Gli Anelli del Potere: finale di stagione

ATTENZIONE SPOILER

Mi apro alla chiusura

GaladrielPer certi versi si potrebbe dire che la prima stagione degli Anelli del Potere è servita a svelare l’identità dei due personaggi misteriosi – e futuri avversari – apparsi al principio. Purtroppo questo avviene con il più classico “contro colpo di scena”, per cui si fa credere allo spettatore che costoro non siano quelli che si aspettava…ma alla fine invece sì, erano proprio loro. Il buono quindi – coerente nell’aspetto fin dall’inizio – è pronto a intraprendere il suo viaggio, e il cattivo – anche lui con indosso un coerentissimo pastrano nero – muove verso la Montagna di Fuoco. Finalmente le pedine sono sul tavolo e il gioco può cominciare. Perché questo è stata la prima stagione: una sorta di lunga (e lenta) premessa al dispiegarsi futuro dello scenario, al termine della quale sappiamo chi sono i buoni e i cattivi, ma soprattutto abbiamo visto la forgiatura dei Tre Anelli degli Elfi che campeggiano nel titolo (gli altri seguiranno, si suppone).
Va detto che nell’ultimo episodio la perizia attoriale del cast trova la sua vetta: per il finale di stagione attori e attrici hanno dispiegato le proprie doti per caricare di pathos o inquietudine le scene, come nelle puntate precedenti erano solo parzialmente riusciti a fare. Anche gli autori lo hanno fatto, ma senza superare i limiti già segnalati da molti, cioè l’eccesso di citazionismo, che diventa ammicco allo spettatore – vedi Halbrand che cita a Galadriel le cose che lei stessa dirà nel Signore degli Anelli, e l’uomo piovuto dal cielo che cita a Nori le cose che lui stesso dirà nel Signore degli Anelli; i dialoghi dal registro quasi sempre troppo aulico e impostato; i cambi di scena “sul più bello” da una linea narrativa all’altra, che non lasciano allo spettatore il tempo di consumare e smaltire le emozioni, di fatto quindi spingendolo al distacco emotivo.
In questo modo si costringe il pubblico adulto – ma ormai non solo quello – a guardare Gli Anelli del Potere con occhio post-moderno, come si guarderebbe un quadro o un catalogo illustrato, riconoscendo qua e là elementi famigliari, easter egg, citazioni, e bellissimi scorci di ciò che sarebbe potuto essere. È la scrittura di scena all’epoca dei reboot e dei remake, che toglie il gusto alle narrazioni, trasformandole in giochetti di rimandi, ripetizioni, riconoscimenti.
A rimetterci è ovviamente l’epica. Inutile cercarne traccia, se non forse nella colonna sonora, che sembra fare il verso a quella delle trilogie jacksoniane e ricorda vagamente quella di Star Wars.
Per usare un’immagine immediata: una Terra di Mezzo senza epos è un po’ come un cono gelato senza gelato. E per quanto la pasta del biscotto possa essere buona…

Il “cringe”

HalbrandI collezionisti di scene/scelte illogiche o di momenti di sciatteria narrativa hanno avuto il loro bel da fare in questa prima stagione. Si potrebbe prendere a esempio una sequenza del sesto episodio, quella dell’arrivo dei Numenoreani a cavallo con il sole che sorge alle loro spalle. I cavalieri stanno arrivando da sud-ovest in direzione est-nord-est. Questo lo sappiamo bene perché la regia ha insistito parecchio sulla mappa, mostrandoci il percorso dalle foci dell’Anduin alle Terre del Sud. Dunque non si scappa: il sole che sorge dovrebbe baciare i cavalieri sulla fronte.
Più in generale, l’intera linea narrativa in questione risulta densa di elementi che va di moda definire “cringe”, cioè imbarazzanti. Di esempi ne sono stati sottolineati tanti dagli spettatori critici: una spedizione di soccorso del possente regno di Numenor, già di per sé composta da trecento volontari male addestrati, si risolve in una scaramuccia contro poche decine di orchi, in un villaggio di quattro capanne e una locanda; un meccanismo a chiave innesca un’eruzione convogliando l’acqua di un lago di montagna dentro un vulcano; gente gravemente ferita si rimette rapidamente in piedi, e magari sale pure a cavallo. E via di questo passo. Per non parlare dell’abuso di deus ex machina: una zattera intercettata in mezzo all’oceano per ben due volte (prima da Galadriel, poi da Elendil); il puntualissimo arrivo alla carica dei “nostri” numenoreani per salvare il villaggio; minacciosi orchi trafitti in extremis, un attimo prima che l’eroe di turno soccomba sotto i loro colpi; eccetera.
A questo si aggiungono il ritmo narrativo lento e spezzettato in almeno quattro sottotrame, che in otto ore hanno appena fatto in tempo a decollare, e uno sviluppo dei personaggi che lascia molto a desiderare. Questi hanno moventi stereotipati, quando li hanno, e appaiono quasi tutti monodimensionali; le loro contraddizioni, lungi dal diventare il motore drammatico della storia, non hanno una vera e propria ricaduta sulla trama e quindi rimangono enunciate, spesso in dialoghi legnosi.
Il problema si presenta in misura maggiore in certi personaggi secondari – un esempio tra tutti: gli insulsi Elendil & famiglia – e in misura minore anche nei protagonisti. Nori, personaggio che porta in sé la contraddizione tra seguire il sentiero tracciato o batterne uno nuovo, ha impiegato sette episodi per decidersi. Lo stesso tempo occorso a Durin Jr per rompere col padre in nome dell’amicizia interrazziale con Elrond. Questi sarebbero dovuti essere i punti di partenza e non già di arrivo di una stagione lunga otto episodi.
Ma forse è Galadriel, per la sua centralità, l’epitome di questo deficit di scrittura: un personaggio che predica bene e razzola male, senza che questo le produca un fremito, ondeggiante tra ossessione vendicativa e riflessioni filosofiche su quanto l’ossessione stessa prepari il terreno al contagio del male, al punto da farsi sgamare niente meno che dal padre degli orchi, nel dialogo più bello di tutta la stagione.
E qui, anche senza indulgere nel purismo o nella critica di stampo filologico, bisogna dire che lo stravolgimento delle motivazioni dell’elfa più celebre grida vendetta. Nelle storie di Tolkien il movente che spinge Galadriel ad andare nella Terra di Mezzo è precisamente il desiderio di autonomia e autarchia: lei vuole diventare una regina. La parabola del personaggio si compirà nel Signore degli Anelli, con il rifiuto dell’Anello che Frodo le offre e il ritorno a Valinor. Negli Anelli del Potere invece è Sauron a tentare Galadriel con la prospettiva di diventare la “sua” regina (con le scontate implicazioni erotiche del caso), per essere immediatamente respinto. Quella che in Tolkien è una fertile contraddizione intrinseca al personaggio, diventa una tentazione del demonio, banalizzando così il carattere di Galadriel, che resta fedele all’immagine della santa in armatura presentataci fin dall’inizio e per la quale è impossibile provare una qualsivoglia empatia.
Questo è un tipico esempio di appiattimento rispetto alle potenzialità di una riscrittura a partire dall’originale. Originale dal quale ci si può allontanare finché si vuole, ma a condizione di produrre una rilettura avvincente e convincente. Più che il metro filologico è quello qualitativo a marcare il fallimento della scrittura. Freudianamente parlando, uccidere il padre (Tolkien) dovrebbe servire a farlo rinascere in noi in una veste nuova, facendoci diventare adulti e facendoci trovare la nostra via per la Terra di Mezzo. Se invece lo si evoca in continuazione, citandolo in lungo e in largo, invece di concentrarsi su una nuova storia che sia all’altezza della crescita, ci si condanna a rimanere prigionieri del proprio infantilismo.

Schegge di luce… nell’oscurità

NoriInsomma la prima stagione degli Anelli del Potere, la serie Tv più costosa nella storia delle serie Tv, è paradossalmente povera. Povera di comparse, di scenografie che non siano quelle ricostruite virtualmente, e soprattutto di qualità narrativa.
Il paradosso nel paradosso è che invece risulta ricca di spunti e di temi derivati dalla narrativa tolkieniana. Uno tra tutti: la rivisitazione del problema degli Orchi attraverso un personaggio come l’elfo-orco Adar, senza dubbio il migliore visto finora. O ancora la visione degli Hobbit nella fase seminomade della loro storia, prima che si mettessero a scavare buchi. O ancora il peso dell’altra metà della Terra di Mezzo, cioè i personaggi femminili. Perfino l’attenzione per alcuni aspetti etnografici o mitici dei vari popoli, usi, costumi, leggende, ecc. (toccante e azzeccata la scena della morte di Sadoc, nella quale gli altri, come in un rituale, si siedono accanto a lui in attesa del sorgere del sole e della sua dipartita). Gli elementi interessanti non sono mancati di certo. Ma non bastano a salvare una sceneggiatura il cui scopo sembra essere quello di intrattenere un’ideale e generica famigliola americana di pochissime pretese, che forse ormai esiste solo nell’immaginario degli executives hollywoodiani. Per quanto grandiosi siano gli scenari tolkieniani rappresentati, perfetta la fotografia, belli i costumi, e acuta la riflessione sulle architetture e i panorami, tutto questo si riduce a cartolina se poi si trascurano i dettagli narrativi e l’approfondimento psicologico dei personaggi. È qualcosa che non ci si può permettere davanti al pubblico smaliziato dell’AD 2022, pena passare per sciatti scialacquatori di centinaia di milioni di dollari.
Insomma la cosa che fa rabbia è che il lavoro sulla materia tolkieniana c’è e si vede: solo che è fuori fuoco e piegato a soluzioni semplicistiche.
Avendo a disposizione le Appendici del Signore degli Anelli per raccontare la Seconda Era, gli scrittori amazonici potevano contare su un grande margine di manovra, da investire in una resa delle vicende innovativa, spiazzante, che spostasse l’asticella più in alto rispetto alla rilettura di Peter Jackson. Questo finora non è accaduto, se non appunto in alcune eccezioni: il mesmerico Adar liberatore degli Orchi, la società tribale dei Pelopiedi, il ruolo di una principessa consorte nanica, e poco altro.
Peter JacksonUn esempio di potenzialità? La versione femminile di Bilbo e Frodo, cioè quella Elanor/Nori che è la prima proto-hobbit a lasciare il sentiero consueto per intraprendere un’avventura. Un’eroina buona per il mito, insomma, in una società seminomade e comunitaria, quindi ancora paritaria sul piano dei rapporti di genere, al contrario di quella che sarà la società stanziale degli Hobbit nella Contea, fortemente patriarcale. Interessante riflessione questa, che motiva appunto il ruolo di una giovane femmina la cui intraprendenza non è ostacolata bensì incoraggiata dai famigliari (Nori:«I’ll be careful», Marigold: «No, you’ll be bold»).
Peccato davvero che questa potenzialità sia inscritta in una storia che fa del cliché la sua cifra, affidandosi all’onnipotenza del brand “Tolkien” per essere sdoganata come macchina d’immaginario. A queste condizioni è ben difficile che ci riesca, come invece c’era riuscito Jackson, pur con tutti i suoi limiti, approcciando la materia con tutt’altro spirito nella sua prima trilogia. Il neozelandese aveva invece fallito nella seconda, quella tratta dallo Hobbit, a dimostrazione che l’unicità dell’opera d’arte, pur nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – per dirla con Benjamin – e della sua riproposizione potenzialmente infinita, è qualcosa che ancora resiste evidentemente (Paganini non ripete, perché non può ripetersi). Come infatti resiste il legendarium tolkieniano, del quale Gli Anelli del Potere sembrano sancire l’irriducibilità.

Postilla sulla società dello spettacolo

Jeff_Bezos«Lo spettacolo è il capitale a un tal grado d’accumulazione da divenire immagine» scriveva Guy Debord alla vigilia del Sessantotto. Jeff Bezos potrebbe sottoscrivere. L’uomo più ricco del pianeta, al vertice del settore più avanzato del capitalismo, quello della distribuzione a domicilio di merci e intrattenimento, della disintermediazione commerciale, ha pensato di poter far compiere un bel giro di ruota non tanto al fatturato (non ne ha bisogno) quanto alla produzione di immaginario. Ha dispiegato mezzi mai visti prima, rimettendo in circolazione il brand “JRRTolkien” con accanto la freccia a forma di sorriso, quello del cliente soddisfatto o rimborsato. A quanto pare invece quella freccia piega verso il basso, vista la ricezione critica e la delusione che la prima stagione degli Anelli del Potere ha collezionato presso gran parte del fandom tolkieniano. Dunque ad Amazon resta il fatturato – perché il successo quantitativo è comunque certo, nemmeno i critici più accaniti eviteranno di guardare la serie, incluse le prossime stagioni -, ma al netto della gloria sperata. Anzi, l’effetto ottenuto è paradossalmente quello uguale e contrario, dato che il coro che si alza dal fandom suona come un “Ridateci Tolkien!”. Ecco, quest’ansia gelosa ha al contempo due aspetti.
Il primo aspetto si è manifestato fin dalla comparsa dei trailer della serie. È quell’atteggiamento che al politicamente corretto degli studios americani (cast multietnico, preponderanza dei personaggi femminili, ecc.) contrappone il filologicamente corretto, cioè il conservatorismo cultuale. In questo caso, Bezos – con i suoi potenti media manager – ha dovuto solo tirare su l’amo al quale in tantissimi avevano abboccato, per presentarsi come novello Abramo Lincoln osteggiato da orde di rednecks retrogradi. Ma presto questo è passato in secondo piano di fronte al fallimento narrativo, che si è posto come il vero problema della serie. Ed è qui che entra in gioco il secondo aspetto della protesta contro la colonizzazione dell’immaginario tolkieniano da parte di una delle più potenti multinazionali del mondo. Il fandom pretende che l’universo fantasy di Tolkien sia raccontato con il proprio stesso amore e devozione, ma si rende conto che la macchina mitologica hollywoodiana questo non riesce affatto a garantirlo. La frustrazione, se appunto non si esaurisce in un piagnisteo da “imbalsamatori” (per dirla con Tolkien), ma diventa presa di coscienza, può evolvere in una sana ribellione contro le draconiane leggi del copyright, quelle che perseguono con pervicacia e dispiego di mezzi polizieschi qualunque riappropriazione creativa dal basso, almeno fino a settant’anni dopo la morte dell’autore, senza il minimo riguardo per gli ordini di grandezza. Coloro che succhiano (grandi) dati dai social network e spunti creativi – magari per correggere il tiro di una serie Tv bersagliata di critiche – sono gli stessi che mantengono salde le enclosures della proprietà privata “intellettuale”, nell’interesse di chi può pagarla di più e farne ciò che vuole. Cioè lo zio Jeff.
Ecco queste due anime del fandom, mescolate tra loro, oggi sono allo specchio. E non ci sono dubbi che il loro manifestarsi è uno degli effetti collaterali più interessanti – e chissà magari anche fertili – degli Anelli del Potere. Chi vivrà vedrà.

 

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LINK ESTERNI:
– Vai alla pagina facebook Lords for the Ring on Prime
– Leggi il comunicato di Amazon

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33 Comments to “Gli Anelli del Potere: finale di stagione”

    • Drona ha detto:

      Recensione cosi di parte da essere quasi irritante, questi i punti piu’ esilaranti:

      “la serie non contraddice Tolkien in nessun punto essenziale”

      IPSE DIXIT

      “Essendo realistici, nessuno poteva aspettarsi niente di meglio di quello che abbiamo ottenuto”

      Parole che sarebbero imbarazzanti per un capolavoro, in questo caso suonano quasi come una presa in giro.

      “Confido che ci saranno persone che non saranno d’accordo con me”

      Confidi bene.

      • Valen ha detto:

        Recensione come dici tu irritante, esilarante e, aggiungo io, imbarazzante.

        “alcune reazioni sono state guidate verso lo scetticismo fin dall’inizio del progetto”.

        “ma anche così il pubblico in generale è soddisfatto del prodotto e penso che tutti coloro che capiscono il cinema, la televisione e il genere fantasy dovrebbero esserlo.”

        Imbarazzante, vergognosa e ovviamente acritica.

  1. Norbert ha detto:

    “Gli elementi interessanti non sono mancati di certo. Ma non bastano a salvare una sceneggiatura il cui scopo sembra essere quello di intrattenere un’ideale e generica famigliola americana di pochissime pretese, che forse ormai esiste solo nell’immaginario degli executives hollywoodiani. Per quanto grandiosi siano gli scenari tolkieniani rappresentati, perfetta la fotografia, belli i costumi, e acuta la riflessione sulle architetture e i panorami, tutto questo si riduce a cartolina se poi si trascurano i dettagli narrativi e l’approfondimento psicologico dei personaggi. È qualcosa che non ci si può permettere davanti al pubblico smaliziato dell’AD 2022, pena passare per sciatti scialacquatori di centinaia di milioni di dollari.”

    95 minuti di applausi

    Sul successo economico, ho dei dubbi: non so quante gente abia sottoscritto prime solo per vedere la serie. io sospetto pochi.

  2. Drona ha detto:

    Penso che la ridicolaggine del tutto ben si riassume nello scontro tra L’Istar e le tre “Grazie” a fine episodio, dove il nostro eroe pronuncia la frase: “Io sono buono”.

    Io sono buono! potrebbe essere il titolo di una parodia degli Anelli del Potere, girata da Maccio Capatonda.

  3. Wu Ming 4 ha detto:

    Al di là delle “cringiate” (btw, pensare alla parodia di Capatonda “Io sono buono” mi ha fatto scompisciare… dovrebbe farla davvero), quello che io trovo ormai fastidioso è il citazionismo, e credo meriti un supplemento di riflessione.

    Per spiegarmi userò Tolkien come riferimento. Tolkien infarcisce le sue storie di citazioni: dall’epica classica, dalle fiabe dei Grimm, dai poemi norreni, dai romanzi d’avventura del suo tempo, ecc. Ma non strizza mai l’occhio al lettore. Se sei un suo collega studioso di certa materia riconoscerai quei riferimenti, altrimenti no, e questo non ti impedirà mai di goderti appieno la storia narrata. Significa che quelle non sono vere e proprie citazioni, ma piuttosto prestiti e omaggi e riusi, nella tradizione della “contaminatio”. Quelle scene non sono tra virgolette, non sono inserite nella storia perché un lettore possa scovarle e ricevere una bella scarica di endorfine sentendosi in affinità elettiva con l’autore. Tolkien inserisce quei momenti nelle sue storie perché li trova efficaci, perché gli offrono spunti per riscrivere certe scene in una nuova chiave e in un nuovo contesto (si pensi solo alla riproposizione e riscrittura della poesia “The Wanderer”, o ai vari prestiti dal “Beowulf” ne Lo Hobbit e nel SdA).

    Il citazionismo è l’opposto. È qualcosa che pertiene all’etimologia della parola “ironia” nel suo significato di “finzione”. In questo caso la citazione è finta perché non serve a rafforzare la storia, bensì ad ammiccare al fruitore della storia stessa. È come se gli autori ti dicessero: “Questa la riconosci, vero?”, oppure: “Ehi, ti dice niente questa…?”, costringendoti a una ricezione meta-narrativa, a un doppio sguardo, per metà immerso nella storia e per metà esterno.
    Ecco, negli Anelli del Potere è stata abbattuta la quarta parete nel modo più estremo: abbiamo i personaggi che citano le proprie stesse versioni successive.

    Pensiamo al momento in cui nell’ultimo episodio Sauron tenta Galadriel, e a questo scambio di battute:

    Galadriel: – You would make me a tyrant.
    Sauron: – I would make you a queen. Fair as the Sea and the Sun. Stronger than the foundations of the earth.

    Tutti hanno riconosciuto la citazione tolkieniana della scena in cui Frodo offre l’anello a Galadriel nel SdA e lei supera la prova. Scena riprodotta in modo molto fedele nel film di Jackson, con gli stessi riferimenti al diventare regina, agli elementi naturali, e quel conclusivo «Stronger than the foundations of the earth».

    Ora consideriamo le implicazioni di questa cosa.
    Secondo la riscrittura degli autori della serie Tv, nel momento in cui Galadriel supererà la sua prova più grande, rifiutando l’Unico Anello, citerà alla lettera le stesse identiche cose che le aveva detto Sauron (veramente? Galadriel?) e ripeterà la scelta già compiuta nella Seconda Era. Quella che in Tolkien è la scelta più importante della sua vita – rifiutare il potere, rifiutare di essere una regina bella e terribile – diventa soltanto il ribadire una posizione già presa migliaia di anni prima, quando disse di no (non te la do) a Sauron in persona.
    Insomma, il citazionismo costringe i personaggi a ridire e rifare le stesse cose, in un gioco di specchi e remaking che depotenzia e diminuisce di senso le loro scelte, ammantandole di ironia.

    In altri casi il citazionismo porta a dei non sensi logici. Come quando, sempre nell’ultimo episodio, il novello Gandalf pronuncia la frase «When in doubt… always follow your nose”. Qui l’ironia involontaria supera quella intenzionale. Tutti ricordiamo la medesima frase pronunciata dallo stesso personaggio nel film di Jackson. Ma lì si trattava di trovare una via d’uscita dalle miniere di Moria e quindi il senso della battuta era chiaro: dove l’aria ristagna e puzza di morte, segui il refolo più fresco. Che senso ha una frase del genere pronunciata in mezzo a un paesaggio bucolico, dove verosimilmente l’aria è pregna degli odori della vegetazione rigogliosa? Nessuno. Di più: a Moria si trattava di trovare l’uscita dal labirinto. Per Gandalf e Nori si tratta di trovare… cosa? Non lo sanno loro e non lo sa lo spettatore. Insomma la citazione è buttata lì, nel vuoto vacuo di senso e contesto.
    Ma non importa, perché quello che interessa agli autori è far riconoscere Gandalf ai fan jacksoniani, prima ancora che tolkieniani (dato che nel romanzo quella battuta non esiste).

    Se invece di pensare a inserire questi giochetti ironici nella storia, gli autori si fossero preoccupati di lavorare meglio su trama e personaggi, il risultato narrativo ne avrebbe solo guadagnato.

    • Marco Armellino ha detto:

      Quanto alle citazioni, è interessante il parallelo con un’analisi che riguarda la scena degli anime giapponesi (credo che per sommi capi si possa applicare tout court all’industria culturale), rintracciabile sui siti e forum più vecchiotti e “sgamati”. Gli autori che diedero il via al cosiddetto “anime boom” negli anni settanta “rimasticavano” suggestioni prese da altri media (il cinema, i romanzi di fantascienza) e dalle proprie esperienze, e le portavano nel medium “anime”. Le generazioni successive, invece, hanno iniziato una sorta di “autoconsumo”, ovvero il riciclo “interno” al media “anime” di elementi, citazioni, stereotipi. Oggi esiste sostanzialmente un vero e proprio “database” di stilemi ed elementi, da cui pescare in un continuo riprodursi di situazioni e personaggi stereotipici. Il riconoscimento degli elementi di questa “banca dati” è parte integrante dell’appagamento-fidelizzazione del consumatore. Postmodernità e fine delle “grandi narrazioni”. Forse il rischio è di portare persino un Tolkien verso la pseudo-narrazione di consumo? Forse è già così.

  4. Drona ha detto:

    Altra cosa insopportabile e questo non lasciare mai nulla di sott’inteso:

    Abbiamo Adar che afferma che ormai quelle terre martoriate non sono piu’ le Southland e ci lascia in sospeso sulla scelta di un nuovo nome ma poi riceviamo pochi secondi dopo una didascalia che ci fa vedere il nome di Mordor.

    Il Balrog che si nasconde nelle viscere di Moria dopo che i tunnel vengono sigillati e ancora le 3 Grazie (ormai le chiamero’ cosi, fateci l’abitudine) che vengono obliterate subito prima di pronunciare il nome di Gandalf.. ma poi abbiamo appunto l’autocitazione qualche scena successiva.

    Che senso ha tutto cio’?

  5. RF ha detto:

    Dovreste mettere un pulsante “LIKE” per gli articoli!! Trovo che la recensione si allinei molto a quello che pensa la maggior parte delle persone che hanno visto la serie.

  6. Valen ha detto:

    Concordo su tutto quanto detto da Drona.
    Io aggiungo:
    − Le sacerdotesse di Sauron non sono servite assolutamente a niente: non solo non sanno neanche riconoscere il loro presunto signore, ma si fanno sconfiggere da dei Pelopiedi e da un tizio affetto da demenza.
    − Durante lo scontro comunque i Pelopiedi mostrano dei superpoteri, tipo Sadok che dopo essersi preso una coltellata riappare col teletrasporto da non si sa dove per accoltellare il piede di una sacerdotessa.
    − Poi che bisogno aveva la sacerdotessa di fingersi lo straniero per tendere una trappola ai Pelopiedi quando poteva farli fuori in qualsiasi momento col fuoco o altre magie?
    − Lo straniero che non sapeva pronunciare una frase di senso compiuto e che riacquista la memoria quando gli viene fatto notare che è un Istari e diventa improvvisamente loquace.
    − Galadriel che solo alla fine si ricorda di controllare se Harbrand fosse veramente imparentato con la dinastia dei re del sud, chiedendo all’amico che lavora all’anagrafe. A quanto pare comunque lì funziona che il primo furbacchione con uno stemma nobiliare può passare per il legittimo re delle Southlands.
    − Infatti sono mille anni che la dinastia del sud è interrotta, eppure per tutti è assolutamente credibile che possa esserci ancora un re. E quindi gli abitanti del villaggio di Bronwin esultano per un Re che non c’è da mille anni, ma che a loro è stato promesso da non si sa chi…
    − Galadriel che non dice la verità su Halbrand per paura di rimetterci la faccia… meglio far girare Sauron per la Terra di Mezzo in tutta tranquillità e assecondare il suo piano…
    E comunque fin dall’inizio tutta la storyline di Halbrand non ha senso.

  7. WM scrive:

    “Per spiegarmi userò Tolkien come riferimento. Tolkien infarcisce le sue storie di citazioni: dall’epica classica, dalle fiabe dei Grimm, dai poemi norreni, dai romanzi d’avventura del suo tempo, ecc. Ma non strizza mai l’occhio al lettore. Se sei un suo collega studioso di certa materia riconoscerai quei riferimenti, altrimenti no, e questo non ti impedirà mai di goderti appieno la storia narrata. Significa che quelle non sono vere e proprie citazioni, ma piuttosto prestiti e omaggi e riusi, nella tradizione della “contaminatio”. Quelle scene non sono tra virgolette, non sono inserite nella storia perché un lettore possa scovarle e ricevere una bella scarica di endorfine sentendosi in affinità elettiva con l’autore. Tolkien inserisce quei momenti nelle sue storie perché li trova efficaci, perché gli offrono spunti per riscrivere certe scene in una nuova chiave e in un nuovo contesto (si pensi solo alla riproposizione e riscrittura della poesia “The Wanderer”, o ai vari prestiti dal “Beowulf” ne Lo Hobbit e nel SdA).

    Il citazionismo è l’opposto. È qualcosa che pertiene all’etimologia della parola “ironia” nel suo significato di “finzione”. In questo caso la citazione è finta perché non serve a rafforzare la storia, bensì ad ammiccare al fruitore della storia stessa. È come se gli autori ti dicessero: “Questa la riconosci, vero?”, oppure: “Ehi, ti dice niente questa…?”, costringendoti a una ricezione meta-narrativa, a un doppio sguardo, per metà immerso nella storia e per metà esterno.
    Ecco, negli Anelli del Potere è stata abbattuta la quarta parete nel modo più estremo: abbiamo i personaggi che citano le proprie stesse versioni successive.”

    (Fine citazione WM)

    Non mi pare proprio che il citazionismo tolkieniano sia essenzialmente diverso da quello che vediamo in opera nella serie Amazon. Dove sia riferimento colto e dove sia strizzata d’occhio è completamente soggettivo, sta tutto nell’intenzionalità del fruitore, mentre sappiamo che nel caso di entrambi i (sub)creatori l’intenzione è semplicemente di richiamare dei riferimenti culturali che non si esauriscono peraltro nel solo Tolkien nel caso della serie Amazon. C’era qualcuno che aveva obiettato sulla “galadrielità” di una frase come “A volte prima di trovare la luce devi toccare le tenebre”, ma in realtà questo è Jung. Strizzata d’occhio anche questa? Può essere, ma solo per uno psicanalista jungiano. Il fruitore medio non conosce Jung e lo vede solo come un passaggio che attesta la complessità del personaggio di Galadriel, che sfugge alle semplici determinazioni bianco e nere di cui parla George R.R. Martin, pace sua (ma lo aveva letto Il Silmarillion? vabbè, è un altro problema questo…).

    Venendo nel merito dei due esempi portati da WM, gli è sfuggito proprio l’aspetto essenziale di entrambe le citazioni. Nel caso di Galadriel, qui con Sauron viene tentata ad essere la SUA Regina, il che vuol dire condividere il potere, e non detenerlo interamente lei stessa. Con Frodo, la tentazione diventa assoluta e definitiva: assumere interamente il potere da sola. “INVECE dell’Oscuro Signore, tu metteresti una Regina”. E’ proprio qui che si gioca il senso del rimando. Galadriel era già stata tentata da Sauron a diventare la sua Regina, per cui quando viene tentata da Frodo ricorda che in effetti diventare Regina significa diventare Regina di Sauron, e questo la aiuta a superare la prova. E’ meraviglioso come abbiano creato questa corrispondenza, e dimostra la sapienza degli scrittori della serie (ma con la Tolkien Estate dietro, io avevo pochi dubbi che facessero bene, e infatti poi vai a vedere ed ecco il capolavoro). 🙂
    Quanto a “Gandalf”, ma voi siete sicuri che sia Gandalf? Per ora sappiamo solo che è un Istar… A prescindere da questo, comunque, la citazione del naso è utilizzata nei due contesti diversi per far capire, non che si tratti di Gandalf, ma che quando si è in dubbio è meglio prendere comunque un’iniziativa che restare paralizzati. Questo è puro Cartesio: se non sai che strada intraprendere, prendine una qualsiasi e seguila fino in fondo, almeno da qualche parte sarai arrivato. Non so pensare a consiglio migliore per l’immobilismo odierno, per tutti coloro che restano preda dell’indecisione per vite intere. E non è forse tolkieniano? “La via prosegue senza fine, lungi dall’uscio dal quale parte”… 😀

  8. Wu Ming 4 ha detto:

    Senz’altro nella serie Sauron offre a Galadriel una società al 50 e 50, mentre Frodo nel SdA le offre di essere l’amministratrice unica, per così dire, ma la seconda scelta di Galadriel ne esce comunque depotenziata.
    Quello che Tolkien aveva immaginato come il momento topico dell’intera parabola del personaggio dal giorno in cui Galadriel aveva approfittato della rivolta dei Noldor per guadagnare la via per la Terra di Mezzo, diventa una “seconda volta”, un ribadire una scelta almeno in parte già fatta, e letteralmente una citazione della prima (cioè con le stesse identiche parole). La posta è più alta, sì, perché Galadriel non dovrebbe smezzare il potere con nessuno, ma resta il fatto che una persona che dice di no alla prima e dice di no alla seconda è una persona che non ha un percorso di crescita e trasformazione. La Galadriel di Tolkien ce l’ha, perché sappiamo quale ambigua storia condivide con la sua gente, i Noldor, pur non avendo pronunciato il famoso giuramento, ma avendo comunque voltato le spalle ai Valar per guadagnare la propria indipendenza. La Galadriel degli Anelli del Potere è immobile: prima va alla ricerca disperata di Sauron; poi rinuncia a Valinor per tornare a cercare Sauron; poi rifiuta Sauron in carne e ossa; e alla fine rifiuterà Sauron in forma di Anello. Un personaggio identico a se stesso e senza contraddizioni semplicemente non è un personaggio che possa funzionare narrativamente. Lezione 1 di qualunque corso di scrittura creativa.
    È questo che risulta incredibile: con tutti i danari e i mezzi a disposizione, non sono riusciti a dotare il personaggio principale della serie di una personalità minimamente complessa, combattuta, credibile. Questo è grave e, ripeto, si fa davvero fatica a capacitarsi che non abbiano saputo fare di meglio.

    Gandalf che cita se stesso (sì, direi che scommetterei proprio su Gandalf) rimane tale a prescindere dal significato che si vuole attribuire alla sua battuta. Intendo dire che una citazione spesa così, per lasciare che i milioni di spettatori dei film di Jackson riconoscano il personaggio, non ha una funzione diversa da questa. Altrimenti la battuta sarebbe potuta essere diversa. Ad esempio: «Se non sai che strada intraprendere, prendine una qualsiasi e seguila fino in fondo, almeno da qualche parte sarai arrivato». Invece è proprio *quella* battuta. Per dirti – o farti credere, nel caso mi sbagliassi – che è proprio lui, l’Istar buono, quello che alla seconda puntata mio figlio di 9 anni ha identificato come Gandalf.
    Anche qui fatico a capacitarmi del fallimento narrativo. Se per otto puntate, un’intera sottotrama ruota intorno alla misteriosa identità di un personaggio che alla fine si scopre essere esattamente quello che tutti sospettavano fosse… il meccanismo a cosa è servito?
    Tanto valeva ce lo rivelassero subito, risparmiandoci goffi colpi di scena sul finale del tipo: – Benvenuto Lord Sauron.. oh, oh, abbiamo sbagliato, è quell’altro, quello buono, fuoco a volontà!
    Come minimo allo spettatore sorge la domanda: – Ragazze, se avevate un 50% di probabilità vi conveniva essere un po’ più prudenti, no? Che razza di cattivone da strapazzo siete? Ma chi vi ha inventate, gli sceneggiatori di Boris?
    No, io sono davvero incredulo davanti a tanta imperizia narrativa. Ed è veramente un peccato, perché, come ho fatto notare fin dall’inizio, gli elementi interessanti nella serie ci sono eccome. Purtroppo non sono sostenuti da una storia all’altezza delle intuizioni.

  9. @WM4

    A me sembra che Galadriel la complessità la abbia tutta, mi pare tu stesso abbia rilevato come una delle migliori scene il dibattito tra lei e Adar, laddove Adar la coglie in fallo perché stava per diventare come ciò che combatte (un tema antico quanto il Beowulf, l’eroe che diventa il mostro stesso a cui si oppone). Anche con Sauron lei non lo rifiuta subito, appena egli si rivela come tale, ma solo quando dice che per lui dominare e guarire sono la stessa cosa. Una lezione che dovrebbero imparare anche tanti medici, se è lecito attualizzare, visto il regime di dittatura sanitaria da Co-Vid. Ma passim.

    Quanto a Gandalf, se il senso della frase è quello di non restare nell’immobilità e non il seguito del romanzo Il profumo di Suskind, allora va benissimo che utilizzi la stessa frase nei due contesti. Poi che non fosse Sauron sia stato così ovvio non saprei, è facile dirlo dopo che è stato rivelato, ma mi pare che ci fossero un bel po’ di dibattiti in merito prima della rivelazione finale, e ancora non sappiamo se è Gandalf, io aspetterò la seconda stagione prima di appurarlo almeno, visto che la citazione può appunto essere un’esca anzichè un indizio. Quanto alle tre streghe, se Galadriel ha potuto sbagliarsi su Sauron, anche loro possono essersi ingannate sull’Istar, proprio come Aragorn, Legolas e Gimli prendono Gandalf per Saruman ne Le due torri.

  10. Wu Ming 4 ha detto:

    Ah, aspettiamo pure la seconda stagione. Ma questo non eliminerà, ahimè, i problemi della prima.

    A questo proposito, giusto ricordare il dialogo migliore di tutti, quello tra Galadriel e Adar, perché offre l’occasione per spiegare ancora meglio cosa intendo per fallimento narrativo.
    In quel confronto Galadriel appare come un’infervorata con manie genocide nei confronti degli Orchi, di fronte a un Adar che le ricorda come gli Orchi siano esseri senzienti con una storia e un nome. Bello, accidenti, finalmente una contraddizione: Adar le fa notare come la sua ossessione per Sauron rischi di trasformarla in un Sauron in miniatura.
    Peccato che la cosa finisca lì. Non c’è niente nello sviluppo successivo della trama e nel non-sviluppo del personaggio di Galadriel che espliciti questa contraddizione. Un minuto dopo Galadriel torna a essere l’eroina monocorde di prima, e anzi dimostra di avere imparato la lezione parlandone con Halbrand e dicendogli cose tipo: “Occhio a non diventare come me”. È tutto detto e non accaduto (Lezione 1bis: “Show, don’t tell”). Quindi si prende cura maternalmente di Theo e addirittura gli lascia la sua spada e lo chiama “soldato”.
    Lezione 2 del corso di scrittura creativa: gli eventi devono impattare sulle contraddizioni dei personaggi. È questo il motore di ogni storia. Superando le difficoltà e affrontando le proprie contraddizioni e i propri punti deboli, i personaggi cambiano, crescono, si risolvono, si salvano o si dannano, ecc.
    In questa prima stagione a Galadriel non è successo niente di tutto questo. Se la sua ossessione per Sauron l’avesse portata a diventare un po’ Sauron lei stessa, allora sì, ci saremmo intesi, la macchina narrativa avrebbe potuto funzionare. Se uscita dalla discussione con Adar avesse fatto massacrare gli Orchi prigionieri a sangue freddo, invece di minacciarlo soltanto, ecco, l’avrei vista diventare un po’ Sauron, bere l’amaro calice dell’ossessione fino in fondo.
    Ma non è successo niente del genere.

    E questo sia detto sorvolando sull’implausibilità delle trovate narrative che qualcuno qui ha già fatto notare: accreditare come potenziale re un tizio trovato su una zattera solo perché ha con sé un gagliardetto che potrebbe avere rubato; convincerlo a seguirla nella TdM per rivendicare il suo regno (mentre lui voleva restare a fare il fabbro a Numenor); farlo acclamare re da quelle poche decine di contadini straccioni che ne aspettavano uno da chissà quanto e quindi va bene anche questo, purché sia, se garantisce Galadriel; e infine averlo trascinato (per sei giorni a cavallo con una ferita da arma da taglio nel fianco) fino alla fucina di Celebrimbor e solo allora farsi venire il dubbio di non sapere in effetti chi sia, di non avergli mai fatto una semplice domanda sul suo passato, sui suoi parenti, sul suo colore preferito.
    No, dài, una Galadriel cogliona no. Mica perché le vogliamo bene fin da ragazzini, eh, ma perché appunto non suona credibile che costei e tutti gli altri intorno a lei tra Numenor e le Terre del Sud siano dei fessi del genere.

    Oh, poi, certo che ci sono stati i dibattiti su chi fosse l’Uomo caduto sulla Terra di Mezzo, ma solo perché tutti pensavano che l’aspetto gandalfiano fosse un modo per sviarci, cioè che non potesse essere davvero così semplice, visto che tutta la sottotrama girava intorno al mistero della sua identità. E invece è proprio così, è lui. Ma va bene, l’ho detto, aspettiamo pure la seconda stagione a pronunciarci, visto che ancora un nome il personaggio non ce l’ha.

  11. Drona ha detto:

    Come scritto precedentemente questa serie non lascia nulla di non detto (ti mette le didascalie per spiegarti che le Southlands sono Mordor), è impossibile che Meteorman non sia Gandalf (anche perchè lui è buono!).
    Sul citazionismo di Gandalf concordo appieno con WM4: si tratta di una mera ripetizione della battuta del LOTR Jacksoniano peraltro usata a sproposito e quindi già di per se depotenziata.
    L’intera figura di Gandalf inserita nella serie è sintomo di grande povertà di idee e contenuti.
    Stessa cosa, in meno grave, si puo’ dire degli Harfoots.
    Sono elementi che sembrano essere stati inseriti solo per ragioni di botteghino.
    Un po’ come fece Jackson dando un cammeo a Saruman nella trilogia de Lo Hobbit, serie peraltro assai inferiore alla trilogia di Lotr, alla disperata ricerca di materiale con il quale trascinare una storia che poteva risolversi tranquillamente in due film invece che tre.
    Piu’ avanti, se riesco, vorrei approfondire il perchè Gandalf nella seconda era è un problema altamente distruttivo del lore Tolkeniano e come, in ultima analisi la vera piaga di questa serie, sia la profonda ignoranza dei suoi autori sulla materia da loro trattata (altro che geni).

  12. @WM4

    Guarda, casca a fagiolo il discorso che faceva uno scrittore che conosco giusto ieri:

    (CITAZIONE)
    Sui social la conoscenza non è ben vista.

    Tutte le sante volte che mi sono messo a dialogare di scrittura nei commenti di qualche post, sottolineando aspetti nient’affatto oggettivi delle opinioni altrui, come invece vengono presentati, che il mio tono fosse serio, scherzoso o neutro di una neutralità assoluta, sempre e comunque le reazioni sono state di stizza, d’offesa e qualsiasi altra cosa contraria al dialogo vi venga in mente.
    Solo per aver detto che è soggettivo, eh, non per aver detto “sbagli”.

    Penserete: be’, la costante sei tu. Pensa a come comunichi!

    No.
    È proprio che si parla di scrittura alla cazzo di cane, ragazzi miei. Si danno per scontate cose che non lo sono, per legge cose che sono opinioni e per esperienza quella che, ai miei occhi, sono i primi passi di un bimbo che ancora poppa latte: il fatto che abbia cominciato con le pappine di verdure non significa che possa parlare di cos’è un buon minestrone (avevo scritto “una fiorentina”, ma ho cambiato idea).

    Poi c’è chi esperienza già ne ha, ma è dogmatico. “Si fa così” e, se non lo accetti, allora significa che sei A. Un presuntuoso, B. Non sai scrivere, C. Vaffanguuulo (di solito C è la risposta che accendono a fine discorso, quando smonto l’oggettività).

    La sfilza di argomenti su cui la penso in modo assai diverso da queste invisibili maggioranze è talmente lunga che ve la risparmio. Non è un caso che io mi sia definito “scrittore divergente”; non è provocazione, è ironia. A tratti, se volete, la definizione si vela di sarcasmo. Sono uno scrittore divergente, non soltanto in modo detto, ma di fatto.
    L’unico modo per confutarlo e leggermi e dimostrarmi che sbaglio.

    L’idea di come si scriva letteratura non è mai stata più ingabbiata di come lo è oggi, in questo presente decadente, che certo non poteva risparmiare una tra le prime vittime di qualsiasi decadenza culturale: l’espressione artistica.”
    (FINE CITAZIONE)

    Mi pare che caschi veramente a fagiolo rispetto all’argomento “lezioni di scrittura creativa”. 🙂

  13. Wu Ming 4 ha detto:

    Ma è chiaro che sempre di opinioni si tratta e non di dogmi. Citare le scuole di scrittura non significa sostenerle (io potrei essere l’esempio di questo, infatti). Usare quell’artificio retorico per me equivale a dire: queste sono cose che rappresentano l’ABC del narrare, il livello scolastico elementare. Poi c’è bene da augurarsi che nessuno scrittore si fermi all’ABC, ma evolva e rompa le regole. Il punto è farlo in maniera narrativamente efficace, però. E se per me questa efficacia non c’è, tocca dirlo. Con dispiacere, per altro, e senza mai dimenticare di ricordare gli aspetti buoni di un risultato che nel complesso ho trovato deludente.
    Detto questo, qui per fortuna non siamo sui social.

  14. Ho riportato la citazione così com’era, senza alterazioni. Ma apprezzo la pacatezza di questo dibattito, e sicuramente non c’è stata nessuna reazione del tipo di cui parla lo scrittore citato qui. Tuttavia, come definiresti l’efficacia narrativa in maniera oggettiva? C’è una formula magica? Io credo proprio di no, altrimenti chiunque potrebbe apprenderla e sfornare capolavori. Non basta nemmeno il famoso “avere qualcosa da dire”, perché magari hai qualcosa da dire ma non sai come dirlo, appunto, efficacemente. Non sto più parlando della serie Amazon nello specifico, ma sto affrontando il discorso in generale, quindi se ritieni che stiamo uscendo fuori dal seminato possiamo chiuderla qui. A me però questa questione interessa molto, al di là di Amazon e persino al di là di Tolkien, si può dire che è LA DOMANDA per me: che cos’è che fa un racconto? Intendo dire, non chiaramente l’inchiostro con cui è scritto, non la penna o la tastiera, non lo scrittore, e nemmeno le sue idee o la sua tecnica. Tutte queste cose sono fondamentali, ma mi pare che non bastino. La cosa più vicina alla verità a riguardo può forse essere un’allusione che Tolkien fa di sbieco nel saggio Sulle fiabe, quando dice che le fiabe sono la risultante dei processi alchemici che le tramandano. Ecco, la scrittura efficace secondo me, a mio modesto parere, è un’alchimia: tu puoi riuscire a dipingere un sasso, ma presto la vernice verrà via e quello che hai scritto sarà dimenticato. La pietra filosofale, se qualcuno l’ha mai scritta, sono solo Omero, Virgilio, Dante, Blake, Joyce, ecc. e molti sono del tutto anonimi, come l’autore di Gilgamesh, Beowulf, di Gawain, del Ramayana, del Taketori Monogatari… Probabilmente neanche loro sapevano come hanno fatto a realizzare ciò che hanno compiuto, e, come dice Tolkien, chissà quanti grandi poeti perduti si nascondono dietro Virgilio o dietro Beowulf… Ma puoi fare a meno di cercare il segreto delle storie? Non è la stessa ricerca di Gilgamesh? Se i mostri sono i critici, che uccidono le storie, lo scrittore deve essere l’eroe, e la sua penna letteralmente la spada… Facile a dirsi. E niente, ti lascio con queste considerazioni, fanne pure l’uso che vorrai o meno. 🙂

  15. Drona ha detto:

    Utilizzo questo spazio, forse in maniera impropria.. o forse no (si tratta pur sempre di una discussione parallela che coinvolge almeno 3 persone in questo thread). Tutto è cominciato da un post linkato qua sopra su Fuoco Fatuo, il blog di Costabile che letto il riferimento è venuto a continuare qui la discussione.
    Costabile ha fatto una recensione di “The Rings of Power” che io ho criticato sotto lo pseudonimo di @Jinny. C’è stato uno scambio di post tra Costabile appunto, me e @RF che sostenevamo cose diverse da lui ed egli senza argomentare, ma sparando solo sentenze ha liquidato la questione in maniera spiccia e canzonatoria, facendo sembrare in modo retorico e disonesto che io mi stessi impuntando per una recensione della serie non pubblicata sulla piattaforma di Amazon facendo finta di non capire che si trattava solo di un esempio, uno fra tanti, di come Amazon stesse invece imbrogliando le carte.

    Riporto queste cose per far presente che l’asserzione dell’autore in coda al suo primo post ovvero che “ci tengo a dare voce anche al disaccordo e a non fare censura di nessuna voce educata e argomentativa ” è stata tradita avendo lui censurato la mia replica finale che lo incalzava sul suo modo scorretto di riportare le cose e sulla sua mancanza argomentativa.

    Trovo importante che al di là delle opinioni e delle convinzioni personali, che possono divergere anche in maniera sostanziale, si cerchi di rispettare sempre i principi di identità e di non contraddizione e si mantenga l’onestà intellettuale che è alla base del rispetto reciproco.
    Fallire queste premesse significa fallire innanzi tutto come Persone.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Scusa Drona, ma che senso ha riportare qui una questione che riguarda scambi avvenuti su un altro blog? Qui discutiamo in un certo modo e tanto ci basta. Altrimenti discuteremmo altrove. E quello che succede altrove lo si può discutere altrove, non ti pare?
      Se mi permetto di fartelo notare è perché in questo blog ci sforziamo proprio di non dare sponda a polemiche e toni che non ci appartengono. È una questione di stile che diventa di sostanza. Se si importano qui le cose che capitano fuori, con diverse modalità e stili comunicativi, l’unico risultato ottenibile è rendere ostico anche questo ambiente.
      Per favore, no, dai.

  16. Drona ha detto:

    Hai ragione perdonami, ma il post è stato nukato e non avevo altro luogo dove esprimermi. Inoltre queste due discussioni sono legate e si sono sviluppate parallelamente.
    Naturalmente il canale è vostro, pertanto se ritieni il mio intervento inopportuno la chiudo qua.

  17. Drona ha detto:

    Per me la critica razziale è fuorviante; Amazon ha voluto polarizzare la discussione sul tema razziale.
    Lo ha cercato, rilasciando spoiler sapientemente orientati per provocare le critiche poi ricevute e giocare la carta della discriminazione razziale/di genere a difesa della serie su tutti i fronti.
    Pero’ il tema esiste.. e come scrissi da qualche parte piu’ indietro, alcune scelte di casting, hanno poi penalizzato la serie.
    Perchè hanno costretto anche la trama ad adattarsi al rispetto di queste quote e ad insistere sul tema razziale (Per esempio Arondir guardato con disprezzo dai Bassi Uomini perchè elfo e poi in catene alla mercè degli orchi).
    Lo stesso ruolo di Arondir a quanto si legge in giro è successivo al casting di Ismael Cruz Córdova, che sarebbe stato scritturato inizialmente per una “figura eroica alla Aragorn” ergo.. serve un eroe nero.. poi’ si vedrà.. e questo è sbagliato.. E’ sbagliato non perchè sia vietato avere attori di colore in ruoli che non li prevedono ma perchè qui non viene scelto l’attore ma proprio il colore della sua pelle.
    Riformulo il concetto per chiarirlo una volta per tutte:Voglio Denzel Washington nel ruolo di Gil-Galad perchè è un grande attore – scelta di merito.
    Voglio un attore nero nel ruolo di Gil-Galad per avere piu’ persone di colore nel Cast – scelta razzista.

    «I miei antenati sono qui, parlano inglese, da dieci generazioni», dice la professoressa Thomas. «Non è un caso che alcune strane persone che non provengono dalla cultura anglo-americana stiano improvvisamente chiedendo di essere rappresentate. Siamo qui da secoli. E continuiamo a esistere».

    Qua c’è parecchia confusione temo: un conto è la rappresentanza politica che è legittima, anzi dovuta. Un altra altre forme di rappresentanza come quella artistica che non sono dovute affatto.
    Alla fin fine se devi prendere Tolkien per cambiarne sia gli stilemi che i contenuti cosa resta? il nome?

    “Last but not least”… La critica dei Fan credo che alla fin fine sia servita.
    Come ho scritto nel thread aperto da Constabile quotando link su link (non ho la forza di recuperarli, andateveli a riprendere là, tanto ha postato il link in testa al thread) Amazon ha fatto carte false (letteralmente) per cercare di mascherare l’insuccesso della serie ed è stata sistematicamente smascherata.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      Ah, che Amazon si sia giocata la carta “antirazzista” a livello comunicativo-promozionale è fuori di dubbio. Ha al suo servizio agenzie di stampa e comunicazione scaltre e strapagate. Ed è altrettanto evidente che questo non basterà mai a risollevare il livello della serie. Tuttavia senz’altro terrà alta l’attenzione sulla stessa. Il rumore serve sempre.

      Quanto a Cruz Cordova e alle scelte del cast in base al colore della pelle, anche queste mi paiono evidenti, cioè dettate dalle quote etniche. Dopodiché però non mi sembra si siano rivelate sbagliate, o no? Le attrici e gli attori neri della serie mi paiono all’altezza dei rispettivi ruoli e nient’affatto dei cani a recitare: Cynthia Addai-Robinson è piuttosto regale nel fare Miriel; Sophia Nomvete è una strepitosa Disa; Lenny Henry è un ottimo sciamano Harfoot; e Cruz Cordova ha studiato otto mesi la Capoeira per imparare a fare tutte quelle mosse, senza l’aiuto di effetti speciali “marveliani”. Quindi… siamo sicuri che costoro siano stati scelti *soltanto* per il colore della loro pelle? Mi permetto di dubitarne. Dunque se sanno fare il loro mestiere, perché quelle scelte di cast dovrebbero essere contestate? Solo perché quelle persone non sono bianche? Torniamo sempre al punto di partenza e a quello che fin dall’inizio di queste discussioni, mesi fa, continuo a segnalare come un circolo vizioso argomentativo.

      Detto questo mi pare che tu non colga il discorso di Thomas quando dici «un conto è la rappresentanza politica che è legittima, anzi dovuta, un altro altre forme di rappresentanza come quella artistica che non sono dovute affatto.»
      La rappresentazione del mondo e della società passa anche attraverso la rappresentazione/rappresentanza artistica. L’immaginario collettivo è massimamente influenzato e plasmato da quel genere di rappresentazione. Lo è da sempre.

      In un commento su Giap riprendevo un celebre aneddoto raccontato da Nichelle Nichols, il tenente Uhura della serie classica Star Trek, protagonista della prima scena di bacio tra un’attrice nera e un attore bianco in uno degli episodi della serie. Nichols, che dopo la prima stagione, nel 1966, stava pensando di lasciare il set e tornare a recitare a teatro, si ritrovò niente meno che Martin Luther King in camerino, venuto a dirle che la sua presenza in una serie popolare come Star Trek era importante per la causa e che non ci pensasse proprio a lasciare la parte. King aveva intuito che benché si trattasse ancora di un ruolo ancillare di una donna nera rispetto all’eroe maschio bianco, per quegli anni di lotta contro la segregazione era un inizio, un modo di cominciare a forare appunto l’immaginario monoetnico di quell’epoca.

      Ora questo sembra un aneddoto che giunge dalla preistoria, ma sarebbe sbagliato credere che da allora si sia fatta chissà quanta strada. Per fortuna se n’è fatta, certo, oggi hai attori e attrici non bianchi protagonisti di film e di serie tv, ma non ancora abbastanza, e questo è vero soprattutto – dice Thomas – nel fantasy, che rimane – e qualcuno forse vorrebbe rimanesse – un’oasi bianca.

      Qui noi scontiamo la nostra difficoltà a vedere il mondo dall’angolazione di una minoranza che per secoli non è stata “vista”. Il nostro sguardo, per forza di cose, è angolato, quindi ci è più facile ragionare in termini per così dire astratti, perché l’astrazione ideale va sempre a vantaggio di chi sta in cima alla scala dominante dell’immaginario e della società. Dovremmo sforzarci di superare l’inerzia e spostare lo sguardo per metterci nei panni degli altri.

      Quello che voglio dire è che, oggi come nel 1966 (Star Trek era una serie palesemente kennediana), letteralmente sulla pelle degli attori e delle attrici si gioca una partita politica nient’affatto semplice. Da una parte c’è il maquillage amazonico per vendere l’immagine dell’azienda progressista, inclusiva, post-etnica; dall’altra c’è l’esigenza per le “minoranze” – che poi a livello planetario minoranze non sono – di uscire dai margini del campo visivo e guadagnarne il centro. Amazon prova a sfruttare quell’esigenza per farsi bella, quando non lo è proprio per niente, ma questo non significa che l’esigenza in sé sia illegittima.
      Ecco perché il discorso di E. E. Thomas non può essere liquidato facilmente, ma, al contrario, tocca il cuore della contraddizione di cui stiamo parlando.

      Infine, su Tolkien… Non mi stancherò di ripeterlo come un disco rotto: Gli Anelli del Potere non scempia Tolkien perché ci sono degli attori neri nel cast. Questa è un’inezia al confronto di quelle che sono le vere storpiature che ancora non sappiamo dove andranno a parare, se mai andranno a parare da qualche parte.
      Come scrivevo altrove, se vogliamo parlare di uno stravolgimento vero, allora dobbiamo dire che gli Elfi di RoP non sono quelli di Tolkien non perché uno di loro ha un aspetto non-filologico, ma perché tradiscono proprio il tema che Tolkien assegnò a quella razza. Nella serie gli Elfi temono di dissolversi e per questo avrebbero bisogno del metallo Mithril come elisir per prolungarsi la vita. Ma il problema degli Elfi in Tolkien è sempre stato l’opposto, cioè quello di essere legati anima e corpo ai destini mondani, alle sorti di Arda, fino alla fine dei tempi. Gli Elfi chiamano la morte “il dono di Iluvatar” agli Uomini. Gli Elfi soffrono dell’invidia degli immortali nei confronti dei mortali, tant’è che ci sono casi piuttosto eclatanti di elfi che scelgono di morire di consunzione piuttosto che rimanere al mondo. La serie ha ribaltato completamente questa cosa.

      A fronte di questo, sembra davvero incredibile che qualcuno stia a guardare il colore della pelle di Ismail Cruz Cordova, tra l’altro molto più carico di elfica coolness degli elfi interpretati da attori caucasici con ridicole acconciature alla Duran Duran.

      • Drona ha detto:

        Cerchero’ di argomentare punto per punto, non prenderla come un attacco personale, lo faccio per evitare di scrivere un papiro che non leggerebbe nessuno.

        “Dopodiché però non mi sembra si siano rivelate sbagliate, o no? Le attrici e gli attori neri della serie mi paiono all’altezza dei rispettivi ruoli e nient’affatto dei cani a recitare”

        Onestamente ho apprezzato solo Lenny Henry e Sophia Nomvete, certo è difficile essere obiettivi quando ci sono attori che interpretano ruoli la cui vera esistenza è problematica all’interno della serie.

        “Cruz Cordova ha studiato otto mesi la Capoeira per imparare a fare tutte quelle mosse, senza l’aiuto di effetti speciali “marveliani”.”

        Ecco qui invece non ti seguo proprio: che c’entra la Capoeira con gli elfi di Tolkien? hanno fatto di Arondir il nuovo Legolas, ovvero hanno preso uno dei personaggi piu’ controversi e criticati della serie di Jackson e l’hanno riproposto in salsa Woke (nero di pelle, riferimenti all’emarginazione razziale, la schiavitu’, la laliason interrazziale etc.) Offscreen invece ne hanno fatto un campione delle minoranze riscattate.

        “Quindi… siamo sicuri che costoro siano stati scelti *soltanto* per il colore della loro pelle?”

        E si.. abbastanza..e questo vale anche per le donne nella serie: ogni sotto storia ha le sue quote di razza e di genere… ben bilanciate ed equamente distribuite. Spesso e volentieri personaggi inesistenti nelle storie di Tolkien sono stati creati ad arte per questo.

        “Mi permetto di dubitarne. Dunque se sanno fare il loro mestiere, perché quelle scelte di cast dovrebbero essere contestate?
        Solo perché quelle persone non sono bianche?”

        Quello che avviene sullo schermo è responsabilità degli autori della serie non del cast, e nessuno dovrebbe essere contestato in una forma diversa dal dire che si tratta di un buono o cattivo attore o di una buona o cattiva interpretazione.
        Il discorso cambia quando gli attori stessi si fanno portatori di messaggi politici e prendono posizione “off-screen” con dichiarazioni ed interviste, in quel caso il piano della critica cambia e in alcuni casi è ovvio che diventi personale.
        Quando poi queste dichiarazioni non sono spontanee ma parte di una strategia di promozione della serie da parte della produzione, chi si fa portatore di questi messaggi automaticamente condivide ogni responsabilità con la produzione.

        E questo vale sia per gli attori bianchi che quelli neri ovviamente, non scherziamo su.

        “La rappresentazione del mondo e della società passa anche attraverso la rappresentazione/rappresentanza artistica. L’immaginario collettivo è massimamente influenzato e plasmato da quel genere di rappresentazione. Lo è da sempre.”

        Si ma non è un “diritto”. Nessuno ha il diritto di recitare in un colossal milionario, come nessuno ha il diritto di giocare la finale di Champions League nella propria squadra del cuore, anche se vorrebbe tanto farlo.
        Da qualche parte in un intervista la Nomvete ha dichiarato che le persone di colore sono arrivate nella terra di mezzo per restarci.
        E’ una frase senza senso e sono sparate del genere che polarizzano la questione razziale nella serie.

        Star Trek:
        Il bacio tra Uhura e Kirk è diventata negli anni un icona della lotta alle discriminazioni razziali. ma le differenze con la questione razziale negli Anelli del potere sono fondamentali.
        – Gli autori della serie tv erano in tutto e per tutto i creatori della stessa e per tanto non tradivano il messaggio e la storia di nessuno.
        – Il tema multirazziale quello era, non faceva da paravento a niente altro.

        “A fronte di questo, sembra davvero incredibile che qualcuno stia a guardare il colore della pelle di Ismail Cruz Cordova, tra l’altro molto più carico di elfica coolness degli elfi interpretati da attori caucasici con ridicole acconciature alla Duran Duran.”

        Ripeto per me Arondir è un pessimo elfo, come lo era Legolas (bianco) come lo sono gli Elfi in vestaglia alla corte di Gil-Galad. Non trovo affatto incredibile che si parli del problema razziale e di genere quando Amazon ne fa la punta di lancia per lo scardinamento dell’opera Tolkeniana.
        In ultima analisi, l’associazione fatta nel tuo thread su Giap (non ricordo se da te o da qualcuno nei commenti onestamente) tra gli attori della serie e i poveri lavoratori sfruttati di Amazon proprio non si puo’ vedere:
        Parliamo di gente che sta guadagnando milioni di dollari per recitare negli “Anelli del Potere” e dubito avesse problemi a sbarcare il lunario subito prima.

        I tradimenti della serie sono tanti (ne hai indicato uno fondamentale parlando del Mithril e dell’immortalità degli Elfi) e il tema razziale è oggettivamente solo uno dei tanti ma non è cosi marginale come lo dipingi tu; non lo è sopratutto perchè è stato scelto come paravento per tutto il resto.

        • Wu Ming 4 ha detto:

          Replico solo per sciogliere un paio di equivoci a beneficio di chiarezza. Per il resto mi pare che la divergenza di vedute sia chiara.

          Dicendo che il cast black non è stato scelto “soltanto” per il colore della pelle, intendevo dire che si tratta comunque di buoni attori, nella migliore delle ipotesi (Lenny, Nomvete), e di onesti mestieranti nella peggiore (Addai-Robinson, Cruz Cordova). Non sono stati scelti dei cani purché neri. E certo che la Capoeira non c’entra una cippa con gli Elfi, come non c’entravano i volteggi alla Spider Man di Legolas, ma intendevo dire che Cruz Cordova s’è impegnato, ci ha messo dedizione e non mi pare un attore peggiore di altri elfi della serie (Gil Galad, aiuto…). Quindi la contestazione non è artistica, non più di quanto potrebbe esserlo per la parte bianca del cast, bensì politica, perché c’è stata una politicizzazione (vedi sotto). Mi pare che su questo concordiamo.

          Tu dici che la politicizzazione ha fatto parte di una strategia comunicativa amazonica. Questo mi pare indubbio. Quello che volevo sottolineare è che al netto dell’aspetto strumentale, la questione – se vista dall’angolazione delle “minoranze” – è tuttavia reale.
          E qui rimarremo ovviamente sulle rispettive posizioni divergenti. Ovviamente non è questione di “diritti”, è chiaro anche questo, ma di una battaglia per la visibilità nella rappresentazione del mondo e nelle narrazioni che fanno immaginario. È questo che si legge nelle dichiarazioni di Nomvete, come in quelle della prof. E.E. Thomas (che non è pagata da Amazon). E questa battaglia non è nostra, cioè di noi bianchi, nel senso che non potremo mai avvertirla con la stessa urgenza di chi bianco non è. Noi vediamo soltanto la strumentalità con cui la bianchissima Amazon la brandisce.

          Nei commenti su Giap non ho paragonato gli attori del cast ai lavoratori degli hub di Amazon, ci mancherebbe altro. Ho soltanto detto che non si tratta di star hollywoodiane, bensì, in molti casi, di professionisti di medio livello che hanno trovato il ruolo della loro carriera e si sono trovarti dentro una macchina e una strategia più grande di loro. Dunque bisognerebbe essere abbastanza saggi e oculati da non prendersela con il cast perché difende il proprio “esserci” e il proprio lavoro o perché si fa salire il black pride di fronte a chi dice che lì non dovrebbe starci. Tutto qua. Che poi, come scrivevo, il Black Elf Power rimanga lettera morta, ovvero non produca una presa di coscienza conflittuale contro i Signori dell’Algoritmo, è assai probabile. L’importante per me è sempre scandagliare tutti i piani della contraddizione, che non è sempre orizzontale e non è sempre verticale, ma più spesso trasversale.

          Infine, ciò su cui al fondo discordiamo, mi pare, è l’idea di come ci si possa/debba rapportare alle fonti letterarie. Che poi era il punto di partenza di questa discussione, mesi fa. Vale a dire che secondo me il problema non sarà mai lo stravolgimento di Tolkien et alii in quanto tale, ma dipenderà sempre da *come* lo si stravolge. Questa serie lo fa malamente, non cogliendo proprio alcuni caposaldi del racconto tolkieniano. Proprio ieri su Giap qualcuno ricordava che in un’intervista al Comicon 2022 i due showrunner hanno dichiarato che la domanda chiave su cui gira la loro storia è «how far into the darkness would you go to protect the things you care the most?». E io notavo che il Professore avrebbe risposto senza battere ciglio: «Not a single step». Perché il senso delle sue storie è proprio che il fine non giustifica mai i mezzi, dato che fine e mezzi coincidono. Mentre quando i due sceneggiatori prendono il tema degli Orchi e provano a entrare in un problema lasciato aperto da Tolkien stesso, fosse anche per spingersi dove lui non avrebbe mai pensato di spingersi, hanno un’intuizione giusta. Ma dirò di più: se anche un narratore volesse ribaltare il punto di vista del racconto tolkieniano e provare a raccontarmi la stessa storia dall’angolazione dei “cattivi”, come fece Kirill Eskov parecchi anni fa, io lo troverei assolutamente interessante, ancorché eretico. E dicendo questo, mi rendo conto che ragiono da “creativo” e da “storyteller”, cioè dalla mia particolare angolazione e col mio particolare vizio professionale, ma tant’è, è appunto il mio.
          A questo proposito, ad esempio, ho notato che i miei colleghi tendenzialmente hanno messo in luce tutte le falle narrative della serie tv, come ho fatto io, mentre gli illustratori, gli artisti, ecc., tendenzialmente l’hanno assolta. Il più famoso è stato Ted Nasmith. Questo perché la guardiamo con occhi diversi (esattamente come la guardiamo con occhi diversi da Thomas e Nomvete, mutatis mutandis).
          Insomma per me il tema del “rispetto” per l’originale non esiste, ecco. Non ho questo tipo di approccio conservativo e sacrale all’opera di Tolkien, perché limita la creatività. Esattamente come non penso che un’opera come la sua, una volta entrata nell’immaginario collettivo, possa essere mantenuta estranea alle battaglie culturali del presente. Dipende sempre da come si fanno le cose.

          • RF ha detto:

            @WuMing @Drona Io ve lo dicevo mesi fa che avere elfi di colore non e’ un problema, ma quando si fanno le cose a caso senza altra motivazione che quella politica, contrapposta a quella artistica, raramente ci si potra’ aspttare cose buone.

            Non so se @WuMing nel frattempo ha cambiato opinione in proposito ma se avessero dato delle buone motivazioni per avere un elfo di colore, probabilmente avrebbero potuto sfruttare per costruire punti di trama (magari con relazioni non note tra elfi e uomini o semplicemente elfi che vengono da posti piu’ “esotici” etc…) o addirittura mandare i messaggi politici che tanto piacciono ai media di oggi costruendo relazioni di attrito tra elfi.

            Le mie preoccupazioni invece sono state tutte confermate guardando la serie, Amazon chiaramente non ci ha messo un minimo di criterio. Potevano far interpretare Arondir a Joe Pesci e non sarebbe cambiato niente, questo perche’ le caratteristiche fisiche dei personaggi sono state quasi completamente ignorate: “Si’ ci sono elfi, nani, hobbit di colore ma non portera’ sbocchi tematici”, “Theo e’ austro/indonesiano e la madre Bronwyn e’ Iraniana ma tanto non se ne accorgera’ nessuno l’importante che il cast sia multietnico”, “Le antiche popolazioni di hobbit neanche si sono sviluppate ma sono gia’ anch’esse multietniche”. Durante i dialoghi ad esempio hanno confermato che la madre di Nori e’ morta e il padre si e’ risposato, e questo e’ stato solo detto, ovviamente, e non mostrato. Se invece di prendere un attrice di colore avessero preso una madre di Nori “plausibile” potevano saltare quella sequenza di dialoghi e magare dire/mostrare qualcosa di piu’ interessante.

            Le caratteristiche fisiche dei personaggi sono spesso importanti per una storia ma renderle completamente irrilevanti sopratutto in una mondo complesso come quello creato da Tolkien, dove la tematica delle razze e’ comunque messa molto in rilievo, ha portato solo a: “non so come si scrive una storia ma la riempiro’ di persone di colore cosi’ posso dare del razzista a chi mi attacca”.

            Sarebbe stato perfetto se avessero sviluppato le relazioni tra i Numenoreans e le popolazioni di Harad magari intrecciando i legami tra i Numenor con elfi o gli Haradrim con gli orchi etc. Si sarebbe potuto sviluppare un infinita’ di idee interessanti ed invece no! Hanno scritto una trama nuova (scopiazzata dal Signore degli Anelli di Jackson) con tanti personaggi nuovi (e riciclati) che stanno li quasi esclusivamente per riempire una quota di attori multietnici, cambiando le caratteristiche sia fisiche che caratteriali/psicologiche dei personaggi originali, o aggiungendo cose al legendarium che vanno proprio a cozzare con quello che ha scritto Tolkien. Avessero almeno scritto una trama avvincente o coerente probabilmente molto di questo sarebbe stato “perdonato”.

            Esco un poco fuori tema. Ho appena finito di vedere la quarta stagione di Boris e mi e’ sembrato veramente che “Gli Anelli del Potere” sia stata girato da Ferretti con Stanis che interpreta Gesu’ a 50 anni (se non vi e’ piaciuto e’ perche siete gerontofobici) mentre “la piattaforma” detta legge sul set.

  18. Drona ha detto:

    @RF ha scritto:
    “non so come si scrive una storia ma la riempiro’ di persone di colore cosi’ posso dare del razzista a chi mi attacca”.

    Alla fine questa tua frase semplice e caustica, anche se non risolve alcuni piani di lettura piu’ malevoli, c’entra molte delle questioni.

    Per me la discussione puo’ anche finire qui.

    • Wu Ming 4 ha detto:

      «Non so se @WuMing nel frattempo ha cambiato opinione in proposito».

      Non direi che ho cambiato opinione, come si evince dalla mia ultima replica a Drona. Piuttosto ho approfondito e specificato ulteriormente la mia opinione. È a questo che servono le discussioni, oltreché a fornire a terzi (eventuali lettori) spunti di riflessione.

  19. Valen ha detto:

    @RF
    Anch’io ho appena ultimato Boris 4, e ho avuto pensieri simili ai tuoi. Oltre a questi, aggiungo l’Algoritmo della Piattaforma che impone, oltre alla scelta di alcune quote, la storia teen di Galadriel-Corinna con relativo trauma infantile (il “ghost” in inglese).
    Difficile non pensare in questa serie pseudo-tolkieniana anche a scene girate “alla René Ferretti” (per non usare la sua tipica espressione popolaresca); per me questo “Gli Anelli del Potere” non fa che evidenziare quelle norme standardizzate che governano la serialità globalizzata, mettendo in evidenza l’ipocrisia e il conformismo dei nostri tempi “moderni”. E proprio come accade in Boris 4, anche qui l’algoritmo alla fine nonostante le grandi risorse di investimento arriva a produrre risultati scadenti, tanto da avermi fatto pensare a un “Gli occhi del cuore di Sauron”.

    • RF ha detto:

      @WuMing
      “Esattamente come non penso che un’opera come la sua, una volta entrata nell’immaginario collettivo, possa essere mantenuta estranea alle battaglie culturali del presente. Dipende sempre da come si fanno le cose.”

      Ho chiesto se avesse cambiato idea proprio dalla frase citata sopra. Anche io sono d’accordo che se si vuole mandare nuovi messaggi piu’ rilevanti per il mondo di oggi lo si puo’ fare. Ma “dipende sempre da come si fanno le cose”, se le si fanno per fare soldi sfruttando le storie di Tolkien mentre al contempo si deve soddisfare “l’algoritmo”, citato da @Valen, e promuovere politiche moderne, e’ ovvio che rimane veramente poco spazio sia per l’arte che per le tematiche esposte da Tolkien.

      Se, ad esempio, alla scrittura/regia di RoP ci fosse stato Kubrick e’ ovvio che mi sarei aspettato qualcosa di molto diverso dai testi originali, e sicuramente Kubrick avrebbe fatto quello che voleva senza dover sottostare ad “algoritmi” o regole dettate da politiche identitarie. Sicuramente, quello che avrebbe prodotto non sarebbe piaciuto a Tolkien cosi’ come “The Shining” non piacque a King eppure e’ considerato uno dei classici dei film horror.

      Gia’ dal primo trailer era lampante che quello che avevano prodotto non era stato fatto con l’obbiettivo di produrre un opera d’arte ma semplicemente per spingere “amazon prime” come una casa di produzione di livello, al pari di Disney e Netflix.

      Mi trovo un poco nel mezzo tra @WuMing e @Drona, credo che stravolgere storie note e popolari sia sempre possibile ma sempre con criterio e per creare qualcosa di nuovo e “bello” dal punto di vista artistico.

      Quello su cui probabilmente sono in disaccordo con @WuMing e’ sul fatto della scelta degli attori che anche li dovrebbe essere fatta con criterio. Scegliere attori solo per il colore della pelle e’ semplicemente sbagliato. Questo ovviamente vale in entrambi i sensi cioe’ preferire i bianchi a discapito dei neri, e preferire i neri a discapito dei bianchi. La scelta delle etnie degli attori deve essere fatta durante la scrittura e deve essere fatta con criterio in modo tale che i personaggi rientrino correttamente nella trama magari anche prendendo in considerazione le loro caratteristiche fisiche. Quando invece, come in RoP si scelgono gli attori solo in base alla loro etnia senza capire o voler capire che e’ molto facile per lo spettatore perdere la sospensione dell’incredulità. Sopratutto in un contesto fantastico, ma quando vedi attori di etnie diverse in una comunita’ piccola e relativamente nuova come quella dei proto-hobbit e’ ovvio che la sospensione dell’incredulita’ va a farsi benedire.

      Se propio volevano avere un popolo hobbit multietnico allora perche’ non fare una comunita’ piu’ grande magari di 10,000 hobbit, con tante famiglie multietniche probabilmente sarebbe stato piu’ interessante (questo sempre senza considerare i film di Jackson). Addirittura sarebbe stato meglio se gli hobbit fossero stati o tutti di colore o tutti bianchi. Questo discorso vale anche per gli Elfi, che senso ha avere un singolo elfo nero?

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