Anelli, in cui gli hobbit vengono fiutati dal Cavaliere nero.
Poco prima, nel dialogo tra i due personaggi, Galadriel è riuscita a citare la scena del colpo di fulmine tra Beren e Luthien («We met in a glade of flowers. I was dancing and he saw me there») riferendosi all’incontro col marito Celeborn – che qui viene dato per «lost», probabilmente in vista di una rentrée successiva -; e cita anche quasi testualmente la visione provvidenziale della storia che Gandalf fornisce nel medesimo romanzo: «There are powers beyond darkness at work in this world».
Ganci buoni per il gioco degli appassionati, divertissement postmoderni degli autori, che ovviamente non possono rivitalizzare una puntata dall’andamento piatto e quasi priva di colpi di scena. Nemmeno l’apparente morte di Isildur può far drizzare qualche capello, perché anche a essere completamente digiuni di materia tolkieniana, il cliché è talmente urlato che nessuno spettatore può bersela, e il dolore del padre Elendil sfuma nello stucchevole.
NoriUn tentativo di svegliare il pubblico viene fatto nelle altre due sottotrame. Lì va appena un poco meglio. Gli Harfoot/Pelopiedi si trovano finalmente alle prese con una “storta” nelle loro solide abitudini e sono costretti ad abbandonare la via già tracciata. Ci sono volute sette puntate perché questo tema, di cui fin dall’inizio si fa carico il personaggio di Nori, trovasse uno sbocco narrativo. Alla buon’ora.
E ovviamente il mistero sull’identità dell’uomo caduto sulla Terra di Mezzo si infittisce, con l’aggiunta delle tre inquietanti inseguitrici (una delle quali sembra la versione albina di Anne Lennox da giovane). La dinamica però è farraginosa: prima gli Hobbit spediscono via l’uomo delle stelle, poi, quando scoprono che è inseguito da tre vestali incendiarie, decidono di andare ad avvertirlo, perché in fondo ha fatto loro del bene. Decidetevi.
Durin IIIE poi c’è la sottotrama del mithril, quella che vede al centro Elrond e Durin Jr.
Che dire? In sette puntate non è successo ancora niente. Si sono evocati tramacci incrociati, tradimenti, si sono visti siparietti comici e drammatici, nonché abbozzi spionistici, ma i fatti stanno a zero. Cosa si salva, quindi? Più che il rapporto d’amicizia tra Elrond e Durin quello conflittuale tra Senior e Junior. Vero è che non è niente di originale: un conflitto generazionale tra maschio alfa e maschio beta. Però introduce per lo meno un elemento discorde nel tema dinastico, quello che connota fortemente i Nani tolkieniani, schiacciati dal peso dell’albero genealogico che portano sulle spalle. Almeno Durin è in rotta col padre perché non vuole abbandonare l’amico Elrond al suo destino di decadenza e spegnimento progressivo. Il vecchio invece se ne sbatte degli Elfi, dice che il loro destino è segnato e non dipende da lui salvarli. Niente di nuovo sotto il sole, ma almeno c’è un conflitto in famiglia degno di ogni serial, ancorché corredato di nasoni finti e barbe lunghe fino ai piedi.
Ciliegina sulla torta: nelle viscere di Khazad-Dûm si cela un balrog. Non è una sorpresa per i fan tolkieniani, ma… perché proprio identico a quello di Jackson? Davvero non era rimasto un avanzo di fantasia per pensarlo almeno un po’ diverso?
LennoxManca soltanto un episodio alla fine di questa prima stagione e viene da fare almeno una considerazione. Gli autori avrebbero dovuto mostrare più coraggio, lasciare perdere tanto il gioco citazionista, quanto la continuità estetica con ciò che era già stato portato sullo schermo.
Per mettere in scena la Seconda Era ci voleva un visionario; uno che tradisse i cliché invece di collezionarli con metodo in ossequio allo sguardo postmoderno, per lavorare invece meglio sugli archetipi (che non sono proprio la stessa cosa). Ma anche uno che rappresentasse Celebrimbor come un fabbro ferraio coperto di bruciature e sporcizia; Galadriel come un’avventuriera in cerca della propria fortuna e con un passato ambiguo da farsi perdonare; i Nani come dei metallari divisi tra avidità e onore; e i Numenoreani come Conquistadores in cerca di territori da colonizzare.
Sarebbero state scelte tanto più forti rispetto a una mezza via, in cui si è reinventata la storia banalizzandola, senza discostarsi più di tanto dall’immaginario jacksoniano. La materia su cui lavorare c’era, c’è ancora forse. Resta da sperare – senza garanzie – in qualche buon cliff hanger nell’ultimo episodio e nella capacità degli strapagati scriptwriters amazonici di fare finalmente decollare questa storia nella seconda stagione.

 

Gli Anelli del Potere: note sul sesto episodio

ATTENZIONE AGLI SPOILER

Serie tv 001Alla fine di questo sesto episodio degli Anelli del Potere, quasi interamente dedicato ai combattimenti e concluso dallo stapparsi dell’Orodruin, dove sappiamo verrà forgiato l’Unico Anello, verrebbe da dire: finalmente un po’ d’azione. Non si tratta ancora delle grandiose battaglie a cui ci aveva abituato Jackson, perché in questa fase della storia le forze del male si stanno ancora riorganizzando, e non proprio coordinandosi alla perfezione, a quanto pare. Ma almeno si combatte, due sottotrame finalmente si intrecciano e – forse di conseguenza – anche i dialoghi acquistano più significato rispetto a quanto si è ascoltato finora.
Le citazioni jacksoniane in questo sesto capitolo si sprecano. L’atmosfera di attesa degli orchi al villaggio degli uomini cita alla lettera quella prima della battaglia del Fosso di Helm ne Le Due Torri, con tanto di voce fuori campo sulle immagini rallentate di donne, vecchi e bambini, e immancabile messaggio di speranza molto tolkieniano.
Il primo scontro con i cattivi invece ha una dinamica molto simile alla Battaglia di Baywater, quella con la quale sul finale del Signore degli Anelli (romanzo, non film) gli hobbit insorti sconfiggono gli usurpatori della Contea. Nella serie c’è l’aggiunta del fuoco ed è una scena notturna, ma l’idea di chiudere i nemici tra due barricate fatte con i carri e bersagliarli di frecce è un’evidente citazione letteraria.
Serie tv 002Bisogna tuttavia riconoscere che questi scontri armati sono più realistici di quelli jacksoniani. Innanzi tutto perché avvengono tra piccoli contingenti, poche centinaia o addirittura decine di combattenti, tutti interpretati da attori in carne e ossa. E in secondo luogo perché la fatica del corpo a corpo traspare di più, e l’unica che compie prodezze marveliane è la solita Galadriel, quando arriva con i rinforzi (ecco un’altra citazione, della cavalcata dei Rohirrim, anche se in questo caso sono numenoreani). Lei in effetti mentre combatte a cavallo pare un cosacco del circo di Mosca, ma tutti gli altri sono assai più normali nel modo di combattere, e con meno “addizioni digitali” rispetto ai guerrieri di Jackson.
Serie tv 003Arondir, l’elfo eroico che è rimasto a combattere con gli Uomini, lo fa in effetti con la destrezza tipica della sua razza, ma senza esibirsi nei “numeri” del Legolas interpretato da Bloom. Può perfino capitargli di essere trascinato giù da un tetto e di soccombere sotto la presa di un orco enorme, salvo intervento provvidenziale dell’amata Bronwyn. Dopodiché la gente (di qualunque razza sia) negli scontri muore perché viene infilzata da una lama o trafitta da una freccia o calpestata dai cavalli, e le ferite sanguinano sul serio, anche copiosamente. Come quella della stessa Bronwyn, che quasi ci lascia le penne (e casomai la cosa del tutto inverosimile è trovarla a battaglia vinta abbastanza in forma per colloquiare con la regina Mìriel e per acclamare il nuovo re Halbrand).
Ma inutile girarci attorno, perdendosi negli scontri armati. Perché la questione affrontata di peso in questo sesto episodio è quella degli Orchi.
Serie tv 004Lo spietato Adar, interpretato da un mesmerico Joseph Mawle, senz’altro il migliore attore della serie in scena finora, aveva già lasciato intendere di avere una visione politica. Qui finalmente la esplicita. Non solo nel discorso iniziale alle sue truppe orchesche, che chiama “fratelli” e “figli”, e che incita a prendersi un posto (non al sole) nella Terra di Mezzo. Soprattutto lo fa nel dialogo con Galadriel che lo ha catturato. I ruoli sono invertiti rispetto alla prima apparizione, quando era Adar nel ruolo di carceriere e l’elfo Arondir in vincoli. Galadriel lo interroga e le cose che gli dice lasciano trasparire la metà in ombra dell’elfa eroica; ombra che finora era stata soltanto evocata a parole. Galadriel riversa su Adar – elfo nero “orchizzato” – tutto il suo disprezzo per gli orridi Orchi. Di contro, Adar rivendica il fatto che gli Orchi sono esseri senzienti, «ognuno ha un nome e un cuore», e che sono stati anch’essi creati dall’Uno, cioè da Eru, e in un secondo tempo corrotti. Insomma anche gli Orchi sarebbero creature di Dio, secondo Adar, e di conseguenza avrebbero diritto a vivere e ad avere un posto in cui farlo.
Serie tv 005Questo fa precipitare dentro la serie uno dei grandi dilemmi irrisolti dell’opus tolkieniano, che a quanto pare gli autori non hanno avuto remore ad affrontare (si vedrà poi come e se lo risolveranno). Vale a dire l’irriducibile questione degli Orchi, che Jackson non s’era nemmeno immaginato di toccare. Sappiamo che nel corso del tempo Tolkien tornò a riflettere a più riprese sulla natura degli Orchi, i quali gli creavano un problema concettuale e teologico. Da buon cattolico non poteva digerire una razza di creature senzienti irredimibili per natura. Qualche lettore glielo fece notare, e all’amico Auden che gli chiedeva lumi su questo, Tolkien dava una risposta aperta (Lettera 269).
Nei Myths Transformed (HoMe X) passa in rassegna una serie di possibili soluzioni dell’origine e della natura di questa razza “derivata”, per così dire, e teologicamente così scomoda, ma alla fine si risolve a degradare gli Orchi al rango di bestie. «The Orcs were beasts of humanized shape», cioè sono privi di anima razionale. E a dimostrazione di questo dice che il loro modo di parlare è solo un riflesso di quello di Melkor, un po’ come i pappagalli ripetono le parole che sentono dal padrone, o come i cani che abbaiano per riprodurne la parlata, e possono pure ribellarsi per istinto, ma non per questo esercitano il libero arbitrio.
morfydd clark AmazonSe però uno legge Il Signore degli Anelli non ha affatto questa sensazione, ma tutto il contrario. Gli Orchi appaiono come una razza dotata di linguaggio e cultura e di una propria natura, ancorché pervertita e perversa. Quella a cui approdò Tolkien nel suo rimuginare a posteriori sa tanto di una soluzione di comodo, che potesse mettere buoni i teologi cattolici (o la sua coscienza di cattolico).
Ciò nonostante sul piano letterario – e qui sta la grandezza – gli Orchi rimangono un problema aperto. Rispetto al quale Adar può dunque dire la sua, e sentirsi sputare in faccia tutto il disprezzo razzista di una Galadriel nelle vesti (letteralmente) di novella Giovanna d’Arco, disposta a minacciare torture sugli orchi prigionieri per farlo confessare, e dichiaratamente votata allo sterminio della loro razza corrotta. «Anche se ci mettessi tutta questa Era, giuro di sradicarvi fino all’ultimo», dice l’eroina della serie. Non paga, prefigura di lasciare lo stesso Adar per ultimo, in modo che prima di essere giustiziato, possa vedere scomparire tutta la sua genìa.
Di fronte a questa dichiarazione di crudeltà genocida, la risposta di Adar è forse la più saggia possibile: «Pare che io non sia l’unico Elfo vivo che è stato trasformato dall’oscurità. Forse la tua ricerca del successore di Morgoth doveva cessare nel tuo specchio».
Serie tv 006Ecco che alla fine di questo sesto episodio verrebbe da dire anche un’altra cosa: finalmente un po’ di complessità. I buoni non sono del tutto buoni. I cattivi non sono del tutto cattivi. «Ci sono più cose tra il cielo e la terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia», diceva Amleto. Si potrebbe aggiungere anche la teologia. E poi segnare un punto per la letteratura e la drammaturgia.

 

Ecco il terzo numero dei Quaderni di Arda

Shippey-Gruppo-di-StudioSabato 17 settembre, durante Fantastika, al Centro Studi tolkieniani “La Tana del Drago” di Dozza, è stato presentato il terzo numero dei «Quaderni di Arda», dal titolo Beowulf a Oxford: lo stile di Tolkien (Eterea Edizioni, € 25). Non era scontato che la rivista dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani arrivasse a battezzare il suo terzo numero in quattro anni. Non solo perché si tratta di uno sforzo completamente volontario, ma anche perché rispetto ai primi due numeri la novità è che questa volta il volume non poggia sugli atti di un convegno con l’aggiunta di altri articoli. Infatti il numero 3 si compone di tredici saggi originali inediti, dei quali ben otto sono stati scritti da studiosi Aist e soltanto i due tradotti dall’inglese non sono stati scritti per l’occasione. Per un’associazione piccola e relativamente giovane come la nostra è un risultato straordinario. Questo riguarda anche la qualità dei saggi contenuti in questo n. 3, che non ha nulla da invidiare a quelli precedenti, e che affronta un territorio pressoché inesplorato.