Appunti sul discorso di Ottavio Fatica a Trento

Convegno di TrentoIl primo intervento al convegno “Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore”, il 30 novembre scorso, è stato quello di Ottavio Fatica, che ha esposto le impressioni e le riflessioni ricavate da due anni di lavoro sul testo del Signore degli Anelli. Il traduttore si era già espresso in altre occasioni, ma in questa circostanza ha tirato le somme, concedendosi uno sguardo più complessivo, e nient’affatto comodo o compiacente.
Per larghi tratti il suo intervento è parso rivolto a noi tolkieniani, come volesse ricordarci che Tolkien è un autore tra molti, e che di nessuno è possibile decretare in anticipo quale sarà il posto nel pantheon letterario. Ergersi a difensori o detrattori a oltranza di un’opera artistica è come difendere o attaccare una trincea a prescindere dalle dinamiche della guerra, per sola fede nella centralità della posizione. Libro Cultura Convergente Henry JenkinsUn’attitudine che ha portato allo stallo e allo stillicidio della Grande Guerra, tanto per dire.
Si potrebbe chiosare che acquisire questa lezione fa la differenza tra essere esclusivamente dei “fan” (fanatic) o essere anche dei lettori critici, cioè in grado di vedere le cose in prospettiva. Nell’epoca della cultura partecipativa non è necessario che le due attitudini siano in contraddizione, come sostiene da tempo il professor Henry Jenkins, e vale la pena credergli.
Bene, dunque, che Fatica abbia ripreso le più celebri stroncature del masterpiece tolkieniano, passandole in rassegna e cercando il loro nocciolo di verità. Un’attitudine corretta, appunto, se si vuole evitare lo stallo di cui sopra, dato che né le opere né le critiche vanno prese per oro colato, ma sempre contestualizzate.

Elio VittoriniInnanzi tutto Fatica ha ricordato la bocciatura dei primi editori italiani che ebbero in visione Il Signore degli Anelli, dovuta a una circostanza particolare: negli anni Cinquanta e Sessanta in Italia stavamo ancora metabolizzando il realismo americano degli anni Trenta, essendo rimasti isolati dal mondo anglofono per tutto il ventennio del regime fascista. Il Signore degli Anelli era in totale controtendenza e incomprensibile per l’intellighenzia italiana in quel momento storico. Vittorini & co. non peccavano di chiusura o snobismo, ma erano aperti in direzione della grande letteratura americana con due decenni di ritardo. Ogni intellettuale è figlio del proprio spaziotempo. A questa riflessione Fatica ha aggiunto anche un’ulteriore appunto: all’epoca i grandi nomi firmavano le traduzioni, ma in realtà per loro lavoravano i ghost writer. Leggere tra le righe: non è affatto detto che al romanzo, anche con una firma di richiamo, sarebbe toccata miglior sorte di quella che poi ebbe. I bei tempi non sono mai esistiti.
Harold BloomQuindi Fatica ha rievocato le celeberrime stroncature dei due mostri sacri della critica letteraria statunitense, Edmund Wilson e Harold Bloom (il secondo non a caso tanto avverso a quella controcultura americana che invece trovò in Tolkien un autore di riferimento).
Per costoro Tolkien era un romanziere dilettante. Ed è innegabile che lo fosse: la sua professione era un’altra e in vita ha pubblicato soltanto due romanzi e qualche racconto. Se per i grandi critici della East Coast aveva lavorato con l’ingenuità del neofita sugli stereotipi letterari, Fatica ha aggiunto che gli mancava la disinibizione e la prolificità degli autori popolari e seriali, perché la sua non è narrativa popolare vera e propria, bensì segretamente ambiziosa, colta, con più livelli di lettura. Eppure gli è toccata la sorte della letteratura popolare, fino a sprigionare tutta la «forza mitopoietica dell’archetipo» e plasmare l’immaginario collettivo di un’epoca. Ottavio FaticaIn questi equivoci del destino si cela il segreto del “caso” Tolkien.
Ancora: Il Signore degli Anelli è ripetitivo, Bloom dixit. Oh, sì. Ma noi oggi possiamo dire reiterativo, il suo ritmo è questo, è ripetitivo come lo è l’Odissea, o il ciclo arturiano. Questo, Fatica non l’ha detto. Ha detto invece che la marcia degli Ent è «grandiosa».
Per Bloom i giochi linguistici di Tolkien tradivano una lingua «troppo cosciente di sé». Altroché! Mr Canone Occidentale aveva ragione, ma non considerava un fatto: che quel giocare con la lingua sfociava nel revival di certi «trucchi» medievali riutilizzati non già per citazionismo o divertissement, ma perché Tolkien credeva nell’efficacia del loro effetto e voleva riportarli in auge (vedi la lettera 171 e vedi l’intervento della prof. Roberta Capelli allo stesso convegno trentino).

Tolkien Weekend: OrcoE poi la questione degli Orchi, falciati come burattini, come se non fossero anime perse. Quante volte gli è stato rinfacciato in vita e dopo? E non ne stiamo forse ancora parlando a distanza di decenni? Non è rimasto un problema irrisolto anche per Tolkien, che ha continuato a rimuginarci sopra fino all’ultimo? Significa che lui stesso era consapevole che qualcosa non tornava e che alla sua coscienza di cattolico rimordeva l’aver lasciato margine al predestinazionismo, ancorché per creature ripugnanti. Chi lo ha detto che certe critiche snob non possono cogliere nel segno anche se mirano da un’altra parte?
Ancora: il gioco della provvidenza. Qui lo sguardo letterario di Fatica ha dribblato le annose elucubrazioni sulla visione della storia nell’opera di Tolkien, fatte in un’ottica teologico-filosofica, per ricordarci che ogni autore, in quanto sub-creatore produce il proprio mondo letterario, dunque può svolgere la trama secondo un piano provvidenziale e affermare che questo è il senso della storia del mondo – di quel mondo, come del nostro. Ma è troppo facile farlo affermare a Gandalf, cioè a uno dei propri personaggi. È come se in un romanzo poliziesco un detective ipotizzasse chi è l’assassino (Gollum) prima ancora che il delitto venisse compiuto (ruolo e morte di Gollum) ed evocasse anche le possibili conseguenze (eucatastrofe).
IncantesimoFatica ha anche riflettuto sull’Incantesimo, chissà se è stato colto. Anche questa stoccata probabilmente era rivolta a noi lettori fan. Il teatro feerico è un’arma a doppio taglio, perché se si arriva a prendere troppo sul serio la realtà secondaria, a crederci, si rischia di sfociare nella «Illusione Morbosa». Si potrebbe aggiungere che quando un mito viene trasmesso agli altri con una finalità, messo a disposizione di un apparato di potere, cioè quando viene tecnicizzato (avrebbe detto Furio Jesi), le cose non vanno mai a finire bene. Nel Novecento si è scherzato parecchio con questo fuoco, con risultati catastrofici. Ma questo vale anche su una scala più piccola: occhio a non trasformare Tolkien in un demiurgo onnipotente, in un genio assoluto, in un sub-creatore da adorare. Rimane pur sempre un autore di storie, e peregrinare nelle sue terre alle quali sentiamo di appartenere, come direbbe qualcuno, è un’esperienza che non deve azzerare il nostro spirito critico, il nostro senso della prospettiva e delle proporzioni.
Da questo punto di vista, ha detto ancora Fatica, un vero scrittore non ha bisogno di essere difeso da chi lo critica, perché la migliore difesa è la qualità della sua scrittura. E le qualità a Tolkien non mancano, ha detto Fatica: «fantasia, visionarietà, ritmo narrativo incalzante, senso animistico della natura, solida tenuta nei passi di crescendo epico, e molto altro ancora». Infatti l’opera del Professore gode di ottima salute mezzo secolo dopo la sua morte. Che bisogno ha di essere sostenuto se non sta cadendo?
La stessa constatazione si può spendere per il testo narrativo, che non coincide con le sue traduzioni nelle lingue XY, e che non può essere sacralizzato, né caricato di «Verità», a meno che non si intenda fondare una religione (e qualcuno che vorrebbe beatificare il Professore pure esiste), trasformandosi da fan a fanatici religiosi, appunto. Se qualcuno pensa che il passo non sia breve dia un’occhiata alla storia della Chiesa di Scientology.

Tolkien writingA questo lungo preambolo sono seguiti gli appunti tecnici, che in molti, diciamocelo, avremmo voluto più estesi. «Poi ci sono i versi nascosti nella prosa. Non insisterò mai abbastanza su questo punto», ha detto Fatica. E ha spiegato che questa è una caratteristica dello stile di Tolkien, come di altri autori: Dickens, Melville, perfino Calvino. La prosa poetica nel Signore degli Anelli è la sua scoperta – come già era stato per Moby Dick – e nessuno può togliergliela. La scoperta di uno che la letteratura e il tradurre letteratura li conosce come nessun lettore italiano di Tolkien, ahinoi, anche se noi sappiamo la differenza tra hröa e fëa; uno che affronta la questione da traduttore, appunto, e sa che se la parola “soul” non compare nel romanzo (eccetto in una singola occorrenza, in un’immagine figurata), inserirci “anima” in traduzione è sia un problema concettuale e di lealtà al testo, sia un problema di registro. Altroché se lo è.
La prosa di Tolkien è a strati, dunque. C’è la superficie, e c’è tutto il resto, di cui nemmeno un madrelingua inglese è tenuto ad accorgersi, perché servirebbe una competenza da specialista o da accademico, qual era Tolkien, infatti. Eppure solo così si possono cogliere i punti di forza linguistici (ad esempio certe accezioni recondite) e i punti deboli sintattici (ad esempio l’abuso di avverbi), nonché le tantissime suggestioni letterarie che il testo contiene.
Poi c’è la questione che Fatica stesso ha definito spinosa. Quella degli anacronismi e delle parole fuori contesto.
Fatica ha cercato di evitare gli anacronismi, ha detto, o quanto meno di non inserirne arbitrariamente. Quindi niente “fila indiana”, “in picchiata”, “panorama”, “ciao”, “valigie”, ecc. Tutti termini ultracontemporanei in italiano. Tuttavia poi si è accorto che Tolkien non era affatto così puntiglioso come il suo traduttore. E non solo per il celeberrimo drago che passa «come un treno espresso», all’inizio del romanzo.
Ad esempio Fatica nota che Tolkien ha usato gratuitamente l’espressione «night-walkers», resa celebre da Yeats nella poesia Byzantium, in cui come nel romanzo, guarda caso, si descrive un’alba (e che Fatica traduce, quasi mantenendo l’ambiguità alla fonte, con «creature della notte»).
Fatica nota pure che, in un composto simile, Tolkien si è spinto ancora più in là: «nightshade», per ogni vocabolario e per ogni anglofono il nome di una pianta, cioè la morella o la belladonna (sì, proprio l’erba che dava il nome alla mamma di Bilbo e che nel primo romanzo era evocata col nome “italiano”), e che nel Signore degli Anelli compare due volte, nel senso letterale di night / shade, ombra notturna, ma scritto in una sola parola composta. Forse un divertissement, un riferimento criptico al romanzo precedente, o forse un gioco di rimandi interni e al tempo stesso ancora più estesi, se la prima accezione è connessa a Beren e Lúthien e la seconda ad Aragorn. Chissà.
driadeTolkien ha anche usato «dryad», cioè driade, la ninfa degli alberi nella mitologia greca. Cosa ci fa nella Terra di Mezzo?, si è chiesto Fatica, definendola la nota più stonata del libro. È vero, stona, ma talmente forte che non può non essere voluta. Per scoprirne la ragione forse bisognerebbe chiedersi dove si trova questa parola, cioè nella descrizione dell’Ithilien: «Ithilien, the garden of Gondor now desolate kept still a dishevelled dryad loveliness». Nel gioco di trasposizioni geografiche di Tolkien, l’Ithilien è l’Italia, è la parte meridionale della Terra di Mezzo corrispondente all’Europa mediterranea. Tolkien ce lo trasmette a modo suo, con una parola “spia”. E non una parola a caso: “driade” ci giunge sì dal greco, ma è parola d’origine celtica, viene da “drus”, cioè quercia, e ha la stessa etimologia di “druido”. È una parola ponte tra le culture europee, che collega il Mediterraneo al continente. Ecco l’Italia, appunto, un giardino abbandonato (definizione perfetta) e decadente come l’immaginario evocato dalla figura della ninfa. Insomma potrebbe essere l’ennesimo gioco di parole-concetto in stile Tolkien, che conferma la sua autoindulgenza.
GeronzioFatica ha pure preso una cantonata, va detto, attribuendo la parentela del Vecchio Geronzio a Barbalbero (anziché a Pippin), ma sulla ridondanza onomastica ha ancora colto nel segno: Geronzio è nome greco-latino, in questo caso nome proprio di persona, che significa “Vecchio”. Se nella finzione narrativa i nomi hobbit sono tradotti in inglese, il significato del suo nome originario reso dal fantomatico traduttore con l’anglo-latino “Old Gerontius” quale doveva essere? “Vecchio Vecchietto”? “Vecchio Vetusto”? Ma del resto, compare un hobbit di nome Sancho, come il celebre scudiero di Don Chisciotte. A volte per Tolkien la voglia di giocare con i nomi era più forte delle esigenze di plausibilità.
Così, ha fatto notare ancora Fatica, nel testo compaiono “pencils”, “devils”, “devilry”, e perfino un “Lor bless you” o un “jovial”, nonché svariate citazioni bibliche. E via così.

Cover Volume unico FaticaMa perché tutto questo insistere sugli anacronismi lessicali? In fondo Fatica ha premesso che l’espediente narrativo del Signore degli Anelli è quello del manoscritto ritrovato e tradotto, dunque una parola più moderna può tranquillamente essere imputata al fantomatico traghettatore del testo verso il pubblico odierno. È proprio questo l’inghippo. Fatica “sgama” Tolkien che ricorre al suddetto espediente per garantirsi mano libera nei divertimenti lessicali, per poi diventare etimologicamente seriosissimo quando vuole indulgere nel suo vizio segreto. Così se per caso qualcuno pensava di far risalire il nomignolo “Sharkey” a “shark”, cioè “squalo”, o magari di farlo derivare dal germanico “schorck”, cioè “mascalzone”, svelando il gioco etimologico dell’autore, Tolkien in nota si premura di cambiare le regole: spiacente, ma è linguaggio orchesco, non anglosassone, e significa “vecchio uomo”. Riprova, sarai più fortunato. Inutile dire che giammai si permetterebbe questi giochetti con l’elfico o certe parole-asterisco dell’Old English, laddove invece prende assolutamente sul serio il proprio “vizio”, dedicandosi a ricostruzioni e genealogie infinite.
Questo, ha detto Fatica, è sleale nei confronti del lettore, che non può orientarsi nel rimando di specchi della “traduzione della traduzione” e al tempo stesso però è invitato a farsi linguista e fonoesteta. Nella migliore delle ipotesi questo implica l’uso di due pesi e due misure, nella peggiore equivale a invitarlo a giocare con le carte truccate. L’unico demiurgo di quel mondo, lingue incluse, è Tolkien stesso, infatti, che stabilisce norme ed eccezioni, etimi anglosassoni e traduzioni da lingue immaginate, scherzo e serietà. A queste condizioni (né potrebbero esservene altre) nessuno può davvero giocare con lui al suo gioco linguistico, per quanti ci abbiano provato e continuino a farlo. Perché la lingua viva, la lingua-mito, in cui lui credeva, esiste davvero soltanto nella storia vissuta, non inventata, e lui questo lo sapeva (non spese a caso la parola “Vice”, vizio appunto), e perché Il Signore degli Anelli non è davvero una traduzione.

microfono pubblicoQuesta è in effetti l’unica vera imputazione di Fatica a Tolkien, mossa mentre ce ne svela trucchi, giochi di parole e riferimenti a chiave, come parte integrante del suo stile letterario. Per il resto il traduttore ha imputato molto a se stesso: sviste, alcuni errori, imprecisioni, eccessive cautele in certi casi, ripensamenti tardivi. E per fortuna che la comunità tolkieniana si è mossa per segnalare quanti più errori e migliorie possibili in vista delle nuove edizioni. Questa, c’è da credere, è stata una bella novità per Fatica, forse perfino una lezione, se nel suo discorso ha sentito di riconoscere questo contributo. Chapeau. Perché i fan sono così: buoni o cattivi, ben disposti o paranoici, frustrati o conservatori… ma comunque partecipativi. E questa è la metà piena del bicchiere del fandom, ovvero il rifiuto di quella concezione «referendaria» della letteratura – così stigmatizzata da Roland Barthes – in nome di una narrativa vissuta (re)attivamente.
Difficile dire quanti presteranno ascolto a Fatica. È facile supporre invece che in molti preferiranno fraintenderlo, magari perché non si sono trovati d’accordo con le sue scelte traduttive o perché non ha mai mostrato la necessaria reverenza per Tolkien. Resta il fatto che al convegno trentino abbiamo ascoltato il pezzo di uno specialista, finalmente, come l’AIST ha sempre voluto. Uno specialista non già dell’opera omnia di Tolkien, ma di letteratura, lingua, traduzione, che si è cimentato con Tolkien. Se ci ha detto cose poco piacevoli, senza blandire né l’autore né i lettori, dovremmo essere contenti di questa schiettezza, perfino nel caso considerassimo irricevibile ogni suo argomento. Perché di questo sguardo esterno, disincantato, professionale, noi tolkieniani abbiamo bisogno per arieggiare il nostro ambiente, se non vogliamo che diventi autoreferenziale, asfissiante, asfittico.
Occorre resistere alla tentazione di tornare al calduccio del nostro abituro hobbit e chiudere fuori il mondo esterno, come dice Gildor Inglorion della Casa di Finrod, citando il quale Fatica ha concluso il suo intervento. Il mondo esterno va sfidato e attraversato. De nobis fabula narratur.

 

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LINK ESTERNI:
– Vai al sito del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’università di Trento

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Christopher, l’altro Tolkien della Terra di Mezzo

Christopher TolkienDopo il maestro, se ne è andato anche il custode della Terra di Mezzo. Come già annunciato, Christopher Tolkien, figlio di J.R.R. Tolkien, è scomparso pacificamente nel sonno all’età di 95 anni, nella notte tra mercoledì 16 e giovedì 17 gennaio al Centre Hospitalier de la Dracénie (CHD) dove era stato portato qualche giorno prima per un problema di salute al braccio che non aveva destato molte preoccupazioni. Martedì 22 gennaio si è poi svolto il funerale, per volere della famiglia, in forma strettamente privata: accanto alla vedova Baillie, i due figli della coppia, Adam e Rachel, e pochi altri amici intimi.
Un ultimo addio con discrezione, simile alla vita che aveva condotto negli ultimi 45 anni in Francia, da quando – dopo i soggiorni a La Garde-Freinet negli anni ’60 e ’70 – si era trasferito dal 1975 in una villa in campagna presso la città di Aups, nel dipartimento del Var, nel sud della Francia. «Mi siedo accanto al fuoco e penso a come sarà Necrologioil mondo quando arriverà l’inverno senza una primavera che non vedrò mai». È l’epitaffio scelto dalla famiglia per il necrologio pubblicato su Le Monde e, come tutto nella vita di Christopher, rimanda alla Terra di Mezzo. È un verso della poesia che Bilbo Baggins canta a Rivendell la sera prima che la Compagnia dell’Anello si metta in marcia. Bilbo canta la poesia dopo aver dato a Frodo la cotta di maglia in mithril e la spada Pungolo. La poesia è un brano cantato da uno hobbit ormai vecchio che ricorda gli eventi passati e si conclude con la speranza di vedere tornare gli amici dal loro viaggio, di sentire il suono «di piedi e le voci che ritornano alla porta». In questo caso, chi parte per la Terra di Mezzo è Christopher per un viaggio in cui non vedrà mai la prossima primavera.

È stato un 2019 all’insegna di Tolkien

Buone festeQuanta roba!!! È questa l’impressione che si ha scorrendo l’elenco delle attività dedicate a J.R.R. Tolkien che si sono svolte in Italia nel 2019. La nostra penisola è stata scossa da nord a sud da ogni sorta di evento che la passione per le opere dello scrittore inglese sanno suscitare. A uno sguardo d’insieme, la notizia è molto positiva. E qualche riflessione si può fare fin da subito.

1) Innanzitutto, si può dire che ormai Tolkien all’università è una presenza fissa. Solo quest’anno sono state tantissime le conferenze e i convegni tenuti in accademia (Parma, Velletri, Cagliari, Torino e infine Macerata), mentre crescono seminari e workshop tenuti negli atenei, sempre più interessati alle opere del professore (ancora Parma e Torino sulle lingue). Per non parlare della scuola, che ha visto quest’anno ben due progetti andare in porto (Ferrara e Cecina) e del mondo delle biblioteche, con una di esse direttamente dedicata a Tolkien (Bomporto, provincia di Modena).

2) In secondo luogo, cresce la consapevolezza che lo scrittore inglese sia un autore veramente mainstream, un classico del Novecento. E tutto questo produce l’effetto che sempre più i festival letterari e le altre occasioni nazionali [1] diano spazio anche all’approfondimento delle opere di Tolkien. A questo si aggiungono i corsi e seminari AIST (l’ormai storico TolkienLab di Modena e il corso invernale tra Bologna e Dozza).

3) In terzo luogo, l’ambito dell’associazionismo e delle realtà locali si fa sempre più interessante, sensibile e attento, producendo sempre attività originali in città sempre nuove (attivissimi quello di Firenze [2] e i due smial sardi di Sassari e Cagliari che si sono uniti). È un terreno talmente fertile da suscitare la nascita, rinascita o unione in nuove aggregazioni, di ben quattro nuovi smial tolkieniani (Gubbio, Pesaro e due regionali in Trentino Alto Adige e Sardegna) e la rinascita di quello di Napoli e Campania. A questo si devono aggiungere le moltissime fiere e festival dedicate al fandom, ai comics, al fantasy e anche a Tolkien, in cui l’AIST è stata spesso presente, che sono diffusi in tutta Italia [3].

4) Infine, si può ormai dire che alcuni luoghi hanno acquisito il titolo di “capoluoghi tolkieniani”. È il caso di luoghi come Dozza [4], Osasco [5], Bucchianico [6], San Marino [7] e Barletta [8], dove almeno una volta l’anno, ma spesso molto di più, vedono svolgersi eventi tolkieniani ormai consolidati. E si possono anche aggiungere pub, locande e musei come La Tana del Drago a Dozza, La locanda della Contea di Montalenghe, il Pub The Wall a Pistoia e il neonato The Sign2.0 di Pomigliano D’Arco. Sono tutti luoghi iconici eletti a sede ufficiale e ufficiosa dai gruppi tolkieniani che li frequentano.

5) Se tutto questo non bastasse, è poi sufficiente ricordare che che è stato l’anno delle mostre su Tolkien, da Oxford passata a New York e infine, ingranditasi, a Parigi. È stato l’anno del film biografico su Tolkien, passato per i festival di Taormina Film Fest e Giffoni Film Festival prima di approdare, seppur per poco e mal distribuito, nelle sale cinematografiche. È stato l’anno della prima rivista accademica tutta dedicata agli studi tolkieniani, I Quaderni di Arda. È stato l’anno della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli, il cui primo volume è stato pubblicato a fine ottobre, con un codazzo di polemiche che seguiva da un anno e mezzo. Insomma, la passione per Tolkien è più viva che mai!

 

 

A Torino, Tolkien Oltre il Confine

Alcune esperienze rimangono impresse nella memoria. E il Salone del Libro di Torino che si è appena concluso segna un passaggio importante. Per la nostra Associazione e anche per J.R.R. Tolkien in Italia. Il manifesto ufficiale del Salone era già tutto un programma: un volume che «scavalca» un muro con filo spinato. Una bambina è in cima e guarda al di là. Un mondo migliore? La fine di un incubo? Lo ha disegnato da Gipi – fumettista e illustratore italiano di caratura internazionale – e anche questo è tutto un programma.
Per capirlo si possono leggere le parole spese durante la conferenza di chiusura da Nicola Lagioia, il giovane direttore artistico di questa edizione, scrittore di successo e amante del rock: «Personalmente, che alcuni nodi venissero al pettine per ciò che riguarda il funzionamento di un certo modello e di una certa idea di cultura lo stavo aspettando da molto tempo. Questo Salone ha dimostrato molte cose che smentiscono in maniera sonora e completa una scuola di pensiero di cui evidentemente la gente è stanca e venendo qui al Salone ha detto chiaro e tondo qual è l’idea di cultura e l’idea di comunità in cui ripone speranze».
Ad esempio, non è vero che se alzi il livello il pubblico si restringe. Se alzi il livello, e lo fai in un’ottica di vera inclusione, e di vera partecipazione, può capitare che il pubblico smetta di essere pubblico, rompa il guscio odioso che separa la società dello spettacolo dalla vita reale, e (non più pubblico) si trasformi di nuovo in una comunità.

La primavera sta arrivando: l’Aist tra Trento e Dozza

Fantastika: banchetto dell'ArsTNel settembre scorso, a Dozza, al momento della fondazione dell’AisT avevamo annunciato un cambio di passo. L’evoluzione dell’Associazione che ci ha portato a divenire nazionali soprattutto per la volontà dei molti soci e dei tantissimi lettori e appassionati di J.R.R. Tolkien che ce lo chiedevano, non è stata un semplice cambio di nome. È stato anche un cambiamento di prospettive. Già da tempo l’Associazione si era arricchita del contributo di studiosi, esperti, saggisti, scrittori e docenti universitari. Ma solo un cambiamento di prospettiva ci permette ora di valorizzare al meglio tutti i contributi che ci giungono di mese in mese. Fantastika: omaggio a HoneggerE la crescita va anche dimostrata. Per questo stiamo lavorando a progetti di ampio respiro, su più fronti e a vari livelli, con l’ambizione di mettere radici solide a una pianta già germogliata, ma che deve crescere forte e aprire rami folti al cielo. Per questo stiamo lavorando alacremente a eventi che scavano un solco e che non saranno isolati, ma hanno l’ambizione di iniziare un percorso che durerà negli anni a venire. Per questo, cari lettori, preparatevi al meglio. E il meglio inizia già questa primavera.