Gli Anelli del Potere: i primi due episodi

Amazon Rings of PowerFin dal primo annuncio nel 2017, Gli Anelli Del Potere non deve solo combattere contro un’inimmaginabile miscuglio di nostalgia alimentata dalla lettura di ricordi e volti plasmati nella mente di milioni di lettori o occupati di recente dalle trilogie di Peter Jackson. Vuole dimostrare di esser in qualche modo degna del maestro o dei maestri, J.R.R. Tolkien. La prima cosa importante da dire è che, dal punto di vista visivo, è mozzafiato. Ogni frame trasuda tutti i milioni del suo budget. Non si fa abuso della computer grafica, in piena armonia con l’immaginario visivo imposto da Peter Jackson. La produzione non ha niente di televisivo e regge infatti anche una visione su grande schermo: alcune scene sembrano dei dipinti e la loro maestosità è accompagnata da una colonna sonora altrettanto potente. Il lavoro della telecamera, infatti, a volte offre all’improvviso ampi panorami al pubblico, ma per il resto non ha prospettive insolite e congela grandi scene di montaggio come i disegni colorati di una cronaca illustrata, dovrebbe sembrare familiare agli appassionati del regista neozelandese. E vengono pure citati gesti significativi del lavoro di Jackson, ad esempio quando lo “straniero” caduto richiama alla mente Gandalf  quando sussurra alle lucciole.

Il pubblico difficilmente può aspettarsi che i creatori della serie si atterranno rigorosamente al lavoro di Tolkien. Gran parte dei suoi racconti da Arda, da cui traggono ispirazione, è un lascito confuso, chiamato “Legendarium”, in parte inedito, in parte pubblicato postumo in diverse versioni. La prima stagione della serie è vagamente basata sugli ultimi due capitoli del Silmarillion. Inoltre, i diritti solo legati solo e strettamente alle due opere maggiori di Tolkien e alle Appendici del Signore degli Anelli. Impossibile seguire il “canone tolkieniano” con questi presupposti.
Ci sono due cose che possono essere attribuite, quindi, a questo tentativo di narrazione fin dall’inizio: creare un sentore di ciò che Tolkien chiamava «il quadro generale», ovvero la vera portata della sua narrazione, attraverso la quale Il Signore degli Anelli con tutti i suoi intermezzi poetici e le sue canzoni ottengono solo la profondità e la densità che costituiscono il suo fascino coinvolgente. Allo stesso tempo, creare spazio per un pathos carico di positività, una sorta di barlume di speranza che punta al di là della nostra realtà, invece di essere semplicemente più intelligente e brutale di quanto non sia, come spesso accade. In questi primi due episodi, la speranza ha fluenti capelli biondi e copre quelli che sono probabilmente i panorami più potenti della serie: la ricerca di Sauron, l’assassino di Finrod, l’avventura nel gelido nord che fallisce, ma è comunque ricompensata dal re degli Elfi con il permesso di viaggiare verso Valinor.
Prima immagine AmazonLa varietà dei popoli e il gran numero delle location, l’animazione delle creature fantastiche e la vastità degli scenari sono impressionanti. Una delle sequenze migliori (e quella che più si avvicina allo spirito tolkieniano) è quella ambientata nella città dei Nani di Khazad-dûm nel secondo episodio, dove si possono ammirare le miniere di Moria in tutta la loro potenza e conoscere il principe Durin e la deliziosa moglie, Disa. Chimica perfetta tra i due attori che regalano molti sorrisi: questa scena è l’esempio perfetto dell’equilibrio tra solennità e leggerezza che le prime due puntate riescono a mantenere.
Una leggerezza sostenuta da un fattore principale: gli episodi servono principalmente al world building, le scene corrono all’impazzata, i personaggi vengono buttati in scena e non si fa troppa fatica a seguire il filo anche per chi non è un lettore delle opere di Tolkien. Questo, però, è anche il suo difetto, perché in due episodi la serie sembra solamente accarezzare la superficie dei personaggi. Ad esempio, tutti i regni degli Elfi sono solo accennati, senza qualche approfondimento forse necessario. Anche la storyline dell’elfo Arondir e della guaritrice Bronwyn sembra essere molto complessa, mentre quella che funziona meglio è la storyline di Nori e del gigante caduto dal cielo, l’unica che forse lascia lo spettatore con tanti interrogativi.

Cop-Amazon-PrimeLa fantasia di Tolkien è tridimensionale, materica, che si dispiega sulla terra, sull’acqua e nell’aria: dalle altezze alle profondità più oscure e viceversa. I suoi personaggi viaggiano dalla luce all’oscurità, sotto le montagne e attraverso i mari, e coloro che sono fortunati tornano. Ma durante questi movimenti migratori (soprattutto all’inizio ci sono le migrazioni di popoli) si accumula una quantità così incredibile di materiale che anche chi decide di lasciar fuori alcune cose, ha ancora molto da fare. Questo è forse il problema più grande di questo tipo di serie: sono destinate a battaglie materiali con i testi. Ciò significa che il materiale non può essere steso, si potrebbe quasi dire travasato e lasciato a respirare come il vino, ma deve essere sempre ben proporzionato, strutturato in modo chiaro e presentato senza grandi cambiamenti di tempo. Invece di giocare con la materia, ciò che viene mostrato si perde in allusioni al passato, al futuro e ai meta-livelli…

Matthias Freund

 

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– Leggi il comunicato di Amazon

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